"PER ESSERE
IL CUORE PENSANTE DELLA BARACCA''
PARTIAMO
PER IL PAKISTAN PER INTRECCIARE I FILI DELLA TENEREZZA E DELLA
SOLIDARIETA' CON LE DONNE AFGHANE
ottobre 2001, da Luisa Morgantini
delle Donne in Nero.
Adesso il mondo impazzito di dolore e di paura si butta nella folle avventura della guerra. Incapaci di identificare e assicurare alla giustizia i responsabili della strage di New York, gli uomini più potenti del pianeta decidono di sparare nel mucchio, di schiacciare una parte del mondo nella speranza che, nel bagno di sangue, anche i terroristi rimangano uccisi. Ci dicono che solo la guerra potrà cancellare la violenza terrorista dalla storia, ma noi sappiamo, che in ogni guerra è la povera gente a pagare il prezzo più alto, e che violenza porta nuova violenza. E' da molti anni diciamo che la guerra non può essere considerata un mezzo per raggiungere un fine, perché è la fine di tutti i mezzi e di tutti i fini, l'abdicazione della ragione, il crollo della civiltà. Sappiamo e diciamo che per fare la pace bisogna preparare la pace, sradicare la povertà, le ingiustizie.
Due anni fa abbiamo conosciuto le donne che, in Afghanistan, lavoravano per costruire una possibilità di vita migliore per donne e bambini del loro paese schiacciato dall'oppressione integralista dei talebani. Minute nel corpo ma tremendamente forti nella volontà, le nostre amiche organizzano scuole clandestine in una situazione in cui si può morire lapidate per aver mostrato in pubblico un pezzetto di pelle.
Noi donne in nero, ci siamo fatte portavoce del loro grido di dolore, abbiamo lavorato e lottato insieme a loro, e le abbiamo invitate in Italia perché tutti sapessero cosa stava succedendo laggiù. Speravamo di poterle accompagnare nel cammino verso una vita migliore, e invece, ora, si abbatte anche su di di loro la furia cieca della vendetta internazionale. A decine di migliaia i profughi afghani si riversano nei paesi vicini e trovano le frontiere chiuse, quando riescono a passare vengono lasciati morire di stenti e di malattie invece che di bombe.
E la prima vittima della nuova guerra, come sempre, è la speranza.
Noi donne in nero, continuiamo testarde a tenere aperte strisce di futuro e di speranza, a costruire ponti di pace e di relazioni così come abbiamo fatto e continuiamo a fare con le donne di Palestina, Israele, Serbia, Bosnia, Kossovo e altri "luoghi difficili" di conflitto e di dolore, vogliamo essere fisicamente vicine alle nostre sorelle afghane in questo momento di grande pericolo. Vogliamo condividere la paura e le sofferenze di un popolo che non ha alcuna colpa nella strage dell'11 settembre, che non occulta terroristi e non finanzia massacri, che paga il prezzo più alto per l'oppressione dei talebani.
Per questo andremo in Pakistan dal 30 Ottobre al 6 Novembre con una prima delegazione di donne, abbiamo chiesto a donne parlamentari, giornaliste e alle donne che in questi anni hanno lavorato con le donne afghane di venire con noi.
Le nostre amiche ci stanno aspettando, con noi ci saranno anche delegazioni dalla Spagna, dalla Francia e dagli Stati Uniti, incontreremo uomini e donne che vivono da anni nei campi profughi, abbandonati dalla comunità internazionale, con loro manifesteremo il nostro rifiuto alla guerra, al terrorismo, manifesteremo il nostro bisogno di libertà/liberazione.
Ancora una volta la nostra presenza nei luoghi del conflitto vuole essere un monito e una pressione sulla Comunità Internazionale per dire che c'è un alternativa alla violenza e alla povertà, che bisogna cessare la guerra, la produzione delle armi, che bisogna sostenere e dare asilo a chi fugge dall'orrore e dalla violenza. Ancora una volta per dire: Fuori la guerra dalla storia.