LA LOTTA NASCOSTA DELL'AFGHANISTAN
LA
RECENSIONE DI TRE LIBRI SCRITTI IN COLLABORAZIONE CON ATTIVISTE
DI RAWA CHE RICOSTRUISCONO LA LORO STORIA
maggio 2002, da Washington
Post 28/03/02, di Jonathan Yardley; traduzione di Laura Pucci
Entro un lasso che parve solo ore dagli attacchi al Pentagono e al World Trade Center, non appena fu chiaro che si trattava di atti di terrorismo per opera di al Qaeda, e che i Talebani in Afghanistan erano in effetti complici, uno straordinario documentario dal titolo "Dietro il velo" fu mostrato ai telespettatori in tutto il mondo. Impresa congiunta della CNN e della BBC, girato e narrato da una giovane giornalista britannica, Saira Shah, esso rivelava con dettaglio straziante la brutalità e l'indifferenza dei Talebani nei confronti dei diritti umani.
Il film rivelava anche qualcosa che fino allora era noto a pochissimi: che le donne afgane erano impegnate in una resistenza sotterranea, determinata, ricca di risorse e di straordinario coraggio contro i Talebani. Che la stessa Saira Shah fosse andata in Afghanistan di nascosto era pure un atto di non piccolo coraggio -- lei che, nata in Inghilterra da genitori afgani, non aveva mai visitato il paese dei suoi antenati -- ma come lei direbbe senza dubbio per prima, è il coraggio delle donne che stanno portando avanti tale resistenza che chiede il nostro più grande rispetto.
Questi tre libri raccontano le storie di molte di loro. "La storia di Zoya" e "il mio volto proibito" sono racconti in prima persona di giovani donne afgane sia Zoya sia Latifa hanno circa ventanni mentre "Il coraggio velato" (che sarà pubblicato il prossimo mese) è una più ampia analisi del lavoro svolto dalla Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) che include numerose interviste con donne che raccontano la storia delle loro vite. Forse in qualche misura perché è il primo che ho letto, "La storia di Zoya" mi ha lasciato l'impressione più profonda, ma tutti e tre sono di grandissimo valore per la nostra comprensione dell'Afghanistan e delle sfide incredibili che lo attendono per superare la devastazione inflittagli dai Talebani.
Le storie delle donne afgane sono insieme individualmente drammatiche e collettivamente sconvolgente. I dettagli sono diversi ma le caratteristiche generali della trama sono le stesse. Esse iniziano con la lunga guerra contro la Russia e la comparsa del fondamentalismo mujaheddin, si incupiscono con il ritiro dei Russi e la sanguinosa ascesa al potere dei Talebani, e poi divengono innimaginabilmente tetre quando i Talebani rendono obbligatorie le loro rigide assurdità e iniziano i loro spaventosi crimini, in parte enumerati da Zoya in "uccisioni per lapidazione, impiccagioni pubbliche, amputazioni di uomini accusati di furto nelle quali ai ragazzi era affidato il compito di mostrare agli spettatori gli arti recisi, tortura delle vittime cosparse di combustibile per dar loro fuoco, la scia di fosse comuni che le forze Talebane lasciarono."
Non c'è quasi famiglia in Afghanistan che sia sfuggita dalle mani dei Talebani. Latifa fa notare orgogliosamente che "Papà era Pashtun e mamma è una Tajik, e sono rimasti insieme, esattamente come ha fatto il nostro paese in mezzo alle guerre e alle lotte etniche e fratricide," ma per sopravvivere si sono nascosti per mezzo decennio e infine hanno dovuto fuggire in Francia. Zoya non è stata così fortunata. Sua madre, una delle prime attiviste di RAWA, e suo padre, che era impegnato nella lotta al fondamentalismo, scomparvero semplicemente dieci anni fa, quando lei era adolescente, "uccisi per ordine dei signori della guerra Mujahideen, come migliaia di altre persone." La sua vita era cambiata per sempre:
"Sentii che avevo perso tutto. Potevo ancora vedere di fronte a me i sorrisi dei volti dei miei genitori, il modo in cui loro mi guardavano con tenerezza e amore. Desideravo di aver speso più tempo, molto più tempo a guardare nei loro occhi l'ultima volta che li avevo visti . . . Una delle prime notte dopo la loro scomparsa, giurai che li avrei vendicati, non solo i miei genitori ma tutti quelli che erano stati uccisi senza che nessuno sapesse dove, come e perché erano morti. Non li avrei vendicati con un Kalashnikov ma battendomi per la stessa causa per cui mia madre aveva combattuto."
Zoya riuscì a scappare con la sua amata nonna in Pakistan, ma restò ed è ancora attiva in RAWA: "Era la parte più importante della mia vita, più importante di qualsiasi altra cosa o persona più importante persino di mia nonna." E' un livello di passione e impegno che RAWA inspira in molti altri, non soltanto quelli che lavorano all'interno dell'organizzazione ma anche in chi la osserva e supporta dall'esterno. "Quando ci pensi," scrive Cheryl Benard in "Il coraggio velato," "la semplice esistenza di RAWA non è politicamente plausibile. Come poteva il più arretrato dei paesi aver prodotto una delle esperienze di movimento femminile più audaci del mondo?" Ma nel mettere a confronto RAWA and al Qaeda, ella ci offre una risposta plausibile:
"RAWA, in un certo senso, è cresciuta sullo stesso terreno. Così come lo stesso giardino può produrre la velenosa digitale e la benigna acchillea, RAWA era una sorta di "movimento specchio" di al-Qaeda. Dal miscuglio di ideologia globale, esse avevano preso la democrazia e l'uguaglianza; al-Qaeda l'odio per l'occidente e l'autoritarismo. Dal comune terreno di segregazione di genere, RAWA aveva conservato l'inclinazione delle donne a confortarsi reciprocamente e l'aveva utilizzata per formare unità operative formate da piccoli gruppi di donne, ma l'organizzazione era molto aperta anche agli uomini. Al-Qaeda spinse all'estremo lo stesso background, formando quadri di supermaschi patologicamente anti-donna."
Che RAWA goda di considerevole supporto tra le popolazione maschile afgana è cosa poca capita da fuori, dove comunemente si assume come fece la stessa Benard prima di visitare l'Afghanistan che l'attitudine dei Talebani nei confronti delle donne sia condivisa dalla maggioranza degli uomini afgani. Al contrario ella ha scoperto che molti di loro sostengono RAWA in una varietà di modi che includono "la vaga simpatia per l'obiettivo dell'eguaglianza, l'occasionale amichevole frequentazione degli eventi organizzati da RAWA, l'aiuto nella distribuzione delle loro riviste e pubblicazioni, la vendita nei negozi dei prodotti dei laboratori di RAWA e persino la partecipazione diretta nel lavoro clandestino dell'organizzazione."
Questa impressione è confermata sia dalla storia di Zoya sia da quella di Latifa. Ma tutti e tre i libri sono anche pessimisti rispetto al ritorno dell'Alleanza del Nord e dei signori della guerra. "Noi tutti sappiamo che sebbene essi oggi parlino di democrazia, elezione e persino di diritti delle donne," scrive Zoya, " i leader dell'Alleanza del Nord che avevano assunto il potere hanno le mani sporche di sangue," e aggiunge una cosa che il suo paese dovrebbe prendere e prendere seriamente - come un avvertimento:
"Quali che siano le loro promesse, non credo che l'Alleanza del Nord porterà pace e democrazia nel mio paese. L'unico obiettivo di ogni fazione è il potere e nessuna di loro è pronta per dividerlo. Una guerra civile è il risultato più probabile. Solo una forza delle Nazioni Unite potrebbe porre fine alle guerre nel mio paese disarmando tutti i signori della guerra e sorvegliando su libere elezioni. E solo un governo laico e democratico potrebbe garantire i diritti umani, inclusi i diritti delle donne."