Devono
i rivoluzionari lavorare nei sindacati reazionari?.
Di
Lenin. Giugno 1920.
Dopo
la rivoluzione russa gran parte delle energie di Lenin furono dedicate
ovviamente alla lotta contro la reazione delle armate bianche ed alla sopravvivenza
del giovane stato sovietico. Parte integrante di questo sforzo fu quello di
occuparsi attivamente del movimento comunista internazionale che muoveva i
suoi primi passi. Dunque, se la sua polemica fu incessante verso i socialdemocratici,
non risparmiò strali, comunque, anche agli "estremisti".
Tali considerava varie organizzazioni e singole personalità che rifiutavano
di partecipare alle elezioni parlamentari, respingevano per principio qualsiasi
compromesso, negavano l'esistenza della questione nazionale, si rifiutavano
di militare nei sindacati burocratici. Riassunse queste critiche in un libro
terminato nel giugno del 1920 e che si intitola: "L'estremismo, malattia
infantile del comunismo". Qui riproduciamo ampi brani del capitolo
dedicato ai sindacati. I
" sinistri " tedeschi, da parte loro, considerano pacifica una risposta
incondizionatamente negativa a questa domanda. ....................................................... dicono
che i comunisti non possono e non devono lavorare nei sindacati reazionari,
che è lecito rinunziare a questo lavoro, che bisogna uscire dai sindacati
e creare assolutamente una "lega operaia" affatto nuova, affatto
monda, escogitata da comunisti molto simpatici (e per la maggior parte, verosimilmente,
molto giovani), ecc. ....................................................... Nei
paesi avanzati più della Russia, un certo reazionarismo dei sindacati
si è manifestato, e doveva senza dubbio manifestarsi molto più
fortemente che da noi. Da noi i menscevichi ebbero un appoggio nei sindacati
e in parte l'hanno ancora oggi (in pochissimi sindacati) appunto in conseguenza
della grettezza corporativistica, dell'egoismo e dell'opportunismo professionale.
In Occidente i menscevichi di colà si sono "annidati" molto
più solidamente nei sindacati; colà si è formato uno
strato più forte che da noi, di "aristocrazia operaia" corporativistica,
gretta, egoistica, sordida, interessata, piccolo-borghese, di mentalità
imperialistica, asservita e corrotta dall'imperialismo. Ciò è
incontestabile. La lotta contro i Gompers, contro i signori Jouhaux, Henderson,
Merrheim, Legien e consorti nell'Europa occidentale è incomparabilmente
più difficile della lotta contro i nostri menscevichi, i quali rappresentano
un tipo sociale e politico del tutto simile. Questa lotta deve essere condotta
senza pietà e come noi abbiamo fatto, deve essere necessariamente continuata
fino a disonorare completamente e a scacciare dai sindacati tutti i capi incorreggibili
dell'opportunismo e del socialsciovinismo. ....................................................... Ma
noi conduciamo la lotta contro l" aristocrazia operaia" in nome
delle masse dei lavoratori e per attrarre queste masse dalla nostra parte;
conduciamo la lotta contro i capi opportunisti e socialsciovinisti per attrarre
dalla nostra parte la classe operaia. Dimenticare questa verità elementarissima
ed evidentissima, sarebbe stolto. E una stoltezza simile commettono appunto
i comunisti tedeschi "di sinistra", i quali dal carattere reazionario
e controrivoluzionario delle alte sfere dei sindacati, traggono la conclusione
che... bisogna uscire dai sindacati, rinunciare al lavoro nel loro seno, creare
forme nuove, bellamente escogitate, di organizzazione operaia. E' una sciocchezza
imperdonabile, e sarebbe il maggior servizio che i comunisti possano rendere
alla borghesia. Giacché i nostri menscevichi, come pure tutti i capi
opportunisti socialsciovinisti, kautskiani, dei sindacati non sono niente
altro che "agenti della borghesia nel movimento operaio" (come noi
abbiamo sempre detto contro i menscevichi), ossia "dei commessi della
classe capitalista nel campo operaio" (labor lieutenants of the capitalist
class), secondo la bellissima espressione, profondamente giusta, dei seguaci
di Daniel de Leon in America. Non lavorare in seno ai sindacati reazionari
significa abbandonare le masse operaie arretrate o non abbastanza sviluppate,
all'influenza dei capi reazionari, degli agenti della borghesia, dell'aristocrazia
operaia, ossia degli "operai imborghesiti " (cfr, Engels, lettera
del 1852 a Marx a proposito degli operai inglesi).
Secondo il loro parere, bastano le declamazioni e le esclamazioni di sdegno
contro i sindacati "reazionari" e "controrivoluzionari"
(ciò risulta in modo specialmente solido e specialmente sciocco in
Carlo Horner) per "dimostrare" che il lavoro dei rivoluzionari,
dei comunisti nei sindacati gialli, socialsciovinisti, collaborazionisti,
controrivoluzionari, è inutile ed anzi inammissibile. Ma, per quanto
i "sinistri" tedeschi siano persuasi che questa tattica è
rivoluzionaria, essa in realtà é radicalmente falsa e non è
fatta di altro che di frasi vuote.
Il capitalismo lascia inevitabilmente in eredità al socialismo, da
una parte, le vecchie distinzioni professionali e corporative fra gli operai,
distinzioni che si sono stabilite attraverso i secoli; e, dall'altra parte,
i sindacati, che possono svilupparsi e si svilupperanno soltanto con molta
lentezza, nel corso di molti anni, in sindacati di produzione più larghi
e meno corporativistici (che abbracciano tutto un intiero ramo di produzione
e non soltanto una corporazione, un mestiere, una professione). In seguito,
per mezzo di tali sindacati di produzione, si passerà alla soppressione
della divisione del lavoro tra gli uomini, all'educazione, istruzione, preparazione
di uomini sviluppati e preparati in tutti i sensi, di uomini capaci di far
tutto. A ciò tende il comunismo; a questo deve tendere e arriverà,
ma soltanto dopo un lungo periodo di anni. Tentare oggi di anticipare praticamente
questo futuro risultato del comunismo pienamente sviluppato, pienamente consolidato
e formato, completamente florido e maturo, è come voler insegnare la
matematica superiore a un bambino di quattro anni.
Noi possiamo (e dobbiamo) incominciare a costruire il socialismo non con un
materiale umano fantastico e creato appositamente da noi, ma con il materiale
che il capitalismo ci ha lasciato in eredità. Ciò è senza
dubbio molto "difficile". Ma ogni altro modo di affrontare il compito
é così poco serio, che non vale la pena di parlarne.
I sindacati, al principio dello sviluppo del capitalismo, furono un gigantesco
progresso perla classe operaia, in quanto rappresentarono il passaggio dalla
dispersione e dall'impotenza dei lavoratori ai primi germi dell'unione di
classe. Quando incominciò a svilupparsi la forma suprema dell'unione
di classe dei proletari, il partito rivoluzionario del proletariato (il quale
non sarà degno del suo nome finché non imparerà ad unire
i capi con la classe, e con le masse, in un sol tutto, in alcunché
di inscindibile), i sindacati incominciarono inevitabilmente a rivelare alcuni
tratti reazionari, un certo angusto spirito corporativo, una certa fossilizzazione,
ecc. Ma il proletariato, in nessun paese del mondo, non si è sviluppato,
né poteva svilupparsi altrimenti, che per mezzo dei sindacati, per
mezzo dell'azione reciproca tra sindacati e partito della classe operaia.
La Conquista del potere politico da parte del proletariato è un gigantesco
passo innanzi che il proletariato, come classe, ha compiuto, e il partito
deve ancor più, in una forma nuova e non soltanto come prima, educare
1 sindacati, dirigerli; ma in pari tempo non dimenticando per altro che essi
sono, e a lungo ancora resteranno, una necessaria "scuola di comunismo"
e una scuola preparatoria per la realizzazione, da parte dei proletari, della
loro dittatura, una unione necessaria degli operai per il graduale passaggio
dell'amministrazione di tutta l'economia del paese nelle mani della classe
operaia (e non di singole professioni), e quindi nelle mani di tutti i lavoratori.
Non si può conquistare il potere politico (e non si deve tentare di
prenderlo) fino a quando tale lotta non sia stata portata a un certo grado,
e questo "certo grado" non sarà lo stesso nei diversi paesi
e in circostanze diverse; e soltanto dei dirigenti politici del proletariato,
riflessivi, competenti ed esperti, possono determinarlo esattamente in ogni
singolo paese.
Appunto la balorda " teoria " della non partecipazione dei comunisti
ai sindacati reazionari denota nel modo più chiaro con quanta leggerezza
questi comunisti "di sinistra" affrontino la questione dell'influenza
sulle "masse" e quale abuso facciano nei loro sproloqui della parola
"masse".
Per saper aiutare le "masse" e guadagnarsi la simpatia, l'adesione
e l'appoggio delle "masse", non si devono temere le difficoltà,
gli intrighi, le insidie, le offese, le persecuzioni da parte dei "capi"
li quali, come opportunisti e socialsciovinisti, nella maggior parte dei casi
sono legati direttamente o indirettamente con la borghesia e con la polizia)
e lavorare assolutamente là dove sono le masse. Bisogna saper sopportare
qualsiasi sacrificio, saper sormontare i maggiori ostacoli per svolgere una
propaganda e un'agitazione sistematiche, tenaci, costanti, pazienti, proprio
nelle istituzioni, nelle società, nelle leghe - anche nelle più
reazionarie - dove si trovano delle masse proletarie o semiproletarie. E i
sindacati e le cooperative operaie (queste ultime almeno talvolta) sono appunto
le organizzazioni nelle quali si trovano le masse, In Inghilterra il numero
degli iscritti delle trade-unions, secondo i dati del giornale svedese Folaets
Dùgblàd Politiken (del 10 marzo 1920) dalla fine del 1917 alla
fine del 1918 è salito da 5,5 a 6,6 milioni, cioè è aumentato
del 19 per cento. Alla fine del 1919 ammontava a 7 milioni e mezzo. Non ho
sottomano i dati corrispondenti per la Francia e per la Germania, ma i fatti
che attestano il grande aumento del numero degli iscritti ai sindacati in
questi paesi sono assolutamente incontestabili e universalmente noti.
Questi fatti dicono in modo lampante ciò che è confermato da
mille altri indizi: lo sviluppo della coscienza di classe e la tendenza all'organizzazione
e precisamente nelle masse proletarie, negli strati " inferiori "
e negli strati arretrati. Milioni di operai in Inghilterra, in Francia, in
Germania, passano per la prima volta dalla disorganizzazione totale alla forma
di organizzazione elementare, più bassa, più semplice, più
accessibile (per coloro che sono ancora imbevuti di pregiudizi democratico-borghesi)
e cioè ai sindacati, e i comunisti di sinistra, rivoluzionari ma irragionevoli,
se ne stanno in disparte e gridano: "le masse!", "le masse!"
e rifiutano di lavorare in seno ai sindacati. Rifiutano con il pretesto del
"reazionarismo" dei sindacati! Escogitano una nuova "lega operaia",
pura, monda di pregiudizi democratici borghesi, non macchiata da peccati corporativistici
e da grettezza professionale, una "lega operaia", che, dicono, sarà
(sarà!) larga e per entrare nella quale si porrà come condizione
soltanto (soltanto!) il "riconoscimento del sistema dei Soviet e della
dittatura" (si veda la citazione più sopra)!
Non è possibile immaginare un'insensatezza maggiore, un maggior danno
per la rivoluzione di quello che cagionano i rivoluzionari "di sinistra"!
Se noi oggi, in Russia, dopo due anni e mezzo di vittorie senza precedenti
sulla borghesia della Russia e dell'Intesa, ponessimo come condizione di ammissione
nei sindacati il "riconoscimento della dittatura", faremmo una sciocchezza,
comprometteremmo la nostra influenza sulle masse, faremmo il gioco dei menscevichi.
Il compito dei comunisti consiste infatti tutto nel saper convincere i ritardatari,
nel saper lavorare fra loro, nel non separarsi da loro con parole d'ordine
"di sinistra" cervellotiche e puerili.
Nessun dubbio che i signori Gompers, Henderson, Jouhaux, Legien sono molto
riconoscenti a simili rivoluzionari " di sinistra ", i quali, come
l'opposizione tedesca "di principio" (ci guardi il cielo da tale
" attaccamento ai principi "), o come alcuni rivoluzionari dei "Lavoratori
industriali del mondo" americani, predicano l'uscita dai sindacati reazionari
e il rifiuto di lavorare in essi. Nessun dubbio che i signori "capi"
dell'opportunismo ricorreranno a tutti gli stratagemmi della diplomazia borghese,
all'ausilio dei governi borghesi, dei preti, della polizia, dei tribunali,
per impedire ai comunisti di entrare nei sindacati, per scacciarli con tutti
i mezzi, per rendere il loro lavoro nelle organizzazioni sindacali quanto
più è possibile ingrato, per offenderli, vessarli e perseguitarli.
Bisogna saper reagire a tutto questo, affrontare tutti i sacrifici e - in
caso di bisogno - ricorrere anche ad ogni genere di astuzie, di furberie,
di metodi illegali, alle reticenze, all'occultamento della verità,
pur di introdursi nei sindacati, rimanere in essi, compiervi a tutti i costi
un lavoro comunista. Sotto lo zarismo, fino al 1905, noi non avevamo nessuna
"possibilità legale", ma quando Zubatov, funzionario della
polizia segreta, organizzò riunioni operaie e società operaie
ispirate ai Cento Neri per dar la caccia ai rivoluzionari e per lottare contro
di essi, noi mandammo in quelle riunioni e in quelle società dei membri
del nostro partito (io ricordo personalmente il compagno Babuikin, un eminente
operaio di Pietroburgo, fucilato nel 1906 dai generali dello zar), i quali
stabilirono il collegamento con la massa e riuscirono a svolgere la loro agitazione
e strapparono gli operai all'influenza degli agenti di Zubatov. Naturalmente
nell'Europa occidentale, che è particolarmente impregnata di pregiudizi
legalitari, costituzionali, democratico-borghesi, radjcati in modo particolarmente
forte, è più difficile far questo.
Ma ciò può e deve essere fatto e fatto sistematicamente.
Il Comitato esecutivo della Terza Internazionale deve, secondo il mio parere
personale, condannare decisamente, e proporre al prossimo congresso dell'Internazionale
comunista di condannare in generale la politica della non partecipazione ai
sindacati reazionari (con una motivazione particolareggiata dell'irragionevolezza
di questa non partecipazione, e dell'estrema sua nocività per la causa
della rivoluzione proletaria), e, in particolare, di condannare la linea di
condotta di alcuni membri del Partito comunista olandese, i quali, poco importa
se direttamente o indirettamente, se pubblicamente o di nascosto, se in tutto
o in parte, hanno appoggiato questa falsa politica. La Terza Internazionale
deve rompere con la tattica della Seconda Internazionale e non eludere, non
smorzare le questioni scottanti, ma sollevarle in tutta la loro asprezza.
Tutta la verità é stata detta in faccia agli "indipendenti"
(Partito socialdemocratico indipendente della Germania), tutta la verità
bisogna dire in faccia ai comunisti "di sinistra".