VORREI POTER PARLARE LA TUA LINGUA.
RIFLESSIONI DELL'ASSOCIAZIONE IEMANJA' IN OCCASIONE DELLA PRESENZA IN ITALIA DI UNA DELEGATA DI RAWA.


marzo 2002, di Iemanjà

Chi, come noi, ha avuto la fortuna e il privilegio di accompagnare una delegata di Rawa in qualcuna delle assemblee appositamente organizzate in Italia per loro, certo capirà al volo cosa vogliamo dire. Ascoltiamo avidamente la relazione iniziale, seguiamo con ansia l'andamento del dibattito: molte domande, risposte semplici e dirette, a volte qualche difficoltà di traduzione, qualche dubbio. "Ho risposto alla sua domanda? Era questo che voleva sapere?" sussurra Maryam tra un intervento e l'altro. Sì Maryam, adesso è tutto più chiaro.
Chi aveva bisogno di uno sguardo d'insieme sugli ultimi 25 anni di guerra, sull'invasione da parte dell'Urss dal '78, sulle politiche dei paesi occidentali di fronte ai gruppi fondamentalisti, sulle responsabilità di chi (USA Francia, Iran, Pakistan, Arabia Saudita) ha finanziato e armato questi rozzi, ignoranti, oscurantisti macellai, ora ha le idee più chiare. Anche sull'Alleanza del Nord, su quel Massoud tanto esaltato dai media francesi, sul nuovo governo imposto dopo i bombardamenti americani, nessuno può più nutrire illusioni: chi ha governato dal '92 al '96, ha i posti chiave anche oggi, e gli effetti purtroppo si vedono.
Ci facciamo un'idea di cosa stia facendo Rawa, e di come possiamo sostenerla politicamente e finanziariamente. Una corrente di simpatia e di affetto scorre gonfia di gratitudine attraverso la sala e sono molte le persone che usciranno da lì sapendo che non dimenticheranno quella serata, e che possono fare qualcosa, personalmente e subito. Prendiamo i contatti, non dubitiamo che ci sarà un seguito.
Eppure qualcosa ci manca. Ci sono dei nodi, su cui inciampa la discussione, che restano sospesi. Non per quello che ci viene da Rawa, quanto per quello che viene dal nostro contesto occidentale, e che non diciamo, non c'è tempo di chiarire ora, e resta lì per aria.
Le assemblee a cui Rawa è invitata non sono, di solito, assemblee femministe. Ma Rawa si presenta a noi con una chiara ed esplicita identità femminista, costruita in questi 25 anni non tanto nelle università, a cui le donne non hanno più avuto accesso, ma nel movimento nazionale di resistenza all'invasione, nella lotta per i diritti umani, nelle scuole segrete, nelle case, nelle unità mobili sanitarie clandestine, nei laboratori artigianali, nella vita quotidiana dei campi profughi, nelle strade su cui manifestare, su internet, ovunque all'estero ci fossero piccoli gruppi di sostenitrici e sostenitori disposti a fare controinformazione. Quello che più lascia increduli molti degli intervenuti è come faccia a resistere questa organizzazione di donne nella progressiva desertificazione della vita democratica dovuta all'eliminazione fisica degli oppositori attraverso assassinii, carcere e torture. Stupisce il radicamento sociale tra le donne del popolo, che certo non si dichiarerebbero femministe. Non sono, le donne delle città e ancor più quelle delle campagne, legate alla tradizione islamica?
E perché allora appoggiano Rawa? Perché mandano le loro figlie a frequentare le scuole di Rawa, perché entrano nelle cooperative artigianali?
Maryam non ha difficoltà a spiegare che anche lei è musulmana e che la lotta principale è quella contro il fondamentalismo e rivendica caldamente la netta separazione tra potere politico e religione. Certo che l'Islam discrimina le donne: in modo intollerabile nei paesi retti da un governo confessionale, meno dove lo Stato è laico e la religione viene nettamente distinta dalla sfera del potere politico. Ma in tutto il mondo, fa notare Maryam, tutte le religioni discriminano le donne, le donne hanno meno diritti degli uomini.
E' proprio così Maryam, se non sulla carta è così nei fatti. Ma non riusciamo ad andare a fondo su questo, in queste assemblee, dove donne e uomini sensibili alle questioni dei diritti umani e della pace chissà cosa pensano poi delle donne, qui e ora, in occidente.
Un altro nodo è la questione del socialismo. Rawa è sempre stata una organizzazione della sinistra radicale, ma è difficile per gli occidentali collocarla. Non solo per la sua lotta nazionale contro l'invasione sovietica che l'ha posta in conflitto col socialismo reale, quanto per la sua autonomia di organizzazione femminista e per i diritti umani. Un'associazione rivoluzionaria, ma fuori dalle righe.
Sorprendente anche la collaborazione all'associazione di numerosi uomini, ma in posizione assolutamente subordinata e non visibile: Rawa è delle donne e basta.
Finite le assemblee, c'è sempre qualcuna che si avvicina per chiedere ancora. Ma se doveste stabilire una priorità, la lotta per le donne non è la vostra priorità? Certo, risponde Maryam, ma il primo nemico da abbattere per ottenere questo è il fondamentalismo, e la lotta contro il fondamentalismo interessa anche gli uomini, e non è necessario che una donna sia femminista per aderire. Sì, anche le donne delle campagne, anche le analfabete, le più povere, condividono questa lotta. No, non è difficile farle venire a scuola: tutti sanno quanto è importante studiare.
Vorremmo poter trovare un linguaggio altrettanto chiaro e diretto per comunicare con le donne dei settori popolari del nostro paese. Imparare a dare loro la parola, perché diventi un dato di fatto che le donne hanno proposte politiche da fare, sulla gestione della loro vita quotidiana, lavoro salute scuola figli cultura, mille cose da dire e da fare assumendo il governo di se stesse, del paese, delle relazioni tra i popoli. Come dice Rawa, la democrazia non è possibile finché la metà della popolazione ­ le donne ­ sono tagliate fuori dalla vita pubblica. Nè si può rappresentare democraticamente chi non si riprende la parola. Per questo il lavoro di educazione popolare, per Rawa, assorbe tanta parte delle energie e tutte le militanti, anche le leaders, le delegate internazionali, e chi a rotazione copre le cariche di rappresentanza, continuano a dedicarsi periodicamente a questo impegno. La formazione delle educatrici popolari, che spesso non sono affatto insegnanti di mestiere, è uno strumento essenziale di crescita dell'organizzazione e del suo radicamento profondo nella base.
Dovremmo prendere esempio da questa pratica politica, in parte utilizzata nei gruppi che si occupano di lavoro di base, per imparare a comunicare con le donne dei quartieri popolari. Pratica troppo poco utilizzata e troppo spesso dimenticata dai gruppi femministi tradizionali che si rivolgono prevalentemente alle donne di classe medio alta.
C'è di più. Forse non tutti i partecipanti alle assemblee convocate in occasione della presenza di Rawa hanno chiaro in tutta la sua evidenza che c'è un legame sempre più stretto fra le condizioni di oppressione di tutti i popoli. Quindi non è che aiutiamo veramente Rawa cercando solo di capire le loro condizioni e mandando degli aiuti materiali ma impegnandoci da subito e parallelamente a fare un percorso di rivendicazione dei nostri diritti, in modo specifico per i diritti di noi donne. Se il racconto di Rawa non ci stimola a questo, è come assistere ma non condividere. Le assemblee dovrebbero dare la possibilità di capire il legame fra la lotta delle donne Rawa e la nostra lotta, cosa non realizzabile nello spazio di due o tre ore ma possibile all'interno di un percorso di cui l'incontro con Rawa è solo una tappa particolarmente ricca e feconda, ma non isolata. Imparare la lingua di Rawa: vuol dire per noi poter comunicare a diversi livelli, a partire dai quartieri popolari e dalle fabbriche dove con nostra grande gioia e sorpresa si ricomincia a parlare di diritti delle donne e internazionalismo. Anche per questo tutta la nostra gratitudine va alle compagne di Rawa.