La guerra in Cecenia.
Il
punto sulla seconda guerra in due anni mossa dall'imperialismo russo al popolo
ceceno. Di Michele Corsi. Da Sherwood Tribune. Dicembre 1999.
Cecenia,
terra ribelle I
ceceni cominciarono a ribellarsi agli invasori russi tre anni dopo che furono
occupati dalle truppe zariste nel 1770, e da allora non hanno più smesso.
Siamo attualmente al quinto ciclo di ribellioni. Il primo seguì appunto
la conquista russa e si protrasse dal 1773 al 1791; il secondo, insieme ai
popoli del Daghestan, si prolungò dal 1824 al 1859; il terzo che vide
i ceceni in modo alterno avversari ed alleati dei bolscevichi, andò
dal1917 al 1921; il quarto fu caratterizzato dalle sollevazioni contro le
vessazioni del regime stalinista, dal 1929 al 1943; il quinto é cominciato
nel 1991, parallelo al processo di disgregazione dell'URSS, e deve ancora
terminare. Anni
novanta: la seconda guerra russo-cecena La
prima é stata combattuta dal dicembre 1994 all'agosto 1996 a seguito
dell'invasione russa che voleva impedire la secessione proclamata nel 1991,
ed era stata persa dai russi. Rispetto alla prima l'attuale guerra presenta
rilevanti novità. Viene dopo gli "insegnamenti" che i russi
hanno tratto dall'intervento NATO in Jugoslavia. La
guerra contro i civili I
continui bombardamenti sulle città e i villaggi ceceni non hanno affatto
il fine di "snidare" i terroristi. A tale scopo servirebbe un sistema
satellitare ed armi con sistemi di puntamento che oggi possiedono solo gli
USA (nemmeno l'Europa le ha a disposizione, come non finisce mai di lamentarsi).
Inoltre occorrerebbe l'impiego di elicotteri corazzati, che i russi si guardano
bene dall'utilizzare per paura che glieli abbattano. Ma anche se i russi disponessero
di questi mezzi non servirebbero loro a nulla: alla NATO erano necessari in
Kosovo perché combattevano contro un esercito che era estraneo al territorio
ed era dotato di mezzi pesanti, che, appunto, si poteva sperare di eliminare
con bombardamenti "di precisione" (nei fatti poi si è visto
che comunque le perdite serbe sono state molto inferiori al previsto). Ma
i ceceni non hanno mezzi pesanti, né basi missilistiche, né
aerei o giganteschi depositi di munizioni da far saltare. I bombardamenti
incessanti dei russi dunque hanno uno scopo essenzialmente terroristico nei
confronti della popolazione civile. Alternativamente i russi possono aspettarsi
due risultati: il villaggio bombardato si arrende facendo entrare le truppe
russe senza colpo ferire, oppure il villaggio viene distrutto e la popolazione
fugge. Quest'ultimo esito, sulla base delle analisi dell'azione russa, pare
essere lo scopo prevalente, ed ha ottenuto da quel punto di vista notevoli
risultati: in Inguscezia si sono rifugiati in 250.000, come se, in proporzione,
20 milioni di italiani fossero stati costretti a rifugiarsi in Svizzera. E
teniamo conto che La
tattica dei russi appare dunque evidente: svuotare la Cecenia. Sono arrivati
alla conclusione, come altre volte (sotto lo zarismo, sotto lo stalinismo)
che il problema ceceno non é risolvibile se non sconfiggendo l'intero
suo popolo, infliggendo un trauma collettivo che gli impedisca di rialzare
la testa per altri 30-40 anni. La conferma viene dal trattamento riservato
a Grozny: i russi hanno fatto di tutto per farne fuggire la popolazione civile,
fingendo preoccupazioni umanitarie (inesistenti, visto che poi mentre fuggivano
spesso venivano bombardati, come denunciato da tutte le organizzazioni umanitarie
presenti in Inguscezia). Il fine é quello di assicurarsi un controllo
della pianura (dove passa il petrolio) e delle città, coi ceceni confinati
sulle montagne o costretti ad un ritorno filtrato e controllato che tenga
alla larga i giovani maschi. Una Grozny controllabile é una Grozny
privata di gran parte dei suoi abitanti: nella precedente guerra i russi avevano
conquistato la capitale a prezzo di enormi perdite e dopo averla praticamente
rasa al suolo, ma non ne ebbero mai il reale controllo. Anche in piena occupazione
si susseguivano manifestazioni di massa, insurrezioni di un quartiere o di
un altro, ecc. I
possibili esiti Se
questo è il disegno russo, certo non è detto che riesca. La
fondamentale differenza delle guerre condotte dalla NATO è che se questa
ha bombardato Baghdad e Belgrado, non le ha però dovute invadere. Erano
guerre condotte per spingere il "nemico" a delle concessioni. Qui
è tutta un'altra cosa. I ceceni sono di casa, i russi no. L'impiego
di mezzi consistenti (100.000 soldati contro i 25.000 della prima guerra)
non potrà essere protratto all'infinito, né un controllo villaggio
per villaggio sarà possibile in permanenza, perché la Russia
non ne ha i mezzi finanziari, né la solidità politica. Inoltre
le forze dei guerriglieri sono praticamente intatte, dato che la guerra i
generali russi, sino ad ora l'hanno condotta contro i civili. La Russia infine
non ha la minima possibilità, una volta acquisito il controllo del
territorio di risollevarlo dalla devastazione a cui l'ha ridotto la conquista:
i ceceni si ritroveranno in larghissima parte disoccupati, con un apparato
produttivo azzerato, e senza il minimo aiuto finanziario. Non è difficile
pensare che una qualsiasi guerriglia in queste condizioni avrebbe sempre nuovi
adepti, e faticherebbe poco ad impantanare i russi in un nuovo Afghanistan.
Anche i ceceni del resto hanno imparato. Nella prima guerra erano largamente
impreparati. Oggi sono guerrieri sperimentati. Inoltre: cinque anni fa Dudaev
lanciava continui appelli alla sollevazione dei popoli del Caucaso e all'aiuto
dell'Occidente. Oggi i ceceni sanno che possono contare solo sulle proprie
forze e sulla propria determinazione. Infine: Dudaev ha dovuto combattere
dal 91 al 94 una guerra civile interna contro un'opposizione forte anche se
minoritaria, filorussa. Oggi, dopo le decine di migliaia di morti causati
dagli interventi russi, non vi è ceceno che non sia un acceso nazionalista;
così, anche se ci sono forti contrasti tra un Basaev ed un Maskhadov,
tutti e due combattono comunque il nemico comune. La
Russia La
Russia conduce questa guerra ufficialmente in nome della lotta al terrorismo.
Tra agosto e settembre a Mosca erano scoppiate due bombe che avevano prodotto
la morte di duecento persone. La gran parte dell'opinione pubblica era in
realtà convinta che si trattasse di una manovra diversiva del clan
Eltsin, soffocato dagli scandali. Ma "fortunatamente" un'altra bomba
scoppiata facendo una strage a Volgodonsk, vicino alla Cecenia, permise il
lancio in grande stile di una campagna anticecena che ebbe subito un grande
successo. Nonostante non vi fosse nemmeno un indizio che confortasse la tesi
(al contrario un agente del FSB fu trovato in un appartamento di Ryazan mentre
stava collocando una bomba, e si difese dicendo che stava "testando la
vigilanza dei residenti") il governo russo accusò i "terroristi
ceceni", e il Paese, Mosca in particolare, fu scosso da un'ondata di
isteria collettiva che portò alla L'atteggiamento
occidentale Reduci
da una guerra falsamente dettata da ragioni umanitarie, le potenze occidentali
non possono certo permettersi un consenso aperto ai massacri russi. Ritualmente
ad ogni occasione "condannano", si "indignano", "chiedono
pressantemente", arrivano persino a "minacciare" (tutti fuori
che il governo italiano che rinuncia persino ad "indignarsi"). Questi
balletti hanno un fine esclusivamente interno: salvare la faccia di fronte
alla propria opinione pubblica. Certo, anche gli occidentali hanno a cuore
il petrolio del Caspio, ma hanno risolto elegantemente il problema nel corso
dell'ultima riunione dell'OSCE quando hanno firmato un accordo per un oleodotto
che passi a sud della Cecenia, fuori, al momento, dagli artigli russi. Non
è stata presa alcuna misura concreta da parte occidentale per imporre
alla Russia l'alt ai massacri. Anche la pausa nei finanziamenti del FMI non
è dovuta, come comunemente si crede alla guerra cecena, ma al fatto
che la Russia non ha fornito ancora sufficienti garanzie che i soldi non vadano
a finire nelle capaci tasche della "famiglia" (come viene chiamato
in Russia il clan affaristico legato a Eltsin). Gli occidentali tra l'altro
condannano verbalmente gli "eccessi", ma non si sono mai sognati
di mettere in dubbio la sovranità russa sulla Cecenia. Il rappresentante
di Washington presso l'OSCE, Vershbow, ha detto: "Noi appoggiamo l'integrità
territoriale della Russia e non mettiamo in discussione il diritto di prendere
adeguate iniziative militari contro il terrorismo". (Corriere della Sera
30-10-99). I dirigenti ceceni sono trattati come appestati da tutte le cancellerie
occidentali (Italia compresa). Gli USA sono in prima linea su queste posizioni.
A Mosca il 29 ottobre il vicesegretario di stato USA Strobe Talbott ha dichiarato
che "gli Stati Uniti comprendono che la Russia ha un atteggiamento molto
serio e realistico di fronte all'estremismo e al terrorismo. Gli Stati Uniti
sperano che la Russia troverà un modo per superare questa sfida e per
ridurre al minimo le vittime civili". Hanno escluso apertamente il blocco
dei finanziamenti, e ne dichiarano apertamente le ragioni, le stesse che li
hanno spinti a mettere sotto silenzio lo scandalo finanziario russo, per entità
il maggiore di questo secolo: gli USA non hanno alcuna intenzione di aiutare
una direzione nazionalista, quella cecena, che una volta realizzata l'indipendenza
potrebbe davvero mettere in pratica il suo sogno di una "Federazione
caucasica" destabilizzando gli stati indipendenti della regione e che
stanno stringendo rapporti con gli occidentali. Inoltre gli USA vogliono una
Russia stabile. Una Russia allo sbando sarebbe per loro un pericolo perché
significherebbe dar forza alle correnti più nazionaliste ed antioccidentali
presenti al suo interno. L'ultima scenetta del teatrino dell'"indignazione"
l'abbiamo goduta nella riunione di tre giorni fa del G8 a Berlino. Dopo le
rituali "pressanti richieste", Hubert Védrine si è
detto "deluso" dalle risposte dei russi, mentre il ministro degli
esteri della Germania Joschka Fischer tra un rimbrotto e l'altro ("comprendo
le grandi difficoltà che hanno portato alla guerra caucasica, e tuttavia
la lotta al terrorismo non può essere condotta contro la popolazione
civile"), chiamava l'omologo russo "il nostro amico Ivanov".
Anche qui il fattore tempo è determinante: gli occidentali sperano
che i russi risolvano presto "il problema", in modo da togliersi
dall'imbarazzo. E nel mentre non faranno assolutamente nulla per mettere in
difficoltà la Russia. Che
fare? I
democratici, la sinistra, i movimenti possono fare qualcosa, per fermare il
massacro? Seattle ha dimostrato come la "società civile"
abbia la possibilità di rompere disegni che sembravano intoccabili,
la resistenza degli zapatisti dimostra come una solidarietà forte e
radicata possa impedire i massacri e influire sulla "grande" politica.
Eppure è desolante constatare come ben pochi si stiano mobilitando
a favore del popolo ceceno. Perché? Certo su questo atteggiamento,
sostanzialmente complice rispetto ai governanti occidentali, pesa la scarsa
simpatia che emana dai dirigenti della resistenza cecena. Eppure il fatto
che la leadership palestinese oggi si divida tra il fondamentalismo islamico
e un Arafat che perseguita il dissenso di sinistra all'interno dell'Autorità,
non diminuisce le simpatie (speriamo) degli attivisti verso la causa palestinese.Perché
usare un trattamento diverso con i ceceni? Vi è poi una sorta di pregiudizio
inerziale favorevole alla Russia, come se il suo passato rivoluzionario, ne
facesse in qualche modo un avamposto "più progressista" degli
USA o dell'Italia. In realtà oggi la Russia non è altro che
uno stato imperialista, al pari di molti altri (come Italia, USA, ecc.), che
lotta per farsi largo nella competizione mondiale a danno dei popoli, semplicemente
è un imperialismo un po' più scalcinato degli altri, ma questa
condizione, lo sappiamo dalla storia, non impedisce certo di essere feroce
coi più deboli. Certo, ci si deve opporre a qualsiasi ipotesi di ingerenza
istituzionale degli stati occidentali (tipo mediazione OCSE, ONU, ecc.), perché
l'esperienza di questi anni è che queste istituzioni sono attente solo
agli interessi dei più forti, e non dei popoli. Ma dobbiamo senz'altro
chiedere la sospensione dei finanziamenti alla Russia sino a che permane l'occupazione,
a cominciare dal nostro governo. Dobbiamo avere chiaro che i miliardi che
oggi arrivano in Russia dalle banche occidentali non sono certo utilizzati
per costruire ospedali o posti di lavoro, ma vengono dirottati direttamente
sulla guerra, che richiede un enorme dispendio di risorse finanziarie.
La guerra in Cecenia dunque non é frutto di qualche "infiltrazione"
di fondamentalisti islamici, ma l'ennesima puntata di una lotta plurisecolare
tra una Russia che vuole mantenere il controllo sul Caucaso, e un popolo che,
tra quelli caucasici, si é dimostrato il meno disponibile a permetterglielo.
È difficile incontrare altri esempi nella storia di un popolo che abbia
combattuto per la propria autodeterminazione con più caparbia costanza
di quello ceceno, é difficile incontrarne uno che abbia attraversato
le stesse sofferenze. L'occupazione russa si accompagnò sempre ad iniziative
attive per finirla una volta per tutte non solo con i resistenti, ma anche
con l'intero popolo ceceno. Gli zar ad esempio avevano requisito le terre
dei ceceni e le avevano assegnate ai cosacchi (concentrati soprattutto lungo
il Terek) perché questi difendessero la Russia dai "popoli delle
montagne". Ma il tentativo di annientamento nazionale più sistematico
fu portato a termine da Stalin nel 1944: con l'argomentazione che i ceceni
avrebbero aiutato l'occupante tedesco (che però non era arrivato mai
ad invadere la Cecenia se non in minima parte e per pochi mesi) deportò
l'intera popolazione (400.000 individui, compresi comunisti e partigiani antinazisti)
nelle steppe del Kazakhstan, dove, coloro che sopravvissero al terribile viaggio
nei vagoni blindati, morirono a decine di migliaia di fame e di stenti. Lo
stesso destino di "popolo deportato" lo subirono anche altri, ma
i ceceni furono gli ultimi, alla morte di Stalin, a poter ritornare nel 1956.
Si tratta questo di un trauma collettivo che ha lasciato un segno duraturo.
Dudaev, che ha guidato l'ultima fase di ribellioni prima di essere centrato
da un missile russo, così come l'attuale presidente ceceno Maskhadov,
sono nati nella deportazione. La guerra precedente alla attuale costò
ai ceceni 100.000 morti. Oggi siamo "ancora" a quota 3.000.
Il primo insegnamento: il consenso nazionale alla guerra é tanto più
forte quanto più deboli sono le possibilità che vi siano morti
tra le proprie fila. Questa è la ragione che ha spinto gli USA dopo
la sconfitta in Vietnam, dovuta anche all'opposizione che si era sviluppata
in patria, a intraprendere guerre con un uso preponderante dell'aviazione.
La tattica è stata usata in Iraq e in Kosovo, e dove gli USA non hanno
potuto utilizzarla (Libano, Somalia), hanno perso. I meno tecnologici inglesi
e francesi hanno risolto il problema impiegando nelle azioni pericolose reparti
composti da personale non europeo (gurka, legione straniera). Anche i russi
dunque in questa guerra non fanno che bombardare incessantemente dal cielo,
evitando lo scontro diretto con la guerriglia. Ha dichiarato una rifugiata
cecena a Le Monde: "questa guerra non è come la precedente: i
russi bombardano, bombardano, bombardano, poi ci circondano e ricominciano
a bombardare. Non ho mai visto tanti morti come ora." Da parte russa
i "benefici" di questa tattica sono stati subito evidenti: la prima
guerra era stata caratterizzata da continue diserzioni nell'esercito, da una
contestazione di massa dell'opinione pubblica russa (il generale Lebed che
chiedeva la pace godette di un grande successo elettorale), dall'azione di
gruppi antiguerra (soprattutto quello delle madri dei soldati). Oggi i morti
russi si contano a decine, quando quattro anni fa si contavano a migliaia.
Inoltre questa guerra crea consenso, in una Russia frustrata: durante la prima
guerra Eltsin per essere rieletto dovette nel maggio del '96 far finta di
firmare la pace coi ceceni, per poi riprendere, dopo la riconferma del giugno,
la guerra a luglio. Oggi il consenso a Putin è schizzato verso l'alto
dal 2% nel quale si trovava. C'è già chi parla in Russia di
"putinismo", ad indicare un autoritario, da "grande potenza".
Merito questo anche della formidabile campagna propagandistica che in Russia
ha preparato la guerra, frutto della lezione occidentale. Ma con qualche "aggiunta"
tutta russa: le maggiori televisioni e molti giornali sono in mano all'entourage
presidenziale, e a nessuna voce critica è permesso farvi capolino.
L'altro grosso insegnamento tratto dallo "stile" della NATO é
di tipo mediatico. I russi hanno capito che le stragi vanno coperte con parole
gentili che esprimano continue preoccupazioni per i civili, ed anche con scuse
ufficiali quando le stragi non si riescono più a nascondere. Qualche
insegnamento poi i dirigenti russi l'hanno tratto anche dai serbi. Il primo:
evitare testimoni. Così come la "soluzione finale" in Kosova,
che produsse l'esodo di massa in primavera, era stata preceduta dalla cacciata
di tutti i giornalisti, lo stesso sta accadendo oggi in Cecenia: in mancanza
di altri dati anche i media occidentali riempiono i propri notiziari di lanci
delle agenzie russe. Il secondo insegnamento: per eliminare i pesci bisogna
eliminare l'acqua.
l'Inguscezia non é la Svizzera, ma uno dei Paesi più poveri
della regione.
formazione di squadre di vigilantes, all'arresto di massa dei "neri"
(come in Russia viene chiamato chi non è perfettamente bianco), ecc.
In realtà i dirigenti russi hanno colto la palla al balzo per risolversi
qualche problema. Prima di tutto la Russia ha due obiettivi geostrategici.
Il primo è quello che riguarda il trasporto del petrolio: per la Cecenia
passa l'oleodotto che dal Mar Caspio porta il petrolio verso ovest (la stessa
Grozny è stata creata e cresciuta alla fine del secolo scorso come
città petrolifera). In secondo luogo la Cecenia è necessaria
per riacquisire il controllo sul Caucaso, una porta sul Medio Oriente. Persa
la Cecenia per la Russia sarebbe molto più difficile "influenzare"
le repubbliche indipendenti ma fragili del Caucaso del Sud (la Georgia, l'Azerbajgian).
Già durante questa offensiva il villaggio georgiano di Chatili, a due
chilometri dalla Cecenia, è stato bombardato tre volte, e le accuse
russe ai georgiani sono quotidiane. La Russia sta da tempo manovrando per
destabilizzare il Transcaucaso. Là si dà per scontato ad esempio
che dietro al massacro dei governanti armeni (tra i quali il primo ministro
Vazgen Sarkisyan che aveva intrapreso una politica "regionale",
distanziandosi dalla tradizionale alleanza coi russi) del 28 ottobre ci sia
la mano di Mosca, così come dietro l'attentato del 5 febbraio 1998
al filoccindentale Shevardnadze.
Un altro mutamento rilevante rispetto a cinque anni fa è che le forze
politiche russe confessano apertamente questi scopi. Mentre prima c'erano
solo i lati opposti di Zhirinovski e del Partito Comunista a parlare di "interesse
nazionale", di "politica di grande potenza", e a rivalutare
il passato grandioso, oggi non c'è un solo partito che non abbia fatto
riferimento a questa ideologia imperiale durante la campagna elettorale. Un
ultimo scopo raggiunto, al momento, con questa guerra dai dirigenti russi,
è che il clima di unità nazionale ha messo a tacere le mobilitazioni
di lavoratori russi che nell'ultimo anno avevano creato non pochi grattacapi
a Eltsin. Questi effetti "magici" però per mantenersi devono
reggersi su una condizione: che la guerra finisca alla svelta. E per le ragioni
che dicevamo sopra, questo esito è tutt'altro che scontato.
Dobbiamo impedire che i nostri governi siano complici indiretti del massacro.
In secondo luogo con iniziative di mobilitazione si dovrebbe far capire a
chi ci governa che la "società civile" non pensa alle questioni
umanitarie a corrente alternata, e solo quando fa più comodo ai potenti
della Terra. E per mandare anche il segnale ai ceceni che possono contare
tra i democratici, nei movimenti (e non solo nel fondamentalismo islamico),
di una qualche solidarietà. Faremmo davvero un grave errore di calcolo
se pensassimo che "tanto tra un po' la cosa si risolve". I ceceni
non si fermeranno. Come ha dichiarato un combattente ceceno alla Reuters:
"se ci ammazzeranno tutti, i nostri figli ricominceranno".