Paesaggi della verità e autonomia relativa della scienza.
Di Michael Löwy. Tratto da "Paesaggi della verità", 1987.


Il seguente brano costituisce la conclusione dell'opera "Paesaggi della verità" del filosofo marxista brasiliano (ricercatore del CNRS a Parigi) Michael Löwy, da noi tradotto sulla base dell'edizione in lingua portoghese del 1987. In queste pagine Löwy utilizza a fondo la metafora della "montagna della conoscenza", già utilizzata da Rosa Luxemburg e da Karl Mannheim, e che ci serve per "immaginare" un concetto complesso: la conoscenza della realtà sociale, dipende dalla collocazione sociale di colui che guarda, così come da una immaginaria montagna della conoscenza il paesaggio circostante (la verità) potrà essere visto meglio da chi è situato più in alto. Lo scienziato sociale (o l'artista) dunque ha maggiori possibilità di vedere una più ampia porzione di paesaggio della verità se sale più in alto, se si colloca cioè al lato di coloro che hanno meno interesse a nascondere la realtà delle cose. Le classi più oppresse nella società, quindi coloro che stanno più in basso nella gerarchia sociale, sono situate più in alto nella montagna della conoscenza. Ma ciò costituisce solo una potenzialità, che non sempre è sfruttata. Nel brano è evidente la polemica nei confronti del marxismo "determinista", meccanicista, staliniano frutto delle società burocratiche (URSS, ecc.) che all'epoca in cui questo libro è stato scritto (prima dell'89) esercitavano sulla sinistra una potente influenza, mentre Löwy si schiera a favore di un marxismo "aperto", libertario, critico.

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Abbiamo paragonato lo scienziato sociale al pittore di un paesaggio. Questo "quadro" dipende in primo luogo da quello che l'artista può vedere, cioé dal suo punto di osservazione. Più un "punto di osservazione " (cioè un punto di vista di classe) è elevato, più questo permette di ampliare l'orizzonte e di percepire il paesaggio in tutta la sua estensione: le catene montuose, le valli, i fiumi non conosciuti dagli osservatori situati più in basso non sono visibili se non dall'alto. Evidentemente, nei limiti determinati dal loro orizzonte di visibilità, anche gli osservatori che stanno più in basso possono scorgere una parte del paesaggio. Nella nostra ipotesi, il punto di osservazione più alto è quello del proletariato; i punti di osservazione posti a livelli inferiori corrispondono ai punti di vista delle altre classi o frazioni di classe, che si distinguono non solamente per la differenza di "altitudine" ma anche per la diversa posizione su una stessa piattaforma: lo stesso paesaggio può essere percepito da angoli distinti e complementari. Esiste infine una parte del paesaggio che è visibile da tutte le altezze: è la "zona di consenso" tra i diversi punti di vista, generalmente limitato al livello più immediato, più "terra terra" della conoscenza (ad esempio tutti saranno d'accordo sul fatto che la Bastiglia cadde il 14 luglio del 1789) ecc. Questa metafora ci pare particolarmente efficace, perché ci permette anche di "mostrare" (in forma immaginaria) che:

  1. non esiste una visione del paesaggio che non sia situata in un punto di osservazione particolare
  2. la sintesi o la media esatta tra livelli superiori o inferiori non rappresenta in nulla un punto di vista privilegiato
  3. i limiti strutturali dell'orizzonte non dipendono dalla buona o dalla cattiva volontà dell'osservatore, ma dall'altezza e dalla posizione nella quale esso si trova
  4. il pittore può passare da un punto di osservazione all'altro, ma il suo orizzonte di visibilità dipenderà sempre dalla posizione in cui egli si trova in un momento o l'altro
  5. l'osservatore situato in un livello superiore può rendersi conto sia dei limiti sia delle verità contenute nei punti di vista più in basso
  6. il punto di osservazione offre una possibilità obiettiva di visione del paesaggio.

Quest'ultima precisazione è di fondamentale importanza. E' evidente -per restare nell'ambito della nostra "allegoria dell'osservatore" - che il paesaggio come "quadro" non dipende solo dal punto di osservazione, ma anche dallo stesso pittore, dalla sua maniera di guardare e della sua arte di dipingere.

La "maniera di guardare". Il pittore - cioè lo scienziato sociale - è condizionato non solamente dalla sua posizione di classe, ma anche da altre determinazioni, da altre appartenenze sociali non classiste relativamente autonome dalle classi sociali: nazionalità, generazione, religione, cultura, genere. La sua visione è condizionata anche dall'essere o meno vincolato a certe categorie sociali (burocrazia, studenti, intellettuali, ecc.) o a certe organizzazioni (partiti, sette, chiese, circoli, confraternite, cenacoli). Mannheim ha avuto il merito di porre l'attenzione su questo tipo di determinanti sociali della conoscenza, nonostante non abbia saputo articolarle in maniera precisa, e coerente con il punto di vista di classe. Il suo contributo permette di arricchire la sociologia critica della conoscenza, fornendole una dimensione essenziale e irriducibile alle categorie classiste abituali.

Questi fattori possono tanto stimolare quanto sviare il punto di vista del pittore in relazione a certi aspetti del paesaggio che si offre ai suoi occhi. Così una donna situata in un punto di vista di classe determinato percepirà dimensioni della realtà che la visione maschile, situata nella stessa classe, tende a evitare (e ciò vale anche per il punto di vista del proletariato).

L'esempio "negativo" più sorprendente del ruolo di questi fattori non classisti è la burocrazia staliniana: il "pittore" formato in questo contesto sta in cima alla montagna, ma è provvisto di visiere e di occhiali deformanti che a volte impediscono ogni visibilità… Ciò permette di comprendere il paradosso (dal punto di vista marxista "volgare") di una scienza sociale di ispirazione "marxista-leninista" i cui risultati hanno in certi casi un valore di conoscenza ben inferiore a quelli prodotti da scienziati sociali situati in una prospettiva borghese.

Una di queste determinazioni che hanno una importanza particolare, nella misura in cui essa è comune a gran parte degli studiosi sociali, è l'appartenenza alla categoria sociale degli intellettuali; anche in questo caso è necessario ricorrere a Mannheim e riconoscere la specificità sociale di questa categoria, che gli dà una certa efficacia propria (indipendentemente dall'origine sociale o dalla posizione di classe dell'intellettuale). Al di là di questo, lo stesso Marx faceva riferimento a questo fenomeno, quando si riferiva alla separazione, alla distanza sociale e culturale - "un abisso li separa" - tra la classe e i suoi rappresentanti letterari, politici e scientifici. Questa distanza può essere più ampia o più stretta - uno degli obiettivi permanenti del movimento operaio rivoluzionario è proprio di ridurlo al minimo - ma questa non sparirà fin tanto che esisterà una intelligentsia come categoria sociale distinta.

La sua "arte pittorica". La scienza (come la pittura, o ogni attività culturale) possiede una propria autonomia, nel senso etimologico greco della parola (autonomos: sua propria legge), dispone cioé di principi propri di attività, di una sua disciplina costrittiva, di una sua logica interna, e di una specificità in quanto pratica che mira a scoprire la verità. Alcuni di questi principi - quelli sui quali insistono i positivisti - sono comuni a ogni scienza, specialmente:

  1. l'intenzione-di-verità, la ricerca della conoscenza come obiettivo in sé, il rifiuto di sostituire questo obiettivo per finalità extrascientifiche. Un pittore che è contrattato e pagato per dipingere un paesaggio in rosa non potrà, se lui accetta le condizioni, riprodurre i veri colori che lui osserva dal suo punto di vista… Come abbiamo sottolineato prima, questo principio è in una certa misura tautologico, ma ciò non significa che esso sia sempre rispettato. La sua infrazione ha prodotto una figura molto speciale nel mondo scientifico (o meglio pseudoscientifico) che Marx denominava con il termine infamante di sicofante. E' vero che certe condizioni storiche e sociali favoriscono l'emergere di sicofanti, il cui pensiero stipendiato manifesta la più superba indifferenza nei confronti della ricerca della verità obiettiva.
  2. La libertà di discussione e di critica, il confronto permanente e pubblico delle tesi e delle interpretazioni scientifiche. Senza questa condizione, la scienza è condannata all'oscurantismo o alla unidimensionalità (basti pensare alla scienza sociale sovietica e nordamericana degli anni della guerra fredda).

Altri principi sono propri di ogni scienza: stabiliscono, in relazione ad un oggetto determinato, i procedimenti che permettono di riunire, controllare, analizzare e interpretare i dati empirici. Questi principi sono obiettivi e devono essere rispettati da tutti gli scienziati, qualunque sia la loro visione del mondo. Indipendentemente dal suo punto di vista di classe, lo storico sa che deve poter provare le sue affermazioni con dei documenti, che una testimonianza isolata è insufficiente e deve essere confrontata con altre, che deve rispettare la cronologia nello studio della casualità, ecc.

L'"arte pittorica" riporta anche, nella scienza come nella pittura, a una tradizione culturale, un insieme di opere, un sapere accumulato che serve da punto di partenza necessario per ogni produzione nuova.

Il lavoro degli storici dell'arte forniscono a questo riguardo una chiarezza rivelatrice, che può essere applcata molto bene alle scienze sociali. Wolfflin scriveva che tutti i quadri devono di più ad altri quadri che all'osservazione diretta. Seguendo questa indicazione, Gombrich mostra nella sua importate opera Arte e illusione che ogni artista "legge" la realtà utilizzando il "vocabolario" artistico esistente: la rappresentazione "vera" della natura in un paesaggio riprodotto in pittura non è mai il risultato della semplice osservazione, ma implica sempre uno studio e una conoscenza intima di altre opere d'arte, modelli, tradizioni e convenzioni artistiche anteriori. Lo stesso innovatore si situa in relazione a questa tradizione, che cerca di criticare e superare, ma che gli serve necessariamente da punto di riferimento iniziale. Per prendere un esempio nelle scienze sociali: l'opera di Marx non risulta da una "osservazione diretta" del funzionamento delle fabbriche capitaliste, ma soprattutto dalla lettura e analisi critica dei principali scritti economici dal sec.XVIII (i fisiocratici) fino ai suoi giorni; è allo stesso tempo una rottura profonda e una continuazione della tradizione scientifica anteriore, che ha costituito il suo punto di partenza. Come sottolinea Bourdieu, nessuna innovazione e nessuna strategia di sovversione o di critica della conoscenza sociale è efficace se non mobilita "il capitale di sapere accumulato".

A questo si aggiunge un ultimo determinante dell'autonomia relativa: le qualità individuali del "pittore", la sua creatività, immaginazione, rigore, intelligenza, o sensibilità. Per un Max Weber, quanti spiriti mediocri, limitati, senza forza e senza lucidità, nella sociologia borghese? E nella prospettiva aperta dalla visione del mondo proletaria non abbiamo solo Marx, ma anche Jules Guesde, Turati, Hyndmann etc.

L'autonomia relativa della scienza sociale significa, pertanto questo: all'interno dei limiti segnalati - cioè a partire dal punto di vista di classe e a partire da una delle visioni sociali del mondo che corrisponde loro (molte visioni del mondo sono possibili a partire da uno stesso punto di vista di classe) - il valore scientifico di una ricerca può variare considerabilmente in funzione di variabili multiple che sono indipendenti dalle classi sociali. L'osservatore non fa altro che definire una possibilità obiettiva di visibilità: la visione effettiva e la pittura del paesaggio non dipendono più da lui. Ma si tratta di una autonomia relativa e non di una indipendenza totale (come pretende il positivismo) nella misura in cui il ruolo dell'orizzonte di visibilità è decisivo per la stessa costituzione del campo cognitivo.

Certi corollari importanti conseguono da questa autonomia:

  1. prima di tutto: il dogmatismo di tipo riduzionista (che si pretende marxista) che limita la scienza al punto di vista di classe, è incapace di dar conto del processo reale di produzione della conoscenza. Nelle sue posizioni estreme, che vanno sino al punto di fare della verità l'appannaggio di una sola classe (o peggio, di un partito considerato rappresentante di questa classe), conduce ad assurdi evidenti.
  2. E poi: la storia della scienza sociale si sviluppa con un certo livello di continuità: Marx continua-critica Ricardo, e lo stesso tipo di relazione dialettica (Aufhebung) definisce il legame tra Lukàcs e Max Weber, Gramsci e Croce, Rosa Luxemburg e Sismondi, ecc. Presentare (come fa il marxismo positivista) il marxismo come scienza della società (o della storia) di fronte al quale le altre teorie (anteriori, contemporanee e posteriori a Marx) non sarebbero se non "ideologie", è una pretesa arrogante che Marx non condivideva assolutamente e che rende incomprensibile il tipo di relazione che esiste tra loro dopo un secolo di attività di scienziati marxisti e non marxisti.
  3. Infine: la scienza situata nella prospettiva più vasta e più totalizzante - cioè quella vincolata alla visione proletaria del mondo - può e deve essere capace di integrare nel sua "riproduzione" pittorica del paesaggio le verità parziali prodotte dalla scienza dei livelli inferiori e più limitati. Questa incorporazione o assunzione di elementi di verità in un insieme strutturato e "impegnato" non ha nulla a che vedere con l'eclettismo e non significa assolutamente che le opposizioni irriducibili tra visioni del mondo opposte spariscano. Nell'integrare nella sua analisi certe critiche di Sismondi al capitalismo, Marx e Rosa Luxemburg non sono diventati più eclettici, e non hanno coperto le divergenze fondamentali che li separavano da quell'economista che sognava il ritorno al passato.

Dal punto di vista della sociologia critica della conoscenza, la formulazione che più ci pare interessante tra i sociologi francesi contemporanei è (nel campo che ci interessa) quella di Pierre Bourdieu, secondo il quale le possibilità di contribuire alla produzione di verità dipendono da due fattori principali: "l'interesse che si ha nel sapere e nel far sapere la verità (o inversamente, nell'occultarla) e la capacità che si ha di produrla".

Quanto a noi, pensiamo che il punto di vista potenzialmente più critico e più sovversivo è quello dell'ultima classe rivoluzionaria, il proletariato. Ma non c'è dubbio che il punto di vista proletario non è in alcun modo una garanzia sufficiente per conoscere la verità sociale: è solamente quel che offre la maggior possibilità oggettiva di accesso alla verità. E ciò perché la verità è per il proletariato un'arma indispensabile alla sua autoemancipazione. Le classi dominanti, la borghesia (ed anche la burocrazia, in un altro contesto) ha la necessità di creare bugie ed illusioni per mantenere il proprio potere. Il proletariato, invece, ha bisogno di verità…