RIFLESSIONI SUL VIAGGIO IN PAKISTAN E AFGHANISTAN 3-12 MARZO 2002


aprile 2002, di Anna Maria Santarello


Sono ancora molto frastornata dalla quantità di emozioni che ho provato nel corso di questo viaggio. Prima di tutto l'incontro con il gruppo di donne della delegazione, io non conoscevo nessuno ma appena sono arrivata a Roma ho incontrato Graziella, con la quale ci eravamo sentite per telefono, arrivando a Roma presto ci eravamo date un appuntamento per incontrarci in aeroporto, mi sembrava già di conoscerla da tempo e così è stato anche con le altre anche grazie a Simona che con la sua vitalità ci ha fatto sentire subito unite.

Finalmente prendiamo il volo per Karachi e inizia la nostra avventura. All'arrivo a Karachi dove faremo scalo per alcune ore in albergo, c'è il primo impatto con le contraddizioni di questo paese, all'uscita dall'aereoporto il Mc Donalds, le donne velate, il frastuono del traffico caotico e gli sguardi curiosi degli uomini che non capiscono chi sono questo gruppo di donne sole. Nel viaggio da Karachi a Peshawar abbiamo un incontro molto piacevole e commovente con una giovane donna velata accompagnata dal marito e da quattro figli che dopo un po' di diffidenza iniziale si toglie il velo. Grazie alla traduzione della hostess, iniziamo a chiacchierare e ci scambiamo un po' di informazioni lei è molto curiosa di sapere cosa facciamo e chi siamo, sarebbe molto contenta se avessimo il tempo di andarla a trovare al suo villaggio, poi con un semplice gesto si toglie dei piccoli anelli dalle dita e ce ne fa dono, all'arrivo a Peshawar ci saluta molto affettuosamente alla maniera afghana (un abbraccio e tre baci sulla guancia) sono molto commossa perché sento che questa donna attraverso di noi si è sentita per un attimo libera dalle costrizioni della società in cui vive.

All'arrivo a Peshawar ci sono ad accoglierci con molto calore Cristina e Laura che con i loro sforzi ci hanno organizzato un soggiorno veramente confortevole.
Il mattino dopo incontriamo O. che ci accompagnerà a visitare le attività di HAWCA.
Visitiamo la scuola che hanno aperto nel quartiere Kachaghari che è un insediamento di afghani che non sono andati nei campi profughi. Anche qui regna un'estrema povertà e la scuola è veramente l'unico luogo che da un po' di speranza a questi bambini. Il lavoro dell'associazione è stato molto duro per far accettare alla popolazione la scuola e mandarvi i bambini, anche qui come in tutti gli altri casi sono stati dati degli incentivi alle famiglie (un pacco di cibo al mese) in sostituzione del mancato reddito da lavoro. L'incontro con i bambini è molto coinvolgente e commovente (questa parola ricorrerà spesso nella mia riflessione ma credo che questo viaggio almeno per me ha veramente toccato dei sentimenti molto profondi), visitiamo le classi, i bambini sono molto curiosi e sembrano felici di questo diversivo alle lezioni, poi consegniamo loro quaderni, penne colorate che abbiamo portato, alcune si sentono un po' in imbarazzo perché ci sentiamo "gli occidentali ricchi che con una penna si tolgono ogni senso di colpa", ma è una cosa che ci hanno chiesto le insegnanti e forse a loro fa un altro effetto, comunque sarebbe una cosa da capire e da discutere.
Proseguiamo la nostra visita ad un'altra scuola aperta da tre mesi nel quartiere Arbabroad detto anche No men's land una zona controllata dai fondamentalisti e O. ci fa molte raccomandazioni per non irritare le persone e si sente un po' di tensione nell'aria, anche se siamo chiuse nel pulmino con le tendine tirate. Comunque anche in questa scuola incontriamo dei meravigliosi bambini alcuni molto piccoli in età prescolare perché la direttrice della scuola non se l'è sentita di lasciarli fuori visto che insistevano per partecipare alla vita della scuola.
Infine andiamo nel quartiere di Afghan Colony dove abitano principalmente afghani di etnia hazara, qui i bambini stanno lavorando molto alacremente perché le famiglie rientreranno in Afghanistan in primavera allora le insegnanti cercano di finire il programma scolastico primo che i ragazzi partano con la speranza che qualcuna possa seguirli e continuare le lezioni anche in patria.
Finita la visita alle scuole ci rechiamo nella sede di HAWCA dove ci hanno preparato un magnifico pranzo, segue un incontro che le attiviste di HAWCA dove ci illustrano le loro attività, la situazione dei rifugiati afghani in Pakistan. Ci dicono, fra l'altro che ci sono circa 2000 famiglie, spinte più dall'aspetto economico che da una consapevolezza politica, che vorrebbero rientrare a fine aprile, inserendosi in un progetto dell'ONU che pagherà loro il viaggio, 3 mesi di mantenimento e varie promesse di sicurezza.,.
Attualmente c'è un gran movimento di profughi che ritornano e altri che fuggono dalle zone ancora sotto i bombardamenti, come ad esempio nella zona di Gardez oppure nel nord-ovest dove c'è una situazione terribile a causa della guerra e della siccità e le popolazioni sono ridotte allo si arriva al punto che vengano scambiati bambini per del cibo.
Il Governo provvisorio di Karzai sta cercando di posticipare il rientro dei rifugiati perché in questo momento sarebbe veramente difficile da gestire anche perché la situazione in Afghanistan è ancora molto precaria. Poi ci sono persone, come ad esempio gli insegnanti che cercano di rientrare per poter dare un apporto alla ricostruzione sociale del paese.
In particolare chiediamo quali siano le prospettive per le donne, loro intravedono alcune aperture di questo governo che le fa sperare (bisogna però tenere presente che comunque che l'ordinamento politico e di una repubblica islamica e che la legge segue i dettami della Sharia e questo non è certamente di aiuto per l'emancipazione femminile).
Poi ci illustrano le difficoltà del loro lavoro sia per la gestione delle scuole sia per glia ambulatori dove molto spesso il personale medico ha problemi a trovare le cure per poter rispondere a tutte le patologie che si presentano (le più frequenti sono dovute alla denutrizione alla scarsa igiene e le donne in particolare hanno anche molti problemi agli organi genitali e urinari), così cerchiamo di farci dare un elenco di medicinali di cui hanno più bisogno per poter organizzare meglio gli aiuti futuri.

Il giorno incontriamo le attiviste di RAWA che ci accompagnano a visitare il campo profughi di Old Jalozai che è un campo profughi costruito nel 1980 a circa un'ora di distanza da Peshawar che ospita circa 3000 persone.
Prima di arrivare al campo attraversiamo un territorio argilloso e polveroso dove prosperano centinaia di fabbriche di mattoni nelle quali la mano d'opera a buon mercato è costituita da rifugiati (tra i quali molti bambini).
Il campo è molto ben strutturato e nella sua semplicità è molto pulito, non ci sono fogne a cielo aperto o cumuli di rifiuti, è dotato di fontane di acqua potabile e luce elettrica, c'è persino una piazza con dei giochi per i bambini è certamente molto meglio di alcuni quartieri che abbiamo visto in città.
Nel campo ci sono due scuole una maschile e una femminile e sono frequentate da circa 500 allievi dai 6 ai 12 anni.
Le stesse aule che al mattino ospitano i ragazzi al pomeriggio vengono utilizzate per corsi di alfabetizzazione per le donne, in questo momento sono frequentati da circa un centinaio di donne.
L'associazione RAWA per convincere gli uomini a permettere alle donne e ai bambini di frequentare la scuola ha organizzato una campagna di sensibilizzazione offrendo alle famiglie 1 kg di riso al mese e in alcuni casi pagando anche 50 rupie alla famiglie per permettere ai bambini di studiare.
Nei corsi rivolti alle donne vengono anche affrontati i temi dei diritti delle donne, della violenza in famiglia e della contraccezione, cercando di trasmettere che certi atteggiamenti e modi di fare non sono un modo normale di vivere, per questa ragione molto spesso sia le insegnanti che le studentesse sono minacciate. In alcuni casi le donne si rivolgono all'insegnante quando subiscono violenza dal marito e quest'ultima cerca di parlare con l'uomo per fargli capire che il suo comportamento è sbagliato.
Il lavoro delle donne di RAWA in queste situazioni è molto importante perché aiuta donne che sono sempre state abituate a subire a stare chiuse dentro le loro mura domestiche a relazionarsi con la realtà esterna e a prendere consapevolezza di se stesse.
Nel campo ci sono anche due orfanotrofi (noi le chiameremmo case-famiglia) dove ci sono bambini e ragazzi che sono senza genitori oppure i genitori si trovano in Afghanistan. Gli interni delle case che visitiamo sono molto curati e si cerca di renderli più accoglienti con tappeti e cuscini.
Durante la visita al campo siamo circondati da decine di bambini curiosi di conoscerci e di saper qualcosa di noi, i bambini sono tutti bellissimi con sguardi che ci conquistano e sulla via del ritorno un po' di noi è rimasto nei loro sguardi.

Alla sera dobbiamo congedarci da una parte della delegazione perché soltanto quattro di noi andranno a Kabul, il congedo dalle nostre amiche è molto affettuoso e commovente, comunque siamo anche molto eccitate dal viaggio che ci aspetta.
Il mattino del 7 marzo partiamo (con qualche difficoltà) da Islamabad per Kabul. All'arrivo veniamo accolti da Mauro Sioli fotografo e amico, da Maria Pia Dradi in missione per l'Ambasciata italiana e da alcuni ragazzi della scorta dell'Ambasciata. Siamo molto grate a questi amici (possiamo chiamarli tutti così, perché veramente ci hanno aiutato nei nostri pochi giorni di permananza a Kabul). Il nostro primo incontro con la burocrazia del Governo afghano sarebbe stato veramente disastroso senza l'aiuto e l'interessamento dei nostri "amici italiani", infatti appena scese dall'aereo abbiamo avuto dei problemi per il visto, perché avevano cambiato il regolamento e quindi ci hanno preso i passaporti, avremmo dovuto avere una lettera di accredito dell'Ambasciata e il visto di entrata e uscita del ministero dell'interno Afghano, cosa che fino a pochi giorni prima non era necessaria. Comunque superati questi intoppi burocratici eccoci a Kabul.
Kabul è una città distrutta non solo esteriormente, ma si ha l'impressione che anche le persone abbiano perso la speranza di un futuro migliore e cercano sfruttare il relativo cambiamento per avere qualche vantaggio.
Le donne portano quasi tutte la burqua, perché ancora non sono sicure che per loro cambierà qualcosa e anche per sicurezza personale, noi ci sentiamo come delle aliene osservate in modo insistente da tutti, per quel poco che riusciamo a camminare per strada poiché le misure di sicurezza non ci consento di girare liberamente ma dobbiamo andare sempre in auto con l'autista e il traduttore. In città si vedono uomini armati e molti taxi unico mezzo di trasporto pubblico, biciclette e macchine delle varie ONG che sono arrivate per organizzare gli aiuti, per ora non si vedono molti risultati, a sei mesi dalla caduta dei talebani, si ha l'impressione che come sempre gli aiuti umanitari internazionali per prima cosa servano a pagare i lauti stipendi dei funzionari che sono li per monitorare la situazione. La speranza è che presto si passi dai progetti ai fatti concreti e che i finanziamenti che sono stati stanziati vengano veramente usati per la ricostruzione del paese. Un altro problema circa gli aiuti è la precarietà del Governo provvisorio guidato da Karzi che vede fra i suoi componenti alcuni ministri fondamentalisti dell'Alleanza del nord che detengono alcuni dei ministri chiave come interno, difesa, ecc.
Finalmente nel pomeriggio incontriamo H. di HWCA è un incontro molto commovente è persino riuscita a trovare un mazzolino di fiori freschi e Andrea Nicastro, il giornalista del Corriere della Sera che ci ospita ed è a Kabul da sei mesi, dice che sono i primi fiori freschi che vede a Kabul.
Alla sera ci rechiamo di nuovo all'Ambasciata per salutare l'Ambasciatore Giorgi e incontriamo ancora Maria Pia che ci fa un quadro su come il nostro Paese (che uno dei paesi donatori con una stanziamento per il 2002 di 45 milioni di Euro) si sta muovendo a livello istituzionale come Ministero degli Esteri sia per gli aiuti da stanziate per il rimpatrio dei rifugiati, gli aiuti alimentarti, la ricostruzione, e la bonifica dalle mine del territorio. A questo proposito incontriamo in Ambasciata anche alcuni rappresentati di INTERSOS una ONG italiana specializzata nello sminamento, in questo momento sta addestrando del personale locale per questo delicato e importante lavoro, se si pensa che solo pochi giorni prima del nostro arrivo sono saltati su una bomba 23 bambini di una scuola e sono tutti gravemente feriti o mutilati e si trovano all'ospedale di Emercency. Il problema è che per queste opere di bonifica non si possono allontanare più di 20/30 km. da Kabul per i loro sopralluoghi perché il territorio è ancora molto pericoloso, il Governo provvisorio controlla per ora solo Kabul e alcune altre città ma il resto del territorio è ancora in mano a varie bande armate.

L'8 marzo partecipiamo alla manifestazione organizzata dal Governo, in particolare dal Ministero per la condizione Femminile guidato da Sima Samar. L'incontro si svolge all'interno di un cinema che era stato incendiato dai talebani perché si chiamava con un nome femminile "Zaima". I controlli sono molto rigorosi e lo spiegamento di polizia e militari imponente, le donne arrivano indossando la burqua che all'interno del cortile del cinema si tolgono. L'incontro è molto formale ed inizia con la preghiera che per l'occasione eccezionalmente viene cantata da una donna. I discorsi istituzionali sono inframmezzati da declamazione di poemi dedicati alle donne, da bambine che portano colombe bianche simbolo di pace. Nel suo discorso la Ministra Sima Samar pone l'attenzione sul rafforzamento della sicurezza per le donne e la creazione di una rete di solidarietà fra le donne e un appello all'ONU per il mantenimento della pace. Il discorso del primo ministro Karzai è molto enfatico e ricorda il ruolo delle donne per la costruzione di un paese libero e annuncia che il governo ha stanziato dei fondi in particolare per aiutare le donne a rientrare nel ciclo produttivo e per l'educazione annuncia inoltre che il 23 marzo riapriranno le scuole.
Ci sono poi gli interventi dei rappresentati occidentali. Brahimi rappresentate dell'ONU, Mary Robinson per l'Alto commissariato per i rifugiati e una rappresentante dell'UNIFEMME. Anche nei loro discorsi c'è molta enfasi e pieni di speranza per il futuro ora che il paese ha ritrovato la pace (sic).
L'impressione che abbiamo avuto di questa manifestazione è di un evento organizzato per far vedere in particolare all'occidente che le cose sono cambiate e che si stanno creando le premesse per una stabilità e quindi i paesi occidentali possono stare sicuri e cominciare a inviare gli aiuti promessi.
Anche se con qualche disaccordo tra di noi si può trovare un lato positivo per le donne che hanno partecipato alla manifestazione nel fatto di ritrovarsi insieme dopo un periodo difficile e potersi parlare e scambiare informazioni.
All'incontro governativo non hanno partecipato le rappresentati di RAWA perché non si sentono affatto sicure in quelle situazioni, loro l'8 marzo hanno preferito festeggiarlo facendo una distribuzione di cibo all'orfanotrofio di Kabul, sicuramente, a mio avviso, una cosa più valida e più concreta della parata governativa.
Nel pomeriggio ci rechiamo ad un incontro organizzato da Soraya Parlika intellettuale afghana del partito filosovietico della mezza luna rossa che in questi anni ha tenuto una fitta rete organizzativa cercando di resistere e subito dopo la caduta dei talebani è riuscita a portare in piazza a Kabul 2000 donne. All'incontro sponsorizzato da un gruppo di femministe americane del V-day partecipano circa 50 donne molte delle quali hanno partecipato all'incontro di Bruxelles di ottobre. Al tavolo della presidenza siede oltre a Soraya Perlika, Mabuba Hucucmal del partito di Massud è anche presente all'incontro Omairà Nematì un'intellettuale afghana che vive negli Stati Uniti. Anche questo incontro inizia con una preghiera, purtroppo abbiamo qualche problema per capire quello che dicono, abbiamo comunque l'impressione che sia un incontro interlocutorio nel quale ognuna racconta la propria esperienza e l'attività che ha svolto, con noi c'è H. che si fermerà all'incontro e poi ci racconterà divertita che c'è stato uno scontro fra le rappresentanti filosovietiche e le fondamentaliste e poi ha detto che alcune donne durante l'incontro hanno denunciato il fatto di non sentirsi sicure anche in quel contesto di poter parlare liberamente delle loro attività. Anche questo incontro sembra organizzato più che altro dalle americane per far vedere come le cose stiano cambiando, ma le varie organizzazioni femminili afghane presenti davano l'impressione di essere molto divise fra loro.
Alla sera la nostra Ambasciata organizza addirittura una festa a base di pizza per le donne e cosi finisce questa giornata dell'8 marzo 2002 che credo ricoderemo per tutta la vita
Il 9 al mattino ci rechiamo a visitare le scuole di Hawca che si trovano vicino al palazzo reale alla periferia della città, in un posto completamente distrutto tra campi minati si trovano dei villaggi di fango e paglia dove vive la popolazione. Nella casa della maestra si trova la scuola l'aula è gremita da circa 45 bambini tutti seduti a terra con i loro i libri consunti ci fanno molta tenerezza anche per la determinazione che mettono nel voler ad ogni costo imparare, la ricostruzione del paese passa certamente dell'educazione e il lavoro delle nostre amiche afghane è veramente ammirevole.
Al pomeriggio incontriamo S. di RAWA che ci accompagna a visitare anche le loro attività: alcune scuole che sono state aperte e hanno continuato a lavorare in clandestinità durante il regime dei talebani, visitiamo anche una fattoria dove una donna con l'aiuto di una forma di micro credito di RAWA a installato un allevamento di polli in modo da poter provvedere alla sua famiglia e quando può restituisce il prestito a RAWA, di queste fattorie ne hanno anche in altre zone dell'Afghanistan. La padrona della fattoria è molto fiera del suo lavoro e ci accoglie con molta cordialità nella sua casa anche se purtroppo il terremoto di qualche giorno prima ha distrutto la parte superiore della sua abitazione
Durante il tragitto parliamo con le attiviste di RAWA della situazione politica, loro sono molto preoccupate e quindi non si sentono sicure per la propria incolumità e la sicurezza della loro attività, in quanto continuano a denunciare il fatto che al governo ci sono alcuni fondamentalisti che non sono da meno in quanto a nefandezze, in particolare contro le donne, dei talebani. Sicuramente, ci hanno detto, nel Governo provvisorio ci sono dei ministri che si possono dire democratici, come ad esempio il Ministro dell'educazione, del servizio pubblico, del turismo dell'Informazione, della condizione femminile anche lo stesso Karzai viene considerato un democratico ma la sensazione è che se gli americani abbassano l'attenzione questi personaggi abbiano poco credito, anzi sicuramente la loro vita potrebbe essere in pericolo.
Alla sera ritroviamo le altre due nostre amiche che sono andate a visitare l'ospedale di Emergency e sono veramente impressionate per questa "oasi" nella distruzione di Kabul. poi assieme andiamo a salutare Gino Strada che è molto amareggiato nel vedere le varie ONG che sono "calate" su Kabul senza essersi preoccupate prima dei problemi dell'Afghanistan.
Ritorniamo in ambasciata a ritirare i nostri passaporti e a salutare gli amici italiani che sono stati così cortesi nei nostri confronti.
La mattina del 10 siamo pronte per riprendere la strada del ritorno con il desiderio di condividere con le nostre amiche quest'esperienza ma anche il rimpianto di non avere tempo di conoscere meglio la realtà di questo, nonostante tutto, affascinante paese.

All'arrivo ad Islamabad incontriamo le nostre amiche della delegazione che sono rimaste, anche in quest'occasione l'incontro è molto commovente e tutte abbiamo tanto da raccontare.

L'ultimo giorno ancora una visita all'ospedale di Rawalpindi gestito da RAWA che come tutte le attività delle nostre amiche è organizzato al meglio, con i loro pochi mezzi danno un servizio eccellente visitando circa 250 persone al giorno, facendo esami di laboratorio, visite specialistiche di ginecologia, pediatria, dispensario di medicinali, esami radiologici ed ecografici, sala operatoria e gestiscono anche una ventina di posti letti per la degenza.

Cosa dire alla fine di questa esperienza se non che sono veramente ammirata del lavoro e del coraggio delle donne afghane che in condizioni davvero difficili portano avanti un lavoro di cambiamento della società, lavorando sull'educazione e sull'aiuto ai più deboli e in particolare alla donne che in questa società fondamentalista sono veramente considerate esseri subumani. Voglio ringraziarle tutte perché veramente mi hanno fatto sentire fiera di averle conosciute e di poter condividere con loro un po' di strada.

Anna Maria Santarello