Immigrazione albanese in Italia
E
voluzione storica, peculiarità, consistenza numerica ed azione del governo italiano in un ricco ed appassionato studio. Tratto dal lavoro "Immigrazione al femminile: donne albanesi a Milano" di Stefania Maggioni. Gennaio 2001




Il presente studio fa parte di un lavoro molto più ampio intitolato "Immigrazione al femminile: donne albanesi a Milano". Chiunque sia interessato a riceverlo integralmente può inviare una email alla redazione di REDS

Le ragioni di un esodo
"Durante gli anni del monopartitismo il governo albanese ha propagandato un'immagine negativa dell'emigrazione presentandola come una piaga sociale frutto del capitalismo" (1) e conseguentemente ha chiuso tutte le frontiere e impedito ogni tentativo di lasciare il paese. Nell'immaginario collettivo il fenomeno migratorio è stato associato alle deportazioni territoriali degli oppositori politici e "alle tristi circostanze politico-militari in cui si è venuta a situare l'emigrazione" (2). E' solo dal 1990 che gli albanesi sono tornati a varcare i confini nazionali e il fenomeno non è passato inosservato. Le ragioni di questo esodo, che ha assunto proporzioni via, via sempre più allarmanti, vanno ricercate non solo in 45 anni di duro isolamento, ma soprattutto nella difficile fase transitoria che l'Albania sta attraversando dopo la caduta del regime stalinista di Enver Hoxha.

L'emigrazione albanese in Italia è senz'altro di "natura politico-economica" (3) e riflette, in modo significativo, la crisi albanese degli ultimi dieci anni. Dopo la morte di Enver Hoxha, Ramiz Alia non è stato in grado di prevedere ciò che sarebbe accaduto in seguito (cfr capitolo 1); la "sua miopia politica" non gli ha permesso di prevenire il disastro (4). Dalle vicissitudini dell'est europeo Alia non è stato in grado di trarre alcun insegnamento. La sua politica di cauto riformismo ha scontentato un po' tutti, sia i fedeli di Enver Hoxha, numerosissimi all'interno del partito, sia la popolazione che invece chiedeva cambiamenti radicali. Se in principio era stato accolto come un riformatore, già alla fine del 1989 l'opinione della gente era cambiata. Alle proteste antigovernative che si diffondevano in tutto il paese il successore di Enver Hoxha ha sempre risposto con riforme giudicate solo di facciata dagli albanesi. Durante i suoi cinque anni di governo si è consumata la lenta agonia del modello politico enverista e non si è saputo impedire il disastro economico, politico e sociale degli anni '90 (5). All'inizio del 1997 il paese è precipitato in una crisi senza precedenti originata dal crollo delle cosiddette "piramidi finanziarie". Le finanziarie, società di raccolta e gestione del risparmio pubblico con promesse di interessi elevatissimi, non sono un fenomeno esploso all'improvviso in Albania, ma esistevano già da almeno 4 anni. Esse hanno dato agli albanesi l'illusione di un facile e rapido guadagno spingendo molte famiglie ad investire tutto ciò che possedevano, persino la casa. La ragione per cui così tante persone si sono fidate ad investire i loro pochi risparmi, è che molte finanziarie erano "collegate pubblicamente alla classe politica dirigente" e lo stesso presidente, Sali Berisha, aveva rassicurato la popolazione sulla loro importanza e sicurezza (6). E' normale che in un paese in cui non è più possibile ricavare fonti di sussistenza dall'economia, la popolazione cada vittima delle promesse di denaro facile, soprattutto quando queste vengono fatte con l'avvallo dello stato. Le finanziarie sono state per anni un "ottimo ammortizzatore per attenuare i conflitti sociali, economici e politici." (7) Il sud dell'Albania, in particolare Valona, è stato il centro dell'attività di queste finanziarie (8). Si tratta di una città, da sempre, più sviluppate dell'Albania che riceve molte rimesse degli emigrati e che è anche diventata il centro in cui viene riciclato il denaro sporco. E' quindi comprensibile il "paradosso" che la città si trova a vivere in questi anni: "priva di un'economia reale, di strutture produttive efficienti e di investimenti, ma ricca di compagnie finanziarie". Il governo albanese temendo la reazione della popolazione del sud di fronte agli insuccessi di una politica economica fallimentare e alle promesse fatte in campagna elettorale e mai mantenute (nel 1996 si sono svolte le elezioni politiche, ma l'opposizione si è ritirata accusando il Partito Democratico, di brogli), ha pensato bene di ammorbidirli con i proventi delle finanziarie. E' per questo motivo che il centro della ribellione è stato proprio Valona (Vlorë), perché è soprattutto la popolazione del sud che ne è uscita danneggiata (anche se poi il malcontento si è propagato in tutto il paese) (9). Come ha affermato il sociologo albanese Kosta Barjaba, con il crollo delle finanziarie si è decretata la fine della "falsa democrazia di Berisha" su cui i paesi occidentali avevano riposto la loro fiducia e il loro gradimento, delle politiche occidentali liberiste, del "miracolo economico albanese basato su un sistema produttivo senza strutture; la fine di una società caotica, senza diritti politici e umani, dove la violenza politica, la corruzione e la criminalità dominano incontrastate" (10). Dopo 6 anni di transizione gli albanesi si sono trovati in una situazione simile a quella del '91; anzi, per certi versi la situazione del '97 è stata anche peggiore. Molti albanesi si sono trovati senza soldi, senza lavoro, senza una casa, ma soprattutto senza prospettive per il futuro e privi di fiducia nelle istituzioni politiche (11). La ribellione esplosa nel paese era inevitabile. Nonostante i tentativi fatti dal governo di Berisha (per mantenere il potere politico) e dalle potenze occidentali (per nascondere il fallimento di politiche economiche liberiste e monetariste imposte all'Albania senza considerare la storia e le tradizioni locali) di presentarla come una rivolta regionale ed etnica (il sud contro il nord da cui proveniva Berisha), la ribellione è stata unicamente politica. Le prime manifestazioni di protesta sono state pacifiche e democratiche, ma di fronte all'indifferenza del governo e alla sua linea politica autoritaria e repressiva i ribelli hanno deciso di imbracciare le armi. Nel giro di breve tempo la rivolta si è estesa a tutto il sud facendo scomparire ogni forma di stato e poi ha coinvolto tutto il paese. I ribelli, presentati dai media occidentali come gente barbara e violenta, capace di sparare su tutto e tutti (connotando così, in maniera ancor più negativa, gli immigrati albanesi che hanno lasciato il loro paese nel '97) (12) in realtà chiedevano solo una cosa: le dimissioni di Berisha, elezioni anticipate e la creazione di uno stato veramente democratico (13). Si può affermare che con la crisi delle finanziarie si è aperta in Albania una nuova fase transitoria, questa volta ancora più difficile perché il senso di smarrimento e di sfiducia sono diventati molto forti. Senza considerare che la fuoriuscita di forze produttive in questi anni ha assunto dimensioni allarmanti e che molti emigrati, dopo lo shock finanziario, non hanno più investito i loro risparmi in Albania aggravando ulteriormente la situazione economico-finanziaria del paese (14).

Le caratteristiche dell'immigrazione albanese
Il fenomeno migratorio degli anni '90 è considerato uno degli eventi più significativi della difficile transizione albanese verso un sistema democratico che stenta a prendere forma. Con la fine dello stato totalitario che reputava l'emigrazione un reato, gli albanesi hanno ripreso a lasciare l'Albania. Le esperienze migratorie precedenti risalgono a molti anni addietro. La prima ondata migratoria è quella del XV secolo dopo la morte di Skanderbeg e il ritorno dei turchi; molti albanesi per motivi religiosi e politici si sono diretti verso le coste italiane. Il fenomeno migratorio poi è tornato a farsi consistente tra la seconda metà del secolo passato e gli inizi del nostro verso paesi vicini come la Bulgaria, la Romania e soprattutto la Grecia. Molti albanesi si sono diretti anche in Olanda, Francia e Belgio a lavorare nelle fattorie e nelle miniere. A partire dal primo decennio del 1900 una quota notevole di persone ha lasciato il Vecchio Continente e raggiunto l'America e l'Australia (15). La terza grande ondata migratoria è quella attuale al cui interno il sociologo albanese Barjaba distingue più fasi e, a seconda delle fasi, motivazioni e progetti diversificati (16).
1) La prima fase è quella del Luglio 1990 quando migliaia di persone hanno occupato le ambasciate straniere a Tirana e chiesto asilo politico. Il primo gruppo che è riuscito a varcare clandestinamente i confini è arrivato in Italia il 3 Luglio del '90. Si è trattato di sei persone, tutti uomini, sbarcati a Otranto a bordo di una zattera. Successivamente a questo episodio, di cui si conserva un vago ricordo, sono arrivati in Italia 800 albanesi rifugiati nelle ambasciate in Albania (17). Ogni paese europeo si è preso la sua quota di disperati da presentare all'opinione pubblica a dimostrazione del fallimento dell'ideologia comunista e della fine di un'epoca. L'accoglienza è stata calorosa, soprattutto da parte delle associazioni di volontariato che da subito hanno sopperito all'inefficienza e alla disorganizzazione dello Stato italiano (18).
2) Gli esodi massicci del '91 vengono distinti in due fasi, Marzo '91 e Agosto '91, per via del mutamento di atteggiamento e di accoglienza che si è registrato a livello istituzionale e di opinione pubblica. Il primo esodo di massa si è verificato alla vigilia delle prime elezioni libere e multipartitiche concesse da Ramiz Alia. Nonostante il clima di fiducia e di speranza che si respirava in Albania, 25 mila persone (secondo le stime del Ministero dell'Interno) sono giunte nei porti di Bari, Otranto e Brindisi su imbarcazioni di fortuna. Anche in questo caso lo Stato italiano si è fatto trovare impreparato e per via dell'inefficienza della burocrazia si è venuto a creare "il primo gruppo di clandestini albanesi in Italia (o in altri paesi d'Europa)" su cui i media hanno iniziato la loro campagna di stigmatizzazione dell'immigrato albanese. Infatti su 21.800 albanesi che sono rimasti in Italia e che sono stati distribuiti tra le varie regioni, si sono perse le tracce di 8.800 (19). Il secondo contingente (Agosto '91) è stato quello della vergogna per il nostro paese. Circa 20 mila persone ammassate sulle oramai celebri navi (riproposte per giorni e giorni dai media e con le quali Benetton ci ha costruito anche una campagna pubblicitaria), sono state rinchiuse nello stadio di Bari, in condizioni disumane e successivamente rimpatriate con la forza o con l'inganno. In questo breve lasso di tempo (Marzo-Agosto '91) i media italiani sono riusciti a creare nell'immaginario collettivo lo stereotipo dell'albanese violento e criminale, rendendo così difficile per un immigrato il processo di integrazione nella nostra società (20).
3) Dopo il 1991 gli esodi dall'Albania sono continuati in maniera più o meno spontanea senza raggiungere però più le proporzioni del '91.
4) E' nel 1997, con il crollo delle società finanziarie, che il flusso migratorio ha ripreso ad assumere dimensioni allarmanti, soprattutto per l'Albania che assiste impotente alla fuoriuscita di forze giovani, intellettuali e personale qualificato.
C'è poi da considerare la fase migratoria attuale. Nonostante gli sforzi fatti dal governo albanese per superare la crisi del '97 e ridare fiducia alla popolazione attraverso il ripristino della legalità e la creazione di istituzioni democratiche, la situazione è, ancora oggi, molto difficile. Le motivazioni che sono alla base del fenomeno migratorio degli anni '90 sono differenti a seconda del periodo in cui si emigra, ma senz'altro al primo posto troviamo i motivi di ordine economico. "La disoccupazione è un fattore di spinta verso l'Occidente sia nella fase dell'effettiva mancanza di lavoro sia a causa di un lavoro poco soddisfacente" (21) o poco remunerato. Si lascia quindi il paese convinti che all'estero sia possibile trovare facilmente lavoro, guadagnare di più e vivere in condizioni migliori. Nella prima fase migratoria però la spinta è anche il desiderio di conoscere il mondo, di uscire dall'isolamento e fare nuove esperienze di vita. In questa fase un fattore di spinta importante sembra essere stata "l'informazione mass mediale" che non solo ha presentato l'Italia come l'Eldorado, ma che ha fornito agli albanesi stessi un'immagine del loro paese negativa, di un paese allo sbando, privo di prospettive (22). Nelle ondate migratorie successive al '91 e soprattutto con la crisi del '97 si è lasciata l'Albania anche per motivi di ordine politico e sociale. La mancanza di sicurezza, di istituzioni efficienti e democratiche, l'anarchia politica e soprattutto la sfiducia nella classe politica dirigente hanno spinto molti albanesi ad emigrare. La previsione di molti è che in Albania, con il passare del tempo, la situazione non può che peggiorare. L'immigrato albanese per questo motivo è stato definito un "rifugiato economico" (23), perché si colloca a metà strada tra il politico e l'economico. Per gli albanesi che hanno lasciato l'Albania negli anni '90 l'Italia e la Grecia sono stati i paesi di prima emigrazione. Le ragioni, oltre che di carattere pratico (vicinanza), sono anche di natura culturale. Molti albanesi infatti si sentono molto "vicini agli italiani." (24)

Un dato atipico emerge sull'immigrazione albanese: "il coinvolgimento di quote considerevoli di donne" (25). Se nelle prime fasi l'immigrato albanese tipo era maschio, giovane e celibe in quelle successive cresce il numero di donne che decidono di lasciare l'Albania. Si tratta di ricongiungimenti familiari (è infatti scarso il numero di uomini sposati che hanno lasciato in Albania la moglie e i figli), ma anche di donne sole (26). Un altro dato interessante sono i legami scarsi che si registrano tra connazionali non parenti come invece avviene per altri gruppi di immigrati. Sono pochi gli albanesi che nel paese di destinazione condividono l'abitazione con amici o connazionali; quasi tutti vivono con un parente o da soli (27). Esistono due tipi di immigrati: quelli "legali" e quelli "irregolari" (28). I primi sono quelli che hanno lasciato il paese con un regolare visto di ingresso che in Italia è stato poi tramutato in un regolare permesso di soggiorno; i secondi invece, comunemente chiamati "clandestini", sono arrivati irregolarmente e difficilmente riescono a regolarizzarsi. Dopo gli sbarchi del '91 l'immagine degli albanesi in Italia è totalmente compromessa e le politiche governative repressive e di chiusura delle frontiere (rimpatri forzati, pattugliamento delle coste) non hanno lasciato altra via che quella della clandestinità. Una volta giunti nel paese di destinazione poi non basta la buona volontà di mettersi in regola. Per trovare un lavoro regolare serve il permesso di soggiorno, ma quest'ultimo non viene concesso se prima non si ha un lavoro regolare. Le uniche soluzioni per uscire da questa condizione sono le sanatorie o incontrare un datore di lavoro che si assuma la responsabilità della regolarizzazione (29).

"Tra i canali dell'immigrazione clandestina il principale è quello della frontiera greco-albanese in quanto il passaggio si effettua a piedi sia pure con l'incubo dei militari greci e il rischio di perdere la vita" (30). Si tratta di una "emigrazione spontanea, disorganizzata e individuale" (31). Molti sono gli albanesi che prima di venire in Italia hanno fatto un'esperienza lavorativa in Grecia (è facile trovare lavori stagionali, ma sempre in nero) per raccogliere un po' di soldi. L'Italia rimane comunque la destinazione preferita anche perché in Grecia le possibilità di regolarizzarsi sono quasi inesistenti. Il rapporto inoltre tra gli immigrati albanesi e i nativi greci è molto difficile. Nel 1997 è stata stimata in Grecia una presenza di 350.000 albanesi. Il rapporto con la popolazione greca è di circa 25/30 su 1 (in Italia invece è solo di 450 su 1, tale da non giustificare l'allarmismo sociale che si è creato attorno alla presenza albanese) (32).
Gli altri canali dell'emigrazione clandestina invece rientrano in una "emigrazione organizzata e con strutture permanenti"." Un primo canale è quello dei tassisti e altri trafficanti che fanno la spola con Atene e le altre grandi città della Grecia" (33); l'altro invece, più noto agli italiani anche perché i media da tempo si sono accaniti contro gli scafisti albanesi, definendoli dei criminali privi di scrupoli e addossandogli responsabilità che invece andrebbero ricercate altrove, è la tratta Valona-Otranto (34). Il traffico dei clandestini in Albania, fino al 1995, ha funzionato con il "tacito consenso delle autorità statali" anche perché, con le rimesse degli emigrati, costituisce una risorsa importante per il paese (35).

L'organizzazione degli affari di Valona ha saputo modificare la sua struttura, mostrando doti di grande flessibilità e ora la fonte principale di guadagno è diventata il trasporto di hashish e marijuana, affidati ai clandestini disperati che, non avendo un altro modo per arrivare in Italia, accettano il rischio. I clandestini diventano così manovalanza a basso costo a disposizione della criminalità albanese che si è comunque sviluppata potendo contare su forti connivenze e legami con la mafia italiana (36). La scelta del governo italiano di adottare misure restrittive, di pattugliare le coste e di addestrare la polizia albanese a contenere i flussi ha di fatto alimentato l'emigrazione clandestina e rafforzato la criminalità organizzata. L'albanese disperato infatti, deciso a lasciare l'Albania con il solo obiettivo di salvarsi la vita, non potendo uscire liberamente dal proprio paese è costretto a rivolgersi ai trafficanti che gli chiedono l'esborso di ingenti somme di denaro (che il più delle volte non possiede). E' stato stimato che ogni notte sulla linea Valona-Otranto centinaia di cittadini stranieri (non solo albanesi, ma anche kurdi, cinesi, pakistani, filippini) pagano ognuno 600/650 dollari per raggiungere l'Italia (37). Anche la decisione di sequestrare gli scafi non ha fatto che aggravare la situazione. I costi del trasporto infatti sono saliti e il rischio per la propria vita è aumentato poiché gli scafisti per sfuggire alla cattura, sono costretti a gettare la gente in mare (38).

La consistenza numerica
Le cifre sull'immigrazione riportate in questo paragrafo sono di due ordini diversi: quelle a livello nazionale sono cifre provenienti dal Ministero dell'Interno e si riferiscono ai permessi di soggiorno; quelle a livello comunale, di Milano e dei comuni dell'hinterland, corrispondono alle iscrizioni anagrafiche. Nel primo caso troviamo i soggetti autorizzati a soggiornare in Italia, nel secondo invece chi, oltre ad essere regolarmente in Italia, ha anche ottenuto la residenza nel comune. I cittadini albanesi hanno iniziato ad emigrare solo dal 1990; il loro è quindi un arrivo molto recente che presenta una anzianità di permanenza superiore ai 9 anni del tutto modesta. Tra il 1990 e il 1991 l'immigrazione albanese in Italia è passata da 2.034 a 26.381 presenze. Se dal 1991 al 1995 si è assistito ad un incremento medio annuo non particolarmente significativo, "è tra il 1995 e il 1996 e tra il 1996 e il 1997 che si è registrata una notevole impennata delle presenze" (39) (tabella 1). Questo è avvenuto in concomitanza delle sanatorie, ma anche di un peggioramento della situazione politica ed economica in Albania. A livello nazionale nel 1996 l'Albania è risultata la seconda nazionalità dopo il Marocco; nel 1998 gli albanesi sono il 7,3% della totalità degli immigrati in Italia (40). Nel 1999 l'Albania è stata la nazionalità che ha avuto l'incremento numericamente più consistente con 40.105 nuovi soggiornanti (tabella 1). Per quanto riguarda il genere, dei 75.650 permessi di soggiorno rilasciati a cittadini albanesi al 31/12/1998, 47.435 sono stati rilasciati a maschi e 28.215 a femmine (tab. 2) (41).

Il totale degli stranieri regolari in Italia al 31/12/1998 è di 1.033.235 presenze, nel 1997 è stato di 1.240.721 (dati relativi ai permessi di soggiorno). La riduzione complessiva della presenza regolare del 16,9% rispetto al 1997 è imputabile al fatto che il Ministero dell'Interno ha operato una revisione dei propri archivi, mediante procedure automatiche di cancellazione dei permessi scaduti, prima di rendere pubbliche le statistiche. "I dati del Ministero infatti hanno i loro difetti, relativi in particolare a mancate cancellazioni; periodicamente comunque subiscono delle revisioni che comportano appunto la cancellazione di doppioni e permessi non rinnovati. Ciò ha fatto calare di 207.486 i permessi di soggiorno validi nel 1998 rispetto al 1997" (42).

Dalla tabella 1 si può notare che le rettifiche avvenute nel 1998 non sono ripartite proporzionalmente per tutte le nazionalità. In cifre assolute si nota che mentre il Marocco ha avuto una crescita di 10.875 presenze, l'Albania ha avuto un calo di 8.157 unità. Per quanto riguarda la presenza di donne albanesi in Italia, i dati raccolti sono contenuti nella tabella 2. E' interessante notare che i dati ISTAT (dal 1991 al 1996) divergono da quelli del Ministero dell'Interno (cfr. tabella 1), poiché si tratta di una loro elaborazione. Solitamente i dati ISTAT vengono considerati "più corretti" proprio perché operano una revisione dei dati ministeriali. Per cogliere il fenomeno migratorio nella sua reale dimensione però, si devono considerare anche gli stranieri irregolari; in questo caso si può fare riferimento solo a delle stime. Con le sanatorie è possibile farsi un'idea del margine di irregolarità. Secondo il Ministero dell'Interno le stime dell'irregolarità in Italia sono state, nel 1998, di 236.000/295.000 stranieri, quindi 23/27 irregolari ogni 100 presenti (minimo e massimo). Sempre secondo le valutazioni ministeriali l'apporto più consistente al collettivo degli irregolari è riconducibile ai marocchini (da 25 a 32 mila casi) e agli albanesi (19/25 mila casi) che come abbiamo visto si trovano ai vertici della graduatoria anche per quanto riguarda le presenze regolari (43). Per quanto riguarda le sanatorie c'è da dire che, varate per assorbire gran parte dell'irregolarità, offrono a molti la possibilità di uscire dall'illegalità; per altri invece rappresentano un vero e proprio incentivo all'ingresso nel nostro paese. Si verifica un effetto di richiamo che è evidente dal numero di domande presentate, superiori rispetto al numero di irregolari stimati prima della sanatoria. Non appena il provvedimento viene solo annunciato il numero di ingressi clandestini torna a crescere sensibilmente.

Tabella 2: Albanesi soggiornanti in Italia dal 1991 al 1998, distinzione per sesso (al 31 dicembre)

   1991  1992 1993   1994

1995 

1996 
 1997*

1998*
Maschi  21.382  18.479  18.347  18.095  20.301  48.586  58.367 47.435
Femmine  3.504  3.995  5.385  7.150  9.882  18.022  25.440  28.215
Totale  24.886  22.474  23.732  25.245  30.183  66.608  83.807 75.650

 

Fonte: dal 1991 al 1996 elaborazione ISTAT su dati del Ministero dell'Interno (tratto da: ISTAT, 1998, La presenza straniera in Italia negli anni '90, Istituto Nazionale di Statistica, Roma, pp. 163-165; ISTAT, 1999, La presenza straniera in Italia: caratteristiche demografiche, Istituto Nazionale di Statistica, Roma, p. 62.).

* 1997-1998 dati del Ministero dell'interno.

Per quanto concerne la distribuzione regionale, la Lombardia è in testa alla graduatoria nazionale (con 223.920 permessi di soggiorno), con un incremento di circa 45 mila unità rispetto all'anno precedente, seguita dal Lazio con 199.574 presenze (al 31/12/1998). Circa un quarto degli stranieri che hanno un lavoro in Italia, si trovano in Lombardia. Nello specifico, il 24,1% dei permessi per motivi di lavoro sono stati rilasciati in Lombardia. Le nazioni più rappresentate in Lombardia sono, nell'ordine, Marocco 30,9 mila presenze, Filippine 19,5 mila, Egitto 15,7 mila, Albania 13,9 mila, Senegal 11,8 mila, Cina 11,5 mila e Perù 9,2 mila unità (al 31/12/1998). La presenza albanese nell'area lombarda, per quanto consistente e tendenzialmente in crescita, resta nell'ordine del 15% se rapportata al contesto nazionale. La stima degli stranieri irregolari nel territorio lombardo è stata valutata intorno alle 46 mila presenze (45). Passando dal livello nazionale e regionale a quello locale si registra una popolazione straniera residente a Milano al 31/12/1998 che è di 98.353 soggetti (7,32%), di cui 51.675 sono maschi e 46.678 sono femmine; la popolazione italiana invece, è stata registrata in 1.244.336 soggetti (46). Nel 1999 la popolazione straniera residente a Milano è stata di 104.990 soggetti (47). I dati relativi agli stranieri iscritti all'anagrafe di Milano, dal 31 Dicembre 1998 al 31 Dicembre 1999, distinti per nazionalità e sesso, sono riportati nella tabella 3. L'evoluzione dei cittadini albanesi residenti a Milano negli ultimi 6 anni è riportata nella tabella 4. La distinzione per sesso è disponibile solo per gli anni 1996-'97-'98-'99.

I dati comunali però, che provengono dalle fonti anagrafiche, escludono non solo gli irregolari, ma anche i regolari che non risiedono stabilmente entro i confini amministrativi del territorio in oggetto. Secondo le stime fatte dall'Osservatorio della Fondazione Cariplo ISMU sugli stranieri irregolarmente presenti nel Comune di Milano, emerge che gli albanesi risultano essere, nel capoluogo, al primo posto della graduatoria degli irregolari al 31/12/1999. E' stata fatta una stima di circa 3,2/3,5 mila irregolari (48). La presenza albanese si concentra soprattutto nei comuni dell'hinterland, mentre è assai meno fitta sul territorio del Comune di Milano (si confronti la tabella 4 con la tabella 5). Secondo l'Osservatorio ISMU la stima del numero di stranieri presenti nei comuni della provincia di Milano (escluso il capoluogo) al 31/12/1999 è di poco più di 9 mila unità per gli immigrati marocchini (in testa alla graduatoria) e di circa 7 mila unità per gli albanesi.

Tabella 4: Albanesi residenti a Milano dal 1994 al 1999 (31 dicembre), distinzione per sesso.

 

 1994

 1995

1996 

 1997

1998 

1999 
Maschi

 -------

 -------

 369

 581

 916

 1.007
Femmine

 -------

 -------

 162

 255

 451

 564
Totale

 338

431 

 531

 836

 1.367

 1.571

 

Fonte: Ufficio Documentazione ­ Settore Statistica Comune di Milano (dal 1994 al 1998 tratto da: Murer B., 1999, op. cit., p. 30; 1999 tratto da Boggi O., 2000, op. cit.)

Tabella 5: Stima del numero di stranieri presenti nei comuni della provincia di Milano (escluso il capoluogo) in migliaia.

 Principali paesi di provenienza (ordine alfabetico)

 1997

Residenti////////Presenti//
//////////////// ////
Min.
//Max.

1998

Residenti///////////Presenti/
Min. Max.

1999

Residenti//////////Presenti////
Min. Max.

Albania   2,2,2//3,1// 3,1/ / ///////3,3 3,1..............4,9........5,3 4,2...............7,1..........7,3
Cina

 1,0...........1,2...........1,4..

 1,0..............1,4.........1,5 1,7................2,8..........2,9
Egitto

 2,9...........3,6......33,3,8..

 3,4..............4,8.........5,3 3,7 ...............5,4......... 5,6
Ex Jugoslavia

 1,5.......... 2,0.......... 2,3..

1, 9..............2,8.........3,3 1,9................2,8..........3,3
Filippine

1,6...........2,1...........2,2..

 1,6..............2,2.........2,4 2,2................3,1..........3,4
Marocco

4,7...........6,0............6,2 

5,4..............8,4.........9,0 6,1....?..........9,2..........9,5
Perù 

 1,3 ...........1,7............1,8 

1,3..............1,9.........2,0 2,2................3,3..........3,5
Romania

 0,7.............0,9............1,0

 0,9..............1,4.........1,7 1,4................2,4..........2,5
Tunisia

 1,2.............1,6............1,7

1,5..............2,2.........2,4 1,6................2,5..........2,6

 

Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.M-U.
(tratto da: Provincia di Milano ­ Fondazione Cariplo I.S.M.U., 2000, op. cit., pp. 18-19)

L'azione del governo italiano
L'Italia, essendo rispetto al resto dei paesi europei un paese di recente immigrazione (anche se oramai il fenomeno è presente da decenni sul territorio, tanto da non poter più giustificare l'inadeguatezza delle politiche in materia di immigrazione), ha orientato sempre i suoi studi sul fenomeno migratorio in uscita, trascurando invece quasi del tutto quello in entrata (49). Quando quindi il fenomeno ha iniziato ad interessare anche il nostro paese, l'Italia si è trovata impreparata sia da un punto di vista teorico che da un punto di vista di strutture pubbliche efficienti e di capacità di varare politiche sociali adeguate. Il nostro paese infatti, ha sempre trattato l'immigrazione come un problema di ordine pubblico e questa scelta si è ripercossa sull'opinione pubblica che è stata indotta a considera lo straniero prima come un problema sociale e successivamente come un problema di ordine pubblico. L'immigrato non è più solo un essere indesiderato perché compromette equilibri sociali ed economici preesistenti, ma diventa anche socialmente pericoloso.
Per quanto riguarda l'immigrazione albanese, con un minimo di lungimiranza politica sarebbe stato possibile prevedere l'arrivo di migliaia di persone come effettivamente accadde nel '91. Il primo paradosso dell'azione politica italiana emerge già nel '90 quando si erano già verificati i primi sbarchi di profughi. Quando oramai il governo di Ramiz Alia stava crollando, ed è impensabile credere che un paese come l'Italia non ne fosse al corrente (anche perché nel mese di Luglio del '90 il governo italiano decide di accogliere 800 albanesi rifugiati nelle ambasciate straniere a Tirana e avvia la cosiddetta "Conferenza Stato-Regioni" con cui smista i profughi in diverse zone d'Italia per alleggerire la presenza nel sud del paese ) (50), si decide di emanare la legge 39/'90 che si propone di "regolarizzare solo gli stranieri che si trovano sul territorio italiano alla data del 31 Dicembre 1989". La legge quindi non prevede l'esodo albanese e di conseguenza "non prevede l'accoglienza per quella popolazione" (51).

Il primo esodo di massa però, quello del '91, viene seguito da un'accoglienza calorosa da parte del popolo pugliese che coglie di sorpresa anche le autorità locali e nazionali. La società civile e le associazioni di volontariato riescono a gestire l'emergenza supplendo così alla mancanza di preparazione del governo. Di fronte all'esodo massiccio, ma soprattutto di fronte all'ospitalità della popolazione locale il governo italiano deroga alla legge 39/'90 per poter regolare così i nuovi arrivi dall'Albania. La deroga alla legge prevede che gli immigrati albanesi possono legalmente essere accolti e lavorare in Italia solo se in possesso dei requisiti di rifugiti politici, che pochi soggetti però possiedono (52). Già con l'esodo del Marzo '91 infatti è stato chiaro che il governo italiano non avrebbe riconosciuto ai nuovi arrivati lo status di rifugiati. Non appena dall'Albania giungono timidi segnali democratici, al governo italiano risulta più conveniente considerare l'Albania un paese democratico così da poter evitare di accettare nuovi rifugiati politici. Da quel momento gli albanesi vengono considerati "migranti economici" e come tali possono essere rimpatriati qualora non dimostrino di essere in possesso di un regolare permesso o di un regolare lavoro in Italia. "Con una circolare del Ministero del Lavoro si è permesso agli immigrati albanesi l'iscrizione straordinaria nelle liste di collocamento, concedendo così un permesso provvisorio di soggiorno con scadenza 31 Luglio 1991, data entro la quale chi non avesse trovato lavoro veniva rimpatriato" (53). Un altro paradosso si verifica con il secondo esodo di massa (Agosto '91). Dopo soli cinque mesi dalla decisione di accogliere la popolazione albanese, il governo adotta, con i nuovi profughi, un atteggiamento totalmente diverso. Cosa era accaduto in soli cinque mesi? La stampa italiana aveva iniziato a creare lo stereotipo dell'albanese violento e criminale influenzando così l'opinione pubblica che, a differenza del mese di Marzo, si dimostra ora indifferente verso i nuovi arrivati. Il governo non fa nulla per contrastare la campagna di criminalizzazione in atto e riserva ai nuovi arrivati un trattamento indegno che fa presto il giro del mondo: i profughi vengono rinchiusi nello stadio di Bari, con una temperatura di 40° e in breve tempo vengono tutti rimpatriati (54). Da allora il governo italiano ha affrontato sempre l'immigrazione albanese in "forma congiunturale" lasciandosi trasportare dal sentimento popolare creato ad arte dai media (55).

Nell'autunno del 1991 l'Italia dà vita alla cosiddetta "Operazione Pellicano". L'operazione umanitaria-militare ( che utilizza personale militare e non civile) iniziata il 30 Settembre del 1991, doveva durare solo tre mesi, ma in realtà si prolunga per tutto il 1992 e prevede l'invio di aiuti economici (derrate alimentari e materie prime per l'industria). Uno degli scopi dichiarati della missione è lo smistamento degli aiuti (che forse sarebbe stato meglio affidare agli albanesi stessi, magari fornendogli i mezzi tecnici necessari, elicotteri, camion, sollevatori, permettendo così a migliaia di albanesi di avere anche un lavoro), ma soprattutto di "impedire nuovi sbarchi di clandestini in Italia, sia attraverso il miglioramento della situazione economica albanese, sia attraverso il pattugliamento delle coste" (56). L'Operazione Pellicano però non è affatto riuscita a migliorare la situazione in Albania e non è nemmeno riuscita ad essere un valido esempio di cooperazione (57).

Nel '97 l'emergenza si ripete, un'emergenza anche questa prevedibile, ma che l'Italia preferisce non vedere. I danni provocati dal regime di Sali Berisha sono oramai evidenti, ma l'Italia, che insieme agli altri partner europei aveva "puntato su di lui tutte le carte" (58), lo sostiene fino all'ultimo. Ancora una volta gli sbarchi massicci del '97 mettono in evidenza "le inadempienze istituzionali, l'assenza di strutture pubbliche efficienti e l'importanza del volontariato, anche questa volta in prima fila a gestire l'emergenza" (59). Il 20 Marzo il governo decreta lo stato di emergenza in tutto il paese e vara un d.L (n° 60 del 1997) recante "Interventi straordinari per fronteggiare l'eccezionale afflusso di stranieri extracomunitari provenienti dall'Albania". Lo scopo è quello di "dare a sindaci e prefetti strumenti più rapidi per sistemare gli albanesi". Gli elementi "pericolosi" però devono essere immediatamente rimpatriati, anche se le modalità adottate per individuarli risultano abbastanza opinabili (cicatrici, tatuaggi, testimonianze di persone appartenenti ai servizi segreti albanesi,...) (60). Dopo sette anni dai primi sbarchi di profughi l'immigrazione albanese, che oramai è divenuta un fenomeno strutturale, continua ad essere gestita in forma emergenziale e i media continuano a far passare per invasione criminale l'arrivo di cittadini che in realtà scappano dal caos politico ed economico in cerca di un futuro migliore (61). La crisi albanese del '97 e le misure inadeguate del governo italiano vengono alla luce con la decisione di chiudere le frontiere e pattugliare le coste sino ad arrivare alla tragedia in mare del Canale d'Otranto del 29 Marzo. Con la crisi del '97 viene avviata una nuova operazione in Albania, "l'Operazione Alba", "presentata come una missione umanitaria sotto la copertura di una forza multinazionale di protezione, guidata dall'Italia" (62). Il fine è quello di riportare l'ordine e la democrazia in un paese in cui le armi sono nelle mani della popolazione che a gran voce chiede le dimissioni di Sali Berisha e la restituzione dei soldi persi nella truffa delle finanziarie. Le potenze occidentali, che in parte hanno concorso a creare questa grave situazione di crisi appoggiando Sali Berisha, decidono ora di essere portatrici di pace e ordine.

Nel 1998 l'Italia vara la legge 40 che di fatto la impegna a chiudere le frontiere, come voluto dagli accordi di Shengen, poiché l'Italia costituisce un ponte verso l'Europa e l'America. L'ondata albanese ha principalmente la colpa di essere arrivata in un momento difficile per l'Italia e per l'Europa. I sacrifici richiesti alla popolazione locale per entrare in Europa sono stati notevoli e i tassi di disoccupazione in Europa sono tra i più alti del secolo. La legge 40/'98 cavalca questa crisi. Poiché non c'è lavoro e risorse è possibile accogliere le persone solo attraverso la determinazione di quote annuali (63). L'Italia, soprattutto dopo la sua integrazione nel sistema di Schengen, ha iniziato una politica di contrasto dell'immigrazione clandestina che ha portato a risultati molto efficaci. L'impossibilità di migrare liberamente (il nostro paese adotta, in materia di immigrazione, politiche proibizionistiche) e in modo regolare, l'incapacità di dare risposte legali al bisogno di emigrare, porta alla crescita di comportamenti devianti. Tale bisogno infatti viene soddisfatto dalla criminalità organizzata che offre agli stranieri possibilità di lavoro in attività illegali. La riproduzione dell'irregolarità in Italia dipende innanzitutto dalle difficoltà di ingresso regolare per lavoro e dalle difficoltà di mantenimento della regolarità da parte di chi è riuscito ad accedervi. Le sanatorie costituiscono l'unica modalità con cui si cerca di tamponare un'irregolarità crescente che paradossalmente è frutto di politiche proibizionistiche.

 

Note:

1
Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L. (1992), "L'Emigrazione albanese: spazi, tempi e cause", in Studi Emigrazione, XXIX, n°107, pp. 525.
2 Ibidem, pp. 526-527.
3 Perrone L. (1999), "L'Albania tra passato e presente alla ricerca di nuove identità", in Sociologia urbana e rurale, n°59, p. 85.
4 Tarifa F. (1995), "Albania's Road from Communism: Political and Social Change, 1990-1993", in Development and Change, vol. 26, n° 1, pp. 141-142.
5 Pettifer J. Vickers M. (1997), Albania, dall'anarchia a un'identità balcanica, Asterios Editore, Trieste, pp. 39-42.
6 Barjaba K. (1996b), "Dalle piramidi finanziarie alla ribellione armata: connivenze e implicazioni politiche", in Barjaba K. (a cura di), Albania. Tutta d'un pezzo, in mille pezzi e dopo?, Futuribili, Franco Angeli, Milano, p. 69.
7 Ibidem, p. 70.
8 Ibidem, p. 71.
9 Ibidem, pp. 71-72.
10 Barjaba K., Perrone L. (1996b), "I motivi alla base della ribellione: etnici, regionali o politici?", in Barjaba K. (a cura di), Albania. Tutta d'un pezzo, in mille pezzi, e dopo?, Futuribili, Franco Angeli, Milano,p. 149.
11 Barjaba K. (1996b), op. cit., p. 72.
12 Barjaba K. Perrone L. (1997), "Albania questa sconosciuta", in Aa.vv, Sbarco in Albania, Guerre & Pace, n° 39-40, p. 6; Perrone L. (1999), op. cit., p. 95; Lubonja F. (1996), "Il vuoto della storia e la caduta delle piramidi", in Barjaba K. (a cura di), Albania. Tutta d'un pezzo, Futuribili, Franco Angeli, pp. 60-63.
13 Barjaba K. Perrone L. (1996b), op. cit., pp. 147-148.
14 Barjaba K. (1996b), op. cit., pp. 72-73.
15 Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L. (1992), op. cit., pp. 514-517; Perrone L. (1999), op. cit., p. 85.
16 Barjaba K. (1997a), "L'evoluzione dei modelli migratori degli albanesi, 1990-1997", in Isig Magazine, Istituto di Sociologia Internazionale, n°4/97, p. 19; Campus A. (1999), "Immigrati albanesi a Milano", in Sociologia urbana e rurale, n° 59, p. 118.
17 Perrone L. (1999), op. cit., p. 81.
18 Barjaba K. Dervishi Z. Perrone L. (1992), op. cit., p. 529.
19 Ibidem, pp. 532-533; Pittau F. Reggio M. (1992), "Il caso Albania: immigrazione a due tempi", in Studi Emigrazione, XXIX, n° 106, p. 228; Perrone L. (1999), op. cit., pp. 81-83.
20 Barjaba K. Dervishi Z. Perrone L. (1992), op. cit., pp. 533-534; Perrone L. (1999), op. cit., pp. 83-84.
21 Del Re E.C. (1997a), Albania punto a capo, Edizioni Seam, Roma, p. 45.
22 Barjaba K. Perrone L. (1996a), "Da Valona ad Otranto: rapida evoluzione di un modello migratorio", in Barjaba K. (a cura di), Albania. Tutta d'un pezzo, Futuribili, Franco Angeli, pp. 209- 210.
23 Ibidem, p. 210.
24
Ibidem, p. 212.
25 Ibidem, p. 211.
26 UNDP United Nations Develpoment Programme (2000), Albanian National Women Report 1999, Tirana, p. 10.
27 Barjaba K. Perrone L. (1996a), op. cit., p. 211; Del Re E.C. (1997a), op. cit., pp. 46-47.
28 Barjaba K. (1997a), op. cit., p. 19.
29 Provincia di Milano ­ Iniziativa Occupazione Integra (1999), Dinamiche fondamentali dell'inserimento sociale, culturale ed economico degli immigrati albanesi in Provincia di Milano, Synergia, Milano, p. 25.
30 Barjaba K. (1997a), op. cit., p. 19.
31 Perrone L. (1999), op. cit., p. 88.
32 UNDP United Nations Development Programme (1998), Albanian Human Develpoment Report 1998, Tirana, p. 32.
33 Barjaba K. (1997a), op. cit., p. 19.
34 Perrone L. (1999), op. cit., p. 89.
35 Barjaba K. (1997a), op. cit., p. 19.
36 Perrone L. (1999), op. cit., pp. 89-90.
37 Ibidem, p. 91.
38 Ibidem, p. 92.
39 Campus A. (1999), op. cit., p. 108.
40 Caritas di Roma (1999), Immigrazione, Dossier Statistico '99, Anterem, Roma, p. 292.
41 Fonte: Ministero dell'Interno (tratto da: Murer B., 1999, Tra diversità e disuguaglianza. VII° aggironamento sull'immigrazione, Comune di Milano, Ufficio Stranieri, p. 21).
42 Murer B. (1999), op. cit.,Comune di Milano, Ufficio Stranieri, p. 5.
43 I.S.M.U. (2000), Quinto rapporto sulle migrazioni 1999, Franco Angeli, Milano; Caritas di Roma (1999), op. cit., p. 98.
44 Caritas di Roma (1999), op. cit., p. 136.
45 Fonte: Ministero dell'Interno ­ Dossier Caritas 1999 (tratto da: Provincia di Milano ­ Fondazione Cariplo I.S.M.U., 2000, L'immigrazione straniera nell'area milanese. Rapporto statistico Anno 1999, Milano, pp. 7-8); Caritas di Roma (1999), op. cit., p. 123.
46 Fonte: Ufficio Documentazione ­ Settore Statistica Comune di Milano (tratto da: Murer B., 1999, op. cit.,p. 26.
47 Boggi O. (a cura di), (2000), Milano dati. Serie Stranieri 3, Comune di Milano, Settore Statistica.
48 Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.M.U. ­ Provincia di Milano (tratto da: Provincia di Milano ­ Fondazione Cariplo I.S.M.U., 2000, op. cit., p. 17)
49 Perrone L. (1999), op. cit., p. 80.
50 Pittau F. Reggio M. (1992), op. cit., p. 228.
51 Perrone L. (1999), op. cit., pp. 82-83.
52 Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L. (1992), op. cit., p. 532.
53 Ibidem, p. 532; Pittau F. Reggio M. (1992), op. cit., . 229.
54 Perrone L. (1999), op. cit., pp. 83-84.
55 Del Re E.C. (1997a), op. cit., p. 51.
56 Spagnoli A. (1997), "Operazione Pellicano: un precedente da ricordare", in Aa.vv Sbarco in Albania, Guerre & Pace, n° 39-40, p. 20.
57 Barjaba K. Perrone L. (1996a), op. cit., p. 218.
58 Perrone L. (1999), op. cit., pp. 94-95.
59 Barjaba K. Perrone L. (1997), op. cit., p. 6.
60 Barjaba K. Quinto de Cameli C. Perrone L. (1996), "Storia di un disastro annunciato", in Barjaba K. (a cura di), Albania. Tutta d'un pezzo, Futuribili, Franco Angeli, p. 36.
61 Perrone L. (1999), op. cit., p. 96.
62 Dinucci M. (1997), "L'Alba del nuovo modello di difesa", in Sbarco in Albania, Guerre & Pace, n° 39-40, p. 2.
63 Campus A. (1999), op. cit., p. 108; Perrone L. (1999), op. cit., p. 93.