L'impatto
degli attentati negli USA sulla questione palestinese.
Intervista a Leila Shahid, rappresentante della Palestina in Francia. Dal
sito belga Solidaires
du peuple palestinien. Ottobre 2001.
Quale impatto avrà l'attentato
del 11 settembre a New York e Washington sul conflitto israelo-palestinese? Penso che l' impatto del terribile
attentato di New York e Washington sarà, disgraziatamente, grave e
pericoloso. Questa tragedia, che influenzerà il mondo intero per lungo
tempo, avviene in un momento in cui il governo di Sharon pratica da più
di sette mesi una politica di repressione senza precedenti contro la popolazione
civile rifiutando a tutt'oggi ogni dialogo politico. Quale è la vostra
posizione riguardo il terrorismo? Io definisco come terrorismo tutte
le azioni condotte, da individui, gruppi o Stati, contro civili innocenti. Prima di tutto, penso che sia
necessario ricordare che la strategia dei movimenti islamisti nel mondo -
non solo verso gli Stati Uniti- rappresenta uno stravolgimento totale dei
valori dell'Islam. L'utilizzo di questa religione, il suo stravolgimento per
farne un'ideologia politica: questo è totalmente inaccettabile. Come
una traduzione tragica delle leggi della fisica, che vogliono che la "natura
abbia orrore del vuoto", questi movimenti islamisti fondamentalisti hanno
preso il posto occupato in precedenza dai movimenti progressisti, di sinistra,
che esistevano nel mondo arabo e musulmano. All'epoca in cui esisteva il nazionalismo
arabo (il periodo nasseriano in Egitto fu l'episodio più prestigioso)
e in cui erano presenti numerosi movimenti progressisti, l'islamismo politico
non esisteva. L'islamismo politico, è necessario che voi lettori lo
capiate, è stato incoraggiato e sostenuto dagli Stati Uniti e dalla
CIA nel periodo della guerra al regime comunista di Kabul. Gli Americani avevano
fatto, al tempo, la scelta di sostenere l'organizzazione islamica dei Moudjahidin
(i Combattenti). Bin Laden che li dirigeva, è stato, al tempo, finanziato,
formato militarmente e utilizzato dagli Stati Uniti. Una volta terminata quella
guerra, i "residui" di quei movimenti islamisti sostenuti e finanziati
dagli Americani si sono "riciclati", da una parte, in Algeria, dove
quelli che sono detti (non a caso) gli "Afghani" conducono una guerra
terribile e orribile contro le forze democratiche e contro il governo algerino
e, dall'altra parte, in Bosnia e prima nei Balcani. Quanto a Bin Laden, nato
da questa "scuola americana di anti-comunismo" in Afganistan, oggi
si ritorce contro gli Stati Uniti. Dalla formazione ricevuta dalla CIA trae
la sua diabolica efficacia. Quali mezzi esistono
per lottare contro questa nuova forma di terrorismo? Che si tratti del Medio-Oriente
o di un'altro posto nel mondo, non esiste una soluzione miracolosa. Queste nuove forme di
terrorismo non annunciano uno "scontro tra civiltà" come
sostiene Hillary Clinton? Io respingo totalmente la visione
di Hillary Clinton e di tutti coloro che vedono in questa nuova forma di terrorismo
uno scontro di civiltà. Quello che stiamo, ahimè, vivendo oggi,
è il risultato di un fallimento politico nel risolvere correttamente
i conflitti sul pianeta, ma anche nel ripartire equamente le ricchezze, ciò
che porta alla costituzione di un mercato globale che funziona, in ultima
analisi, secondo gli interessi degli Stati Uniti ed in funzione delle loro
esigenze. Così, le nazioni "periferiche" che spesso, come
in Africa, detengono le risorse più importanti del mondo, si ritrovano
nella posizione di consumatori dei prodotti trasformati altrove e messi sul
mercato dalle economie capitalistiche. Così, il termine di "mondializzazione"
manca, come minimo, di precisione, poiché riguarda solo coloro che
detengono la proprietà, i mezzi di produzione ed i mercati solvibili.
C'è una dimensione economica e sociale molto importante nell'humus
umano che sostiene questa forma di terrorismo, in particolare contro l'America,
percepita oggi (dopo la scomparsa del blocco sovietico) come la nazione che
detiene l'egemonia totale nel mondo, sul piano finanziario, commerciale, politico
e militare. Si vede bene che i recenti attentati negli Stati Uniti, hanno
un solo scopo, animati, come sono, dall'odio: punire (per di più, ahimè,
degli innocenti) fare più male possibile. E' l'espressione di un rifiuto
totale, alimentato dalla frustrazione, l'emarginazione delle nazioni dette
"povere" attraverso un certo numero di contrade. E non è
un caso se queste reti terroristiche trovino i loro militanti ed i loro sostegni
in una regione come l'Asia del Sud-Ovest, che è stata vittima di guerre
terribili, in Afghanistan, in Pakistan, nel Cashmire o, ancora, in Medio-Oriente...
Sarebbe molto grave, oggi, cadere nella trappola dell'amalgama, cioè
vedere nelle azioni delle reti islamiche una dimensione culturale che farebbe
dell'Islam, in quanto religione, ma anche in quanto cultura, il nemico da
abbattere per la cultura giudeo-cristiana. La Storia prova il contrario. Analisi
di questo tipo contribuiscono ad alimentare le ideologie dei vari Bin Laden
e soci, i quali vedono nel loro terrorismo non si sa quale lotta del mondo
musulmano contro il mondo cristiano. Le confusioni, molto pericolose, che
esse alimentano - quando non le creano dal nulla, ben lontane dal solo costituire
gli annessi e i connessi di una lettura socio-politica totalmente aberrante
alienano alla civiltà occidentale un sacco di gente in un mondo
musulmano nelle cui ferite non fanno altro che girare il coltello di frustrazioni
accumulate, che sono effettivamente reali. Oggi, il popolo palestinese
commemora il diciannovesimo anniversario del massacro dei campi dei rifugiati
di Sabra e Chatila, in Libano. Che cosa evoca per lei questo anniversario? In questo diciannovesimo anniversario,
la più grande tragedia, è pensare che l'uomo che è stato
denunciato dai suoi propri soldati e da una commissione d'inchiesta israeliana
come direttamente responsabile dei massacri di Sabra e Chatila, si ritrovi
eletto Primo ministro del governo israeliano. C'è qui qualcosa che
dovrebbe intimare il popolo israeliano che, a causa della sua paura dell'"altro",
ha finito per votare un criminale di guerra Ariel Sharon, che esso stesso
aveva denunciato nel 1982, anno in cui 400.000 israeliani avevano manifestato
per reclamare le sue dimissioni. Bisognerebbe che la popolazione israeliana
avesse il coraggio di guardare in faccia la sua storia e di non fare l'errore
di rigettare troppo facilmente la sua responsabilità sul popolo palestinese.
La società israeliana deve ora saper estirpare dal suo seno i propri
demoni. Sul piano internazionale, accanto a questa constatazione angosciosa
che traiamo dal triste spettacolo che ci dà la società israeliana,
ci sono dei segnali molto rassicuranti. In primo luogo, il fatto che oggi
certe giurisdizioni permettano l'applicazione delle convenzioni internazionali
contro la tortura, i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità.
Il fatto che Ariel Sharon sia oggi intimato dalla giustizia belga per i crimini
che ha commesso nel 1982 a Sabra e Chatila, che Augusto Pinochet sia stato
interpellato dalla giustizia spagnola per i suoi crimini commessi in Cile
e che Slobodan Milosevic sia imprigionato e giudicato dal Tribunale internazionale
dell'Aia, mostra che il rispetto delle convenzioni internazionali diventa
uno strumento diplomatico più forte della "ragion di Stato",
e ciò è incoraggiante. Qualunque sia il risultato della procedura
avviata dalla giustizia belga all'incontro con Ariel Sharon, le vittime palestinesi
di Sabra e Chatila hanno già vinto una battaglia, dal momento che dei
giudici e dei magistrati hanno accettato di intentare causa a Sharon e che
lui stesso ha dovuto rinunciare, qualche mese fa, al suo spostamento in Belgio,
per paura di dover rispondere alla convocazione dei magistrati. D'altra parte, l'affare che ha
circondato la nomina in Danimarca di Carmi Gillon, il nuovo ambasciatore di
Israele, è a sua volta incoraggiante. Infatti, la nomina di Carmi Gillon,
ex-capo della Sicurezza interna israeliana, ha suscitato una protesta generale
in Danimarca, dopo che questi avrebbe confessato di essere ricorso a "pressioni
fisiche moderate" (detto in altre parole: alla tortura) nei confronti
dei prigionieri palestinesi. Questi casi hanno il merito di
aver condotto i servizi israeliani a formulare la raccomandazione che si eviti,
in futuro, di assegnare posti ed inviare in certi paesi ex-capi militari o
ex-responsabili dei servizi di informazione, suscettibili di essere perseguiti
per atti di tortura o per crimini di guerra perpetrati sulla popolazione palestinese.
E' un progresso di cui devono essere felici tutti i democratici del mondo.
E' anche, per i Palestinesi, un riconoscimento dei torti che essi hanno subito
e che non avevano trovato, all'epoca, i Tribunali internazionali capaci di
condannarne i colpevoli. Ariel Sharon, da Primo ministro qual è, dovrà
rispondere un giorno dei crimini di guerra che egli ha commesso e che continua
ancor oggi a commettere (fino a quando, fino a dove?) contro il popolo palestinese.
La coalizione di lotta al terrorismo messa in piedi dal governo americano
al fine di punire gli autori dell'attentato, autori che essi descrivono come
facenti parte della rete di Bin Laden, rischia di diventare la copertura per
le azioni di Sharon, che desidera "finire il lavoro" portato avanti
in questi sette mesi e cioè: distruggere l'Autorità Palestinese
e ciò che resta delle sue infrastrutture e assassinare tutti i suoi
maggiori dirigenti. La strategia di Sharon mira a fare fuggire il maggior
numero possibile di palestinesi in Giordania: come voi sapete egli ha sempre
spinto per la costruzione di uno stato palestinese in Giordania e non in Palestina.
Ciò che trattiene Sharon e dunque l'esercito israeliano, è il
veto della comunità internazionale, in particolare la Comunità
Europea e in una qualche misura gli USA. Ora che tutta l'attenzione é
concentrata sulla tragedia che il popolo americano sta vivendo e che tutte
le forze della diplomazia europea sono concentrate sulla creazione di una
alleanza in vista di una risposta, temo molto che Sharon creda che gli sia
tutto permesso. Egli ha già avuto il pessimo gusto di dichiarare a
Colin Powell, presentandogli le condoglianze di Israele, che anche Israele,
come l'America, ha il suo Bin Laden e cioè Arafat.
Questo dimostra come Sharon non mancherà di approfittare della campagna
mondiale contro il terrorismo per confondere le idee e far credere all'opinione
pubblica mondiale che esista un falso legame tra la resistenza palestinese
e il terrorismo, seguendo in questo modo passo passo Vladimir Putin che ha
già fatto questa connessione, tra il terrorismo islamista e per quello
ceceno.
L'Autorità palestinese ha sempre condannato, senza la minima ambiguità,
tutte le azioni terroristiche che hanno avuto come obiettivo civili israeliani
o quelle che hanno preso di mira civili palestinesi. E, chiariamo, la stessa
cosa vale per i terribili attentati che hanno colpito il popolo americano.
La condanna da parte dell'autorità palestinese di tutte le forme di
terrorismo non è solo di tipo morale, non è solo il rifiuto
categorico di prendere in ostaggio le popolazioni civili di un conflitto:
si tratta di una posizione politica.
Dal giorno in cui l'Autorità palestinese (e prima l'Organizzazione
per la Liberazione della Palestina - OLP) ha sostenuto la scelta della vicinanza
dei due Stati - uno Stato palestinese e uno israeliano - abbiamo iniziato
a lavorare con dei partner israeliani che riconoscevano la necessità
della creazione di uno Stato palestinese.
A partire da quel momento, tutta l'azione ha visto il coinvolgimento di civili
israeliani, all'interno d'Israele stesso, sulla base del principio di coesistenza
tra Israeliani e Palestinesi.
Quale strategia, secondo voi, perseguono i movimenti islamisti?
Una soluzione militare, motivata da sentimenti di vendetta di una popolazione
straziata come è quella degli Stati Uniti oggi, non è assolutamente
auspicabile. Prima di tutto perché è difficile trovare i movimenti
terroristi, per definizione clandestini, che hanno una grande capacità
di fondersi con la popolazione di un paese. Dei bombardamenti in Afganistan,
non farebbero altro che aumentare le sofferenze di una popolazione già
straziata da venti anni di guerra. Non bisogna ripetere gli errori del passato.
Penso al Sudan, tristemente noto, al bombardamento di quella che gli Stati
Uniti pensarono, in maniera arbitraria, fosse una fabbrica di armi e che invece
si dimostrò essere una fabbrica farmaceutica. Gli Americani finirono
poi per riconoscere il fatto di aver agito sulla base di cattive informazioni.
Penso che il solo modo per lottare contro il terrorismo è avere una
politica a lungo termine, che consista nello sradicare la "giustificazione"
principale, che è generalmente basata sulla denuncia politica di conflitti
che non possono essere risolti perché il diritto internazionale non
è applicato con la stessa determinazione in tutte le parti del mondo;
il famoso "due pesi, due misure". La comunità internazionale
non deve più generare conflitti sulla base dei propri interessi regionali.
Per esempio, il conflitto israelo-palestinese, utilizzato dagli islamisti
come terreno per l'odio, non ha mai avuto l'attenzione che meritava da parte
della comunità internazionale.
La mancanza di volontà di quest'ultima nel fare applicare le risoluzioni
242 e 338, decise da anni, che esigevano la ritirata dell'armata israeliana
dai territori che occupa in Palestina rappresenta uno degli esempi più
spiacevoli. Al contrario, abbiamo visto che la comunità internazionale
si è mossa quando si è trattato di liberare il Kuwait dall'occupazione
irachena, e si è impegnata in una vera e propria guerra mondiale per
fare applicare le risoluzioni delle Nazioni Unite. E' una necessità
primaria quella di dare risposte politiche, se si vogliono isolare efficacemente
gli elementi estremisti che richiamano ad azioni terroristiche. E' noto che
i terroristi approfittano del malessere prodotto da situazioni come quelle
che perdurano in Medio-Oriente.