Le classi sociali in Italia.
Esistono
i "proletari" e i "borghesi"? E' vero che gli operai non
ci sono più? Quanti sono i lavoratori? Associazione Cultura Popolare.
Settembre 1996.
Cosa significa "classe sociale"?
Significa individuare gruppi di cittadini che hanno in comune un legame sociale ed economico forte. Gran parte delle discussioni sul tema riguardano proprio la natura di questo legame. Alcuni ad esempio aggregano le persone in base alla professione che esercitano. In questa maniera però mettiamo in una stessa categoria persone socialmente molto differenziate; ad esempio tra gli "ingegneri" comparirebbero insieme il capitalista De Benedetti, il dipendente subordinato di una grande fabbrica e il libero professionista. Un altro criterio discutibile é quello della classificazione secondo il reddito. Rischiamo di mettere insieme in una stessa categoria il bottegaio senza dipendenti, un tirchissimo piccolo capitalista che riserva per sé una quota irrilevante dei profitti, un operaio. Queste tre figure sociali potrebbero percepire lo stesso reddito, ma nei fatti hanno interessi sociali diversi ed addirittura opposti. Un altro criterio sbagliato é quello psicologico. Un operaio con idee fasciste, non per questo cessa di essere un operaio, così come un capitalista marxista (Engels!), non per questo cessa di essere un capitalista.
Che diceva Marx?
Marx, che non ha
avuto la possibilità di approfondire granché l'argomento, suggeriva
un criterio che ci sembra molto utile. Individuare la classe sociale sulla base
della posizione rispetto ai mezzi di produzione. I mezzi di produzione sono
l'insieme dei mezzi (sostanzialmente le macchine) che permettono, attraverso
il lavoro, di produrre valore. Marx individuava su questa base quattro grosse
classi sociali.
Una é quella di coloro che vivono di rendita (oggi praticamente sparita):
non investono soldi, ma vivono degli affitti dei propri terreni (oggi sono più
numerosi quelli che vivono degli affitti dei propri appartamenti).
La seconda classe é quella dei capitalisti: sono i proprietari dei mezzi
di produzione: non impiegano il proprio lavoro per far funzionare i mezzi, ma
si limitano ad un compito di controllo e direzione. De Benedetti così
é un capitalista, anche se si é laureato in ingegneria. Ma anche
il tirchio capitalista che reinveste tutti i possibili utili, ancor prima di
registrarli come tali, e riserva per sé poche lire per comprarsi pane
e cipolle: per quanto sia sobrio il suo stile di vita, lui é comunque
proprietario dei suoi mezzi di produzione.
La terza classe individuata da Marx é quella della piccola borghesia.
L'artigiano con le sue macchine, il bottegaio con il suo negozio, il coltivatore
diretto con il suo appezzamento di terreno, il taxista con la sua automobile
e la sua licenza, ecc. sono proprietari del proprio mezzo di produzione, ma
sono costretti per ricavarne qualcosa a lavorarci direttamente in prima persona.
Il termine "borghesia" sta ad indicare che sono proprietari dei propri
mezzi di produzione, il termine "piccola" che comunque sono loro che
ci lavorano.
La quarta classe é quella degli oparai: non sono proprietari dei propri
mezzi di produzione e sono costretti a vendere la propria capacità lavorativa
(forza lavoro) a chi i mezzi di produzione li possiede (i capitalisti). Il capitaista
estorce loro il plusvalore, non dà loro cioé la quota intera corrispondente
al lavoro svolto, ma ne trattiene una parte. Si potrebbe dire in altri termini
che l'operaio lavora un certo numero di ore che gli vengono effettivamente pagate
ed una parte di ore durante le quali lavora gratis per il padrone. Nella classe
operaia Marx includeva anche gli impiegati dell'industria e gli addetti ai trasporti.
Seguendo questo criterio però riusciamo a "catalogare" solo
metà della popolazione economicamente attiva.
La nostra società é complessa?
La ragione di ciò non sta nel fatto che Marx si era sbagliato, oppure che la società di oggi é più complessa. È vero il contrario: rispetto al secolo scorso la società si é terribilmente semplificata. Quando parlava delle classi sociali del sistema capitalista Marx parlava di un sistema che in realtà ai suoi tempi era solo all'inizio e non si era pienamente sviluppato coinvolgendo l'intera società. La classe operaia rappresentava una porzione assolutamente minoritaria della popolazione, anche nell'Europa Occidentale: la parte del leone la facevano i contadini. Prendiamo la classe dominante di allora: la frazione di industriali e borghesi era minoritaria. C'erano molti nobili per esempio. Quanto alla classe operaia, il suo nucleo forte era costituito dai cosiddetti "operai di mestiere" che avevano spesso alle proprie dipendenze dei ragazzini, apprendisti, che li aiutavano e lo stesso operaio era pagato a cottimo. E si pensi alla campagna: vi erano decine di diverse figure sociali, dal bracciante al piccolo proprietario, dall'affittuario al mezzadro, al mezzadro che era anche bracciante... Come Marx da quel caos sociale sia riuscito a tirar fuori una analisi e una teoria limpida e chiara che ha precorso la realtà di un secolo, resta un mistero. Oggi fortunatamente la realtà sociale si é semplificata. Abbiamo una serie di apparati al cui interno si é verificata una grande varietà di specializzazioni, ma che sono varianti di una stessa appartenenza.
Gerarchie e classi sociali
Prendiamo il mondo
della fabbrica. Nella fabbrica lavorano operai comuni, tecnici della produzione,
manutentori, operai specializzati. Vi sono poi gli impiegati di fabbrica, già
considerati da Marx. È evidente infatti che pur non svolgendo un lavoro
manuale, sono comunque costretti a vendere la propria forza lavoro (intellettuale),
ricevendone in cambio uno stipendio che non corrisponde al valore prodotto.
Il valore delle merci prodotte insomma non incorpora solo il lavoro degli operai,
ma anche degli impiegati, senza il cui lavoro nessuna merce riuscirebbe ad uscire.
Tra impiegati ed operai esistono forti rivalità. In Italia i primi sono
pagati più dei secondi e godono di privilegi (ambienti di lavoro più
sani, ecc.), ma le differenze salariali rispetto ai profitti dei capitalisti
sono assolutamente minimi (e variabili da Paese a Paese: in alcuni gli operai
sono pagati meglio degli impiegati), e le due figure dipendono in egual misura
dal potere della direzione.
Nella fabbrica moderna di solito il capitalista, proprietario dei mezzi di produzione,
é sostituito nella direzione, o coadiuvato, da una serie di figure: manager,
dirigenti, ecc. Anche nelle alte sfere cioé vi é una specializzazione
dei compiti di direzione (direzione del personale, vendite, rapporti coi fornitori,
ecc.). Formalmente si tratta di stipendiati, ma solo, appunto, formalmente.
In realtà queste figure si appropriano di una quota di plusvalore (per
questo non é molto corretto indicando i proletari, parlare di lavoratori
dipendenti: anche Romiti, formalmente lo é). Gli stipendi dei manager
e dei dirigenti (compresi vari benefici e privilegi), anche dei più scalcinati,
oggi non é mai al di sotto dei 15 milioni al mese. Non a caso sono quasi
sempre anche cointeressati all'azienda: dato l'ambiente che frequentano sanno
come funziona la borsa e sono sempre proprietari di quote azionarie delle proprie
o altru società. Questa gerarchia di fabbrica é profondamente
solidale e dipende strettamente dal grado di sfruttamento che riescono ad imporre
agli operai. Il loro reddito proviene totalmente dal plusvalore estorto. Il
meccanismo é comune sia alle aziende in mano privata che pubblica. In
effetti gli stipendi dei manager pubblici non differiscono affatto da quelli
delle aziende private. Potremmo dire dunque che capitalisti più manager
e dirigenti costituiscono una sola classe (pur con all'interno delle differenze
non sostanziali), questa classe composita potremmo chiamarla borghesia.
Nella realtà di fabbrica esistono anche figure intermedie, con funzioni
di controllo della forza lavoro e di organizzazione della produzione: i famosi
quadri. Non fanno parte della borghesia, poiché non decidono nulla se
non nel limitatissimo campo di loro competenza. Al contrario del dirigente,
anche se specializzato, il quadro non "vede" il processo di produzione
nella sua globalità, é addetto ad un compito esecutivo anche se
di controllo su altri dipendenti, su di loro non ha potere totale (in ultima
analisi é alla direzione che spetta decidere se licenziare o meno, se
assumere, o no), anche se gli viene lasciata molta discrezionalità. Vive
del plusvalore operaio (nel senso che se non esistesse questa figura le merci
uscirebbero ugualmente), ma con una certa approssimazione potremmo dire che
riceve lo stipedio che riceverebbe un operaio se non gli venisse estorto plusvalore.
Raramente supera il doppio dello stipendio operaio. Sono organizzati non a caso
indipendentemente sia dai capitalisti che dai sindacati: hanno propri organismi
di rappresentanza che si scontrano sia con quelli dei lavoratori che con quelli
della direzione. Le ristrutturazioni sono decise dalla direzione, non dai quadri,
che non ne sanno nulla, e a volte ne sono le vittime. È vero che nella
lotta interna ai gruppi dirigenti spesso saltano alcuni dirigenti, ma questi
planano sempre sul morbido (finiscono per fare i dirigenti in altre società),
non così é per i qudri. Nonostante ciò, visto la mansione
che svolgono, sino ad ora i quadri hanno sempre scelto la solidarietà
con le alte gerarchie aziendali invece di quella con i lavoratori, anche se
al riguardo esistono eccezioni (mentre non ne esistono per i dirigenti). Con
una qualche forzatura possiamo considerare quella dei quadri una sottocategoria
della piccola borghesia.
Al di fuori della fabbrica
Vi sono poi imprese
capitaliste (ad esempio le banche, ecc.), che non producono merci. Hanno molti
impiegati e pochi operai. Anche se non producono merci, concorrono comunque
indirettamente alla loro produzione e potremmo considerarli uffici commerciali
e finanziari distaccati delle imprese. Al loro interno ritroviamo la stessa
gerarchia aziendale: banchieri e membri dei consigli di amministrazione (i capitalisti),
dirigenti, quadri, impiegati. È chiaro che questi ultimi appartengono
al proletariato, anche se in Italia percepiscono stipendi superiori (3-400.000
lire in più) rispetto ai corrispondenti livelli di fabbrica. In altri
paesi é vero l'opposto (ad esempio gli USA, il Brasile), dunque la cosa
non é da considerarsi un dato strutturale, ma dipendente delle specifiche
condizioni di ogni Paese.
Vi é poi il mondo dell'amministrazione statale e dei servizi. Rispetto
ai tempi di Marx questo settore si é di molto ampliato, dato che la società
si é semplificata e tutta intera é al servizio della produzione
delle merci e della riproduzione di una forza lavoro efficiente, quindi istruita
e sana.
Prendiamo gli ospedali. Al loro interno abbiamo i dirigenti e i primari (i cui
stipendi e benefici indiretti sono uguali a quelli dei dirigenti privati dell'industria),
i quadri, operai (pulizie, cucine, riparazioni), tecnici (infermieri) e impiegati.
La scuola. Al suo interno abbiamo insegnanti, tecnici, addetti alla pulizia
ed alla sorveglianza, che appartengono al proletariato (con differenze di stipendio
simili a quelle tra operai ed impiegati dell'industria). E vi sono i "quadri":
direttori e presidi. Il potere di questi ultimi é molto limitato (simile
a quello dei quadri nell'industria), devono far trottare i dipendenti, ma in
ultima analisi dipendono da quel che ordina loro "il Ministero" o
"il Provveditorato". Il loro stipendio é simile a quello dei
quadri. Vi é una tendenza ad accrescere il potere e l'autonomia dei presidi,
se ciò si verificasse costoro diverrebbero dei "dirigenti"
e dunque assimilabili alla borghesia. Diverso il caso delle università
dove invece i docenti hanno in mano tutto il potere di gestione (e tra l'altro
percepiscono stipendi e benefici indiretti della stessa etità di quella
dei manager privati).
E i ministeri e gli enti locali? Anche nell'amministrazione si possono ritrovare
le tre scale gerarchiche tra direzione, quadri ed impiegati (e operai).
Vi sono poi gruppi sociali strani. Ad esempio: dove mettiamo la burocrazia sindacale
e funzionari di associazioni di categoria? Anche qui la divisione é a
seconda del livello: i dirigenti hanno entrate simili a quelli dei manager e
pari potere (all'interno della propria "azienda"), i funzionari normali
sono dei lavoratori dipendenti (per quanti danni facciano agli altri loro colleghi).
Cooperative: i dirigenti sono dei borghesi a tutti gli effetti, i cosiddetti
"soci" devono essere classificai tra i proletari, visto che la qualifica
di socio é puramente formale nella stragrande parte delle copooperative
(dove i soci non contano nulla). Gerarchia ecclesiastica: papa, vescovi e cardinali
fanno parte della borghesia (salvo eccezioni di vescovi che scelgono di vivere
tra i poveri e che rinunciano ad esercitare potere sui sottoposti, ad esempio
Gaillot in Francia), così come quei preti che gestiscono l'azienda parrocchia
(sono dei manager di ditte con dipendenti e ricavi di varie centinaia di milioni).
Al contrario i preti di parrocchie povere (la cui fonte di reddito é
rappresentata solo dallo stipendio passato dalla gerarchia), i preti che vivono
dell'insegnamento e i preti operai sono ovviamente dei proletari. Le armi: esercito,
carabinieri e polizia, riproducono al loro interno le gerarchie tipiche della
società, per cui abbiamo i dirigenti (gradi superiori a quello di tenente
colonnello), quadri (ufficiali sotto il grado di colonnello), proletari (dai
sottufficiali in giù).
Per quel che riguarda la piccola borghesia e l'artigianato: se un artigiano
ha degli operai, ma é costretto ad impiegare anche il proprio lavoro
manuale, allora si tratta di un piccolo borghese, non di un capitalista, anche
se dovrà essere inserito in una categoria separata da quella degli artigiani
che non hanno lavoratori alle dipendenze (e che per questo sono potenziali alleati
del proletariato). Lo stesso dicasi per i liberi professionisti. Ve ne sono
di assimilabili alla borghesia, poiché dirigono in realtà delle
ditte di consulenza o servizi (ad esempio i notai), altri che hanno semplicemnte
una o due segretarie e sono assimilabili alla piccola borghesia, altri ancora
che non hanno dipendenti e che collocheremo in una sottocategoria a parte.
Il fatto che un operaio lavori in nero, sia sottopagato, rischi il licenziamento,
cambi spesso lavoro, ecc. non muta affatto la sua collocazione di classe. Sempre
operaio rimane, anche se un po' più sfigato. I lavoratori a tempo parziale
sono 373.000 (rilevazione ISTAT gennaio 1991), gli occupati in maniera temporanea
per mancanza di lavoro permanente 257.000 (il totale dei temporanei é
476.000).
I disoccupati sono inseribili in una qualche classe sociale? No, dato che non
sappiamo che faranno quando troveranno un'occupazione. Può essere disoccupato
un giovane rampollo della borghesia che aspetta di trovare un posto adatto alle
sue mire, un giovane figlio di proletari che non trova lavoro o uno che si lancerà
nel mercato come lavoratore autonomo.
Se si condividono questi criteri, sulla base dei dati ISTAT possiamo ricavare
la consistenza numerica delle varie classi sociali: dalla tabella qui sotto
riportata chiunque può trarre le sue conclusioni sui discorsi che ci
propinano sulla "fine della classe operaia", il "superamento
del lavoro dipendente", ecc.
dirigenti (dell'industria, dell'apparato statale, docenti universitari, ecc.) | 408.000 |
imprenditori con dipendenti | 381.000 |
totale |
789.000 (pari al 3,9% della popolazione economicamente attiva) |
quadri (dell'industria, dell'apparato statale, presidi, ecc.) | 853.000 (2% p.e.a.) |
imprenditori, professionisti e lavoratori in proprio, senza dipendenti | 3.502.000 (17,3% p.e.a.) |
professionisti e lavoratori in proprio con dipendenti |
|
totale | 5.066.000 (22,8% p.e.a.) |
impiegati e insegnanti | 5.475.000 |
tecnici | 381.000 |
addetti a sorveglianza, pulizie, ecc. | 936.000 |
operai | 7.393.000 |
lavoratori a domicilio per conto delle imprese | 103.000 |
militari (dai sottufficiali in giù) | 362.000 |
soci cooperative senza incarichi dirigenti | 150.000 |
totale | 14.802.000 (73,3% della p.e.a.) |