Silenzio sulla Cecenia
Che
fine ha fatto la Cecenia? Declassata a notizia occasionale, la sorte della
minuscola repubblica che ha infiammato il Caucaso dall’inizio degli
anni Novanta sembra interessare sempre meno in Occidente. Di Alessandro Cassieri
. REDS - Aprile 2006.
“Un
muro di silenzio e di omertà è caduto sulla sorte dei ceceni”
denuncia un gruppo di autorevoli (ex) politici (Havel, de Klerk), intellettuali
(Glucksmann), finanzieri (Soros). “Abbattiamo quel muro” è
il loro appello. In realtà, di Cecenia si continua a parlare e a scrivere
molto, almeno in Russia.
Le vicende di Grozny
e dintorni sono seguite con costanza da giornali e televisioni. E non solo
per aggiornare il conto sui costi in vite umane di un conflitto non risolto.
Imboscate, sequestri, esecuzioni-lampo scandiscono le settimane. L’ultimo
dato ufficiale dice che dal ’99, (inizio della seconda guerra di Cecenia
dell’era post sovietica) al 31 gennaio ’06 sono stati uccisi 3.501
uomini impegnati contro la guerriglia. Un dato assolutamente parziale rispetto
alle circa ventimila perdite subite dai militari russi dall’avvio della
campagna di Cecenia lanciata da Eltsin nel dicembre ’94. E le organizzazioni
non governative stimano tra 100 mila e 300 mila il numero complessivo delle
vittime civili su un totale di 1 milione e 60 mila ceceni censiti prima della
guerra. Un’ approssimazione che colpisce: ma le statistiche, in quella
realtà fatta di tragedia e propaganda, sono un’altra variabile
che sfugge a ogni controllo.
Che succede, allora, oltre il “muro” ceceno? La risposta è
relativamente semplice: succede meno di quanto non succedesse fino a qualche
tempo fa, quantomeno sul fronte militare. Quello che già dall’inizio
del decennio si era trasformato in conflitto a bassa intensità, ovvero
senza bombardieri e senza cannoneggiamenti, registra il diradamento delle
azioni dei guerriglieri. Dopo il crescendo che ha portato gli indipendentisti
a colpire ovunque gli obiettivi russi (sequestro al teatro Dubrovka, abbattimento
in volo di due aerei di linea, stragi ai concerti, nella metropolitana e nelle
strade di Mosca) l’assalto alla scuola di Beslan, in Ossezia del nord
(repubblica interna alla Federazione russa) ha rappresentato l’acme
ma anche il “turning point” della vicenda cecena. Da allora, settembre
di due anni fa, la mano pesante dell’apparato repressivo russo e più
ancora il contraccolpo politico subito dalla causa indipendentista di fronte
all’indignazione internazionale per un massacro che ha avuto per vittime
soprattutto bambini, hanno portato a un aggiornamento del quadro.
Mosca ha ottenuto, in primo luogo dall’amministrazione Bush, di poter
considerare Basayev e i suoi uomini alla stregua di Bin Laden e di al-Qaida.
La stessa figura dell’ex presidente Mashkadov, fino ad allora considerato
in Occidente un interlocutore obbligato per Putin nell’ambito dell’auspicato
negoziato russo-ceceno, veniva riconsiderata alla luce del video che lo riprendeva
accanto al capo guerrigliero Basayev mentre distribuiva ai ribelli le armi
prelevate a Nazran (Inguscezia) durante un assalto che era costato la vita
a 92 persone. Le stesse armi che sarebbero state utilizzate due mesi più
tardi nell’attacco alla scuola di Beslan. Sulla gestione di quell’assalto
e del successivo sequestro di oltre mille ostaggi all’interno della
scuola manca ancora un’assoluta chiarezza. Le testimonianze, contraddittorie
dalla prima ora, sono rimaste contrastanti nel lungo processo che è
seguito. Di sicuro c’è che l’intervento delle teste di
cuoio è stato caotico e tragico. E che da allora l’attività
terroristica della guerriglia si è drasticamente ridotta. Nessun attentato
a Mosca, né in Russia. Rarefatti anche gli assassinii di militari russi
e filo-russi in Cecenia. Un anno fa, l’uccisione di Mashkadov ha fatto
uscire definitivamente di scena anche l’opzione politica. E in questo
quadro Putin ha lanciato la terza fase della “normalizzazione”
della Cecenia.
Dopo il referendum costituzionale (che ha riportato la repubblica nell’ambito
della Federazione russa) e le presidenziali (tenute due volte, per l’assassinio
di Akhmed Kadyrov) a novembre si sono svolte le elezioni per la formazione
del parlamento. Un voto, anche in questo caso poco trasparente, che ha sancito
due realtà: la legittimazione politica di Ramzan Kadyrov (figlio dell’ex
presidente) già capo di una milizia privata spietata e temuta quanto
gli uomini di Basayev, e la “cecenizzazione” della questione cecena.
Ovvero il trasferimento della gestione della sicurezza dagli apparati russi
a quelli locali. Grazie a questa operazione il Cremlino può annunciare
una riduzione del suo contingente in Cecenia a 36 mila uomini, un terzo rispetto
a due anni fa. E al tempo stesso quantificare in non più di 700-750
i “lupi della montagna” che costituiscono l’esercito di
Basayev. Contro i quali Kadyrov può utilizzare metodi e conoscenze
acquisiti quando al fianco del padre Akhmed, allora muftì, sosteneva
la guerra santa contro la Russia.
In cambio di questo servizio per la “normalizzazione” il giovane
Kadyrov (non ancora trentenne), promosso primo ministro il 4 marzo, ha ottenuto
dal Cremlino molto denaro, molta autonomia e carta bianca nella gestione del
paese. Che da fervente mussulmano sta significativamente rimodellando: niente
casinò, niente alcool, rilancio della poligamia (fino a quattro mogli).
In compenso molta “normalità”: concerti rock, feste di
piazza, eventi sportivi, ospiti internazionali come l’ex pugile Mike
Tyson. “Kadyrov conosce il segreto” ha scritto nei giorni scorsi
una pungente analista russa come Yulia Latynina. Si riferiva all’abilità
di Kadyrov nell’aver ottenuto da Mosca un’autonomia di cui la
Cecenia non ha goduto neppure dopo la vittoriosa guerra contro i carri armati
di Eltsin. Sarà forse per questo che per la prima volta, nel 2006,
i fondi stanziati dall’Onu e dall’Unione europea (67 milioni di
dollari) verranno spesi non per gli aiuti umanitari (cibo e alloggi provvisori)
ma soprattutto per finanziare la creazione di posti di lavoro, oltrechè
scuole e ospedali.
Come se la Cecenia fosse all’avvio di una fase di ricostruzione. Come
se i “lupi della montagna” di Basayev facessero meno paura ora
che sono braccati dai “lupi” di Kadyrov. Eppure i ribelli sono
lì, capaci ancora di colpire, com’è successo a ottobre
nella vicina Kabardino-Balkaria. Di tutto questo poco o nulla arriva in Occidente.
Ma sono notizia anche i servizi dei tg sull’8 marzo delle donne cecene
che vanno meno dal parrucchiere perché tornano a usare di più
il velo. E’ notizia pure la decisione di Kadyrov di proclamare una nuova
festa nazionale per celebrare la nascita del suo primo figlio maschio, dopo
quattro femmine. La Cecenia produce notizie, ma dopo due guerre sono meno
assordanti. E sarebbe compito e interesse degli occidentali, a cominciare
da noi europei, affinare l’udito per catturarle e coglierne il significato.