"FUORI DAL PAKISTAN: QUI SEI IN PERICOLO"
LA TESTIMONIANZA DELL'INVIATO DELL'HINDUSTAN TIMES


novembre 2001, traduzione di Giovanna Gagliardo

Aditya Sinha stava seguendo la guerra in Afghanistan in qualità di inviato dell'Hindustan Times. E' stato allontanato dal Pakistan giovedì scorso. Riportiamo il suo resoconto dell'espulsione.

Trentadue giorni dopo aver iniziato a scrivere articoli da Peshawar, il governo del Pakistan mi ha intimato di andarmene. "Immediatamente", diceva l'ordine del ministro degli interni, una copia del quale mi è stata consegnata dal Reparto Speciale di Peshawar.

E' successo all'improvviso ed inaspettatamente. Appena una settimana prima, il ministro degli interni aveva miracolosamente esteso di altri 15 giorni il mio visto di un mese. Non avevo tentato nessuna sciocchezza, tipo l'attraversamento della frontiera travestito da donna, che di questi tempi sembra così in voga tra i giornalisti occidentali. Ho immaginato che i pakistani si fossero rassegnati a che l'Hindustan Times restasse a lavorare ancora per qualche giorno.

Giovedì mattina mi trovavo a Nishtar Hall, in attesa della conclusione di una importantissima assemblea tribale afghana. Ero entrato per farmi scambiare una banconota da 500 rupie per pagare l'autista, e non appena ho messo piede fuori dalla porta un uomo vestito con un salwar kameez bianco e occhiali scuri mi ha chiesto se parlavo urdu. "Venga con noi, per favore", mi ha detto mentre si facevano avanti altri due uomini. "Siamo del Reparto Speciale e vorremmo farle alcune domande".

Sono stato portato nell'ufficio della SSP (pubblica sicurezza), dove ho trascorso momenti di ansia prima che entrasse il barbuto Khalid Masood. Dopo aver dato uno sguardo al mio passaporto, ed avermi chiesto per chi scrivessi e dove risiedevo, mi ha detto: "Lei è nei guai. Deve lasciare il Paese".

Non mi ha voluto dire perché, liquidandomi con un vago "ordini da Islamabad". Gli ho detto che sarei andato via, e che fortunatamente c'era un volo per Delhi il mattino dopo. "Deve partire oggi", mi ha detto, "e le consiglio per il suo bene di non ritardare la partenza. Chi lo sa cosa potrebbe succederle se restasse per un altro giorno".

Era stato abbastanza chiaro. Così ho detto che volevo andare a Delhi perché lì c'era mia moglie. "No, non può andare in India. Deve tornare nel suo Paese, negli Stati Uniti. Prenoti un biglietto aereo via Dubai. I miei uomini l'accompagneranno alla biglietteria."

A quanto pare l'unica destinazione aerea internazionale da Peshwar sono gli Emirati Arabi, e l'unica compagnia operativa dopo l'11 settembre è la PIA. Ho proposto di andare a Karachi e prendere un altro volo per un altro Paese. "No, ora lei non può andare da nessun'altra parte in Pakistan".

Quattro uomini mi hanno accompagnato in albergo dove ho fatto le valigie ed ho pagato il conto ad un addetto alla reception estremamente nervoso. Un altro uomo vestito in borghese è arrivato su una moto e mi ha chiesto del mio incontro con il gruppo clandestino delle donne afghane, RAWA. "Chi è che hai incontrato?". Ho dovuto dare il suo nome, sentendomi malissimo pensando a quello che poteva accaderle. "Dove?" Fortunatamente, lei era venuta nella mia stanza. "Qual è il suo numero di telefono?" Qui ho mentito, cercando di proteggere questa povera afghana. Ho detto di averla contattata tramite un giornalista del Dawn, che ho immaginato non sarebbe stato importunato dalle autorità.

Il mio volo era alle 10 di sera. Erano rimaste nove ore. Ho trascorse le prime nell'ufficio di Masood. Mi ha rivolto uno sguardo penetrante. "Lei è un cittadino americano, ma di dentro è indiano". Presto se ne è dovuto andare. "Non la stiamo arrestando, lei è sotto custodia protettiva", ha detto. Non sono stato maltrattato - era giusto la tensione di stare seduto in una stanza poco luminosa con un mucchio di poliziotti in borghese.

Ero in comunicazione col mio ufficio, e loro si sono messi in contatto con l'ambasciata USA, così sapevo che non sarebbe successo niente di spiacevole. Alla fine sono stato portato all'aeroporto dove la PIA si è rifiutata di farmi salire sull'aereo perché non avevo un visto degli Emirati Arabi! I miei accompagnatori hanno avuto una conversazione privata col funzionario della compagnia e tutte le obiezioni sono scomparse