La legge Bossi-Fini: stato di diritto o stato di polizia?
Le politiche nazionali europee tendono a convergere verso la chiusura delle frontiere e alla lotta all’ “immigrazione clandestina”. Democrazia e Stato di Diritto suonano come parole vuote di fronte all’approvazione nel nostro parlamento della legge Bossi-Fini che esclude, discrimina, annienta l’essere umano e i suoi diritti. Da “Senza frontiere – giornale nel movimento” di Cologno Monzese. Reds- Gennaio 2006



La Bossi-Fini è entrata in vigore il 30 luglio 2002: a distanza di tre anni vogliamo analizzarne il contenuto e discuterne gli effetti. Innanzitutto questa legge non nasce dal nulla. La legge cardine in materia di migrazioni è infatti la Turco-Napolitano, ideata dal precedente governo di centro-sinistra ed entrata in vigore nel 1998. La Bossi-Fini adotta in pieno il testo unico della Turco-Napolitano, irrigidendo ulteriormente le norme già esistenti.
Entrambe si basano sul concetto di flusso: l’idea per cui un paese possa chiudere le proprie frontiere e garantire l’accesso solo ad un numero limitato di persone, atte a soddisfare la domanda di forza lavoro. Il meccanismo dei flussi si propone di controllare il fenomeno dell’immigrazione che di fatto resta inalterato, non facendo altro che creare una distinzione tra stranieri “regolari” e cosiddetti “clandestini”. Le persone in soprannumero rispetto alla quota preventivata sono infatti automaticamente irregolari da espellere. La “clandestinità” è, dunque, un’imposizione legittimata giuridicamente e non una condizione innata del migrante, è il prodotto di una società che rifiuta e discrimina. Con la Bossi-Fini la clandestinità è reato.
Entrare come stranieri regolari è inoltre praticamente impossibile.

L’ingresso.
La Bossi-Fini abolisce la figura dello “sponsor” presente nella precedente legge e che rappresentava l’unico concreto mezzo per entrare regolarmente in Italia. Meccanismo dello sponsor: arrivare, cercare lavoro, avere un datore di lavoro come garante per un anno. Con la Bossi-Fini per essere regolari non basta trovare un lavoro regolare una volta arrivati in Italia, bisogna averlo già dal paese di origine! Introduce il “contratto di soggiorno”: bisogna avere un datore di lavoro disposto ad assumerti regolarmente prima di arrivare. Non solo: deve garantire le spese di viaggio sia dell’andata che del ritorno (è scontato che ci sia un ritorno), un alloggio e un conto corrente come garanzia per la copertura delle spese.
Lo straniero che entri in Italia con il visto da turista (3 mesi) potrà dunque essere assunto solo in nero. In ogni caso si genera una dipendenza totale dal datore di lavoro, dal quale dipendono sia il lavoro che la regolarità del soggiorno stesso.
Il principio base delle politiche di immigrazione in Italia, come in Europa, è la subordinazione del diritto di libera circolazione delle persone alle esigenze del mercato. In quest’ottica il migrante non è una persona portatrice di una cultura, di tradizioni, di una religione che potrebbe arricchire enormemente il nostro patrimonio culturale. È forza-lavoro asservita al capitale.

L’espulsione.
La Turco-Napolitano ha introdotto per prima il meccanismo dell’espulsione dei clandestini, così come il vergognoso sistema di detenzione dei CPT, in cui gli stranieri irregolari vengono imprigionati (“trattenuti”) in seguito al mandato di espulsione se non possono essere rimpatriati subito. La Bossi-Fini mantiene inalterato il meccanismo di base espulsione-detenzione già introdotto dal governo di centro-sinistra, ma ne inasprisce ulteriormente le misure punitive.
Mentre con la precedente legge tale meccanismo scattava sulla base di un giudizio discrezionale (l’accompagnamento alla frontiera doveva essere motivata dall’esistenza di un pericolo concreto), con la Bossi-Fini l’espulsione deve essere immediatamente e coattivamente eseguita in tutti i casi.
Cosa implica allora l’espulsione? È innanzitutto impossibile per le autorità italiane attuare il rimpatrio immediato (come legge comanda) di tutti i migranti “clandestini”.
Viene dato un modulo di espulsione che nella maggioranza dei casi è incomprensibile per uno straniero in quanto tradotto solo in poche lingue e anche a causa del linguaggio giuridico.
Se si viene fermati per la prima volta, e non si è subito rimpatriati, si sconta la detenzione fino a 60 giorni (prima erano massimo 30) in un centro di permanenza temporanea, SENZA aver commesso alcun reato e inoltre per un’infrazione di carattere amministrativo (cosa che ad un cittadino italiano non potrebbe mai avvenire, è come non pagare una multa!). Se i CPT di partenza sono sovraffollati o una volta usciti dal centro si hanno 5 giorni(!) di tempo per lasciare il paese. Una volta usciti non si può rientrare in Italia per i successivi 10 anni (prima 5).
La Seconda volta che si viene fermati (dopo il primo mandato di espulsione): il reingresso è considerato REATO PENALE (ancora una volta senza aver commesso alcun fatto concreto perseguibile penalmente!) e prevede l’arresto obbligatorio da 6 mesi ad 1 anno in carcere e processo per direttissima (la Turco-Napolitano prevedeva la detenzione nel CPT da due a sei mesi).
Scontata la pena: ecco di nuovo i fatidici 5 giorni!
La Terza volta: ulteriore reclusione da 1 a 4 anni.
Una spirale perversa.
In ogni caso (rimpatrio forzato, reclusione nel cpt, galera, limite di 5 giorni per andarsene) è negato totalmente allo straniero il diritto di difendersi. Fare ricorso dal CPT è difficile e nei 5 giorni di tempo non c’è la possibilità materiale per ricorrere ad un avvocato e presentare il ricorso davanti ad un giudice. Presentandosi all’udienza dopo tale lasso di tempo (come inevitabilmente accadrebbe) si “infrange” nuovamente la legge per non aver rispettato il mandato di espulsione e si deve automaticamente scontare la pena successiva. Il ricorso NON sospende l’espulsione e ciò non avviene neanche nel caso in cui siano state già avviate le pratiche per ottenere il diritto d’asilo.
La possibilità che il ricorso avvenga dal paese d’origine è impensabile.
L’espulsione avviene, inoltre, anche se lo straniero è parte lesa in un procedimento penale.

La questione sanitaria.
In materia di sanità la nostra è una delle migliori leggi a livello europeo. All’apparenza, perché nella pratica…
La Bossi-Fini in questo ambito non modifica quanto già stabilito dalla Turco-Napolitano.
Cosa dice la legge. Lo straniero irregolare ha diritto all’assistenza medica gratuita. Viene lasciato un margine ampio per le malattie che vi rientrano, riguarda infatti tutte le patologie definite essenziali: cioè qualunque malattia che può andare incontro ad aggravamento. È prevista la presenza di ambulatori appositi nelle Asl con un medico generico.
Riscontrata una patologia essenziale il migrante anche irregolare ha diritto all’attribuzione del codice STP (Straniero Temporaneamente Presente), un codice anonimo valido a livello regionale (la sanità è gestita dalle regioni) valido per sei mesi e rinnovabile, ma che non permette di regolarizzarsi. Per ottenere tale codice non bisogna presentare alcun documento d’identità. Bisogna pagare un ticket e firmare una dichiarazione d’indigenza (in teoria anche se lo straniero non è in grado di pagare il ticket ha diritto ad avere il codice STP).
La prestazione sanitaria è tutelata, cioè i dati (nominativo, etc) non possono essere utilizzati per fornire le liste degli irregolari.
Nella pratica. In Lombardia, come nella maggior parte delle regioni l’Als non ha mai istituito ambulatori di base. Liguria e Sicilia non applicano neanche questa legge.
Nonostante bastino nome e cognome per ottenere il codice a volte viene comunque chiesto il documento.
La prestazione sanitaria non sempre è tutelata (a volte le liste vengono trasmesse in prefettura).
Le donne in gravidanza hanno diritto al permesso di soggiorno fino ai primi sei mesi di vita del bambino. Ma in questo caso conviene comunque richiedere solo il codice STP. Non conviene regolarizzarsi perché quando scade il periodo si è immediatamente soggette ad espulsione e facilmente rintracciabili.

I centri di permanenza temporanea (CPT)/lager.

Che cos’è e perché nasce il CPT? È un luogo di detenzione: mura con fili spinati e la presenza costante della polizia a “garantire” l’ordine. Il tutto relegato nelle aree più periferiche delle città lontano dallo sguardo della gente e dalla routine quotidiana.
Vi vengono rinchiuse persone che hanno come unica “colpa” quella di essere migranti a cui è imposta la condizione di clandestinità. La reclusione è imposta forzatamente senza che la persona in questione abbia commesso alcun tipo di reato.
A Milano il CPT di via Corelli è ben nascosto da alti pannelli lungo la tangenziale est all’altezza dell’uscita “Forlanini”. Date un occhio quando passate. Leggete e sentite le testimonianze di chi in via Corelli c’è stato. Vi potrebbe raccontare di come i contatti con l’esterno sono impossibili; o di come le udienze per decidere dell’espulsione vi siano tenute in presenza degli stessi poliziotti che hanno eseguito l’arresto (è come se un italiano venisse processato direttamente in prigione); ancora, potrebbero dirvi che il giudice che emette le sentenze di espulsione e detenzione è un giudice di pace (amministrativo) e non penale. Se i giornalisti potessero entrare nei CPT vedrebbero i soprusi, i pestaggi, il cibo immangiabile e la mancanza delle più banali cure e condizioni igieniche. La drammaticità della situazione all’interno di quelli che, ancora una volta e senza ipocrisia, chiamiamo lager, sono le continue proteste e rivolte che avvengono nei diversi CPT sparsi per l’Italia: l’ultima, in ordine di tempo, proprio in via Corelli la sera dell’8 aprile, alla quale è seguito lo sciopero della fame dei detenuti.

Dall’entrata in vigore della legge Bossi-Fini la capienza dei CPT è triplicata e sono stati stanziati fondi per la costruzione di nuovi centri. La legge prevedeva l’ampliamento della “ricettività dei centri” stanziando per la costruzione dei nuovi lager 12,39 milioni di euro nel 2002 e 24,79 milioni di euro (nostri) per il 2003 e 2004.
I CPT sono sovraffollati, la capienza non sarà mai abbastanza.
Tutto questo fa parte di un sistema disumano e del tutto inutile anche per il fine che la legge si pone (l’espulsione). È un sistema che va denunciato e che deve finire. Bisogna portare avanti una battaglia per l’ampliamento della cittadinanza.

Se con la Turco-Napolitano era considerato reato il fatto che per almeno tre volte un migrante non rispettasse l’ingiunzione di espulsione, con la Bossi-Fini c’è un “salto di qualità”: la clandestinità diventa di per sé reato penale. Ma cosa significa clandestinità? Significa venire da situazioni di guerra, povertà estrema, significa aver lasciato i propri cari per cercare a migliaia di chilometri un lavoro per mantenerli, significa essere disposti a fare lavori degradanti e senza nessuna tutela pur di sopravvivere. Quale paese civile può fare di tutto questo una colpa? Quale paese democratico può condannare una persona per questi “reati”?

Sempre la Bossi-Fini introduce la necessità per lo straniero, sia “regolare” che “clandestino”, di essere registrato con le impronte digitali , ancora una volta equiparandolo ad un detenuto e restringendo moltissimo la sua libertà e la sua dignità.
Con la Bossi-Fini, l’emigrante deve giungere già con un posto di lavoro e, nel momento in cui lo perde, ha sei mesi per trovarne un altro o essere espulso. Il fenomeno migratorio si inserisce, inoltre, nel processo di precarizzazione del lavoro: anche ottenendo un “contratto di soggiorno”, questo avrà comunque una durata limitata. La clandestinità è inoltre funzionale agli interessi di molti imprenditori che possono sfruttare il lavoro in nero degli stranieri come manodopera usa e getta. scelte politiche è chiara: i migranti non sono persone, sono merci, buoi da tiro: ha senso che stiano nel nostro paese solo nella misura in cui lavorino e producano.

Regime di libertà ridotta o non-libertà, carcerazioni brutali e senza processo, stato giuridico di sub-persone: questa è una vera e propria contraddizione della “globalizzazione”. Infatti, proprio quando il mondo raggiunge un grado di interconnessione e di abbattimento delle distanze, la propria nazione diventa OFF-Limits per alcune categorie di persone.
Ma quali sono queste persone? Sono i dannati della terra, sfruttati da secoli di colonialismo, uccisi dalle guerre che l’occidente esporta e fomenta nel mondo, stremati dalle malattie che il mondo ricco non vuole curare. La loro unica richiesta non è un futuro migliore: è AVERCELO un futuro.

E noi come rispondiamo? Chiudiamo le frontiere, ci inventiamo la figura del clandestino, costruiamo la barbarie dei CPT.
Perché? Perché questo odio, questa ipocrisia? Perché invadiamo nazioni per esportare la nostra democrazia e non ci interroghiamo sulle nostre Guantanamo, via Corelli, Bolzaneto?
Forse perché siamo ricchi e così morbosamente legati al nostro avere che temiamo di dover dividere il nostro benessere con quella parte di mondo che non ha neanche da mangiare. Ci percepiamo come abitanti di ricche città-fortezza in un deserto di miseria e povertà, costantemente sotto l’assedio di armate di straccioni che rivendicano il loro diritto di stare al mondo.

Non è un modello di sviluppo che può funzionare, e la storia ce lo racconta. È successo più volte che gli uomini inventassero categorie di persone che non erano uomini, ma bestie, meno che bestie. Quando una società comincia a ragionare in questi termini, ad accettare che qualcuno non gode di certi diritti, che qualcuno è più uguale di altri, è destinata a vita breve.
Dall’impero romano all’apartheid, passando per i ghetti, le baraccopoli, i campi di concentramento…

Prima arrivarono per gli ebrei
e io non levai la mia voce, perché non ero ebreo
Poi arrivarono per i comunisti
e io non levai la mia voce, perché non ero comunista
Dopo arrivarono per i sindacalisti
e io non levai la mia voce, perché non ero sindacalista
Poi vennero per me
ma non avevano lasciato nessuno che potesse levare la voce per me.

Pastor Niemoeller

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www.naga.it