Le cinque oppressioni.
Si tratta di uno dei documenti fondativi della nostra rivista. Esso si basa sull'elaborazione della Associazione Cultura Popolare redatta nel settembre 1996. Questa nostra versione è adattata al lavoro politico. Si tratta di un documento "quadro" che non pretende affatto di esaurire le complesse problematiche affrontate. L'insieme dei materiali della rivista (quelli firmati collettivamente) devono essere considerati tentativi pratici di applicare alla realtà concreta le categorie interpretative qui sotto abbozzate. REDS. Settembre 1999.


L'umanità è divisa tra oppressi ed oppressori. Le forme di oppressione più rilevanti sono: l'oppressione di classe (che divide i borghesi dai lavoratori, i ricchi dai poveri), di genere (che divide gli uomini dalle donne), generazionale (che divide gli adulti dai giovani), etnica (che divide le nazionalità dominanti da quelle dominate), di orientamento sessuale (che divide gli/le eterosessuali dagli/lle omosessuali). Gli oppressi hanno sempre lottato in varie forme e utilizzando vari sistemi di idee contro gli oppressori. Compito dei rivoluzionari è quello di lottare per porre fine ad ogni forma di oppressione. Ma questo fine può essere raggiunto solo con una politica di alleanze che ponga tutti i soggetti sociali oppressi sullo stesso piano.

L'OPPRESSIONE DI CLASSE

Origine.

L'umanità si è divisa in classi sociali circa 5.000 anni fa. Per un milione di anni ne aveva fatto a meno. Nel corso dei millenni si sono succedute varie classi sociali e sistemi di dominio. Ogni volta si sono affrontate due classi fondamentali: schiavi e sacerdoti, capi guerrieri e latifondisti contro schiavi, nobili contro servi della gleba, capitalisti contro operai. Nel corso del tempo si sono sviluppate anche diverse altre classi, che potremmo definire intermedie: per esempio i contadini liberi, ma poveri, del sistema schiavistico, gli artigiani del Medio Evo ed oggi il complesso dei lavoratori autonomi.
Le classi sociali si sono formate a seguito dell'ineguale distribuzione del surplus prodotto. Le società agricole-stanziali, a differenza di quelle basate sulla caccia, erano in grado di produrre una quantità di alimenti superiori alle strette necessità vitali. Ciò ha consentito ad un piccolo strato di popolazione di evitare di lavorare e di vivere del lavoro altrui. La natura di questo surplus è cambiato nel tempo. Le varie classi sociali dominanti si sono dunque caratterizzate per essersi appropriate in modi e tempi diversi dell'eccedenza di ricchezza prodotta dalle classi subalterne.
Nella moderna società industriale il surplus che viene estorto ai lavoratori e alle lavoratrici lo chiamiamo plusvalore. La diffusione generalizzata di questo meccanismo di estorsione dà vita ad una formazione economico-sociale che chiamiamo capitalismo.

L'articolazione delle classi.

Oggi nei paesi fortemente industrializzati vi sono tre classi fondamentali: il proletariato (l'insieme dei lavoratori dipendenti), la borghesia (capitalisti, banchieri, manager, alti burocrati, alti ecclesiastici), la piccola borghesia. Quest'ultima può essere suddivisa in tre categorie: i lavoratori dipendenti solo formalmente autonomi (si tratta di lavoratori che i padroni trovano più conveniente non assumere, ma pagare, ad esempio, con ritenuta d'acconto), i lavoratori autonomi senza dipendenti (piccoli negozianti, camionisti, taxisti, alcune categorie di professionisti), i lavoratori autonomi che hanno dipendenti ma sono costretti loro stessi a lavorare nell'esercizio (se potessero farne a meno o si limitassero ad un compito di direzione, diverrebbero dei capitalisti).
Le prime due categorie di lavoratori autonomi sono potenziali alleate della classe lavoratrice. Esse infatti non hanno nulla da guadagnare dallo sfruttamento dei lavoratori, mentre l'avanzare del capitalismo toglie loro spazi, beni e sicurezza. Chiamiamo l'insieme della classe lavoratrice e dei primi due strati della piccola borghesia: classi subalterne. Riaggregando i dati ISTAT (censimento 1991) secondo la metodologia marxista risulta che la classe lavoratrice in Italia è pari al 73,3 % della popolazione economicamente attiva, la borghesia al 3,9%, la piccola borghesia al 22,8%.
All'interno di queste classi vi sono differenze anche molto consistenti sia di status che di funzione. Riguardo alla funzione, un insegnante ed un operaio percepiscono stipendi simili e sono ambedue lavoratori dipendenti, eppure il primo gode di maggior potere: gli insegnanti ad esempio hanno il potere di bocciare i figli degli operai, mentre dispongono di un capitale culturale sufficiente a poter sperare di far compiere ai propri figli un salto di classe. Lo stesso si può dire su un altro piano per i poliziotti, i soldati, ecc. Essi sono dei lavoratori dipendenti, ma spesso usati contro altri lavoratori. Riguardo al reddito poi vi è una certa differenza tra le famiglie di impiegati plurireddito (stabilità di impiego, alti stipendi, carriera) e le famiglie dove vi è un solo reddito operaio. Nelle prime si innesta un meccanismo di accumulazione (proprietà della casa, poi trasmessa ai figli, titoli di stato, investimento scolastico sui figli, ecc.) che è sconosciuto alla vita precaria delle seconde.
Eppure tutte queste variabili non segnano una differenza di classe. La differenza di funzione, all'interno della stessa classe, nella società si basa su illusioni e privilegi, che entrano in crisi quando l'intera classe lavoratrice si mobilita. Abbiamo visto molto spesso i sindacati degli insegnanti scioperare a fianco di quelli operai. Del resto quando un intero popolo è in rivolta, anche i soldati e i poliziotti semplici spesso disobbediscono e disertano.
Le differenze di reddito tra lavoratori poi sono assolutamente insignificanti se paragonate ai profitti di banchieri ed industriali.
Gli strati più privilegiati, per reddito o funzione, della classe lavoratrice, insieme ai settori intellettuali di lavoro autonomo (avvocati, professionisti, ecc.) ed ai loro figli (sovente universitari) vengono spesso definiti "classe media". È da questo insieme sociale che vengono molti dirigenti di partiti di sinistra, sindacati, associazioni, centri sociali. Ciò ha contribuito ad accrescere i problemi di questi organismi: burocratizzazione, intellettualismo, distanza dalle esigenze delle masse, ecc.

Lo stato.

Le lotte tra classi sociali hanno segnato il carattere di intere epoche. Dalla necessità di governare i conflitti tra classi dominanti e classi dominate e quelli all'interno delle stesse classi dominanti è nato lo stato con tutte le sue articolazioni: esercito, amministrazione, ecc. Nessuna classe sociale ha mai conquistato il potere se non con la distruzione di questi apparati e la costruzione di nuovi.

La lotta di classe.

La classe lavoratrice ha sempre lottato contro lo sfruttamento con tutti i mezzi possibili a seconda delle tradizioni, del periodo, della sua forza strutturale: manifestazioni, scioperi, insurrezioni. Queste lotte però non hanno mai avuto un carattere costante nel tempo.
La classe lavoratrice alterna a periodi di ascesa periodi di riflusso. Nei periodi di ascesa la conflittualità è alta, vi sono molti scioperi, grande disponibilità alla partecipazione, i sindacati hanno molti iscritti, i giornali di sinistra aumentano la tiratura. Nei periodi di riflusso si lotta poco, tra i lavoratori ha successo l'ideologia dominante, dilaga tra loro lo scoraggiamento e la sfiducia nella propria classe. Nei periodi di riflusso però si formano i gruppi e le idee che caratterizzeranno i successivi periodi di ascesa. Attualmente viviamo in un periodo di riflusso che perdura dal 1980.

Le organizzazioni della classe lavoratrice.

La classe lavoratrice ha dato origine a diversi strumenti organizzativi per difendersi o attaccare le classi dominanti. Sostanzialmente sono di due tipi: il partito e il sindacato. Attraverso i sindacati la classe lavoratrice ha cercato e cerca di difendere i suoi interessi elementari: il salario, il posto di lavoro, tempi e ritmi sostenibili, ecc. Attraverso i partiti ha cercato di disputare alle classi dominanti il controllo dell'apparato statale.
Definiamo i partiti della classe lavoratrice "riformisti" se nella pratica conducono la propria azione secondo una strategia che punta a "migliorare" il capitalismo senza abbatterlo e "rivoluzionari" quando, pur battendosi per delle riforme, lo fanno nell'ottica di rafforzare la classe in vista dell'abbattimento del capitalismo. In Europa tutti i partiti di sinistra di massa, pur appartenendo a tradizioni politiche diverse, sono riformisti.
L'esperienza storica dimostra che i partiti riformisti hanno sistematicamente tradito le aspettative della classe lavoratrice anche sul piano delle riforme, ma si mantengono forti perché solo in determinate congiunture storiche la classe lavoratrice ha la sufficiente fiducia in se stessa e le capacità per tentare soluzioni rivoluzionarie. Del resto i partiti rivoluzionari che hanno conquistato il potere, hanno poi dato vita a società autoritarie (Cuba) o addirittura totalitarie (URSS, Cina).

L'ideologia.

La borghesia produce una propria ideologia che normalmente gode di grande popolarità tra le classi subalterne. Ne sono parte integrante l'idea che l'ascesa sociale sia dovuta a capacità individuali, che è nella natura dell'uomo ricercare il profitto a scapito del bene comune, che il libero dispiegarsi degli interessi personali produce benessere sociale. La borghesia e gli intellettuali ad essa solidali hanno prodotto vari sistemi di idee in sè coerenti: il liberalismo, il keynesismo, ecc.
Anche le classi subalterne e gli intellettuali ad esse solidali hanno prodotto sistemi di idee per interpretare il mondo e cercare di cambiarlo. Prima della definitiva affermazione del capitalismo (XVIII-XIX sec.) queste idee avevano generalmente un "involucro" di tipo religioso. Con l'avvento del capitalismo si sono sviluppati altri pensieri critici tra i quali il socialismo utopistico, l'anarchismo, il marxismo, varie forme di teologia radicale. Il marxismo è il sistema di idee che offre la strumentazione più adatta ad indagare e operare per il superamento dell'oppressione di classe.

L'OPPRESSIONE DI GENERE

Origine.

L'oppressione di genere è precedente alla suddivisione di classe. Anche nelle società cosiddette primitive vi è una chiara sudditanza della donna rispetto all'uomo. La dominazione dei maschi si è consolidata con molta probabilità all'epoca della caccia di animali di grosso taglio, quando per lunghi periodi di tempo la donna si trovava nell'impossibilità di partecipare alla caccia e quindi alla produzione di cibo a causa delle gravidanze e dell'allattamento.

Caratteristiche dell'oppressione di genere.

Grazie a questa preesistente dominazione gli uomini si sono potuti appropriare di una serie di invenzioni femminili (l'agricoltura ad esempio). Tutte le successive formazioni economico-sociali hanno mantenuto la supremazia degli uomini sulle donne. Al variare delle nazioni, delle culture, del periodo storico, della struttura economica ciò che cambia è la forma della dominazione maschile, non la sua sostanza. Oggi l'oppressione di genere è evidente in tutti i paesi del mondo, inclusi quelli che hanno realizzato una rivoluzione di classe. Chiamiamo la formazione sociale dove si esercita la dominazione sulle donne "società patriarcale". La società nella quale viviamo dunque è allo stesso tempo capitalista e patriarcale.
La lunghissima dominazione dei maschi ha provocato l'esclusione sistematica delle donne dalla politica, dal governo, dall'arte, ecc. salvo poche e rilevanti eccezioni. Si è trattata dell'esclusione più feroce e sistematica che l'umanità abbia mai praticato, superiore a tutte le altre oppressioni. La dominazione degli uomini si è espressa attraverso l'uso della violenza (istituzionale e domestica), la legislazione discriminatoria, la totale dipendenza economica dal marito o dal padre.
Gli spazi che le donne hanno saputo conquistarsi nei Paesi industrializzati nell'ultimo secolo costituiscono un cambiamento senza precedenti della propria condizione. Ma la discriminazione persiste: si manifesta nella legislazione (con le leggi contrarie al divorzio e all'aborto in tanti Paesi del mondo), nella violenza (domestica e non solo), nel coprifuoco non dichiarato che di fatto colpisce le donne (i rischi cioè che corrono a camminare sole per le strade delle città dopo il calar del sole), nelle discriminazioni sul lavoro, ecc. Maschi e femmine vengono addestrati sin dalla più tenera età a sostenere ruoli diversi attraverso la scelta dei loro giochi, attraverso il rimprovero e l'approvazione degli adulti e delle istituzioni, attraverso i modelli forniti dalla società (giornali, fumetti, cinema, televisione).
Questi ruoli non sono ovviamente equivalenti. I ruoli assegnati ai maschi fanno sì che costoro possano godere, rispetto alle donne, di vantaggi e privilegi, grandi o piccoli a seconda dei rapporti di forza tra i generi che esistono in una determinata formazione sociale. I vantaggi riguardano tutti i maschi, lavoratori compresi. Il marito trova vantaggi psicologici (oppresso sul lavoro ma oppressore in casa) e materiali (evita i lavori domestici e la cura dei figli), i fratelli godono di privilegi rispetto alle sorelle, il lavoratore si trova avvantaggio rispetto alla lavoratrice nelle prospettive di carriera, nelle possibilità di cambiare lavoro o di trovarne.

Lo stato.

La dominazione degli uomini sulle donne può realizzarsi e si è realizzata anche in assenza di stato. Ma dal momento in cui lo stato è sorto per garantire il dominio delle classi possidenti, allora ha sussunto anche tutte le altre forme di oppressione presenti nella società, garantendone la perpetuazione. In questo modo ha esteso la base sociale del suo consenso, ad esempio con la tutela legale del padre prima e del marito poi sulla figlia/moglie. Dunque dobbiamo considerare lo stato come strumento di dominio allo stesso tempo della borghesia sulla classe lavoratrice, e dell'insieme degli uomini sulle donne.

La lotta di genere.

Le donne hanno sempre lottato contro l'oppressione maschile. Ma questa lotta si è data e si dà, per la gran parte, in forme poco percepibili dalla ricerca storica, dato che avveniva e avviene per lo più all'interno della famiglia. Le caratteristiche del capitalismo hanno favorito l'inserimento delle donne nel lavoro cosiddetto produttivo e ciò ha fatto sì che le donne potessero uscire in parte dal proprio isolamento: le donne hanno cominciato a ribellarsi contro la propria specifica oppressione alla fine del XIX secolo con i movimenti suffragisti e con quelli legati al movimento operaio. Questa lotta ha preso rinnovato vigore a partire dagli anni Sessanta del XX secolo.
Le donne si sono date vari strumenti di organizzazione. Dato che la loro lotta per difendere interessi concreti ha visto spesso come controparte diretta lo stato e le sue leggi, i movimenti di donne hanno assunto sovente caratteristiche direttamente politiche. Le donne hanno utilizzato per difendere i propri diritti, in varie forme e con diversa intensità, i più svariati metodi di lotta: dalle manifestazioni, agli scioperi, ad azioni violente.

Capitalismo e oppressione di genere.

Il maschilismo, favorendo la conservazione degli assetti sociali esistenti e indebolendo il fronte degli oppressi, danneggia alla lunga gli stessi lavoratori maschi. Il capitalismo inoltre trova vantaggioso disporre di una forza lavoro come quella femminile, costretta ad accettare salari, ruoli ed orari inferiori rispetto a quelli maschili. Nei periodi di crisi i padroni se ne possono liberare facilmente contando sulla complicità degli stessi lavoratori maschi (è avvenuto ad esempio al termine dei conflitti mondiali o nel passaggio all'economia di mercato dei Paesi dell'Est). Come casalinghe le donne svolgono inoltre un ruolo di supplenza in attività che lo stato o gli industriali dovrebbero fornire (cura dei bambini e degli anziani, produzione di cibo, ecc.).
Le organizzazioni del movimento operaio si sono troppo spesso dimostrate reticenti o conniventi riguardo all'oppressione sulle donne. Sono sempre state pronte a sacrificare le rivendicazioni femminili per ottenere qualche vantaggio immediato o nella speranza di guadagnare più voti alle elezioni (per ingraziarsi ad esempio le gerarchie ecclesiastiche). Questi comportamenti hanno costantemente tradito le aspettative delle donne i cui movimenti hanno sempre espresso invece una naturale simpatia nei confronti delle rivendicazioni della classe lavoratrice (costituita in parte da donne).

L'ideologia.

Nella dominazione maschile sulle donne hanno sempre assunto un ruolo fondamentale ideologie di natura religiosa. A queste si sono accompagnate teorizzazioni più o meno "razionali" su una pretesa inferiorità della donna o sulla sua impossibilità a svolgere ruoli tipicamente maschili. Chiamiamo in generale "maschilismo" l'ideologia, che può avere diverse sfumature ed articolazioni, attraverso la quale i maschi giustificano l'oppressione che esercitano sulle donne.
Il marxismo si è dimostrato abbastanza inadeguato a comprendere i caratteri dell'oppressione di genere. Essendo del resto il marxismo un sistema di idee di una classe costituita maggioritariamente da uomini, si tratta forse di un suo limite strutturale.
Nel XX secolo le donne hanno elaborato un proprio pensiero che, come quello degli operai e delle operaie, si è distinto in varie correnti, ma che possiamo comprendere sotto il termine di "femminismo".

L'OPPRESSIONE GENERAZIONALE

Origine.

Anche l'oppressione degli adulti nei confronti dei giovani è precedente alla divisione della società in classi ed è nata probabilmente insieme a quella di genere. Nelle società cosiddette primitive vi è un netto dominio degli adulti o degli anziani (sia uomini che donne) sui giovani: i giovani cioè non hanno potere, il che significa che non hanno la possibilità di determinare il proprio destino. Obblighi, compiti, responsabilità sono imposti implacabilmente alle nuove generazioni e fatti loro accettare con la repressione o con mezzi "culturali" (riti di iniziazione, ecc.). Si può dire che ogni sistema sociale sin qui esistito si è dato come uno dei suoi compiti principali quello di imporre ai giovani un complesso di valori e di regole, presentate come giuste e ragionevoli e soprattutto prive di alternative.

Lo stato.

Lo stato al suo sorgere ha incorporato anche l'oppressione generazionale (ad esempio col diritto del padre a disporre liberamente dei figli, una "libertà" che spesso è arrivata sino al diritto di ucciderli). Oggi lo stato ha dunque caratteristiche patriarcali che si manifestano nella delega all'istituzione familiare di "preparare" i giovani all'entrata nella società come "cittadini". È all'interno della famiglia che si consumano quindi la maggior parte delle violenze psicologiche e fisiche attuate dagli adulti nei confronti dei giovani. Un altro luogo di oppressione generazionale è la scuola.

Caratteristiche dell'oppressione generazionale.

L'oppressione giovanile si manifesta oggi nella società attraverso le discriminazioni sul lavoro (precarietà, bassi salari, disoccupazione, sfruttamento), nella soppressione della libertà di movimento, nella limitazione dei diritti civili (legittimazione della violenza domestica, divieto di voto, ecc.), nella repressione scolastica.
La peculiarità dell'oppressione giovanile è che si tratta di un'oppressione transitoria. Una volta adulto il giovane diviene a sua volta oppressore e generalmente si "dimentica" del proprio passato di giovane oppresso.
Gli adulti nel loro complesso traggono vantaggio dalla discriminazione nei confronti dei giovani. Vantaggi psicologici (comandare su qualcuno quando si è comandati sul lavoro o, nel caso delle donne, in famiglia), vantaggi materiali (l'aiuto che le madri si aspettano dalle figlie femmine nel lavoro domestico, la gavetta imposta ai giovani sottopagati quando cominciano a lavorare, ecc.). I maggiori vantaggi li traggono comunque gli altri soggetti sociali oppressori, che avranno garantito una massa di oppressi addestrati sin da piccoli all'obbedienza e al conformismo. Ma questa discriminazione in prospettiva svantaggia l'insieme degli oppressi: un giovane operaio pagato meno di un adulto si trasforma in un potente concorrente di quest'ultimo, una massa di giovani abituati ad obbedire sarà poco disponibile a qualsiasi cambiamento sociale (in quasi tutte le elezioni - a parte quelle dei tardi anni settanta - i giovani hanno votato più a destra degli adulti).

La lotta generazionale.

Sotto l'obbligo all'obbedienza covano però nei giovani frustrazione, risentimento, voglia di ribellione, anche se spesso questi sentimenti prendono la strada di una aggressività nichilista che spesso ha per bersaglio altri soggetti sociali oppressi (immigrati, ad esempio, o altri gruppi di giovani, come la tifoseria avversaria). La presa di coscienza della propria condizione di oppressi è impedita da mille ostacoli psicologici (timidezza, paura dello scherno, cura della propria immagine, preoccupazioni che hanno a che vedere con la difficoltà a costruire una propria autonoma identità), ma non impedisce ai giovani di riconoscersi, di fare esperienze insieme, e, in particolari momenti storici, di condurre lotte sul piano politico e sociale. Se la loro lotta è stata fino a pochi decenni fa nascosta e confinata nell'ambito familiare, la scolarizzazione di massa ha fatto sì che i giovani si incontrassero e potessero uscire dall'isolamento. In questo modo la ribellione dei giovani è potuta passare dall'ambito individuale (con la fuga, la disobbedienza, il teppismo, la depressione, la follia, le malattie psicosomatiche) a quello collettivo: con manifestazioni, occupazioni, contestazioni, scioperi, espressioni di forme culturali alternative.
I giovani si sono dotati spesso di organizzazioni strutturate (sindacati studenteschi in Francia, Brasile, Spagna, organizzazioni giovanili dei partiti adulti, ecc.), ma sono sempre spazi offerti dagli adulti e da questi controllati. Altre volte hanno dato vita a forme organizzative autonome (collettivi, centri sociali, ecc.) caratterizzate da un bassissimo grado di formalizzazione (rifiuto della delega, larga partecipazione, ma con fenomeni di leaderismo).
Nelle loro proteste i giovani si sono sempre spontaneamente avvicinati alla classe lavoratrice, alla sua ideologia e alle sue rivendicazioni, ma non sempre sono stati ricambiati con la stessa generosità. In generale i partiti del movimento operaio si sono mostrati tiepidi o reticenti nell'accettare rivendicazioni tipicamente giovanili (obiezione di coscienza al servizio militare, antiproibizionismo, spazi autogestiti, ecc.) e nel difenderne i diritti (ad esempio le burocrazie operaie hanno contrattato stipendi inferiori per i giovani).
Spesso le lotte dei giovani hanno innescato movimenti di altri soggetti sociali, come è accaduto in Italia, dove il '68 studentesco ha preceduto il '69 operaio. Le radicalizzazioni giovanili (che, data la concentrazione di giovani nelle scuole e nelle università, prende spesso la forma di mobilitazione studentesca) hanno sempre un carattere improvviso, talvolta turbolento, passionale, ma di breve durata. Un'altra loro caratteristica è che poche volte le loro mobilitazioni hanno al centro parole d'ordine specifiche della propria condizione di giovani. Gli studenti sono sempre in prima fila ad esempio nella lotta contro le dittature o contro la guerra.

Ideologia.

I giovani non hanno elaborato una propria ideologia, ma danno vita di volta in volta a proprie culture, linguaggi e mitologie globalmente antagoniste al sistema di regole che il sistema adulto si sforza di far loro accettare. Cercheremmo invano nel marxismo strumenti adatti ad indagare questa specifica oppressione, al contrario di ciò che avviene con alcuni eminenti psicologi (ad esempio Alice Miller).

L'OPPRESSIONE SESSUALE

Origine.

L'oppressione nei confronti degli omosessuali è preesistente alla divisione della società in classi. L'oppressione si esprime in tutte le formazioni economico-sociali sin qui esistite attraverso l'obbligo impartito ai propri membri di aderire all'orientamento sessuale di tipo etero. Non sono mancate nella storia culture che ammettevano anche rapporti omosessuali, ma sempre in un quadro dove la "normalità" doveva essere un orientamento prevalentemente eterosessuale. L'omosessuale è sempre stato punito (come accade tuttora nella gran parte dei paesi) o considerato portatore di una variante della follia (come in molte società cosiddette primitive) e comunque schernito e discriminato. La discriminazione ha variato di intensità nelle diverse epoche, mantenendo però nella sostanza una assoluta continuità.

Caratteristiche dell'oppressione sessuale.

Si tratta di una condizione, quella di gay, lesbica e trans, per molti versi più pesante delle altre. Il solo fatto che esistano gruppi sociali che mettono in discussione l'eterosessualità dominante è visto dai più come un vero e proprio attentato alla propria identità e a qualla della società. La discriminazione non è ovviamente operativa se gli omosessuali mantengono nella clandestinità il proprio orientamento sessuale. È nel momento in cui si dichiarano apertamente che comincia la guerra del sistema etero nei loro confronti.
La discriminazione si attua sul posto di lavoro, dove rischiano il licenziamento e dove sono molestati, compatiti o derisi dagli altri lavoratori e dalle lavoratrici, nella società dove viene loro impedito qualsiasi accesso a posti di responsabilità, nella famiglia dove la dichiarazione di omosessualità porta a crisi, ricatti e tragedie di varia natura. La discriminazione si attua con violenza fisica e psicologica tale che la gran parte dei gay e soprattutto delle lesbiche preferisce non dichiararsi. In molti altri casi i tabù trasmessi hanno tale forza che l'individuo nemmeno ha il coraggio di riconoscere a se stesso i propri veri orientamenti sessuali.
Se vi sono degli oppressi vi sono anche degli oppressori. Questi ultimi si ritrovano in generale tra tutti/e gli/le eterosessuali (o che si credono tali): operai e padroni, donne e uomini, giovani e adulti. Costoro trovano una serie di fittizi vantaggi nel contribuire all'oppressione. Vantaggi di natura quasi esclusivamente psicologica. Prendere in giro gli omosessuali e mostrare pubblico disprezzo nei loro confronti serve a rassicurare se stessi e gli altri sulla propria appartenenza all'orientamento sessuale dominante (quello eterosessuale). Se questa certezza esistesse sul serio e l'eterosessualità fosse davvero così "naturale" come vorrebbero farci credere, sarebbe difficilmente spiegabile tanto astio verso gli omosessuali. L'esistenza stessa di gay, lesbiche e trans, indipendentemente che lottino o meno, mette in discussione l'obbligo, cioè la "naturalità", dell'eterosessualità.

Le lotte degli omosessuali.

All'inizio del XX secolo gay e lesbiche hanno cominciato a lottare collettivamente per i propri diritti. Questa lotta ha trovato maggior vigore a partire dagli anni Sessanta. Da allora gay, lesbiche e trans hanno dato vita a proprie forme organizzative (associazioni, riviste, collettivi), a proprie forme di lotta e ad una autonoma elaborazione teorica.
Il movimento operaio, il movimento delle donne e quello giovanile hanno sempre mostrato grande imbarazzo anche solo ad affrontare questo tema, che è sempre rimasto esterno, tra l'altro, alle preoccupazioni della gran parte dei marxisti. Ciò ha costituito un costante tradimento delle aspettative di gay, lesbiche e trans, i cui movimenti hanno espresso sempre una naturale vicinanza nei confronti delle organizzazioni e delle rivendicazioni degli altri soggetti sociali oppressi.

L'OPPRESSIONE ETNICA

Origine.

L'oppressione etnica nasce insieme alla divisione della società in classi. La lotta tra diverse etnie (clan, tribù, ecc.) per il controllo del territorio, invece, c'è sempre stata. All'epoca delle società cosiddette primitive, quando ancora non esisteva la divisione di classe, diversi gruppi si combattevano ferocemente, anche se ciò non provocava il consolidarsi di una oppressione permanente di una etnia su un'altra: ogni etnia viveva separata e la società era troppo povera per potersi permettere il mantenimento di schiavi. Con la divisione della società in classi, invece, spesso si è verificata la coincidenza tra la condizione di schiavo e quella di etnia sottomessa. La stesssa parola schiavo deriva dal nome di un popolo (quello slavo) dal quale l'Europa nella tarda antichità si ricavava il maggior numero di schiavi. Con il colonialismo dei grandi imperi dell'antichità, interi popoli vennero sottomessi, costretti alla schiavitù o a pagare tributi o a sottostare al governo altrui.

La lotta etnica.

La lotta dei popoli oppressi interessa intere epoche, caratterizza la storia dell'Ottocento e del Novecento, e irrompe nel XXI secolo. Ieri riguardava i popoli colonizzati (indiani, cinesi, algerini, congolesi, ecc.) che si liberavano dal giogo degli occupanti, oggi è il turno di irlandesi, baschi, ceceni, Kosovari, curdi, tibetani, indios, palestinesi, neri degli USA, ecc.
Le lotte etniche assumono solitamente un aspetto direttamente politico. È per questo che oltre ad associazioni, movimenti, gruppi culturali, ecc. le nazionalità oppresse hanno dato spesso vita a veri e propri partiti. Le mobilitazioni su base etnica spesso si sono arricchite di rivendicazioni di classe, dando così vita a formazioni politiche che erano luogo dell'alleanza tra due soggetti sociali oppressi.

Caratteristiche dell'oppressione etnica.

L'oppressione consiste spesso nel soffocamento dei costumi e delle abitudini sociali, della lingua, della cultura di un popolo. Altre volte si traduce nella riduzione dell'etnia dominata a una condizione economica sfavorevole, con relative discriminazioni nel lavoro. E sempre si risolve nella negazione del diritto all'autodeterminazione, cioè della possibilità di autogovernarsi da parte delle popolazioni oppresse. La lotta per questo diritto ha comportato guerre e stragi provocate da nazionalità dominanti che si sono sempre dimostrate disposte a qualsiasi orrore pur di mantenere i propri privilegi.
Gli oppressori non vanno ricercati solo tra i membri della classe sociale dominante. Tutti gli appartenenti all'etnia dominante (operai e padroni, donne e uomini, giovani e adulti, eterosessuali e no) traggono vantaggi immediati dalla discriminazione etnica. Vantaggi materiali: migliori condizioni sul posto di lavoro ad esempio. Vantaggi psicologici: il gusto di sentirsi parte dei dominatori, la possibilità di scaricare frustrazioni su bersagli facili, ecc. Lo sciovinismo, accompagnato talvolta dal razzismo, veicola tutta una serie di pregiudizi che servono a garantire un'oppressione omogenea e costante.
Le nazionalità dominanti si sono sempre mostrate disposte a qualsiasi guerra pur di non cedere il territorio alla nazionalità dominata. Di solito vi è un grande consenso interclassista nei confronti di queste politiche imperialiste: il dividendo che deriva dalla potenza di uno stato (di cui l'estensione territoriale è uno dei fattori) ricade infatti in diversa misura (grandi profitti per le classi dominanti, briciole per le quelle dominate) su tutti i membri della nazionalità dominante.
Gli altri soggetti sociali oppressi della nazionalità dominante (donne, giovani, lavoratori, omosessuali) non hanno però alla lunga alcun interesse strategico a difendere la supremazia della propria etnia. Questa dominazione può loro provocare vantaggi immediati (saccheggi, ecc.), ma li indebolisce e li priva di un alleato potenziale formidabile, dato che i popoli oppressi hanno dimostrato di essere capaci dei più sorprendenti sacrifici per tutelare i propri diritti e la propria identità.

Lo stato.

Lo stato come struttura di dominio è sempre strumento di un'etnia sulle altre. Mentre infatti l'oppressione di genere, generazionale e sessuale si sono sviluppate prima della formazione dello stato, quella etnica è nata insieme alla dominazione di classe: anche i primi stati (egizio, assiro, babilonese, ecc.) furono lo strumento di dominio di classi dominanti di una determinata etnia, in perenne guerra con le altre.
Lo stato USA ad esempio oltre ad essere strumento di dominio contro i cosiddetti Paesi del Terzo Mondo è uno stato bianco, costruito cioè per mantenere la supremazia dei bianchi sui neri, gli indiani, gli ispanici.
Lo stato italiano, tra le altre cose, si erge come espressione degli interessi dell'insieme degli italiani contro le minoranze nazionali "autoctone" (sudtirolesi, occitani, sardi, zingari) e contro tutte le etnie immigrate a partire dagli anni Ottanta (albanesi, cingalesi, marocchini, tunisini, ecc.).

L'ideologia.

Le nazionalità oppresse manifestano una propria cultura ed hanno elaborato propri sistemi di idee. Il nazionalismo degli oppressi non va confuso con quello di chi opprime: quest'ultimo è reazionario ed è da combattere con ogni mezzo, visto che serve a giustificare la dominazione di un popolo su un altro. L'identità etnica è un miscuglio di elementi che, a seconda delle condizioni storiche, vede prevalere una componente (religiosa, linguistica, culturale...) o l'altra.
Il marxismo ha sempre indagato con interesse la questione nazionale, ma ha sempre stentato a dare alla problematica le risposte corrette e a riconoscere l'autonomia e la specificità di questa forma di oppressione. Nelle sue migliori espressioni comunque è sempre stato alfiere del diritto incondizionato all'autodeterminazione.

LA COMBINAZIONE DELLE CINQUE OPPRESSIONI

La nostra società dunque si regge su un sistema incrociato di oppressioni.

Esempio. Attraverso la complessa rete di vantaggi e svantaggi che una condizione sociale o l'altra implicano, il dominio di classe rimane intatto, poiché profitta della generale divisione degli oppressi. I vantaggi di cui i lavoratori pensano di godere nel momento in cui sono anche dominatori (nel ruolo di mariti, o di padri, o di italiani bianchi) sono di cortissimo respiro, eppure vi hanno sempre dimostrato un grande attaccamento. I fascisti di ogni epoca sanno di poter contare su un sicuro seguito tra gli operai quando denigrano gli immigrati. Ciò si traduce però in un danno immediato per gli operai: la discriminazione non frena l'immigrazione, ma fa sì che sul mercato si offra forza lavoro ad un minor prezzo (producendo dunque una concorrenza al ribasso). Diminuisce così la forza contrattuale dei lavoratori.

Altro esempio. I lavoratori mostrano una grande disponibilità ad attaccare le donne che lavorano. Vedono con grande favore il loro licenziamento, quando c'è disoccupazione maschile. Ma si accontentano anche di molto meno quando c'è qualcuno che gli offre maggior potere in famiglia e nella società in quanto maschio. Fascismo e stalinismo possono senz'altro essere letti dal punto di vista di classe come forme di dittatura della borghesia da un lato e della burocrazia dall'altro, ma dal punto di vista della guerra tra i sessi, essi sono stati regimi che si sono retti anche sul consenso del sesso maschile, come dimostrano le legislazioni antidonna varate da questi regimi totalitari. Sono stati cioè sintesi politica della dittatura a un tempo di una classe (o di un ceto) e di un genere.

Le diverse forme di oppressione si combinano, senza annullarsi. Un operaio che torna a casa e tiranneggia i figli, è un oppresso per quanto riguarda la sua posizione di classe, un oppressore sul piano dei rapporti generazionali. Un marocchino immigrato in Italia e che maltratta la moglie è oppresso sul piano etnico ed oppressore nei confronti del genere femminile. Una lesbica che ha al suo servizio una filippina, è oppressa dal sistema eterosessuale, ma è una sfruttatrice nelle relazioni di classe. Una giovane figlia di ricchi costretta a non uscire alla sera è una portatrice di privilegi sul piano di classe ed un'oppressa su quello generazionale. La maggior parte degli individui vive più forme di oppressione: le donne lavoratrici, i giovani neri, ecc. Le diverse forme di oppressione quando si accumulano su uno stesso individuo, non sommano i loro effetti negativi, ma li moltiplicano.

LE CAUSE ESTERNE DELL'OPPRESSIONE

Il punto di vista degli oppressori.

Molti oppressori cercano di dimostrare che l'oppressione non esiste e che le relazioni tra i diversi soggetti sociali sono in realtà paritarie.

Una campagna ideologica insistente cerca da anni di dimostrare che la realtà delle classi sociali è superata, che si va ad una sostanziale uguaglianza dove tutti stanno bene, possiedono la macchina e si sono "imborghesiti". Molti uomini (e donne!) sostengono che oggi tra i generi vi è una sostanziale uguaglianza e che le cose "non sono più come un tempo". Gli adulti amano argomentare che oggi i giovani fanno quello che vogliono ed anzi il problema è che "sono viziati". Riguardo all'oppressione etnica poi ogni bianco ama premettere ad ogni discorso razzista di non essere razzista. Per gay, lesbiche e trans invece l'atteggiamento consueto da parte dei più è quello di difendere apertamente le discriminazioni nei loro confronti. L'ipocrisia in quest'ultimo caso viene meno anche perché gli omosessuali, "consapevoli" e/o dichiarati, costituiscono una minoranza, mentre in tutti gli altri i casi i soggetti sociali oppressi sono, nel mondo, maggioranza (le donne rispetto agli uomini, i giovani sugli adulti, i membri delle nazionalità oppresse su quelli delle dominanti, i lavoratori sui borghesi). Inoltre difendere apertamente la discriminazione contro gli omosessuali, consente agli eterosessuali di guadagnarsi, a basso costo, una patente di "normalità".

Un altro tentativo teso a giustificare i propri privilegi, consueto nei soggetti sociali dominanti, consiste nel cercare di dimostrare che la diversa collocazione sociale dei vari soggetti è dovuta ad una sorta di naturale predisposizione. I ricchi sarebbero tali perché più capaci, intelligenti ed intraprendenti ("hanno rischiato", quando la gran parte di loro è tale per eredità). Le donne si dedicherebbero ai lavori domestici ed ai figli perché più dolci, sensibili ed aliene al rischio e all'avventura. I marocchini immigrati in Italia, come gli italiani emigrati all'inizio del Novecento, sarebbero collocati ai livelli più bassi della scala sociale perché abituati a lavorare poco. I giovani non conterebbero nulla nella società perché ancora immaturi.

Gli oppressori hanno una visione totalmente capovolta della relazione e sono portati a pensare che i soggetti da loro oppressi li stiano continuamente fregando. I padroni immaginano sempre gli operai intenti a trovare scappatoie per lavorare meno e sono sinceramente convinti che il loro salario sia anche troppo elevato per quello che fanno. Gli uomini pensano di essere vittime delle proprie mogli che lavorano poco, fanno la bella vita (perché casalinghe e dunque "non lavorano"), li limitano nelle loro esigenze di libertà e possiedono una naturale predisposizione al tradimento. Gli adulti pensano che i giovani siano sempre occupati a raccontar frottole per ottenere soldi, tempo libero, uscite, ecc; gli insegnanti diffidano degli studenti considerandoli per definizione degli sfaccendati. Gli immigrati quando entrano per lavoro nel territorio dell'etnia dominante vengono visti come potenziali criminali ed individuati come causa del degrado delle città, della perdita di posti di lavoro, ecc.

Gli ostacoli all'autonomia degli oppressi.

Gli oppressori tendono a scoraggiare e svalutare i momenti di incontro autonomo dei soggetti da loro oppressi. I padroni finché hanno potuto hanno impedito che gli operai si riunissero autonomamente al di fuori del loro controllo o di quello dello stato o della chiesa. I maschi amano trascorrere molto tempo tra loro, ma deridono le donne quando fanno la stessa cosa ("spettegolano"). Gli adulti non sopportano che i giovani abbiano degli spazi autonomi dove vedersi e conoscersi: discoteche, centri sociali, ecc. a meno che non siano controllati da altri adulti di fidata ideologia (le parrocchie). Gli eterosessuali pensano sempre che se gay e lesbiche si incontrano è sempre per fini "poco puliti". Tutti questi oppressori si domandano angosciati: "ma che avranno mai da dirsi?" "Perché io non posso saperlo?" La paura è quella che gli oppressi sfuggano al controllo.

Gli oppressori non sopportano che gli oppressi si divertano in maniera autonoma e fuori dalle regole stabilite da loro stessi. Sul lavoro non è tollerabile che un operaio ascolti musica, a meno che non sia comminata centralmente dal padrone; quando ancora potevano farlo, i padroni imponevano agli operai un orario di rientro a casa. Gli adulti vedono con grande allarme il divertimento giovanile: pensano sempre che sotto vi siano questioni legate al sesso o alla droga. Per la maggior parte delle donne, al di fuori della libera uscita dell'8 marzo, è impensabile che, se sposate e con figli, escano fuori a divertirsi senza marito. Il divertimento di gay e lesbiche poi è sempre visto dagli eterosessuali come qualcosa di osceno. Il divertimento autogestito è percepito come un diversivo rispetto ai compiti che gli oppressori hanno deciso di imporre agli oppressi: i proletari produrre, i giovani studiare e metter su famiglia, le donne stare a casa a curare la prole, le nazionalità oppresse sparire, gay e lesbiche soffrire in silenzio.

Gli oppressori fanno di tutto perché gli oppressi non arrivino a forme di rappresentanza autonoma e separata. La borghesia tenta quando può di impedire la formazione di partiti di lavoratori, anche se riformisti. Per questo è disponibile a finanziare partiti che abbiano un'apparenza progressista e che incanalino i voti operai (è il caso del Partito Democratico degli USA e dell'Ulivo in Italia). Gli uomini ostacolano l'associazionismo femminile a meno che non sia sotto la tutela di un supremo organismo controllato da maschi (la chiesa, il partito, ecc.). Lo stesso vale per i giovani: non c'è difficoltà a farli riunire, ma in parrocchia o nella sede di partito.

Le forme dell'oppressione

Gli oppressori mantengono il proprio dominio con la coercizione e con la persuasione. La coercizione si attua tramite il monopolio della violenza. La borghesia e i suoi apparati (esercito e polizia) mantengono il monopolio delle armi, dal quale i lavoratori in quanto tali sono esclusi. Ai genitori lo stato delega l'uso di una violenza considerata necessaria ed educativa all'interno della famiglia, ma che al di fuori provocherebbe denunce e processi. Anche l'uso della violenza da parte del marito è tollerata: la violenza domestica costituisce il principale problema delle donne in tutto il mondo; il monopolio della violenza da parte dei maschi è antico: nelle società primitive alle donne era proibito anche solo toccare le armi, pena la morte in alcuni casi. La violenza nei confronti delle nazionalità oppresse è dovuta al fatto che le armi sono monopolio delle nazionalità che opprimono e che da sempre non hanno esitato ad usare provocando terrificanti stragi. La violenza nei confronti di gay e lesbiche è facilitata dal generale disprezzo che circonda questi soggetti sociali.

La persuasione è sempre stata portata avanti attraverso sistemi di idee che hanno la caratteristica di basarsi su pregiudizi ed affermazioni non provate scientificamente. Oggi la persuasione più efficace viene attuata dalla produzione culturale di massa. Questi prodotti tendono a far sembrare normale la divisione dei ruoli e a dar maggior risalto agli oppressori, facendo sparire gli oppressi o mettendoli in cattiva luce. Nonostante la popolazione mondiale sia costituita in massima parte da operai e contadini le cui vite sono interessanti, varie ed assai avventurose, la pressoché totalità dei film, telefilm, telenovelas, romanzi, quadri, fumetti, ecc. ha per protagonisti dei borghesi, degli intellettuali o dei poliziotti. In questi prodotti i maschi dominano indiscussi e così gli adulti e i bianchi (o altri membri di nazionalità dominanti). Il fine è di abituare gli oppressi alla rassegnazione, di farli sentire inferiori, di portarli ad invidiare gli oppressori senza arrivare ad odiarli.

Ogni soggetto sociale oppresso è ricattabile economicamente dall'oppressore. I padroni licenziano gli operai che non obbediscono. I genitori possono imporre ai figli certe scelte pena il taglio della mancia o dei viveri (a seconda del paese e della condizione sociale). Le donne dipendono economicamente dal marito nella maggior parte del mondo. Le nazionalità oppresse sono spesso sottoposte da quelle dominanti a discriminazioni di carattere economico.

Ogni soggetto sociale oppresso si ritrova in una zona con caratteristiche di extraterritorialità: un luogo dove le leggi che dovrebbero valere per tutti non valgono per lui. Per gli operai è la fabbrica, dove i più elementari diritti si fermano al di fuori del cancello di entrata. Per mogli e figli è la famiglia, dove spesso regna una dittatura patriarcale. L'intero paese è invece "extraterritoriale" per le nazionalità oppresse: ai loro membri vengono spesso applicate leggi che non valgono per quelli delle nazionalità dominanti.

Per gli appartenenti di alcuni soggetti sociali oppressi è possibile passare allo status di oppressori. Quando ciò avviene essi hanno la tendenza a "dimenticare" la propria condizione passata di oppressi. Accade sistematicamente con i giovani che, divenuti genitori, tendono ad applicare ai figli gli stessi metodi educativi dei quali erano stati vittime da piccoli, ma che ora appaiono loro giusti e indispensabili. I pochissimi proletari che riescono a diventare "padroni" compiono la medesima operazione di rimozione. E ciò accade anche con quelle nazionalità che, liberatesi dal giogo dell'oppressore, esercitano la stessa oppressione su un'altra minoranza. È accaduto ad esempio con i croati nei confronti dei serbi di Krajina, con i georgiani nei confronti degli abkazi, con gli ucraini verso i crimeani, ecc. Ciò sta a dimostrare che le idee di oppressi ed oppressori non dipendono dall'indole personale, ma dalla posizione sociale che essi occupano.

CAUSE INTERNE DELL'OPPRESSIONE

Le divisioni tra gli oppressi.

Le oppressioni possono essere più o meno forti. All'interno dell'oppressione di classe non è la stessa cosa essere impiegato di banca e manovale in nero. Nonostante ciò le differenze che esistono tra i due sono infinitamente minori di quelle che esitono tra un borghese e un proletario. Tra le donne vi è differenza non solo tra una borghese e una lavoratrice, ma anche tra un'insegnante e una casalinga di un quartiere popolare. Tra gli oppressi circola molta invidia sociale e anche molta concorrenza. Gli oppressori stimolano ed incoraggiano tale competizione. Tra i lavoratori vi è concorrenza per la conquista del posto di lavoro, tra diversi livelli di istruzione, tra etnie diverse, tra giovani ed anziani, tra donne e uomini. Tra le donne vi è concorrenza soprattutto per ciò che dagli uomini è in loro maggiormente valutato: la bellezza, o meglio ciò che gli uomini in un determinato momento storico decidono sia la bellezza (la donna "grassa" nel Rinascimento, "formosa" nel dopoguerra, "magra" oggi): dal successo di questa caratteristica può dipendere la loro collocazione sociale. Tra i giovani la concorrenza è stimolata nelle scuole e viene persino considerata educativa.

Da parte degli oppressi vi è la tendenza a prendersela con il più debole. Ciò avviene semplicemente perché è comodo. Per un operaio che rischia il licenziamento è più semplice prendersela con gli immigrati che "rubano" i posti di lavoro che con i padroni per esigere la riduzione dell'orario di lavoro. Per le donne è meglio prendersela coi figli che affrontare il marito.

L'introiezione dell'oppressione.

L'oppressione viene introiettata dagli oppressi. Per questo è ben difficile per loro anche solo riconoscere l'oppressione di cui sono vittime. La maggior parte degli oppressi non si rende conto di esserlo e non accetta di essere considerato tale. Una giovane educata da tutto il sistema ad essere seducente e ad adeguarsi prontamente all'immagine che di lei dovrebbero avere i ragazzi, ben difficilmente accetterà di essere considerata un'oppressa: al contrario sarà convinta di essere "naturale" e di esercitare un terribile potere (quello di seduzione) sugli uomini. L'operaio specializzato benvoluto dal padrone perché lavora come un cane e fa un sacco di ore di straordinario, oppure l'impiegato che quando parla della ditta per la quale lavora dice "noi" come se l'impresa fosse sua, vedranno di buon occhio i dirigenti e si penseranno come parte di un unico organismo, all'interno del quale ognuno ricopre il ruolo che "si merita". Il giovane allevato in casa con ogni comodità al quale i genitori (che lo indirizzano silenziosamente verso un destino da lui non scelto facendoglielo apparire come ineluttabile) non avranno negato nulla, si ribellerà indignato ad ogni frase pronunciata contro l'istituzione familiare. Gay e lesbiche abituate alla clandestinità troveranno la cosa normale ed anche comoda e vedranno con fastidio quei gruppi che vorrebbero farli emergere dal buio.

In larga misura il processo che porta alla presa di coscienza è lento e faticoso proprio perché si deve misurare con gli stereotipi che gli oppressori hanno conficcato nella testa degli oppressi. Sono convincimenti che portano i proletari a sentirsi goffi e impreparati di fronte a un ingegnere incravattato che parla difficile in una trattativa, che procurano acuti sensi di colpa alle donne quando vengono rimproverate di non badare a sufficienza ai propri figli o di tenere la casa sporca, che mortificano i giovani quando si sentono elencare dai genitori tutti i sacrifici fatti per tirarli su. Questi convincimenti, questi sensi di inferiorità portano gli oppressi all'individualismo, alla sfiducia nella propria classe, nel proprio genere, nella propria generazione. Questa sfiducia porta a sua volta a sperare che qualcuno della classe dominante, più buono degli altri, ci possa cavare dai guai, che qualche principe azzurro possa arrivare e strapparci alla solitudine, che qualche adulto possa sceglierci come proprio delfino e proiettarci nello scintillante mondo degli oppressori.

Gli oppressi infatti hanno una certa tendenza a cercare approvazione dagli oppressori e ad adottare i loro costumi. Gli oppressori esercitano un terribile fascino sugli oppressi: ai secondi il mondo dei primi appare affascinante e pieno di lustrini. Questa tendenza è presente anche in chi apparentemente ha acquisito un certo grado di coscienza. Un impiegato che cerca spasmodicamente l'approvazione del superiore mostrandosi bravo e affidabile, ma anche un operaio sindacalizzato che mentre contratta ama pensare, sorretto dai loro sorrisi e complimenti, che in fondo i padroni apprezzano più lui dei crumiri. Le donne che fanno di tutto per piacere agli uomini, farsi notare da loro e adeguarsi alle loro aspettative. I gay e le lesbiche che fanno di tutto per apparire "normali" e rispettabili anche manifestando pubblicamente orientamenti che in realtà non sono i loro. Gli immigrati integrati che parlano malissimo degli ultimi arrivati.

Gli oppressi fanno larghissimo uso di droghe. Intendiamo per droghe tutto ciò che favorisce un artificioso star bene in una condizione di oppressione, tutto ciò che permette di "non pensare", dunque di "alienarsi". I giovani fanno largo uso di droghe leggere e pesanti, le donne di tranquillanti e TV, i lavoratori di alcolici e avvenimenti sportivi, ecc. A volte gli oppressori tentano un qualche tipo di controllo su un certo tipo di droga il cui uso gli pare sfugga al proprio controllo: così i padroni hanno visto in passato con allarme una popolazione sfatta dall'alcool, o gli adulti si preoccupano per il diffondersi di droghe che ostacolano i figli nel raggiungimento dei traguardi sociali loro assegnati. Ma si tratta di ipocrisia: i genitori possono provocare tragedie nello scoprire i figli fumare uno spinello, ma non si scandalizzano se gli stessi si rimbambiscono di calcio o telenovelas. In generale le droghe, con il tramonto della religione e dei riti culturali quali strumenti di controllo, costituiscono armi formidabili per addormentare gli oppressi.

Gli ostacoli alla presa di coscienza.

Un'altra tendenza degli oppressi che ostacola la propria presa di coscienza è quella a generalizzare la propria condizione. Ciò avviene ad esempio quando un operaio si trova male in fabbrica sogna un padrone "migliore". La moglie ha sempre la tendenza a pensare che il problema sia il proprio marito e invidia spesso quello di altre. I figli pensano sempre che il problema non sia l'istituto familiare, ma il caratteraccio dei propri genitori. Solo nei momenti di forte mobilitazione collettiva gli oppressi riconoscono più facilmente negli occhi dei propri simili la propria condizione.

Diciamo che un oppresso acquista coscienza della propria oppressione quando si rende conto chiaramente di quali sono i suoi avversari, quando riesce a distinguerli nettamente gli uni dagli altri, quando diviene capace di generalizzare il senso della propria privata oppressione.
Un'operaia che vive contemporaneamente lo sfruttamento in fabbrica e l'oppressione in famiglia e si rende conto che lo stesso problema è vissuto dai lavoratori da un lato e dalle donne dall'altro ha acquisito allo stesso tempo una coscienza classista e femminista. Quando gli oppressi prendono coscienza nasce allora l'orgoglio di appartenere a categorie che hanno costruito il mondo, anche se non sono responsabili delle sue storture. Questo orgoglio è percepito dagli oppressori come razzismo al contrario. Come pericolo e minaccia.

L'ALLEANZA

Prendere coscienza della propria oppressione non significa automaticamente riconoscere le altre. Anzi! La presa di coscienza da parte di un operaio dello sfruttamento di classe cui è sottoposto non ha mai implicato automaticamente la presa di coscienza di essere un oppressore verso figli e moglie, o verso gli immigrati. Nessun partito di sinistra o sindacato ha mai chiesto ai propri membri di rinunciare all'oppressione che esercitano in famiglia. Le femministe hanno spesso visto con diffidenza i gruppi di lesbiche. I collettivi giovanili, anche i più estremisti, sarebbero fortemente imbarazzati dall'avere a che fare con gruppi gay. La ragione è semplice: non fa comodo. Perché mai un oppresso dovrebbe rinunciare ad essere oppressore di qualcun altro se questo non gli conviene? È ovvio che ciò non può avvenire spontaneamente e naturalmente. Ma solo a seguito dell'accettazione di un progetto.

Il progetto è quello di un'alleanza e la prospettiva è quella della liberazione da tutte le forme di oppressione. Un'alleanza tra i proletari e le proletarie, le donne, i giovani, le nazionalità dominate, i gay e le lesbiche. Questa alleanza avrà molti nemici, alcuni dei quali dovranno essere sconfitti all'interno dei vari soggetti sociali oppressi.

La nostra posizione e quella "movimentista".

L'ipotesi qui delineata non va confusa con quella delle diverse tradizioni "movimentiste", i cui fautori sostengono che nella nostra società non è più centrale l'oppressione di classe e che si deve quindi stabilire un fronte, un'unità, un "blocco sociale" tra operai e "nuovi soggetti sociali", detti anche "movimenti", tra i quali citano l'ecologismo, il femminismo, il pacifismo, ecc.

La nostra concezione è opposta. Prima di tutto non riteniamo meno centrale di prima la questione di classe: semplicemente da sempre sono centrali anche altre forme di oppressione. Secondariamente noi siamo per l'alleanza dei soggetti sociali oppressi, i quali, in larga misura, non esprimono alcun movimento; per questo, se si riconosce la necessità dell'alleanza, i movimenti degli oppressi bisogna costruirli. I gruppi femministi in Italia ad esempio sono estranei alla massa delle donne. I collettivi giovanili, e quelli di gay e lesbiche raccolgono in larga misura universitari, classe media, ecc. Quindi se mettiamo insieme l'esistente, abbiamo costruito ben poco, perché avremo messo insieme tanti pezzettini di classe media. In terzo luogo alcuni dei "nuovi soggetti sociali", come gli ecologisti ad esempio o i pacifisti, non sono soggetti oppressi: caso mai si tratta di nuovi soggetti politici. Coloro ai quali facciamo riferimento invece, sono soggetti sociali e non sono affatto nuovi: al contrario sono antichissimi e per la gran parte non sono ancora organizzati.

Condizioni dell'alleanza.

Per fare l'alleanza tutti i contraenti del patto devono avere pari dignità. Ciò si scontra con una naturale tendenza da parte dei soggetti che acquisiscono coscienza della propria oppressione: pensare che il soggetto del quale si è parte sia il più importante e immaginare che la visione del mondo che ne consegue sia l'unica veritiera. Ad esempio, i militanti "marxisti" vedono tutto nell'ottica della divisione di classe: la subalternità della donna sarebbe causata dall'avvento della proprietà privata, i problemi dei giovani non sarebbero specifici, ma legati allo sfruttamento capitalistico, ecc. Un simile atteggiamento ovviamente brucia in partenza qualsiasi possibilità di alleanza. Del resto molte femministe compiono la stessa operazione: vedono l'oppressione di classe come frutto del dominio maschile. E così via.

Dato che i soggetti sociali hanno pari dignità e le oppressioni di cui sono vittime sono ugualmente gravi e ingiuste, nessun soggetto è legittimato ad adottare la tattica dei due tempi (prima si lotta una oppresisone e poi, una volta vinto, si passa a un'altra). Questa tattica è invece stata seguita sempre, ad esempio, dal movimento operaio per ragioni elettorali o di convenienza. La tattica è sempre stata giustificata con argomenti del tipo: "prima vinciamo, poi tutto si sistema". In realtà questa tattica, che noi giudichiamo un tradimento, non è mai servita a vincere ma solo a rompere il fronte degli oppressi. Vi sono poi rivendicazioni che non solo le organizzazioni del movimento operaio non accolgono, ma alle quali sono apertamente ostili, soprattutto quelle riguardanti le nazionalità oppresse dello stato al quale appartengono: le dirigenze dei partiti e dei sindacati di sinistra aderiscono sempre, in tutti i paesi, al nazionalismo dei dominatori. Accade in Italia ad esempio nel caso dei sardi, dei sudtirolesi, ecc.

Le organizzazioni degli oppressi hanno sempre trovato varie scuse per non stipulare e non praticare l'alleanza. La più diffusa è che se così si facesse si romperebbe l'unità del proprio referente sociale. Molte femministe hanno l'impressione che dando spazio alle lesbiche si rompa il fronte delle donne. Ci sono marxisti che sostengono che dando spazio alle varie oppressioni (femminile, etnica, ecc.) si rompe l'unità dei lavoratori. Queste considerazioni non tengono conto del fatto che i lavoratori (così come le donne, ecc.) sono già divisi secondo linee che riguardano altre oppressioni e che dare pari dignità ad esse è l'unica maniera per ristabilirne l'unità.

Noi riteniamo che nei giornali, nella propaganda, nelle manifestazioni, nelle lotte degli oppressi e soprattutto del movimento operaio (essendo il soggetto più organizzato) tutte le diverse rivendicazioni dei soggetti oppressi devono godere di pari peso. La questione della violenza domestica non è meno importante della questione salariale. Il razzismo non meno della disoccupazione.

La stessa pratica dell'alleanza deve procurare immediati vantaggi materiali ai contraenti del patto. È ovvio che una diminuzione del razzismo popolare non potrà che migliorare le condizioni di vita degli immigrati, la rinuncia alla dominazione patriarcale comporterebbe un aumento della salute psicologica (e a volte fisica) di mogli e figli e specialmente di figli gay o lesbiche, e così via.

La pratica di questa alleanza avrebbe il benefico effetto di convogliare l'aggressività degli oppressi verso i veri responsabili della propria rabbia. L'oppressione è sempre violenza. Chi ne è vittima si carica a sua volta di una quantità pari di violenza che non può annullare con un puro atto di volontà: essa potrà essere diretta verso se stesso (la depressione che colpisce tante donne, o le malattie psicosomatiche), verso altri che non c'entrano (violenza domestica, violenza verso gli immigrati) o verso gli erogatori di violenza, cioè i veri responsabili. La pratica dell'alleanza serve a canalizzare la carica di violenza ineliminabile che questo sistema produce, verso i veri responsabili.

L'alleanza è necessaria per vincere. Nessuno dei soggetti sociali oppressi può sperare di liberarsi da solo. Senza sconfiggere il capitalismo nessuna oppressione sarà superata, perché il sistema ha bisogno, per mantenere il dominio sulla classe lavoratrice, di alimentare anche le altre oppressioni. La lotta di donne, gay, lesbiche, ecc. per i propri diritti conseguirà sempre e soltanto risultati parziali e provvisori, senza l'eliminazione della struttura di classe. Allo stesso modo i proletari e le proletarie hanno già dimostrato di non farcela a battere da soli il capitalismo e soprattutto la storia del Novecento dimostra che non è affatto vero che, eliminata la struttura di classe, si eliminano automaticamente anche le altre oppressioni, le quali in gran parte sono precedenti all'oppressione di classe. L'alleanza con il proletariato imporrà alle borghesi e ai giovani borghesi di scegliere tra la loro appartenenza di genere o di generazione e quella di classe, agli operai tra i loro interessi di classe e quelli di dominatori in famiglia, e così via.

LA PRATICA DELL'ALLEANZA

Come si fa a mettere in pratica questa alleanza? I soggetti sociali si esprimono attraverso movimenti, partiti, associazioni, sindacati. È lì che questa alleanza va proposta e praticata. Noi pensiamo sia possibile sin d'ora praticarla e dobbiamo fare in modo che i partiti, i sindacati, i movimenti e i gruppi di base diventino luoghi dell'alleanza.

La separatezza organizzativa.

Come si fa a convincere della bontà di questa strategia? Non si deve convincere, si deve praticare. Non si può contare sul buon senso degli oppressori perché si convincano della giustezza delle rivendicazioni degli oppressi. Questi ultimi si devono organizzare in maniera separata. Solo così ci sarà la garanzia che l'alleanza sia praticata tra uguali. Le alleanze si stipulano tra stati, tra eserciti, e quindi tra organizzazioni, altrimenti sono pure petizioni di principio. Organizzazione separata vuol dire proprie autonome rappresentanze (di sole donne, di sole lesbiche, e così via). È necessario che gli individui appartenenti al medesimo soggetto sociale oppresso apprendano ad apprezzarsi tra di loro, ad aver fiducia in se stessi, a non aspettarsi di essere guidati dagli oppressori. Così come i proletari hanno cominciato a difendersi efficacemente solo nel momento in cui hanno costruito proprie autonome rappresentanze (partiti operai, sindacati) così devono fare gli altri soggetti sociali oppressi. Ma anche nei luoghi misti ogni soggetto dovrà rivendicare ed essere incoraggiato a praticare istanze separate. Nei movimenti femministi i nuclei di lesbiche, nei sindacati le donne, i giovani, le nazionalità oppresse, ecc.

All'interno dei partiti di sinistra, delle associazioni, dei sindacati, dei movimenti dovrebbe non solo essere permessa, ma sistematicamente incoraggiata la costituzione di luoghi separati autogestiti dai soggetti oppressi. Desolante è invece il bilancio della partecipazione militante in questi organismi: pochi giovani, pochissime donne, immigrati, gay e lesbiche. Anche gli operai partecipano poco: molto più numerosi sono gli impiegati, i tecnici, gli insegnanti.

I luoghi dell'alleanza.

Ogni organismo recluta secondo l'immagine che esso dà di sé. È ovvio che se la sua immagine è classista attrarrà l'attenzione dei proletari e delle proletarie coscienti. Se ad esempio la pratica di un partito è limitata alle problematiche che riguardano i bianchi, pochi immigrati si azzarderanno ad avvicinarsi. Se nelle riunioni ci si preoccupa solo di parlare di questioni istituzionali, ben pochi giovani avranno voglia di militarvi. Se nelle attività sarà dato spazio a funzionari, dirigenti, insegnanti, sindacalisti e chiacchieroni, gli operai penseranno che non è posto per loro.

È vitale reclutare negli organismi di massa membri di tutti i soggetti oppressi. Ciò migliorerà tra l'altro la visuale, le capacità analitiche, di tutti i militanti. I soggetti che potenzialmente "vedono meglio" e che quindi possono intendere meglio la necessità dell'alleanza sono quelli che accumulano vari tipi di oppressione: le donne proletarie, i lavoratori e le lavoratrici immigrate, i giovani lavoratori e lavoratrici, ecc.
Solo se tutti i soggetti sociali saranno fisicamente presenti, nel senso che avranno costituito proprie autonome rappresentanze (interne ed esterne ai partiti ed ai sindacati esistenti) sarà possibile parlare di alleanza.

Per essere luogo di alleanza, questi organismi devono divenire luogo dove si anticipa un pezzo di quella società più giusta che vogliamo costruire. Per questo si devono stroncare tutti i sottili meccanismi che alimentano l'oppressione anche all'interno di strutture che dovrebbero essere di liberazione. Partiti di sinistra, sindacati, movimenti sono organizzati in maniera tale da scoraggiare la partecipazione delle donne. I mariti a parole progressisti e di sinistra, ostacolano l'impegno femminile con i più svariati e fantasiosi metodi. Dai ricatti alle scenate affettivo-possessive alle sottili o grossolane svalutazioni della qualità dell'impegno delle donne, dal ricatto morale (i bambini che soffrono) alla contrapposizione degli impegni (dove a venire sacrificati sono quasi sempre gli impegni delle donne). I militanti devono costantemente rinunciare ai propri impegni a favore delle militanti. Nella scelta delle deleghe (per incarichi, per i congressi, ecc.) si devono favorire costantemente le donne e gli altri soggetti oppressi. Non si tratta di quote: questi soggetti devono comandare. Un organismo di massa recluta secondo l'immagine che dà di sé, dicevamo: se l'immagine la daranno le donne, altre donne si sentiranno incoraggiate ad entrare. Lo stesso ragionamento vale per i giovani, le minoranze sessuali e le nazionalità oppresse.

Nella scelta delle deleghe (per incarichi, congressi, ecc.) si devono favorire costantemente le donne e gli altri soggetti oppressi. Negli ultimi anni in vari ambiti si è pensato di risolvere la questione con la politica delle "quote": assicurando cioè automaticamente alle donne una certa percentuale di posti negli organismi dirigenti sindacali, di partito, ecc. Questa pratica però non ha in alcun modo risolto il problema della rappresentanza: queste donne erano scelte dai maschi che governano partiti e sindacati e dunque continuavano ad essere legate a coloro ai quali dovevano l'elezione. Per questo la politica delle quote deve essere accompagnata da un altro meccanismo: le candidate a coprire la quota riservata alle donne devono essere scelte dalle donne stesse, e lo stesso deve accadere per quel che riguarda gli altri soggetti sociali oppressi. Il criterio dunque deve essere: le donne scelgono le donne, i giovani i giovani, e così via. Nei congressi politici, sindacali, associativi, ecc. si deve premere perché vi siano riunioni separate dove i soggetti sociali oppressi scelgono i propri rappresentanti.

I tre livelli dell'azione.

L'azione di ogni soggetto sociale oppresso deve articolarsi sui tre livelli dell'agire sociale: il livello politico, quello di movimento (sindacale, associativo, ecc.), quello di base. Il livello politico è quello che riguarda il potere: è lo spazio della lotta degli oppressori per mantenere il dominio e quello degli oppressi per liberarsene. Il livello di movimento invece copre tutta una serie di organismi che gli oppressi si danno per raggiungere obiettivi specifici, ad esempio il sindacato serve a difendere il salario e non a conquistare il socialismo (che è un obiettivo politico). Il livello del lavoro di base si occupa dell'educazione e del lavoro di coscientizzazione. Comprende gruppi di alfabetizzazione, gruppi di autocoscienza, ecc.

La classe lavoratrice già da più di un secolo si è strutturata su questi tre livelli con diversi strumenti organizzativi. Anche gli altri soggetti sociali oppressi dovrebbero seguire lo stesso esempio. Si deve favorire la creazione di organismi "sindacali" di massa giovanili (come sindacati studenteschi), o delle minoranze etniche (associazioni di immigrati), degli omosessuali (come Arcigay e Arcilesbica), delle donne (come il NOW National Organization of Women degli USA). Si tratta di organizzazioni che si occupano di questioni specifiche e che sarebbe ingiusto sovraccaricare di aspettative politiche.

Ciò che manca completamente è la presenza dei soggetti sociali oppressi (ad esclusione della classe lavoratrice) sul piano politico. Ci sono in tutto il mondo fortissimi partiti della classe lavoratrice (con qualche eccezione: gli USA, ad esempio), ma solo due partiti delle donne. Solo le nazionalità oppresse sfidano spesso il livello politico creando proprie autonome rappresentanze politiche. Quindi la questione va posta in questi termini: o i partiti della classe lavoratrice diventano luoghi dell'alleanza, dove cioè tutti e cinque i soggetti sociali oppressi siedono con pari dignità, oppure si dovrà operare perché a partire da indipendenti rappresentanze politiche gli altri soggetti sociali oppressi impongano una politica di alleanza.