L'illegalizzazione di Batasuna
e la sinistra italiana.
La
gravissima repressione del governo spagnolo nei confronti di Batuasuna, organizzazione
alla quale va la nostra totale e incondizionata solidarietà,
in Italia è stata accolta da parte della sinistra con preoccupante
freddezza. Questo atteggiamento è frutto della regressione che ha colpito
il "senso comune" della sinistra riguardo alle lotte di liberazione
nazionale. REDS. Settembre 2002.
In altre occasioni (a proposito della Palestina,
della Cecenia, della Kosova, ecc.) abbiamo parlato dell'autonomia che esiste
tra il piano della lotta di classe e il piano della lotta nazionale.
Nel primo si contrappongono le classi, nel secondo le nazioni.
Così come esistono classi dominanti e classi dominate,
vi sono anche nazioni dominanti e altre dominate. Con ciò
non affermiamo nulla di nuovo rispetto a quanto già argomentava Lenin
(vedi la nostra pagina
sulla questione nazionale). Naturalmente i due piani nella storia umana si
sono continuamente intrecciati, e la forma, i modi, e i tempi di questo intreccio
non sono affatto indifferenti nella determinazione dei destini delle nazioni.
Dopo il dissolvimento dell'URSS e della Jugoslavia, ad opera di movimenti
di massa e organizzazioni indipendentiste non di sinistra, è prevalsa
nella nostra sinistra una sostanziale diffidenza verso le lotte di liberazione
nazionale, che ha portato ad ignorare quanto accadeva in Bosnia nella prima
metà degli anni novanta e ad un atteggiamento di ostilità verso
le rivendicazioni albanesi successivamente. Questa stessa diffidenza è
all'origine del ritardo con cui è partita la solidarietà verso
la Palestina, e, pensiamo, anche della sottovalutazione di quanto sta accadendo
nei Paesi Baschi oggi. Di seguito qualche rapida confutazione di idee erronee
circolanti nel popolo di sinistra sulla questione basca. Gli obiettivi dello stato spagnolo Come abbiamo chiarito nella cronologia
l'illegalizzazione di Batasuna è solo l'ultimo episodio di una escalation
che ha come obiettivo la distruzione di quel tessuto associativo fatto di
organismi di solidarietà, di informazione, di cultura, in cui vive
e si costruisce ogni giorno l'identità nazionale basca. Non
è un attacco ad ETA e nemmeno alla sinistra basca, ma ai baschi.
Lo stato spagnolo ha capito che non verrà mai a capo della questione
basca se non taglierà alla radice la base sociale che alimenta le aspirazioni
indipendentiste e che è fatta di luoghi dove la gente si ritrova (si
minacciano le herriko tabernas), di organizzazioni giovanili, di assocazioni
che diffondono l'insegnamento della lingua basca, ecc. La "lotta contro
la violenza dell'ETA" non ha nulla a che vedere con gli innumerevoli
provvedimenti tesi a distruggere questo tessuto identitario. La natura del conflitto tra Spagna e Paesi
Baschi Il conflitto in corso è un classico scontro
tra nazioni. Dove la Spagna è la nazione che opprime, e
quella basca la nazione oppressa. La nazione spagnola attua usando
tutti gli strumenti del suo stato: polizia, governo, magistratura,
parlamento, ecc. Come in tutti gli scontri tra nazioni, la nazione
dominante gode di un sostegno interclassista. Ciò non si deve alla
"propaganda" governativa, e nemmeno agli attentati di ETA (anche
se tutti e due questi fattori sono senz'altro influenti). La ragione per cui
anche le classi popolari, oppresse, di una nazione dominante sostengono l'oppressione
verso altre nazioni, è materiale: risiede nel fatto, o nella speranza,
che la potenza della nazione alla quale si appartiene riverberi qualcosa
dei suoi privilegi anche sugli strati bassi della popolazione. Una Spagna
senza Paesi Baschi sarebbe senz'altro meno "potente", in tutti i
sensi, e certo con meno carte da giocare nella concorrenza con gli altri stati
imperialisti. Sappiamo che vi sono compagni che tendono a leggere questo conflitto
in termini di classe, ma ciò comporta enormi difficoltà
di lettura degli avvenimenti. La borghesia spagnola non colpisce l'insieme
del popolo basco perché vuole "sfruttarlo meglio", ma l'insieme
degli spagnoli non vogliono vedere diminuita la potenza della propria
nazione, perché indubbiamente far parte di una nazione potente comporta
vantaggi (enormi per le classi dominanti, briciole per le classi popolari).
Una Spagna senza Paesi Baschi, Canarie e Catalogna, non potrebbe certo mettersi
a contrattare spazi dentro l'Unione Europea al pari di Londra, Bonn o Parigi,
così come farebbe molta più fatica a gestire il dominio imperialista
in America Latina. Non è nemmeno vero che lo stato
spagnolo colpisce l'indipendentismo basco perché connotato a sinistra
(perché cerca di unire la lotta contro l'oppressione nazionale
con la lotta contro l'oppresisone di classe). In realtà lo colpirebbe
lo stesso anche se fosse connotato a destra, così come Putin
colpisce i ceceni, o i serbi colpivano i kosovari (due popoli che hanno sostenuto
direzioni nazionaliste non connotate a sinistra). La Spagna reprime Batasuna
soprattutto perché questa organizzazione è radicale sul piano
nazionale, è cioé orientata decisamente verso l'indipendenza.
Del resto lo stesso atteggiamento repressivo ha sempre caratterizzato lo stato
italiano verso le forze indipendentiste sudtirolesi e sarde, indifferente
al loro orientamento sul piano di classe (e, detto di passata, con
la piena complicità della sinistra italiana). Nella nazione
dominante che cerca di mantenere la propria potenza a scapito della
libertà di altri popoli si produce dunque una naturale tendenza
all'unità interclassista. L'intersezione del piano di classe con quello
nazionale Questa alleanza può rompersi solo quando
la resistenza della nazione dominata è talmente forte da far ritenere,
a una o più classi sociali della nazione dominante, troppo alto il
prezzo dell'oppressione esercitata; oppure quando si produce una alleanza
tra la nazione oppressa e le classi popolari della nazione dominante per il
raggiungimento di obiettivi comuni. Il primo caso si è dato innumerevoli
volte nella storia (Vietnam, Algeria, ecc.), il secondo è più
raro (è accaduto nella prima fase della rivoluzione russa). Perché
si produca questa scomposizione sul piano di classe della nazione
dominante, vi devono essere condizioni soggettive particolari. Vi devono essere
cioé delle direzioni politiche nella nazione oppressa che agiscono
in maniera da favorire la simpatia delle classi oppresse della nazione
dominante. Per questo pur non condizionando l'appoggio a un popolo oppresso
alla presenza o meno di una direzione nazionalista di sinistra, noi
riteniamo conveniente per la nazione oppressa esprimere direzioni schierate
anche sul terreno di classe, perché solo queste possono preparare
un terreno favorevole all'alleanza con le classi oppresse della nazione dominante.
Nei Paesi Baschi c'è questa direzione, ed è Batasuna,
che influenza sindacati radicati sul territorio, che ha promosso lotte anche
contro la propria borghesia, che ha solidarizzato sempre con le lotte del
movimento operaio spagnolo. Queste condizioni soggettive sono invece attualmente
assenti nello Stato Spagnolo: Izquierda Unida si è vergognosamente
astenuta nel voto parlamentare che ha chiesto l'illegalizzazione di Batasuna,
nonostate che Batasuna sia il maggior partito di sinistra nei Paesi Baschi.
Anche la sinistra (per non parlare del PSOE, punta di lancia dell'offensiva
antibasca) dunque ha preferito l'alleanza sul piano nazionale con la propria
classe dominante. E' giusto che i lavoratori di una nazione oppressa siano
nazionalisti, anzi, come rammentava Marx a proposito degli irlandesi,
è il loro primo dovere. E' vergognoso invece che i lavoratori (e le
loro rappresentanze politiche) di una nazione dominante siano nazionalisti
perché ciò significa, in cambio di briciole, essere complici
dell'oppressione di altri popoli. Solidarietà condizionata al popolo
basco? In Italia vi sono poi settori che sono favorevoli
ai diritti del popolo basco perché c'è Batasuna, che
è di sinistra. Si tratta dell'altra faccia dell'atteggiamento di Izquierda
Unida: in ambedue i casi vi è l'incapacità di comprendere che
nella lotta tra nazioni dominanti e dominate, la sinistra deve
scegliere le seconde, indipendentemente dalla direzione politica che queste
si sono date, così come dovremmo appoggiare la lotta di una fabbrica
contro i licenziamenti, anche se diretta da un sindacato di destra. Poniamo
che lo stato spagnolo riesca sul serio a spazzar via la sinistra basca: dunque
verrebbe meno il nostro sostegno alla causa basca? Passeremmo dalla parte
dello Stato spagnolo? Sarebbe per noi indifferente se questo si rimangiasse
anche quei margini di autonomia che i baschi si sono conquistati con le unghie
e con i denti? Noi pensiamo che là dove esiste un popolo oppresso la
sinistra debba stare dalla sua parte, anche se ciò non deve implicare
l'identificazione con la sua direzione politica. Così ad esempio siamo
coi tamil, anche se ciò non significa appoggiare le Tigri, siamo coi
ceceni contro il genocidio portato avanti dai russi, anche se i loro capi
ci piacciono assai poco. Lo stato spagnolo è uno stato fascista? Nella sinistra basca e in quella solidale coi
baschi è oggi usuale caratterizzare quello spagnolo come regime fascista.
Il termine però non è corretto, o lo è solo sino a un
certo punto. Il regime spagnolo è un normale regime democratico
borghese. Il fatto che vi sia un post franchista al potere non significa
molto: il socialista Gonzales aveva fatto ben di peggio istituendo squadracce
che hanno seminato morte nei Paesi Baschi e fuori. Quando la lotta è
tra nazioni, la nazione dominante usa sempre metodi fascisti,
quando può, indipendentemente dal regime o dal governo che si ritrova.
Israele ha un regime democratico-borghese, ma ciò non gli impedisce
di usare metodi fascisti contro i palestinesi. Mussolini aveva invaso
l'Etiopia, ma è stato un governo liberale a invadere la Libia: e la
spietatezza con cui sono state condotte queste invasioni non differiva affatto.
La Francia ha portato avanti una guerra contro la lotta di liberazione algerina
che ha prodotto un milione di morti, in gran parte civili: eppure il suo regime
non era fascista, ma repubblicano e antifascista. Si trattava
però dello stato di una nazione dominante. Chiamare fascista
il regime di una nazione dominante perché reprime un altro popolo sottindente
in realtà un giudizio positivo sui regimi democratico-borghesi,
un appellattivo evidentemente da destinare per stati più buoni.
Ma gli stati delle nazioni dominanti non sono mai buoni. Dato
che essi sono l'espressione di una nazione (oltre che di una classe)
è a questa che devono rendere conto, ed è in questa
che devono cercare il consenso, e per ciò non hanno alcun riguardo
per nazioni di cui non costituiscono l'espressione storica.
Lo stato turco deve rendere conto ai turchi, che dominano ogni settore
dell'apparato statale, non ai curdi, così come Israele deve
rendere conto agli ebrei, dato che i palestinesi residenti solo
nominalmente sono cittadini israeliani. La questione della lotta armata Tutti i popoli oppressi hanno diritto all'autodeterminazione,
e quando ciò viene negato, hanno diritto a ribellarsi, con ogni mezzo
necessario, e, dunque, anche con le armi. Non vi è nazione al mondo
che non sia ricorsa alle armi per liberarsi dall'oppressione dello "straniero",
o da un suo possibile attacco. Nessuna nazione attualmente libera accetterebbe
senza lotta armata di sottomettersi ad un'altra. Del resto non esistono molti
esempi di nazioni che si siano liberate dall'oppressione nazionale senza il
ricorso alle armi. Dunque il popolo basco ha il diritto di ribellarsi, anche
con le armi. Riconoscere però un diritto non significa affatto considerarlo
opportuno. Diciamo dunque con estrema chiarezza che la ripresa della
lotta armata da parte di ETA è stato un grave errore le cui conseguenze
si sono abbattute innanzitutto sulla sinistra basca che, durante la tregua,
era cresciuta enormemente insieme ad un tessuto sociale abertzale che
andava sempre più rafforzandosi calamitando anche il nazionalismo borghese.
Gli attentati di ETA inoltre allontanano la possibilità di una rottura
sul piano di classe della solidarietà nazionalista (nel senso deteriore
del termine) spagnola. Non ci sfugge comunque che il responsabile primo della
rottura della tregua è lo stato spagnolo che ha agito con ogni mezzo
per sabotare il possibile processo di pace. Ma appunto per questo la società
basca avrebbe avuto bisogno di più tempo: la ripresa dell'attività
di ETA ha coinciso con una drastica diminuzione dell'attività delle
masse basche. Considerare però ETA un gruppetto da isolare, significa
non comprendere il grado di radicamento e di legittimità di cui essa
gode tra i baschi. Qualsiasi soluzione negoziata della questione basca passa
necessariamente attraverso il coinvolgimento diretto di questa organizzazione. La tattica di Batasuna Batasuna è una organizzazione la cui tattica
riteniamo esemplare. Ha sempre compreso che esistono più piani dell'oppressione
sociale e su ognuno di questi ha tentato di attuare portando i propri contenuti,
che mettono giustamente in primo piano la questione nazionale. Nei Paesi Baschi
esistono gruppi femministi indipendentisti, gruppi omosessuali indipendentisti,
gruppi antiglobal indipendentisti, ecc. Condividiamo il fatto che sul piano
nazionale Batasuna abbia cercato, quando possibile, l'alleanza con
il PNV, il partito nazionalista moderato, pur essendo di natura borghese,
e senza che ciò abbia implicato una diminuzione dell'attività
di Batasuna sul piano di classe (e dunque anche contro la borghesia filoPNV).
Esemplare è anche il fatto che Batasuna (e in generale la sinistra
abertzale) sia sempre riuscita ad evitare una guerra civile interna
ai Paesi Baschi (dove una percentuale consistente della popolazione è
immigrata) con una concezione nazionale aperta, fondata sulla cittadinanza.
Condividiamo il suo obiettivo indipendentista, perché l'autonomia per
quanto ampia è sempre provvisoria quando viene concessa dalla nazione
dominante. Solo l'indipendenza mette i popoli su un piano di uguaglianza
con tutti gli altri. Cossiga Alcuni compagni in Italia sono frenati nella
solidarietà verso i baschi per le prese di posizione favorevoli alla
loro causa da parte di Lega e Cossiga. Queste perplessità non hanno
alcun senso. Dato che il conflitto tra Paesi Baschi e Stato Spagnolo è
un conflitto nazionale, è ovvio che tutta una serie di personaggi
legati alle classi dominanti ma non legati sul piano nazionale
alla Spagna abbiano posizioni apparentemente progressiste. Vi è ad
esempio tutta una corrente della nostra borghesia e della nostra diplomazia
piuttosto favorevoli ai palestinesi. In gioco infatti, al momento, non vi
è una questione di classe (che orienterebbe questi personaggi
immediatamente in senso antioperaio) ma nazionale. E ciò delinea
due campi nei quali le classi possono trovarsi mischiate, come accade appunto
nel conflitto palestinese, o in quello ceceno, a seconda delle tradizioni
politiche, o di interessi economici, o geostrategici, ecc. Ad esempio la gran
parte dei suoi finanziamenti l'IRA li reperiva negli USA tra la comunità
di origine irlandese, e il governo USA chiudeva tutti e due gli occhi perché
non poteva mettersi contro un pezzo di elettorato (e di establishment) che
conta milioni di individui. Come al solito la bussola che deve guidare il
nostro giudizio è: quel popolo è oppresso oppure no? E sulla
base di ciò prendere posizione incondizionata, senza preoccuparci se,
per una qualsiasi ragione, anche gente a noi poco affine dice, apparentemente,
cose simili. Che fare. Qualche proposta. Ovviamente la prima cosa da fare è organizzare
ovunque possibile visibili manifestazioni di solidarietà, se ne terranno
diverse in Italia nei prossimi giorni. Ma vi è anche dell'altro. Una parte della nostra sinistra è condizionata
dall'atteggiamento di Izquierda Unida, sostanzazimente spagnolista. Ma tacere
quel che pensiamo sulla repressione antibasca per non disturbare i compagni
spagnoli significa far loro un pessimo servizio. Ai tempi della guerra d'Algeria
sarebbe stata una gran cosa se la sinistra di tutto il mondo avesse duramente
attaccato lo sciovinismo di quella francese: oltre ad aiutare così
la rivoluzione algerina avrebbe dato una mano alla stessa sinistra francese,
entrata in crisi anche per quella vicenda. Il PRC vuole costruire un polo
europeo della sinistra antagonista? Bene: ma vogliamo farlo con chi si "astiene"
in Parlamento quando in ballo c'è l'esistenza o meno di un partito
antagonista di massa? Dunque chiediamo agli attivisti delle organizzazioni
di sinistra (PRC, PdCI, DS e verdi) di prendere duramente posizione contro
l'atteggiamento dei propri omologhi spagnoli e di farlo pesare in tutte le
sedi: riunioni internazionali, Parlamento europeo, ecc. con petizioni, lettere,
ecc. Il movimento antiglobal nel suo complesso ha
avuto nei confronti della situazione basca un atteggiamento un po' bizzarro,
che noi immaginiamo e speriamo sia dovuto sostanzialmente ad una scarsa conoscenza
della questione. Non riusciamo a dare altra spiegazione ad esempio riguardo
all'invito di Garzon a Porto Alegre, il giudice che in prima persona si è
occupato di imprigionare senza prove centinaia di persone, compresi attivisti
per i diritti umani, restando indifferente alle torture loro inflitte. Ci
sarà a novembre il Social Forum Europeo: ottima cosa, ed anche un'ottima
occasione per invitare con tutti gli onori i compagni e le compagne di Batasuna.