La sicurezza di chi?
La sicurezza secondo la Road Map. L'errore di Oslo si sta ripetendo: che una soluzione al conflitto possa essere trovata nelle realizzazioni palestinesi delle ambizioni nazionali israeliane invece che nelle proprie, ancora più lontane dall'obiettivo. Da Al Ahram.Traduzione di Lilia Zito. Da ZNet Italia. 16 giugno 2003.


Sono bastati solo due giorni dalle strette di mani della settimana scorsa nell'incontro di Aqaba tra il presidente degli Stati Uniti George W Bush e i primi ministri israeliani e palestinesi, Ariel Sharon e Mahmoud Abbas, che concludevano l'ultima iniziativa di pace per il Medio Oriente, perché alcuni particolari della cosiddetta "roadmap" cominciassero a sfasciarsi.

Il piano, costruito sul discorso del presidente Bush della scorsa estate, è progettato per realizzare un "possibile" stato palestinese che viva accanto ad un "sicuro" stato d'Israele a partire dal 2005. Ma nel momento in cui l'incontro si è concluso Israele e i tre gruppi armati palestinesi più attivi sono riusciti a creare una serie di ostacoli che rendono il percorso futuro impraticabile.

Innanzitutto mesi di colloqui tra Abbas e Hamas per raggiungere un temporaneo cessate il fuoco sono falliti vergognosamente con i leader di Hamas che accusavano il primo ministro di essersi venduto ad Israele nel suo intervento dell'incontro. Riferendosi alla richiesta di Abbas di abbandonare la rivolta armata, il portavoce Abdel-Aziz Rantisi ha detto: "Abu Mazen, con la rinuncia al diritto alla resistenza, definendola terrorismo, ha dato il via libera a Sharon e al suo esercito."

Abbas è stato costretto a cancellare un incontro di domenica con i leader di Hamas a Gaza per cercare di convincerli, poiché era corsa voce che gli ufficiali avevano stabilito che la sua sicurezza non poteva essere garantita. Sebbene ci si aspettava che Hamas, il più potente dei gruppi militanti, ritornasse su alcuni punti al tavolo dei negoziati, tutto ciò era sicuramente un inizio poco propizio.

Inoltre era stato rivelato che il ministro della sicurezza palestinese Mohamed Dahlan aveva cercato, con soldi europei e americani, di comprare armi dalle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, l'ala armata del movimento di Abbas Fatah, e di reclutare i suoi membri per le forze riformate di polizia che sta ricostituendo con l'aiuto della CIA e la cooperazione di Israele.

Nonostante Dahlan abbia negato tali relazioni, importanti fonti palestinesi hanno confermato che ha ricevuto 50 milioni di dollari e che gli era stato offerta una somma di 6000 dollari per ogni fucile e la stessa somma per unirsi alle nuove forze.

L'alleanza delle Brigate di Al-Aqsa con Fatah potrebbe essere realizzata e li troverebbe meno restii a supportare la leadership, ma è stato riferito che la maggioranza dei membri ha rifiutato l'offerta, con il leader del gruppo della West Bank Abu Mujahed che ha affermato: " Non negozieremo con Dahlan."

Le Brigate, allo stesso modo di Hamas, sono state apparentemente offese dal discorso di Abbas Aqaba, in modo particolare per non aver menzionato né il rilascio di prigionieri politici, inclusa la figura più importante, Marwan Barghouti, né l'umiliante reclusione del presidente palestinese Yasser Arafat. Essendo stato completamente isolato dalla comunità internazionale, Arafat stesso deve un po' aiutare il primo ministro palestinese ad uscire fuori dall'attuale impasse.

Infine, a conclusione di un disastroso weekend per Abbas, tre uomini armati, ognuno di loro, simbolicamente, da Hamas, dalla Jihad Islamica e dalle brigate di Al-Aqsa, hanno attaccato una postazione armata israeliana nel nord della Striscia di Gaza, uccidendo quattro soldati e lasciandone uno gravemente ferito.

In una dichiarazione i tre gruppi hanno detto: " Questa operazione congiunta è stata attuata per confermare la nostra scelta di popolo unito nella Jihad e nella resistenza per la fine dell'occupazione della nostra terra e dei luoghi sacri."

La risposta del governo israeliano era prevedibile: un fiume di critiche ad Abbas e Dahlan per aver fallito nel difendere il loro impegno nella Roadmap di garantire la sicurezza di Israele. " Se il terrorismo continuerà distruggerà la roadmap e il processo di pace," così ha dichiarato il portavoce del governo Avi Panzer.

Il segretario di stato Colin Powell ha ripetuto lo stesso ritornello dicendo che il "tragico e terribile incidente" non deve permettere di far naufragare la roadmap. "Dobbiamo tutti lavorare insieme per tenere il terrorismo sotto controllo."

Powell e gli ufficiali israeliani, tuttavia, hanno fallito nel far notare che la prima violazione della nuova atmosfera di apparente fiducia prodotta dalla Roadmap è stata commessa da Israele, non dai palestinesi, il giorno dopo l'incontro di Aqaba.

Vicino a Tulkarem, nel nord della West Bank, due leader di Hamas erano stati colpiti a morte dall'esercito in una casa del villaggio di Atil e un terzo era stato gravemente ferito. Nabil Abu Rudeinah, un consigliere di Arafat, ha affermato che quegli omicidi mirati erano la prova che Israele continuava la sua politica di assassinii e che non era interessato all'attuazione della roadmap.

Se non c'erano dubbi riguardo le vere intenzioni di Israele, esse venivano confermate martedì mattina quando un elicottero Apache dell'esercito ha lanciato un missile contro una jeep a Gaza che trasportava il portavoce di Hamas Abdul-Aziz Rantisi. Lui si è salvato, ma è stato difficile interpretare quell'attacco militare come qualcosa di diverso da una aperta dichiarazione di guerra ad Hamas.

Infatti gli eventi che si sono susseguiti sulla scia dell'incontro di Aqaba hanno focalizzato desolatamente il difetto centrale della Roadmap, minacciando di declassare una formula di pace in un segnale poco significativo su una strada di maggiore spargimento di sangue.

Il difetto principale del documento è racchiuso nella sua enfasi su un concetto, la sicurezza, con l'esclusione di quasi tutto il resto.

La parola che è stata messa più in evidenza nei discorsi di Aqaba è la stenografia per la sicurezza di Israele, o più precisamente l'interpretazione personale di Israele di ciò che costituisce la propria sicurezza, piuttosto che un'idea equilibrata di garanzie vincolanti di comune accordo per prevenire la violenza diretta sia agli israeliani che ai palestinesi. La ripetuta richiesta che la nuova leadership palestinese garantisca la sicurezza di Israele con la fine di tutta la violenza dall'inizio del processo di pace ignora l'attuale animato dibattito tra i gruppi armati palestinesi e la stragrande maggioranza della società palestinese riguardo ciò che è legittima resistenza a 36 anni di occupazione brutale e illegale.

Invece di portare avanti una strategia che interrompa la violenza del pan per focaccia tra militanti palestinesi ed esercito israeliano, la roadmap semplicisticamente promuove la "sicurezza" come risposta al "terrorismo", un altro ben logoro concetto con cui Israele avvolge tutte le forme di resistenza palestinese.

L'insistenza sulle misure di "sicurezza" che devono essere prese dalla leadership palestinese contro il "terrorismo",nella prima fase della roadmap, prima che uno stato palestinese "ad interim" venga creato, ha lasciato l'intero piano subordinato a ciò che Israele accetta per l'attuazione di questa clausola.

Questo significa la fine degli attacchi ai civili dentro i confini di Israele del 1948? O significa piuttosto una fine agli attacchi ai coloni, molti dei quali membri effettivi di milizie armate nella West Bank e Gaza? O significa la fine degli attacchi a obiettivi israeliani inclusi quelli militari?

La roadmap fa da rullo compressore a queste importanti distinzione legali e morali, richiedendo che le forze di polizia di Dahlan reprimano i gruppi che conducono o pianificano "violenti attacchi agli israeliani ovunque." Tutti questi attacchi vengono inequivocabilmente definiti come atti di "terrore", il che spiega perché Powell così velocemente e senza pensarci troppo ha etichettato l'attacco armato di Domenica a Gaza ai soldati come "terrorismo".

Similarmente la roadmap proibisce tutti gli incitamenti palestinesi contro Israele. Ma cosa può definirsi "incitamento": gli sceicchi che criticano l'occupazione nelle moschee, i ragazzini che lanciano sassi ai carri armati, le donne che urlano ai soldati che armano i checkpoint; i libri di testo che includono le cartine della Palestina storica?

Lo scetticismo riguardo i cambiamenti della roadmap, che offre la più limitata realizzazione dello stato palestinese, è generato dalla sua originaria debolezza; la preoccupazione principale, la sicurezza, è stata indirizzata a favore di Israele, lasciando interamente ad Israele il compito di giudicare il raggiungimento degli obblighi da parte dei palestinesi. ( I palestinesi, di contro, non avranno nessun eguale diritto a determinare ciò che costituisce un "insediamento" o la sua espansione.)

Risulta chiaro che Sharon sfrutterà questo difetto della roadmap per rendere impossibili le richieste dei palestinesi. Realisticamente, come possono le forze di sicurezza palestinesi, che sono state chirurgicamente castrate da lunghi mesi di incursioni dell'esercito israeliano, sperare di affrontare la ben più motivata e intraprendente resistenza dei militanti palestinesi? E come Israele si aspetta che queste forze di polizia, anche se ben riabilitate, imprimano la loro autorità sulla West Bank e Gaza quando l'esercito israeliano, uno dei più potenti al mondo, ha palesemente fallito in ciò nell'anno in cui ha rioccupato ogni ultimo millimetro della West Bank e gran parte di Gaza?

Quello di cui Abbas e Dahlan hanno bisogno, per aumentare la più sottile possibilità di frenare la violenza dalla loro parte, è una carota molto grande da offrire ai militanti palestinesi e a tutta la popolazione, dopo 32 mesi di colpi selvaggi con il bastone dell'esercito israeliano. Perché i palestinesi dovrebbero abbandonare la resistenza verso un'occupazione illegale della loro terra quando è scarso il segnale che l'occupazione volga verso la fine o forse la roadmap offre una strada per risolvere due delle maggiori questioni di tensione, vale a dire il futuro stato di Gerusalemme e il diritto di ritorno per milioni di profughi palestinesi.

In effetti la definizione di "sicurezza" implicitamente affronta anche l'ultimo problema, il ritorno dei profughi, a favore di Israele. La sicurezza, secondo alcune della 14 riserve israeliane presentate alla roadmap, significa anche protezione da qualsiasi provvedimento che possa danneggiare il carattere ebraico dello stato israeliano. L'affermazione di Sharon che i profughi sarebbero una bomba demografica per la distruzione dello stato ebraico è la linea di tendenza accettata a Washington.

Così il grande test per la leadership palestinese è in che misura può convincere la Casa Bianca a porre le preoccupazioni per la "sicurezza" di Israele in parametri più limitati e realistici e insistere sulla reciproca "sicurezza" per la popolazione civile palestinese.

Ciò richiederà un immediato stop alla punizione collettiva delle chiusure e dell'innalzamento dei coprifuochi. Significherà la fine alle demolizioni delle case, alle deportazioni, agli omicidi extragiudiziari, al blocco degli aiuti umanitari e al rifiuto di rilasciare permessi di costruzione. Richiederà anche lo smantellamento del "recinto di sicurezza" costruito attorno alla West Bank e la cessazione di tutte le altre forme di azioni militari volte a terrorizzare tutta la popolazione.

Così c'è da domandarsi come si pone la roadmap su queste preoccupazioni chiave della sicurezza palestinese durante il successo o il fallimento della prima fase?

Sicuramente il piano include la proibizione di alcune di queste attività: Israele non deve intraprendere "azioni che pregiudichino la fiducia, incluse le deportazioni e gli attacchi ai civili; confische e/o demolizioni di case e proprietà palestinesi come misure punitive o per facilitare costruzioni israeliane; distruzione di istituzioni e infrastrutture palestinesi e altre misure specificate nel Principio del Piano di Lavoro."

Ma queste ingiunzioni non sono incisive per tre motivi. Uno di questi si trova nella stessa formulazione. Sebbene queste azioni siano proibite, chi decide, per esempio, cosa costituisce un "attacco ai civili"? Includerà il "danno collaterale" degli spettatori uccisi in "omicidi mirati", come è accaduto durante il tentativo di assassinio a Rantisi di Martedì, o per il "fuoco di ritorno" di un carro armato dopo un attacco mortale? Comprenderà gli scolari uccisi per aver lanciato sassi o per aver posseduto una fionda? Includerà donne gravide uccise per aver violato il coprifuoco o studenti uccisi per aver eluso un blocco stradale? In questo momento Israele considera questi attacchi come legittime ritorsioni contro le "infrastrutture terroristiche".

Una squadra di monitoraggio, composta interamente da americani per insistenza di Israele, è tenuta a sorvegliare l'attuazione della roadmap. Ma come potranno 13 sorveglianti, anche se liberi dalle pressioni politiche interne americane che parteggiano per Israele, a stare in tutti i checkpoint o a seguire tutti i carri armati? E se non sono testimoni di eventi, a quale parola crederanno: a quella del comandante dell'esercito o a quella dei comuni palestinesi?

Anche il divieto di confische di terra e di demolizioni di case è soggetto alla clausola aggiunta che queste misure sono proibite solo se "punitive" o designate per aiutare l'espansione coloniale. Da notare che non sono proibite se Israele le ritiene necessarie per assicurare la propria "sicurezza", come è stato dichiarato quando sono state demolite centinaia di case, livellati migliaia di acri di coltivazioni e sradicati decine di migliaia di alberi di olivo.

Secondariamente la fragilità delle ingiunzioni contro Israele è messa in evidenza da un'altra sezione della roadmap che richiede a Israele di "normalizzare" la vita palestinese lasciando le aree "occupate dal 28 settembre 2000", il giorno della visita di Sharon a Haram Al-Sharif e dell'effettiva esplosione dell'Intifada, seguita da incursioni israeliane nelle aree A e B, le aree autonome concesse ad Oslo.

Il problema è la supposizione che tornando alla status quo prima dell'Intifada ci sia la "normalizzazione". L'Intifada è avvenuta precisamente perché la vita per i palestinesi non era stata normale durante gli anni di Oslo.

Infatti il 60% della West Bank e il 20% di Gaza erano ancora sotto il controllo dell'esercito israeliano. Anche nelle aree nominalmente sotto l'autorità palestinese, la vita era duramente circoscritta da blocchi stradali e checkpoints che rendevano difficili i movimenti.

Per di più durante il periodo di Oslo l'occupazione è stata rafforzata da lontano dall'esclusivo controllo di Israele dei confini palestinesi, degli spazi aerei, del commercio e delle risorse primarie come l'acqua. Niente di questo ci si aspetta che cambi nell'immediato futuro.

Per esempio la roadmap non farà niente per mettere fine alla politica delle "chiusure generali" che decollarono durante gli anni di Oslo, bloccando di fatto l'accesso della West Bank e Gaza da Israele. Per la forza lavoro palestinese, dipendente in gran parte dall'economia israeliana per il lavoro, le conseguenze sono state catastrofiche. Questo tipo di normalizzazione è a mala pena adatta per indebolire il supporto palestinese alla resistenza armata o per rendere il lavoro di Abbas di garantire la sicurezza israeliana un po' più facile.

E terzo, come può qualcuno credere che israeliani e palestinesi possano avanzare dalla prima alla seconda fase, la creazione di uno stato palestinese "interim", quando a Israele è stato solo richiesto di "congelare" le attività coloniali nella prima fase? Quali probabilità ci sono che Israele permetta a questo stato palestinese evanescente e alle sue altrettanto evanescenti forze di polizia di assumersi la responsabilità della sicurezza di più di 400.000 coloni israeliani? E come venderà Abbas l'idea di finire, o quantomeno fermare temporaneamente, la resistenza armata all'occupazione quando il suo stato attuale è tagliato a pezzi dagli esistenti insediamenti?

L'unica certezza nelle prossime settimane e nei prossimi mesi è che la buona volontà di Sharon non sarà imminente.

Infatti il primo ministro israeliano non ha concesso quasi niente finora: a poche migliaia di palestinesi può essere permesso di uscire dalle loro gabbie per lavorare in parchi industriali israeliani di alta sicurezza; 100 prigionieri di sicurezza, la maggioranza di loro senza alcuna accusa e molto vicini alla fine della loro detenzione amministrativa, sono stati rilasciati su una popolazione incarcerata di 8000 persone; pochissimi soldi hanno raggiunto l'Autorità Palestinese da un enorme somma di denaro di tasse occulate che Israele ha trattenuto nei lunghi mesi dell'Intifada; e una dozzina o più di " avamposti illegali", per lo più campi di roulotte disabitate, stanno per essere smantellati per venire incontro alle condizioni della roadmap contro l'espansione coloniale da quando Sharon è salito al potere ( e si può esser certi che Sharon mostrerà felicemente la risposta violenta dei coloni a ogni minima crepa per sfruttare la solidarietà del mondo).

Per quanto riguarda il principale problema che affronta la popolazione palestinese, la rigida imposizione di blocchi stradali e di checkpoint, che ha effettivamente strangolato tutta la vita economica, così come ha svuotato i palestinesi dell'ultima vestigia della loro dignità, non c'è nessun progresso. Israele ha imposto nuovamente una completa chiusura della West Bank poco dopo l'incontro di Aqaba e prima dell'attacco di Domenica a Gaza. Anche se la chiusura è ripresa di nuovo, nessun attacco palestinese riporterà quasi sicuramente indietro lo strangolamento.

Nonostante la miserevolezza delle offerte di Sharon, il prezzo che sta domandando ad Abbas è esorbitante. Quello che soddisferà Sharon non è la fine, temporanea o permanente, degli attacchi ai civili, né sarà soddisfatto con uno stop agli attacchi ad obiettivi militari.

Quello che Sharon richiede ad Abbas è il completo disarmo dei gruppi militanti palestinesi, con la forza se necessario. La sicurezza di Israele, secondo Sharon, può essere assicurata solamente con l'abbandono di ogni potenziale per la lotta armata contro l'occupazione e la demilitarizzazione deve realizzarsi prima che egli prenda qualche concreta azione per porre fine all'occupazione.

Se Abbas non è stato attento alla reazione dei suoi stessi gruppi militanti a questa richiesta, gli è stato chiarito nel periodo dopo l'incontro di Aqaba. Così ha osservato alla richiesta di Sharon di Domenica: " Non permetteremo a nessuno di trascinarci verso una guerra civile."

La paura di scatenare una guerra civile, un Abbas isolato potrebbe facilmente perdere contro le forze unite di Hamas, della Jihad e delle Brigate, è la causa principale del suo rifiuto continuo e di quello di Dahlan, nonostante quasi tutte le offerte maliziose di Sharon, di prendersi la responsabilità della sicurezza in questa prima fase dei territori di Gaza e della West Bank.

Un articolo della rispettata analista Akiva Eldar nel quotidiano Ha'aretz ha rivelato che ad un incontro tra le due parti, è stato richiesto a Dahlan che provi la sua serietà nell'organizzare una battaglia armata tra Hamas e le nuove forze di polizia in cui importanti membri di Hamas dovrebbero essere uccisi. Dahlan ha rifiutato.

Ottimisticamente Abbas spera di ottenere migliori progressi continuando i negoziati con Hamas, il suo maggiore ostacolo per assicurare un cessate il fuoco. Ma gli altri partecipanti alla roadmap, principalmente gli americani, così come gli stati europei e arabi, si sono resi conto della difettosa logica nel cuore della roadmap?

Apparentemente no. Tutti si stanno facendo in quattro per farsi vedere nell'aiutare ad organizzare un cessate il fuoco e a risuscitare le forze di polizia palestinesi.

Il principale attore fra gli stati arabi è l'Egitto, il cui ministro dell'Intelligence Omar Suleiman è stato impegnato per molti mesi in negoziati con i rappresentanti alternativamente di Hamas e dell'Autorità Palestinese per accordarsi su un temporaneo cessate il fuoco.

L'Egitto crede che la leadership di Hamas su Gaza possa essere utilizzata per riportare l'ordine aumentando le pressioni per un cessate il fuoco sulla leadership del gruppo esiliato sotto Kahled Meshal, a Damasco. Lo straniero Hamas è stato tradizionalmente di linea più dura dei Gazani, ma presumibilmente è disposto ad "ammorbidirsi".

La Siria, essendo minacciata da Washington per il suo ruolo di alleata nel proteggere il terrorismo, ha chiuso gli uffici di Hamas e di altri gruppi militanti palestinesi della capitale. I delegati egiziani sono stati ad aspettare il ritorno della Siria e del Libano questa settimana per fare altre pressioni ad Hamas.

In vista del confronto tra le forze di Dahlan e i militanti, gli europei e gli americani hanno inviato carichi di attrezzature per la polizia dei territori per sostenere le nuove forze di polizia, comprese jeep, scudi antisommossa, elmetti e armi leggere. E nella città della West Bank di Gerico l'agenzia americana della CIA è stata chiamata ad aiutare ad addestrare quello che resta delle forze di sicurezza palestinesi.

In linea con il pensiero di Sharon tutti gli attori esterni sembrano determinati a investire il destino della roadmap solamente nella resurrezione delle forze di polizia palestinesi come garanti della sicurezza di Israele. Qualsiasi voce di dissenso sarà soffocata nel silenzio.

L'errore di Oslo si sta ripetendo: che una soluzione al conflitto possa essere trovata nelle realizzazioni palestinesi delle ambizioni nazionali israeliane invece che nelle proprie, ancora più lontane dall'obiettivo. I palestinesi devono ancora una volta contribuire a rafforzare l'occupazione nel nome di Israele.