Il vero obiettivo di Israele è salvaguardare lo status quo.
Israele non vuole la pace. Non c'è niente di quello che ho scritto finora di cui sarei più contento di essere smentito. Ma le prove si sono accumulate a dismisura. In effetti, si può dire che Israele non ha mai voluto la pace – una pace giusta, cioè basata su un compromesso equo per entrambe le parti (di Gideon Levy). Reds - Luglio 2014



È vero che l'abituale saluto in ebraico è "Shalom" ("Pace") – quando uno se ne va e quando arriva. E, di primo acchito, praticamente ogni israeliano direbbe di volere la pace, è ovvio. Ma non farebbe riferimento al tipo di pace che porterebbe anche alla giustizia, senza la quale non c'è pace, e non ci potrà essere. Gli israeliani vogliono la pace, non la giustizia, certamente non basata su principi universali. Quindi, "Pace, pace, quando pace non c'è." Non soltanto non c'è pace: negli anni recenti, Israele si è allontanato persino dall'aspirare a fare la pace. Ha perso totalmente il desiderio di farla. La pace è scomparsa dalla prospettiva di Israele, e il suo posto è stato preso da un'ansietà collettiva che si è sistematicamente impiantata, e da questioni personali, private che ora hanno la prevalenza su tutto il resto.

Verosimilmente il desiderio di pace di Israele è morto circa dieci anni fa, dopo il fallimento del summit di Camp David nel 2000, la diffusione della menzogna secondo cui non ci sono partner palestinesi per fare la pace, e, ovviamente, l'orribile periodo intriso di sangue della Seconda Intifada. Ma la verità è che, persino prima di tutto questo, Israele non ha mai veramente voluto la pace. Israele non ha mai, neppure per un minuto, trattato i palestinesi come esseri umani con pari diritti. Non ha mai visto la loro sofferenza come una comprensibile sofferenza umana e nazionale. Anche il campo pacifista israeliano- se pure è mai esistito qualcosa del genere – è morto anche lui di una lunga agonia tra le sconvolgenti scene della Seconda Intifada e la menzogna della mancanza di una controparte [palestinese]. Tutto ciò che è rimasto è stato un pugno di organizzazioni tanto determinate e impegnate quanto inefficaci nel contrastare le campagne di delegittimazione costruite contro di loro. Perciò Israele è rimasto con il suo atteggiamento di rifiuto.

Il dato di fatto più evidente del rifiuto della pace da parte di Israele è, ovviamente, il progetto di colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c'è mai stato una più attendibile o più evidente prova inconfutabile delle reali intenzioni [di Israele] di questa particolare iniziativa. In poche parole: chi costruisce gli insediamenti vuole consolidare l'occupazione, e chi vuole consolidare l'occupazione non vuole la pace. Questa in sintesi è la questione. Ammettendo che le decisioni di Israele siano razionali, è impossibile accettare che la costruzione delle colonie e l'aspirazione alla pace siano vicendevolmente. Ogni attività per la costruzione degli insediamenti dei coloni, ogni roulotte e ogni balcone trasmette rifiuto. Se Israele avesse voluto raggiungere la pace attraverso gli Accordi di Oslo, avrebbe almeno bloccato la costruzione di colonie di sua spontanea iniziativa. Il fatto che non sia avvenuto prova che gli accordi di Oslo sono stati un inganno, o nella migliore delle ipotesi la cronaca di un fallimento annunciato. Se Israele avesse voluto ottenere la pace a Taba, a Camp David, a Sharm el-Sheikh, a Washington o a Gerusalemme, la sua prima mossa avrebbe dovuto essere la fine di qualunque tipo di edificazione nei Territori [occupati]. Senza porre condizioni. Senza contropartita. Che Israele non lo abbia fatto è la prova che non vuole una pace giusta.

Ma le colonie sono state solo la pietra di paragone delle intenzioni di Israele. Il suo atteggiamento di rifiuto è molto più profondamente radicato nel suo DNA, nelle sue vene, nella sua ragione d'essere, nelle sue originarie convinzioni. Lì, a livello più profondo, risiede il concetto che questa terra è destinata solo agli Ebrei. Lì, a livello più profondo, è fondata la valenza di "am sgula" – "il prezioso popolo" di Dio – e "siamo gli eletti da Dio". In pratica, ciò viene inteso con il significato che, in questo territorio, gli ebrei possono fare quello che agli altri è vietato. Questo è il punto di partenza, e non c'è modo di passare da questo concetto ad una pace giusta. Non c'è modo di arrivare ad una pace giusta quando il gioco consiste nella de-umanizzazione dei palestinesi. Non c'è modo di arrivare ad una giusta pace quando la demonizzazione dei palestinesi è inculcata quotidianamente nelle menti della gente.

Quelli che sono convinti che ogni palestinese è una persona sospetta e che ogni palestinese vuole "gettare a mare gli ebrei", non faranno mai la pace con i palestinesi. La maggioranza degli Israeliani è convinta della verità di queste affermazioni. Nell'ultimo decennio, i due popoli sono stati separati gli uni dagli altri. Il giovane israeliano medio non incontrerà mai un suo coetaneo palestinese, se non durante il servizio militare (e solo se farà il servizio militare nei Territori [occupati]). Neanche il giovane palestinese medio incontra mai un suo coetaneo israeliano, se non il soldato che brontola e sbuffa ai checkpoint, o irrompe a casa sua nel bel mezzo della notte, o il colono che usurpa la sua terra o che incendia i suoi alberi.

Di conseguenza, l'unico incontro tra i due popoli avviene tra gli occupanti, che sono armati e violenti, e gli occupati, che sono disperati e anche loro tendenzialmente violenti. Sono passati i tempi in cui i palestinesi lavoravano in Israele e gli israeliani facevano la spesa in Palestina. E' passato il tempo delle relazioni quasi normali e quasi paritarie che sono esistite per pochi decenni tra i due popoli che condividono lo stesso territorio. E' molto facile, in questa situazione, incitare e infiammare i due popoli uno contro l'altro, spargere paure e instillare nuovo odio oltre a quello che già c'è. Anche questa è una sicura ricetta contro la pace.

Così è sorto un nuovo desiderio di Israele, quello della separazione: "Loro se ne staranno là e noi qua (e anche là)." Proprio quando la maggioranza dei palestinesi – una constatazione che mi permetto di fare dopo decenni di corrispondenze dai Territori occupati – ancora desidera la coesistenza, anche se sempre meno, la maggioranza degli israeliani vuole il disimpegno e la separazione, ma senza pagarne il prezzo. La visione dei due Stati ha guadagnato una diffusa adesione, ma senza la minor intenzione di metterla in pratica. La maggioranza degli israeliani è favorevole, ma non ora e forse neppure qui. Sono stati abituati a credere che non ci sono partner per la pace – ossia una controparte palestinese – ma che ce n'è una israeliana.

*Traduzione di Amedeo Rossi