Ferrara & C. o dei falsi amici del popolo israeliano.
La sortita del presidente iraniano Ahmadinejad per gli Stati Uniti leaders della armada che occupa, con vari pretesti, tutti falsi, l’Iraq è come una manna caduta inaspettatamente dal cielo. Se non ci fosse, è il caso di dirlo, avrebbero dovuto inventarlo. Di Cinzia Nachira. Novembre 2005.


In Italia lo scenario è particolarmente deprimente. Giuliano Ferrara non è nuovo a sortite del genere. Oggi la sua consorteria, però, si avvantaggia di molte cose, tra cui la più importante è il fatto che il centro sinistra, per accreditarsi come “più affidabile” di Berlusconi presso gli Usa, la borghesia industriale e militare italiana ed europea, si accoda ad una espressione di finta solidarietà con il popolo israeliano. A coloro, tutti senza eccezione, che giovedì 3 novembre si ritroveranno sotto le finestre dell’ambasciata iraniana a Roma, nulla importa del destino degli israeliani, ebrei o palestinesi che siano.

Ancora più deprimente lo spettacolo offerto dalla cosiddetta “sinistra del centro sinistra”, aderire, con qualsiasi alibi alla manifestazione del 3 novembre è un errore politico mastodontico, che pagherà tutto intero il popolo israeliano. Di questo diverse persone porteranno il peso sulla coscienza. Esagerazione? No. Oggi coloro che nel  mondo sono veramente schierati al fianco del popolo israeliano sono coloro che aiutano gli israeliani a ritrovare la propria umanità, collettiva ed individuale.

Da molti anni, certamente prima di Ferrara, Fassino ed altri, abbiamo difeso il diritto dello Stato d’Israele all’esistenza. Questa non è una rivendicazione di comodo, non partecipiamo alla gara, comoda oggi, a chi è più pronto a dimostrare la propria “lealtà”.
A vedere bene questa sortita iraniana cava le castagne dal fuoco da molti cestini in fiamme. Il primo che ringrazia Ahmadinejad è George W. Bush, in piena tempesta sulla Casa Bianca, che con ogni probabilità gli decapiterà il nucleo pensante dei neoconservatori, può rimodulare senza sforzi eccessivi il piano complessivo della guerra globale e preventiva. Ormai da mesi e mesi Iran e Siria erano nel mirino statunitense e dei suoi lacchè europei. Ma come giustificare un attacco ad un Paese grande, agguerrito, e non sopraffatto da 11 anni di embargo come l’Iraq,  nel momento in cui è noto a tutti che Israele (grazie alla tecnologia francese) possiede ben 400 testate nucleari, di cui rivendica l’esplicito uso militare? Grazie, Ahmadinejad.

Ahmadinejad ha reso anche un grande servizio a Berlusconi. Prima della sua sortita sulla scia del Niger Gate, in cui sono coinvolti i nostri servizi che si sono inventati un dossier sull’acquisto da parte irachena di uranio in quello sventurato Paese, mentre un ambasciatore statunitense marito di un agente della Cia smentiva che ciò fosse mai accaduto, il primo ministro italiano è stato costretto a smarcarsi dagli Usa. Facendo la parte del buon padre che cerca di convincere i figli testardi a fare i bravi, ha potuto rifare lo stesso salto triplo con avvitamento rivelandosi ancora un “amico caro di George…”. Senza parlare delle castagne incandescenti cavate dal cestino italiano del caso Calipari. Ma se vogliamo questo è il folklore, il colore di una tragedia che si addensa sulle nostre teste e che in pochi vogliono vedere e capire. La cosa vera è che nonostante tutto Stati Uniti & C. avevano bisogno di una via di fuga dall’Iraq, ben inteso non per rinunciare all’occupazione o alla ricolonizzazione di quel Paese, bensì per renderla più accettabile nei loro Paesi e anche per diminuire le perdite della armada, che al proprio interno causa fenomeni strani e sicuramente poco controllabili come “mamma Cindy”.
Ma per realizzare questo obiettivo tattico, senza rinunciare al piano strategico di destabilizzare il mondo intero mantenendo la supremazia delle proprie industrie belliche, diminuire i conflitti sociali, politici e culturali nei loro Paesi, avevano bisogno di un buon pretesto e questa volta Ahmadinejad gli offre il miglior pretesto possibile che non ha neanche bisogno di dossier, ispezioni, rapporti fantasiosi, ecc.
Probabilmente la nuova guerra contro l’Iran non è dietro l’angolo, ma c’è un grande nuvolone che si addensa su quel popolo e su tutti noi, israeliani compresi, se non per primi.
Negli ultimi cinque anni la violenza israeliana contro i palestinesi ha fatto un salto qualitativo terribile. Ne pagano il prezzo più alto i palestinesi, ma lo stesso popolo israeliano non è esente. La società israeliana si è andata brutalizzando sempre più e questa brutalità si ripercuote su se stessa. Chi conosce veramente quel Paese, lo ama ed ha a cuore il suo futuro, sa bene come non sia accettabile, né sopportabile all’infinito un modo di concepire lo stare al mondo solo per difendersi preventivamente armi alla mano dai pericoli inventati da gruppi dirigenti asfittici, cui nulla importa se ad Hadera, Tel Aviv, Gerusalemme piuttosto che a Ramallah, Gaza o Nablus muoiono decine e centinaia di innocenti. Reinnescando continuamente l’odio, come unico elemento relazionale tra noi e l’altro, il preteso diverso, e per ciò stesso il Nemico assoluto. Di cui non si vede il volto, l’età. Di cui non conosciamo la voce, né i sogni o i desideri. Di questo Nemico sappiamo soltanto che è la minaccia alle nostre case “tiepide”, come disse Primo Levi. Sappiamo solo, di questo Nemico, che è necessario cancellarlo, estirparlo che abbia pochi mesi o novant’anni, che cerchi di passare un check point per andare in ospedale o scavalchi i muri di Melilla poco importa. Coloro che dall’interno della tribù sacralizzata, divenuta unico scopo di vita, cercano di gettare lo sguardo, una mano al di là di questi muri diventano anch’essi nemici. Peggiori dei collaborazionisti, perché in gran parte lo fanno senza un torna conto comprensibile, assorbibile come il denaro o il potere immediato; ma solo per il desiderio di una vita dignitosa, vivibile per tutti e tutte. Questo è il vero nemico
da battere. Chi si ritroverà sotto le finestre dell’ambasciata iraniana il 3 novembre lo farà in nome di questo e noi non ci saremo lo diciamo a gran voce, senza timore di liste di proscrizione. Senza timore di essere additati come nemici di un mondo che è votato, prima o dopo poco importa, all’autodistruzione, nucleare o per fame non muta il dato.

Abbiamo numerose volte nuotato controcorrente. Un detto ebraico recita: solo i pesci morti seguono la corrente, quelli vivi la sfidano.
Sappiamo però che noi oggi sfidiamo la corrente insieme a coloro che dall’interno dello stesso Israele lanciano un grido d’aiuto per non restare soli a combattere contro il Muro, l’apartheid, la colonizzazione di un popolo.
Chi oggi minaccia l’esistenza di Israele non è Ahmadinejad, ne sono i Paesi arabi, sono coloro che scateneranno un’altra puntata della guerra globale, quelli, tutti senza eccezioni (anche coloro che aderiscono all’appello degli antisemiti che stanno dietro e al fianco di Ferrara, con distinguo, e i se e i ma del caso). Noi che il 3 novembre non saremo al fianco di Ferrara saremo invece al fianco degli Ebrei Europei per una Pace Giusta (EJJP) che hanno dichiarato: “Non siamo disposti a avallare in silenzio la pretesa di Israele, la potenza occupante, a parlare a nome degli ebrei del mondo intero, ad agire in nome dei nostri avi, di cui molti sono stati vittime del genocidio nazista, e a farlo per il bene di tutte le vittime dell’antisemitismo e del razzismo”. Saremo al loro fianco nella richiesta che ogni accordo militare, che coinvolga l’Italia nell’appoggio del governo militarista e espansionista israeliano, venga annullato. Saremo al loro fianco in Europa e in Palestina/Israele perché quel Muro della vergogna venga abbattuto, perché in Palestina/Israele si inauguri una strada diversa, ancora percorsa da pochi, che veda prevalere la convivenza sul conflitto ad ogni costo. Saremo nelle piazze europee dal 9 al 16 novembre per lottare contro tutti i muri, visibili o meno, fatti di cemento o di filo spinato, che vogliano dividere per colonizzare o vogliano dividere per buttare a mare centinaia di esseri umani in fuga da guerre, fame e repressione. Saremo al loro fianco come siamo al fianco dei palestinesi che chiedono il diritto all’esistenza senza chiedere ad altri di sparire. Ma siamo chiari su un punto non ci interessa in alcun modo uno scambio. Se domani quelli che saranno in piazza con Ferrara verranno ad una manifestazione contro la guerra, l’apartheid, i muri non li cacceremo, ma non li invitiamo, ne tanto meno una eventuale dichiarazione in tal senso ci spinge a raggiungerli il 3 novembre. Noi siamo senza se e senza ma contro le guerre, tutte. Siamo contro senza se e senza ma tutti gli integralismi: vestano il turbante, la kippà, tonache di ogni fattura o il doppiopetto dei piazzisti d’armi, dei leaders  occidentali pronti ad indossare turbanti, tonache o kippà a seconda delle loro necessità, delle loro guerre. Noi continueremo ad essere vivi e a vivere senza vergogna. Nuotando controcorrente.