E' La fine di Oslo!
Una lucida analisi delle ragioni che hanno portato al fallimento del cosiddetto "processo di pace". Di E. W. Said, da AIC. Novembre 2000.

Il processo di pace di Oslo, mal applicato e invalidato fin dall'inizio, è entrato nella sua fase finale che presenta un confronto violento, una massiccia repressione israeliana, una vasta ribellione palestinese e un numero enorme di morti, soprattutto da parte palestinese. La visita di Ariel Sharon del 28 settembre ad Haram al Sharif non sarebbe stata possibile senza l'intervento di Ehud Barak: come avrebbe fatto altrimenti Sharon ad esserci con almeno un migliaio di soldati che lo scortavano? La percentuale di gradimento nei confronti di Barak è aumentata dal 20% al 50% dopo la visita e tutto sembra essere pronto un governo di unità nazionale (NdT l'articolo è stato scritto nel mese di ottobre quando i principali mezzi di informazione davano per imminente un accordo tra LIKUD e i Laburisti) ancora più violento e repressivo.

Comunque i presagi di questo disastro, sono iniziati nel 1993, come ho doverosamente scritto in "The Nation" (20 settembre 1993). I leaders del Labor e del Likud non avevano tenuto segreto il fatto che Oslo era stato organizzato per segregare i Palestinesi in zone non contigue ed economicamente non autosufficienti, circondate da confini controllati dagli Israeliani, con insediamenti e strade che violavano l'integrità territoriale dei territori. Espropriazioni e demolizioni di case sono continuate inesorabilmente durante i governi di Rabin, Peres, Netanyahu e Barak, insieme all'espansione e la moltiplicazione di insediamenti (200.000 ebrei israeliani si sono trasferiti a Gerusalemme, altri 200.000 a Gaza e in Cisgiordania), inoltre l'occupazione militare é proseguita e ogni timido passo intrapreso verso la sovranità palestinese (compresi accordi sottoscritti in fasi concordate) é stato ostacolato, ritardato, cancellato in base alla volontà di Israele. Tale metodo era politicamente e strategicamente assurdo. Gerusalemme Est occupata é stata collocata fuori dai confini attraverso una bellicosa campagna israeliana per decretare che la città divisa era assolutamente off-limits ai Palestinesi della Cisgiordania e di Gaza e per dichiararla come "capitale eterna e indivisibile" di Israele. Ai 4 milioni di rifugiati palestinesi é stato detto che potevano dimenticarsi di ritornare nella loro terra o di avere dei risarcimenti.

Yasser Arafat con il suo regime corrotto e repressivo, sostenuto dal Mossad e dalla CIA, ha continuato ad affidarsi alla mediazione statunitense, anche se il team USA che si occupava dei negoziati era capeggiato da ufficiali che, in passato, avevano fatto parte di lobby israeliane e da un presidente le cui idee sul Medio Oriente non mostravano alcuna comprensione del mondo arabo-islamico. Accondiscendenti, ma isolati e non popolari, i governanti arabi (specialmente l'egiziano Hosni Mubarak) sono stati costretti in modo umiliante a sottomettersi alla linea americana, perdendo, di conseguenza, credibilità nel proprio Paese. Le priorità di Israele sono venute per prime. Non é stato fatto alcun tentativo per risarcire le ingiustizie fatte quando i Palestinesi sono stati privati della loro terra nel 1948.

Dietro al processo di pace c'erano due presupposti israeliani/americani immodificabili, ed entrambi derivavano da un'incomprensione iniziale della realtà.
1) Il primo presupposto era che dopo una sufficiente punizione e repressione, i palestinesi avrebbero ceduto e quindi accettato dei compromessi, cosa che Arafat ha effettivamente fatto, inoltre avrebbero svenduto l'intera causa palestinese, scusando poi Israele per tutto quello che aveva fatto. Così il "processo di pace" non ha prestato la dovuta attenzione all'enorme perdita di terra e di beni e neppure ai legami tra la dislocazione passata e l'attuale assenza di uno stato dei palestinesi, mentre Israele, in quanto potenza nucleare con un esercito formidabile, ha continuato a dichiarare il suo status di vittima e a domandare un risarcimento per il genocidio antisemita in Europa. Al momento non c'era un riconoscimento ufficiale della responsabilità di Israele (oggi ampiamente documentata) per la tragedia del 1948. Ma non si può costringere un popolo a dimenticare, specialmente quando tutti gli Arabi vedono nella realtà quotidiana il proseguimento dell'ingiustizia iniziale.
2) Il secondo presupposto, dopo sette anni durante i quali le condizioni dei Palestinesi sono economicamente e socialmente peggiorate ovunque, i politici israeliani e statunitensi hanno continuato a strombazzare i loro successi, escludendo le Nazioni Unite e altre parti interessate, piegando i mass media al loro volere, distorcendo la realtà in vittorie effimere per la "pace". Lo status quo mal allineato e distorto sta cadendo a pezzi, perché l'intero mondo arabo é indignato per gli attacchi compiuti dagli elicotteri di Israele e per i carri armati che demoliscono le abitazioni civili dei Palestinesi, per i circa 100 morti e quasi 2.000 feriti, tra cui molti bambini, inoltre gli Israeliani palestinesi sono in rivolta, perché vengono considerati cittadini di terza classe. Gli Stati Uniti sono isolati all'interno delle Nazioni Unite e odiati in tutto il mondo arabo come campione incondizionato di Israele, quindi sia gli Stati Uniti e sia il loro presidente ancora in carica, ma non rieletto, possono dare ben poco come contributo.

Lo stesso vale per la leadership araba e israeliana, sebbene sembra che stiano per fare un accordo interno. E' stato straordinario il virtuale silenzio dell'area pacifista sionista negli Stati Uniti, d'Europa e di Israele. Il massacro dei giovani palestinesi prosegue, mentre queste nazioni respingono la brutalità di Israele o esprimono disappunto per l'ingratitudine palestinese. Peggiori tra tutti sono i mass media americani, intimiditi dalla temibile lobby israeliana, con giornalisti e conduttori che divulgano notizie distorte riguardo scontri a fuoco e violenza palestinese che smentiscono il fatto che Israele stia compiendo un'occupazione militare e che i Palestinesi la stiano combattendo, senza "importunare Israele" come ha detto Madeleine Albright. Mentre gli Stati Uniti celebrano la vittoria del popolo serbo su Milosevic, Clinton e i suoi collaboratori non capiscono che la rivolta palestinese é lo stesso tipo di lotta contro l'ingiustizia.

Ritengo che parte della nuova intifada palestinese sia diretta contro Arafat, il quale ha portato la sua gente allo smarrimento con false promesse e che mantiene un gruppo di ufficiali corrotti (...) Il 60% del budget pubblico viene usato da Arafat per pagare la burocrazia e le forze di sicurezza, solo il 2% viene impiegato per infrastrutture. Tre anni fa i suoi contabili hanno ammesso che in un anno dai fondi erano spariti 400 milioni di dollari. I suoi protettori internazionali hanno accettato questo fatto in nome del "processo di pace", certamente questa è la frase più odiata del lessico palestinese di oggi.

Stanno lentamente emergendo sia un piano di pace che una leadership alternative tra i Palestinesi di Israele, della Cisgiordania, di Gaza e tra i Palestinesi della diaspora, un migliaio dei quali ha firmato una serie di dichiarazioni che hanno avuto un largo sostegno popolare: nessun ritorno alle linee di Oslo; nessun compromesso sulle risoluzioni originali delle Nazioni Unite (242, 338 e 194) sulla base delle quali era stata convocata la Conferenza di Madrid nel 1991; rimozione di tutti gli insediamenti e delle strade militari; evacuazione di tutti i territori annessi o occupati nel 1967; boicottaggio delle merci e dei servizi israeliani. In realtà si sta espandendo l'idea che solo un movimento di massa contro l'apartheid Israeliana (simile a quello del sud Africa) potrà funzionare. Certamente per Barak e la Albright è sbagliato considerare Arafat responsabile per avvenimenti sui quali non ha più il controllo da tempo. Invece di respingere la nuova proposta, i sostenitori di Israele sarebbero saggi se si ricordassero che la questione della Palestina riguarda un intero popolo e non un leader anziano e screditato. Inoltre, la pace in Palestina/Israele potrà essere raggiunta solo tra uguali, quando l'occupazione militare terminerà. Nessun Palestinese, e nemmeno Arafat, può realmente accettare qualcosa in meno.

* Docente alla Columbia University è uno tra i più noti intellettuali palestinesi.
Nato a Gerusalemme nel 1935 da una famiglia cristiano-palestinese, ha passato l'infazia in vari paesi arabi per poi trasferirsi in America dove si è laureato.
Membro del Consiglio Nazionale Palestinese dal '77 al '91 è uno dei più fermi oppositori di Arafat ed ha espresso pesanti critiche al processo di pace e all'Autorità Palestinese. Autore di numerosi libri, in Italia è uscito recentemente "Tra guerra e pace. Ritorno in Palestina-Israele.