Il proletariato rivoluzionario e il diritto dei popoli all'autodeterminazione.
Lenin, ottobre 1915.


Presentiamo qui uno scritto di Lenin, redatto in una data imprecisata, ma non prima dell'ottobre 1915, presente nel vol.21 delle Opere Complete, pubblicato per la prima volta solo negli anni venti. E' uno dei tanti dedicati al diritto all'autodeterminazione, ed altri ne riprodurremo sui prossimi numeri. Lenin lo scrisse dunque in un periodo tragico per coloro che, successivamente, si chiameranno comunisti e che allora si denominavano "ala di sinistra della socialdemocrazia": allo scoppio di quella che verrà chiamata la prima guerra mondiale la socialdemocrazia tedesca, che era il più grande partito di sinistra, ammirato dagli operai d'avanguardia di tutto il mondo per i suoi successi elettorali, l'organizzazione, il radicamento sociale, aveva votato in Parlamento a favore dei crediti di guerra. Aveva cioè rinnegato il suo internazionalismo e si era resa complice della propria borghesia che voleva la guerra per conquistarsi maggiori spazi nella lotta contro gli altri imperialismi. Lo stesso fecero gran parte degli altri partiti socialisti: ognuno si schierò con la propria borghesia. L'Internazionale socialista, l'organizzazione che legava i partiti operai del mondo, dunque, crollò. Si tratta di coloro che in questo scritto Lenin definisce "socialsciovinisti" e "socialpatrioti".

Tra l'agosto e il settembre del 1915 il Partito Socialista svizzero invitò in una conferenza, che verrà chiamata di Zimmerwald, dal nome del villaggio che la ospitò, quei pochi partiti o personalità che si opponevano alla guerra. Nella conferenza si arrivò ad una posizione di compromesso, ma un'ala sinistra che voleva la fondazione da subito di un'altra internazionale si organizzò subito dopo criticando tra l'altro le stesse conclusioni della conferenza, pur ritenendole il massimo ottenibile nella situazione data. Di questa ala facevano parte tra gli altri Lenin e Karol Sobelshon, colui che é più conosciuto col nome di Karl Radek e che nello scritto è chiamato con uno dei suoi pseudonimi: "Parabellum". Radek nacque in Galizia nel 1885 e fu socialdemocratico sin da giovanissimo, poi emigrò in Polonia e quindi in Germania dove, insieme a Liebknecht, condusse la battaglia contro la maggioranza del Partito Socialdemocratico. Per ragioni di sicurezza si trasferì in Svizzera dove collaborò con i socialdemocratici locali (scrivendo sulla Berner Tagwacht "La sentinella di Berna") e con Lenin con il quale polemizzò da subito sulla questione dell'autodeterminazione nazionale. Questo dibattito si prolungò oltre l'accordo raggiunto tra i due a Zimmerwald, e per questo il documento che qui riproduciamo aveva probabilmente un carattere interno: si tratta infatti di una polemica proprio con Radek. Radek divenne poi un bolscevico ed uno dei dirigenti dell'Internazionale Comunista; dopo la morte di Lenin confluì nell'Opposizione di sinistra che in URSS si opponeva a Stalin, ma nel 1928 cedette a Stalin e ne divenne un acceso sostenitore, cosa che non gli evitò di essere condannato a morte da questi per spionaggio, tradimento, ecc. e fatto uccidere in prigione nel 1939.

Il manifesto di Zimmerwald, come la maggior parte dei programmi e delle risoluzioni tattiche dei partiti socialdemocratici, proclama "il diritto delle nazioni all'autodeterminazione". Il compagno Parabellum (nei nn. 252-253 della Berner Tagwacbt) dichiara "illusoria" la "lotta per l'inesistente diritto di autodeterminazione" e ad essa contrappone la "lotta rivoluzionaria di massa del proletariato contro il capitalismo", assicurando, nello stesso tempo che "noi siamo contro le annessioni" (questa affermazione è ripetuta cinque volte nell'articolo di Parabellum) e contro ogni specie di violenza ai danni delle nazioni.
Gli argomenti di Parabellum si riducono a questo: oggi tutti i problemi nazionali (Alsazia-Lorena, Armenia, ecc.) sono in sostanza problemi dell'imperialismo; il capitale ha superato i limiti degli Stati nazionali; non è possibile "girare all'indietro la ruota della storia" verso l'ideale ormai sorpassato degli Stati nazionali, ecc.
Vediamo un po' se i ragionamenti di Parabellum sono giusti.
Innanzi tutto proprio Parabellum guarda indietro invece di guardare avanti, quando, scendendo in campo contro l'accettazione dell'"ideale dello Stato nazionale" da parte della classe operaia, volge i1 proprio sguardo all'Inghilterra, alla Francia, all'Italia, alla Germania, cioè ai paesi in cui il movimento di liberazione nazionale appartiene al passato, e non all'oriente, all'Asia, all'Africa, alle colonie dove questo movimento appartiene al presente e all'avvenire. Basta nominare l'India, la Cina, la Persia, l'Egitto.
Proseguiamo. Imperialismo significa superamento dei limiti degli Stati nazionali da parte del capitale, significa estensione e aggravamento dell'oppressione nazionale su una nuova base storica. Di qui, malgrado le opinioni di Parabellum, deriva precisamente che noi dobbiamo legare la lotta rivoluzionaria per il socialismo al programma rivoluzionario nella questione nazionale.
Dal ragionamento di Parabellum risulta che egli, in nome della rivoluzione socialista, respinge sdegnosamente il programma rivoluzionario coerente nel campo democratico. Questo non è giusto. Il proletariato non può vincere se non attraverso la democrazia, cioè realizzando completamente la democrazia e presentando, ad ogni passo della sua lotta, rivendicazioni democratiche nella formulazione più recisa. É assurdo contrapporre la rivoluzione socialista e la lotta rivoluzionaria contro il capitalismo ad una delle questioni della democrazia, nel nostro caso alla questione nazionale. Dobbiamo unire la lotta rivoluzionaria contro il capitalismo al programma rivoluzionario e alla tattica rivoluzionaria per tutte le rivendicazioni democratiche: repubblica, milizia, elezione dei funzionari da parte del popolo, parità di diritti per le donne, autodeterminazione dei popoli, ecc. Finché esiste il capitalismo, tutte queste rivendicazioni sono realizzabili soltanto in via d'eccezione e sempre in forma incompleta, snaturata. Appoggiandoci alla democrazia già attuata, rivelando che essa è incompleta in regime capitalista, noi rivendichiamo l'abbattimento del capitalismo, l'espropriazione della borghesia, come base indispensabile per l'eliminazione della miseria delle masse e per i'introduzione completa e generale di tutte le trasformazioni democratiche.
Alcune di queste trasformazioni saranno iniziate prima dell'abbattimento della borghesia, altre nel corso di questo abbattimento, altre ancora dopo di esso. La rivoluzione sociale non è un'unica battaglia, ma tutto un periodo di battaglie per tutte le questioni concernenti le trasformazioni economiche e democratiche, le quali saranno portate a compimento soltanto con l'espropriazione della borghesia. Precisamente in nome di questo scopo finale, dobbiamo dare una formulazione coerentemente rivoluzionaria ad ogni nostra rivendicazione democratica. É perfettamente possibile che gli operai di un determinato paese abbattano la borghesia prima dell'attuazione completa anche di una sola riforma democratica fondamentale. Ma é assolutamente inconcepibile che il proletariato, come classe storica, possa vincere la borghesia se a questo non si sarà preparato attraverso l'educazione nello spirito del democratismo più coerente e più decisamente rivoluzionario.
L'imperialismo è l'oppressione sempre maggiore dei popoli del mondo da parte di un pugno di grandi potenze, è un periodo di guerre tra queste potenze per l'estensione e il consolidamento dell'oppressione delle nazioni, è un periodo di inganno delle masse popolari da parte dei socialpatrioti ipocriti, di coloro i quali - col pretesto della "libertà dei popoli", del "diritto delle nazioni all'autodeterminazione" e della "difesa della patria" - giustificano e difendono I'oppressione della maggioranza dei popoli del mondo da parte delle grandi potenze.
Perciò, nel programma dei socialdemocratici, il punto centrale dev'essere precisamente quella divisione delle nazioni in dominanti e oppresse, che rappresenta l'essenza dell'imperialismo e alla quale sfuggono mentendo i socialsciovinisti e Kautsky. Questa divisione non è sostanziale dal punto di vista del pacifismo borghese o dell'utopia piccolo-borghese della concorrenza pacifica tra nazioni indipendenti in regime capitalista, ma essa è indiscutibilmente sostanziale dal punto di vista della lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo. E da questa divisione deve scaturire la nostra definizione - coerentemente democratica, rivoluzionaria e corrispondente al compito generale della lotta immediata per il socialismo - del "diritto delle nazioni all'autodeterminazione". In nome di questo diritto, lottando per il suo riconoscimento non ipocrita, i socialdemocratici delle nazioni dominanti debbono rivendicare la libertà di separazione per le nazioni oppresse, perché altrimenti il riconoscimento dell'eguaglianza di diritti delle nazioni e della solidarietà internazionale degli operai sarebbe in pratica soltanto una parola vuota, soltanto un'ipocrisia. E i socialdemocratici delle nazioni oppresse debbono considerare come fatto di primaria importanza l'unità e la fusione degli operai dei popoli oppressi con gli operai delle nazioni dominanti, poiché altrimenti questi socialdemocratici diverranno involontariamente degli alleati dell'una o dell'altra borghesia nazionale, che tradisce sempre gli interessi del popolo e della democrazia che è sempre pronta, a sua volta, ad annettere e ad opprimere altre nazioni.
Come esempio istruttivo può servire I'impostazione che ricevette la questione nazionale verso la fine del decennio 1860-1870. I democratici piccolo-borghesi, estranei a ogni idea di lotta di classe e di rivoluzione socialista, avevano immaginato I'utopia della concorrenza pacifica, in regime capitalista, tra nazioni libere e aventi eguali diritti. I proudhoniani "negavano" addirittura la questione nazionale e il diritto di autodeterminazione delle nazioni dal punto di vista dei compiti immediati della rivoluzione sociale. Marx scherniva il proudhonismo francese, mostrava la sua affinità con lo sciovinismo francese. ("Tutta I'Europa può e deve restare tranquillamente seduta sul suo deretano, fino a quando i signori non aboliranno in Francia la miseria"... "Per negazione delle nazionalità, essi, a quanto pare, intendono inconsapevolmente l'assorbimento di nazionalità da parte della nazione francese modello") Marx chiedeva la separazione dell'Irlanda dall'Inghilterra, "anche se dopo la separazione si dovesse giungere alla federazione" e lo chiedeva non dal punto di vista dell'utopia piccolo-borghese del capitalismo pacifico, non per motivi di "giustizia verso l'Irlanda", ma dal punto di vista degli interessi della lotta rivoluzionaria del proletariato della nazione dominante, cioè inglese, contro il capitalismo. La libertà di questa nazione era ostacolata e mutilata dal fatto che essa opprimeva un'altra nazione. L'internazionalismo del proletariato inglese sarebbe stato una frase ipocrita se il proletariato inglese non avesse chiesto la separazione dell'Irlanda. Marx, che non è mai stato fautore dei piccoli Stati, né del frazionamento statale in generale, né del principio federativo, considerava la separazione della nazione oppressa come un passo verso la federazione e, conseguentemente, non verso il frazionamento, ma verso il centralismo politico ed economico, verso il centralismo sulla base della democrazia. Dal punto di vista di Parabellum, Marx conduceva, verosimilmente, una "lotta illusoria", quando promuoveva la rivendicazione della separazione dell'Irlanda. Ma in pratica soltanto tale rivendicazione era un programma rivoluzionario coerente, essa soltanto era rispondente all'internazionalismo, essa soltanto difendeva il principio del centralismo in una forma non imperialistica.
L'imperialismo dei nostri giorni ha portato a questo, che l'oppressione delle nazioni da parte delle grandi potenze è diventata un fenomeno generale. Precisamente il punto di vista della lotta contro il socialsciovinismo delle grandi potenze - che oggi conducono la guerra imperialistica per consolidare l'oppressione dei popoli e che opprimono la maggioranza dei popoli del mondo e la maggioranza della popolazione della terra - precisamente questo punto di vista deve essere decisivo, essenziale, fondamentale nel programma nazionale dei socialdemocratici.
Osservate invece le tendenze attuali del pensiero socialdemocratico su questo problema. Gli utopisti piccolo-borghesi, che sognano l'eguaglianza e la pace tra le nazioni in regime capitalista, hanno ceduto il posto ai socialimperialisti. Parabellum combattendo contro i primi combatte contro i mulini a vento, e fa, senza volerlo, il giuoco dei secondi.
Qual è il programrna dei socialsciovinisti nella questione nazionale?
Essi o negano del tutto il diritto all'autodeterminazione adducendo argomenti del genere di quelli di Parabellum (Cunow, Parvus, gli opportunisti russi Semkovski, Libman ed altri), oppure riconoscono questo diritto in modo manifestamente ipocrita, non applicandolo precisamente a quelle nazioni che sono oppresse dalla loro nazione o dall'alleato militare di quest'ultima (Plekhanov, Hyndman, tutti i patrioti francofili, Scheidemann, ecc. ). Kautsky dà la formulazione più suggestiva, e perciò più pericolosa per il proletariato, della menzogna socialsciovinista. A parole è favorevole all'autodeterminazione delle nazioni, a parole è favorevole a ciò che il partito socialdemocratico "rispetti e rivendichi dappertutto (!!) e incondizionatamente (??) l'indipendenza delle nazioni (Neue Zeit, n. 33, II, p. 241, 21 maggio 1915). Ma in pratica adatta il programma nazionale al socialsciovinismo imperante, lo snatura e lo mutila, non definisce con precisione i doveri dei socialisti delle nazioni dominanti e falsifica addirittura il principio democratico dicendo che esigere 1'"indipendenza statale" per ogni nazione significherebbe "esigere troppo" ("zu vil", Neue Zeit, n. 33, II, 77, 16 aprile 1915). Basta, se non vi dispiace, con 1'"autonomia nazionale"!!
E precisamente la questione principale - la questione che la borghesia imperialista vieta di toccare, la questione delle frontiere dello Stato edificato sull'oppressione delle nazioni - é elusa da Kautsky, il quale, per far piacere a questa borghesia, elimina dal programma precisamente ciò che vi é di essenziale! La borghesia è pronta a promettere qualsiasi "parità di diritti delle nazioni" e qualsiasi "autonomia nazionale" purché il proletariato rimanga nel quadro della legalità e si sottometta "pacificamente" ad essa per quanto concerne le frontiere dello Stato! Kautsky formula il programma nazionale della socialdemocrazia in modo riformista e non rivoluzionario.
Il Parteivorstand, Kautsky, Plekhanov e soci sottoscrivono a due mani il programma nazionale del compagno Parabellum, o piuttosto la sua assicurazione: "noi siamo contro le annessioni", precisamente perché questo programma non smaschera i socialpatrioti imperanti. Questo programma lo sottoscriverebbero anche i pacifisti borghesi. L'eccellente programma generale di Parabellum ("lotta rivoluzionaria di massa contro il capitalismo") gli serve - come ai proudhoniani nel decennio 1860-1870 - non per elaborare, corrispondentemente ad esso, secondo il suo spirito, un programma intransigente e altrettanto rivoluzionario sulla questione nazionale, ma per sgombrare i1 terreno, in questo campo, ai socialpatrioti. Nella nostra epoca imperialista, la maggioranza dei socialisti del mondo appartiene alle nazioni che opprimono altre nazioni e che tendono ad estendere questa oppressione. Perciò la nostra "lotta contro le annessioni" resterà senza contenuto, non sarà affatto temibile per i socialpatrioti, se non dichiareremo: il socialista di una nazione dominante, il quale, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, non svolge la propaganda per la libertà delle nazioni oppresse di separarsi, non è un socialista, un internazionalista, ma uno sciovinista! Il socialista di una nazione dominante che non svolge questa propaganda malgrado i divieti dei governi, vale a dire nella stampa libera, cioè nella stampa illegale, è un fautore ipocrita dell'eguaglianza delle nazioni!
Alla Russia, la quale non ha ancora compiuto la sua rivoluzione democratica borghese, Parabellum ha dedicato una sola frase:
"Persino la Russia, molto arretrata economicamente, ha mostrato, attraverso l'atteggiamento della borghesia polacca, lettone, armena, che i popoli sono tenuti in questa "prigione dei popoli" non soltanto dalla sorveglianza militare, ma anche dalle esigenze dell'espansione capitalistica alla quale l'immenso territorio offre una magnifica base di sviluppo."
Questo non è un "punto di vista socialdemocratico", ma borghese liberale, non internazionalista, ma grande-russo-sciovinista. Evidentemente, Parabellum, il quale lotta così bene contro i socialpatrioti tedeschi, non è troppo al corrente di quest'altro sciovinismo! Per fare di questa frase di Parabellum una tesi socialdemocratica, e per dedurre da questa frase conclusioni socialdemocratiche, bisogna rifarla e completarla nel modo seguente:
La Russia è una prigione di popoli non soltanto a causa del carattere militare-feudale dello zarismo, non soltanto per il fatto che la borghesia grande-russa appoggia lo zarismo, ma anche perché le borghesie polacca, ecc. hanno sacrificato la libertà delle nazioni e la democrazia in generale agli interessi dell'espansione capitalistica. Il proletariato della Russia non può fare a meno di marciare alla testa del popolo per la rivoluziune democratica vittoriosa (questo è il suo compito immediato) né può fare a meno di combattere assieme ai suoi fratelli, ai proletari d'Europa, per la rivoluzione socialista senza chiedere anche ora piena e incondizionata libertà di separazione dalla Russia per tutte le nazioni oppresse dallo zarismo. Noi rivendichiamo questo, non indipendentemente dalla nostra lotta per il socialismo, ma perché quest'ultima lotta resta una parola vuota se non è legata indissolubilmente all'impostazione rivoluzionaria di tutte le questioni democratiche, compresa quella nazionale. Noi esigiamo la libertà di autodeterminazione, cioè l'indipendenza, cioè la libertà di separazione delle nazioni oppresse, non perché sogniamo il frazionamento economico o l'ideale dei piccoli Stati, ma, viceversa, perché desideriamo dei grandi Stati e l'avvicinamento, persino la fusione, tra le nazioni su una base veramente democratica, veramente internazionalista, inconcepibile senza la libertà di separazione. Come Marx nel 1869 chiedeva la separazione dell'Irlanda non per il frazionamento, ma per un'ulteriore libera unione tra l'Irlanda e l'Inghilterra, non per "giustizia verso l'Irlanda" ma in nome degli interessi della lotta rivoluzionaria del proletariato inglese, così anche noi consideriamo la rinuncia dei socialisti della Russia alla rivendicazione della libertà di autodeterminazione delle nazioni nel senso da noi indicato, come un aperto tradimento della democrazia, dell'internazionalismo e del socialismo.