Il
pugno di ferro sul processo di Pace.
Ecco
cosa intendono realmente gli attuali governanti israeliani quando parlano
di "Pace". Di Roger Normand, da MERIP.
Novembre 2000.
Le
immagini televisive in cui si vedevano i soldati Israeliani uccidere inermi
bimbi Palestinesi e gli elicotteri bersagliare i palestinesi nelle vicinanze,
hanno pubblicamente mostrato le forze armate Isrealiane affossare il Processo
di Oslo. Nonostante precedenti crisi e battute d'arresto negli ultimi sette
anni, funzionari statali e media hanno dipinto i negoziati come un lento processo,
a volte difficile, tuttavia saldamente diretto verso una pacifica risoluzione
del conflitto isrelo-palestinese; ma dopo gli ultimi eventi, il pubblico è
consapevole che qualcosa in questo quadro non corrisponde alla verità. E'
difficile riconciliare anche un arduo processo di pace con le impietose immagini
di guerra, specialmente se l'esercito (ben armato) di una delle due parti
in causa è impegnato a schiacciare, la parola più appropiata
sarebbe massacrare, masse di manifestanti (in ampia parte) disarmati. Questa
è la drammatica competizione sul fronte di guerra, ma una ugualmente
importante battaglia è iniziata circa le ragioni del conflitto. Questa
battaglia parallela per conquistare i favori l'opinione pubblica internazionale
ed attraverso essa il supporto dei governi, oltre che la legittimità
politica, riflette le dinamiche del conflitto armato. Israele dispone di un
arsenale superiore (in questo caso l'accesso ai media) per rafforzare la propria
versione dei fatti, mentre la leadership palestinese perde l'occasione per
fare appello politicamente e moralmente, attivando quindi un'effettiva resistenza,
ad una popolazione indifesa, oppressa ma ancora galvanizzata. (...) Oggi
siamo testimoni dell'esplosione della rabbia di un popolo, che in sette
anni di negoziati di pace, ha vissuto umiliazioni, l'aumento della povertà
e della repressione sia da parte delle forze di occupazione israeliane sia
dal corrotto e brutale governo dell'Autorità Palestinese. VIOLENZA
ORCHESTRATA? I
politici Israeliani accusano Arafat, e i media ripetono acriticamente, di
orchestrare la violenza per il proprio tornaconto politico. Questa accusa
è veramente Orwelliana nella sua inversione della logica e della realtà. Con
una mossa calcolata per acuire l'ira dei Palestinesi, Sharon, accompagnato
da 1,000 (abbondantemente armati) poliziotti forniti da Barak, ha scelto
di farsi paladino della sovranità Israeliana su Haram al Sharif con
una visita nel giorno dell'anniversario dei massacri di Sabra e Shatila (NdT
Sharon, in qualità di ministro degli esteri, è stato tra i maggiori
responsabili di tali massacri). Le
proteste Palestinesi inizialmente sono state condotte dagli studenti e dai
fondamentalisti islamici, i settori che più disprezzano Arafat, e quindi
non controllabili dall'Autorità Palestinese. In seguito le forze di
sicurezza palestinesi, controllate da Arafat, forti di 40.000 uomini
hanno evitato uno scontro aperto con l'esercito israeliano, offrendo solo
sporadicamente supporto ai giovani che lanciavano pietre contro gli elicotteri
e i blindati Israeliani. (...) In tale contesto l'accusa rivolta ad Arafat
di dirigere e radicalizzare la protesta dei palestinesi da dietro le quinte
è un chiaro pretesto per addossargli la colpa della violenza, e simultaneamente
far pressione sull'AP per fermare le piazze, con il paradossale risultato
di alienare sempre di più le simpatie popolari ad Arafat e l'AP. Nonostante
i reclami Israeliani, appare abbastanza evidente chi realmente orchestra la
violenza. I massicci e coordinati attacchi dei militari israeliani, con tank
dispiegati in modo da accerchiare i principali centri abitati dai Palestinesi
da un capo all'altro dei Territori Occupati, risultano senza ombra di dubbio
pianificati. Nei mesi recenti Barak e i principali leader militari hanno apertamente
minacciato il dispiegamento strategico di una preponderante forza militare
al fine di schiacciare la "violenza" Palestinese nell'eventualità
di una proclamazione unilaterale di uno stato da parte di Arafat. Altri elementi
di questo piano, assolutamente pubblico, includevano l'annessione di ampie
eree del territorio Palestinese e il cingere d'assedio i centri abitati. (...) Non
è necessario ricordare che i Palestinesi hanno il diritto, riconosciuto
internazionalmente, all'autodeterminazione. La dichiarazione di Indipendenza
fatta dall'OLP nel 1988, costituisce ancora oggi la proclamazione di uno stato,
riconosciuto dalla quasi totalità dei paesi del mondo (ad eccezione
naturalmente di Israele, degli Stati Uniti e pochi altri paesi). L'autoproclamato
veto Israeliano sulla nascita uno stato Palestinese, e la politica di Arafat
tesa a postporre ripetutamente la (ri)proclamazione del medesimo, in nessun
caso può cancellare le basi legali, morali e politiche di questo fondamentale
diritto dei Palestinesi. La comunità internazionale rimaneva in ancora
silenzio nel momento in cui Israele rivendicava il diritto di schierare, illegalmente,
massiccie forze militari contro i Palestinesi che rivendicano diritto ad avere
uno stato proprio. Ora che Israele ha scelto di avviare questo piano (...)
è arduo sorprendersi del fatto che i maggiori leader mondiali si siano
limitati a fare unicamente deboli appelli ad "entrambe" le parti
affinché cessino di uccidere, sempre nel momento in cui gli elicotteri
Israeliani lanciavano dei missili, forniti dagli USA, presso le aree abitate
da Palestinesi. Questo silente reazione è solo l'ultimo e più
egregio esempio dell'approccio tenuto per tutta la durata del processo di
Pace di Oslo, condotto nella noncuranza dei diritti umani. (...) INFAUSTI
SVILUPPI IN ISRAELE In
Israele, i contingenti di polizia hanno ucciso nove,e ferito centinaia, di
palestinesi con cittadinanza israeliana nelle città del nord come Nazareth
e Umm al-Fahm. Molte volte cause dei decessi sono state i colpi alla testa
ed al torace con munizioni vere, di primo acchito paiono vittime di shoot-to-kill
(sparare per uccidere). Secondo i gruppi che si occupano della difesa dei
diritti umani, molti dei manifestanti sono stati incarcerati, pestati e
torturati. (...) L'impiego di un'eccessiva forza contro i cittadini Israeliano
Palestinesi, è il frutto di una recente campagna del comandante della
polizia della Galilea, Alik Ron, che ha accusato la comunità araba
stanziata nel nord di Israele di supportare i terroristi islamici. Sebbene
in seguito queste accuse si siano rivelate false, sono riuscite a generare
un'ondata di sentimenti anti-arabi tra gli israeliani. Molti Israeliani di
origine Palestinese temono che le calunnie, a cui ha fatto seguito la brutale
risposta della polizia nei confronti dei manifestanti disarmati, siano parte
di una più ampia campagna tesa ad intimidire la minoranza Araba in
Israele. IMPLICAZIONI
PER IL PROCESSO DI OSLO Nel
breve termine, il dialogo circa lo status finale è bloccato.
Siamo anche testimoni del dispiegamento del piano del governo Barak per lo
status finale, ossia: separazione etnica imposta con il pugno di ferro.
La domanda è se Barak può far riacquistare velocità al
suo piano di Pace, ripetendo senza fine al pubblico israeliano "noi qui,
loro là".
Questo modello di separazione socio-economica, culturale e specialmente fisica
tra ebrei ed arabi deriva dall'ideologia sionista che culminò nel 1948
con l'espulsione del 90% dell'autoctona popolazione palestinese da ciò
che divenne Israele. Attraverso il processo di Oslo, Barak è alla ricerca
dell'approvazione internazionale e della ratifica di questa segregazione etnica
e religiosa. "Noi qui, loro là" è una formula per
risolvere il contenzioso circa lo stutus finale di: entità statale,
terra, rifugiati e di Gerusalemme. I palestinesi sono stati separati da Israele
politicamente e geograficamente, rimangono uniti solo economicamente nella
forma di manodopera a basso costo e prigionieri dei mercati. Arafat sarà
unto presidente del suo adorato stato comprendente il 90 % della Cisgiordania
e di Gaza, ma la popolazione rimarrà confinata in Bantustan non contigui
territorialmente, accerchiati e controllati attraverso un network di insediamenti
israeliani, con relative strade e checkpoints, e succubi delle repressive
forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese. (...) Come elemento finale
di questo piano, ai tre milioni di rifugiati palestinesi sarà negato
il diritto, internazionalmente riconosciuto, di tornare a vivere all'interno
di Israele, e invece verrà concesso un non volontario reinsediamento
a "scelta" tra i territori controllati dall'AP o nei circostanti
paesi Arabi. (...) Ai palestinesi che vivono nei Territori occupati e in Israele
risulta ancora una volta chiaro che l'alternativa alla pace imposta da Israele
è lo spietato pugno di ferro della guerra. Rimane da vedere se i
palestinesi saranno effettivamente in grado portare avanti proprie alternative.