Il codice della nostra
stampa.
Il razzismo antialbanese è nel nostro
Paese un fenomeno di massa. A titolo di esempio proponiamo questo commento a
un articolo della Stampa, un materiale tipico del moderno razzismo che cerca
la superiorità della nostra razza non nei geni, ma nella cultura. Di
Giovanni Trupo. Giugno 2001.
Il razzismo antialbanese è nel nostro Paese un fenomeno di massa. Come abbiamo più volte documentato esso coinvolge in pieno persino i media e i militanti della sinistra anticapitalista. In questo nostro impegno di chiarificazione però ci siamo occupati poco del razzismo veicolato dalla stampa e dai media di massa, che hanno una audience ben più numerosa del Manifesto o di Liberazione.
A titolo di esempio commentiamo un articolo della Stampa apparso il 18 marzo di quest'anno a firma di Vincenzo Tessandori. Titolo: "Il codice delle schiave". Si tratta non di materiale apertamente razzista (come lo sono gli articoli che non considerano notizia quando un bambino viene investito da un italiano, ma piatto succulento da sbattere in prima quando il conducente è un albanese), ma di un articolo tipico del moderno razzismo che cerca la superiorità della nostra razza non nei geni, ma nella cultura.
L'articolo si domanda come mai "dappertutto lungo la Penisola" troviamo ragazze albanesi ridotte in schiavitù da "negrieri albanesi". Il nostro Tessandori è persona che non vuol apparire inutilmente retorica, superficiale, vuol indagare le origini lontane dei problemi, e dunque cerca la ragione di questa moderna schiavitù ... in una raccolta di sentenze albanese del XV secolo , il "Kanun". Il Nostro cerca nel libro la ragione profonda, "culturale" della inveterata tendenza albanese alla riduzione in schiavitù delle proprie donne. S'è letto tutto il libro, dunque? Macché: nell'articolo cita esclusivamente l'autore della breve introduzione, tal Ciu. Ne deduciamo che del famoso codice il Tessandori non se ne sia letto nemmeno mezza pagina. Dall'introduzione dunque emergerebbero le radici profonde della cultura albanese, della quale il "Kanun" costituirebbe la summa e dal quale si dedurrebbe che la donna "non ha diritto di scegliersi il marito, e perciò deve accettare quello al quale è stata promessa", una volta sposata "sarà costretta a portare sempre fedeltà al marito, servirlo in modo disinteressato, essere sottomessa, rispondere ad ogni obbligo di letto, crescere e allevare i figli con onore", ecc. Il marito è "monarca assoluto" con totale potere sulla donna, la cui condizione "è ancora quella delle società primitive o semibarbare". Sempre più illuminato Tessandori continua le citazioni di Ciu: "oggi il retaggio rimane perché la chiusura per tanti anni alla conoscenza di altre culture ha sfavorito confronto e comprensione radicando ancora di più certi arcaici concetti" e poi "purtroppo certe forme di libertà, al di là dell'Adriatico vengono confuse con la licenza di far denaro a qualsiasi costo". Seguono considerazioni sull'obbligo della vendetta cui sarebbero culturalmente assogettati gli albanesi, perché quelli che si ribellano "sono ancora ai giorni nostri i soli costretti ad abbandonare casa e famiglia, a vivere nella clandestinità."
Alcune considerazioni.
a) il "Kanun" ha avuto una certa fortuna in Italia dato che ha fornito le basi per un razzismo "culturale" antialbanese. In realtà si tratta di un codice che ha origine nel Nord dell'Albania ed entro tali confini è rimasto. Naturalmente non è certo il codice suddetto a dettar legge nemmeno in quella parte del Paese. E questo a dire il vero nemmeno l'articolo in questione lo afferma, parla però del "retaggio" di questa cultura, fa dunque discendere da costumi arcaici i comportamenti pretesamente delittuosi odierni degli albanesi. Tessandori-Ciu però non stabiliscono alcun filo diretto tra il codice di cinque secoli fa e l'epoca attuale, non compiono il minimo sforzo per spiegarci cosa c'entra il fatto che non esistessero matrimoni d'amore (come del resto non ve n'erano nel resto del mondo) con il fatto che oggi, in Italia, vi siano dei protettori albanesi. Si limita a trovare una base culturale atavica con lo stesso meccanismo ideologico con cui le vecchie ideologie razziste spiegavano con la genetica l'inferiorità razziale di interi popoli.
b) la vendetta, il marito-padrone, il matrimonio combinato, sono fenomeni che non conoscono alcuna eccezione, purtroppo, nella storia di tutti i popoli, il nostro compreso. La vendetta ad esempio è una istituzione tipica delle società dove lo stato è debole. Quando lo stato è forte assume il monopolio della vendetta che diventa vendetta di stato (imprigionamento, punizioni corporali, pena di morte, ecc.). Ma dove lo stato è assente le società si assestano intorno a meccanismi che siano il meno distruttivi possibili per le società stesse. L'obbligo alla vendetta diviene così una sorta di obbligo all'azione penale, uno strumento di dissuasione permanente alla violazione delle regole sociali: chi le ignora sa che verrà punito. Per questo la vendetta è un'istituzione sino a poco fa molto in voga anche nel nostro Meridione, proprio perché là lo stato era debole e non era dunque in grado di monopolizzare l'uso della violenza. Per quanto riguarda le donne, non vi è società in cui, in vari gradi, esse non siano state ferocemente oppresse. Tuttora è così in gran parte del mondo. Il matrimonio d'amore è un privilegio dell'Occidente imperialista. Del resto anche in Italia non passa settimana senza che leggiamo nelle pagine di cronaca di mogli ammazzate, di fidanzate accoltellate, ecc. mentre la violenza domestica non fa più notizia. Se ce la prendiamo con il Kanun non si vede molto bene perché non ce la dobbiamo prendere anche con la Bibbia dove sulle donne non si trovano certo concetti molto più lusinghieri, eppure ci arrabbieremmo se un qualche giornalista straniero citasse alcuni passi della Bibbia per "provare" il retaggio barbarico degli italiani. Sia ben chiaro: in alcun modo difendiamo i costumi di società agricole e/o pastorali con stato debole: al pari di quelle fornite di stato esse si basano sul dominio dei maschi sulle donne e degli adulti sui giovani, e codificano un "patto" tra i maschi adulti per evitare l'annientamento, la frammentazione della proprietà ed assicurare continuità al gruppo (clan, tribù, ecc.). Semplicemente non ne facciamo uno strumento per spiegare i problemi di una popolazione la cui origine sta ben più vicino a noi.
c) più in particolare non si comprende come si possa far derivare la prostituzione schiavistica di cittadine albanesi dal Kanun. E' esattamente l'opposto. E' proprio perche' il Kanun non esiste più che è possibile il dilagare della prostituzione. Nel momento in cui lo stato nella società albanese continua ad essere debole, e i rapporti sociali tradizionali si disgregano, ecco che prendono piede fenomeni come quello della prostituzione. E' dunque non sulla tradizione culturale che dobbiamo puntare il dito, ma esattamente sul suo dissolvimento e sulle ragioni di questo dissolvimento. Ripetiamo che non affermiamo questo per difendere la società tradizionale albanese, ma solo per sottolineare che in una società di tipo clanico con stato debole, la prostituzione è possible solo in una situazione di indebolimento del clan, perché significa che il clan e i suoi costumi non controllano più i propri membri. E il kanun, dunque, se mai era stato rispettato da un bel pezzo è andato a farsi benedire.
d) La disgregazione sociale di società con stato debole, è un fenomeno mondiale, ed ha una causa molto precisa: l'imperialismo. Vi è una situazione mondiale caratterizzata dal fatto che vi sono masse agricole che vivono nella più totale e crescente indigenza, ma alle quali i processi di industrializzazione non possono offrire sbocchi lavorativi. La povertà rurale è dovuta al fatto che i contadini vivono la concorrenza di produzioni agricole moderne e capitaliste che non permette loro di immettere la propria produzione sul mercato, ma consente solo un'economia di sussistenza sempre più precaria. Quando nelle campagne si diffonde la disperazione si producono anche quei fenomeni che tanto scandalizzano il satollo Occidente, come la vendita dei propri figli per la prostituzione, la schiavitù, ecc. Ma il fenomeno è tipico dell'Africa, di parte dell'Asia, ecc. non certo della sola Albania. Quindi è il ricco Occidente, in ultima analisi, a determinare questi fenomeni. E' la vicinanza del mercato imperialista a destabilizzare con la sua sola esistenza le società tradizionali e dunque a indurre la prostituzione.
e) Il furbo Tessandori, poi, dimentica la cosa più decisiva per far comprendere come la radice del problema non siano gli albanesi, ma gli italiani. Parla della prostituzione come di una sorta di morbo che ha contagiato la Penisola. E perché la prostituzione dilaga qui e non in Albania? Quando si tratta della prostituzione c'è un'usanza molto comoda in voga tra i maschi (i quali in maggioranza occupano i posti da giornalista e da prete): mettere al centro la prostituta come problema, ma la prostituta in sè, non è che una merce, al centro del commercio vi è il cliente, l'italianissimo cliente. Il quale trova molto comodo poter disporre di questo genere di moderna schiavitù, dalla sua posizione di privilegio.
f) Ci pare grandemente ipocrita ignorare che quel che gli albanesi prima di giungere in Albania sanno dell'Italia, è quel che propone loro la nostra televisione. Si tratta di un vero e proprio indottrinamento di portata ben maggiore di quella che siamo costretti a subire noi come italiani. Molti tra noi guardano la televisione con il distacco che consente il poter operare un confronto quotidiano tra le immagini offerte, false, e la realtà vera. Su chi però non ha questa possibilità perché è cittadino di un altro Paese, molto più povero, l'effetto è devastante. Tessandori recita il lamento del cittadino di una società "superiore", così superiore che vomita quotidianamente menzogne dai suoi mass media tutti i giorni. E con queste menzogne determina illusioni, aspettative malriposte, delusioni cocenti, rabbia.