"Forse bisognerebbe rimandare in Italia questo tipo di giornalisti".
In Palestina i giornalisti italiani perdono la bussola e "confondono" vittime e carnefici. Lettera aperta al "Corriere della sera" e "La Repubblica" di un gruppo di cooperanti italiani (Lino Zambrano, Marco Grazia, Carlotta Sami Carla Pagano, Gianluca De Luigi, Paola Baumgartner, Carla Benelli). Distribuito da Associazione per la Pace. Novembre 2000.

Viviamo da anni in Palestina lavorando con organizzazioni non governative. Qualcuno di noi era in Italia durante le scorse settimane. Abbiamo potuto verificare direttamente le informazioni sulla Palestina che trasmettono i mass-media. Sorge spontaneo pensare "meno male che c'è la televisione", dove le immagini possono essere viste senza commento, abbassando il volume (anche se le immagini possono essere manipolate). Diversa è la realtà della carta stampata. Qui purtroppo ci sono cosiddetti giornalisti che scrivono titoli o pezzi elargendo "verità" che non possono essere controllate da chi legge. In particolare vorremmo segnalare due articoli del "Corriere della Sera" e de "la Repubblica".

Sul Corriere del 12 Ottobre cera un articolo a firma Guido Olimpio dal titolo: "Ramallah, la rivolta e diventata un rito. Le 'due tribù' si affrontano a orari precisi...". Su la Repubblica del 24 Ottobre si trova un articolo a firma Bernardo Valli dal titolo "Ramallah, è l'ora dell'Intifada, appuntamento con gli scontri. Come un rituale i ragazzi palestinesi sfidano..". Il succo degli articoli sembra voler dimostrare che a Ramallah (e quindi in Palestina) stia succedendo qualcosa a solo uso e consumo dei mass-media, un rito che non ha nulla di drammatico e che basta volerlo perché si fermi. Scandendo le ore e i minuti si scrive dei negozi che chiudono, dei preparativi, degli appuntamenti tra amici, degli spettatori che si sistemano sulle tribune.
In entrambi si usa il termine "spettacolo". Nei due articoli si ritrovano similitudini, frasi, riferimenti e la stessa vena di razzismo e supponenza che inducono ad alcune considerazioni: 1) il Signor Valli si guadagna lo stipendio copiando gli articoli dei colleghi? 2) il signor Olimpio vorrebbe dire che la drammatica situazione palestinese è solo una rappresentazione teatrale, che centinaia di morti sono comparse di un film? Perché non ci dice anche qual e il costo del biglietto per le "tribune"? ma il signor Valli va ben oltre. Oltre a riprendere le parole del collega (appuntamenti tra gruppi di amici, spettatori sulle tribune, taxi che passano, venditori ambulanti che rifocillano "gli attori"), dalla lussuosa dimora all'American Colony di Gerusalemme il nostro riesce a scrivere che è un peccato questa situazione, perchè i "tranquilli" israeliani che fanno di Gerusalemme una città "quieta" non possono piu fare compere a Ramallah; che Arafat tenta di mantenere il numero di morti ad un livello accettabile (siamo a 130 in 25 giorni, quale è per il signor Valli un numero inaccettabile?); che i soldati israeliani dovrebbero fare più esercitazioni di tiro visto che "..non sempre mirano al bersaglio giusto.." colpendo invece qualche giornalista.

Ma sono quelle frasi che hanno un qualcosa di subliminale che ci sconcertano di piu. Il signor Valli ci rappresenta i giovani palestinesi come "picadores" nella corrida e i soldati israeliani come i "tori". Credo tutti sappiano che normalmente nelle corride il toro soccombe, sopraffatto dalle armi e dal numero degli avversari. Si puo pensare che Valli ritenga che i soldati soccomberanno? (il press-office israeliano legge i suoi articoli?) Non crediamo voglia dire questo, al contrario appare come una mistificazione per dire che i palestinesi non stanno subendo ma stanno aggredendo i "poveri" soldati israeliani. E per far questo i genitori "..spingono apposta i ragazzi.." (proprio cosi ha scritto) a morire. Ma il signor Valli sa dove si trova? Conosce la storia di questa terra? E' legittimo qualche dubbio visto che non ricorda l'anno di inizio della prima "Intifada" (1988, 9 Dicembre, signor Valli!) e mentre lascia intendere di essere stato anche a Beirut negli anni caldi, scivola sulle bandiere di Hezbollah, che ammette di non conoscere. Ma altre cose sembra non conoscere, anche se un giornalista dovrebbe essere sul posto per raccontare in modo obiettivo. Il 13 Ottobre su la Repubblica ci raccontava in modo minuzioso il percorso in auto fatto a Ramallah dai soldati israeliani "perduti" prima di essere catturati. Peccato per lui che la strada descritta da Manhara square alla Friends Boys School sia a senso unico e nessuno potrebbe, per chi conosce Ramallah, percorrerla nel senso descritto, dato il caotico traffico quotidiano.

Ma un certo modo di raccontare gli avvenimenti deve essere prerogativa dei giornalisti de la Repubblica. Sempre il 24 Ottobre il signor Franceschini, che scrive dal suo appartamento di Tel Aviv (in 3 anni non abbiamo mai avuto il piacere di incontrarlo nei Territori ), ci informava sulla "..guerriglia a Gerusalemme..", di "..spari nelle strade della Gerusalemme ebraica..", di spari nel "..quartiere periferico di Gilo..". Ma nulla dice sull'uso dei proiettili esplodenti usati dai soldati: entrano nelle case di Beit Jala ed esplodono in tante schegge. Delle due l'una: o il signor Franceschini non sa che Gilo si trova nel settore est di Gerusalemme ed è un insediamento per coloni costruito su territorio occupato o usa una terminologia destinata ad affermare la sovranità israeliana su luoghi riconosciuti a livello internazionale come occupati. In ogni caso non rende giustizia all'etica giornalistica. Quale amara conclusione trarre? Forse bisognerebbe richiamare in Italia questo tipo di giornalisti, che non rendono un buon servizio all'obiettività dell'informazione ma sembrano spinti da furia ideologica o pressappochismo.