Il Partito Operaio di Unificazione Marxista (P.O.U.M) - prima parte
Storia di una formazione marxista rivoluzionaria che partecipò in primo piano alle giornate della rivoluzione spagnola del '36 e alle vicissitudini della II^ Repubblica Spagnola nei cruciali anni della guerra civile, colpita dalla repressione stalinista. Di Maurizio Attanasi. Giugno 2005.



La nascita
Agli inizi degli anni 30 quando cadde la monarchia il partito comunista era una piccola frazione che oltretutto aveva subito già due importanti scissioni: la nascita della federazione Balearo-catalana e quella che nel 1932 diventerà la sinistra comunista (Izquerda Comunista,IC) e che aderirà alla quarta internazionale di Trotsky. Inutile dire che il partito comunista spagnolo (PCE) considerava queste due formazioni come dei traditori controrivoluzionari.

Proprio le due formazioni che si erano staccate dal Pce erano nei primi anni della repubblica le forze più attive nel progetto per la creazione di un unico partito rivoluzionario. Un primo passo fu rappresentato dalla costituzione delle Alleanza Operaie, (alianzas obreras) che si ebbe tra il settembre del 33 e il maggio del 34 rispettivamente a Madrid e nelle Asturie con lo scopo di creare un fronte unico e operaio capace di impedire il trionfo della reazione. Il documento di fondazione dell’Alleanza in Catalogna reca la data del 9 dicembre 1933 e tra le altre cose afferma che “i soggetti firmatari di tendenze e ispirazione dottrinarie diverse, ma uniti dal comune desiderio di salvaguardare le conquiste raggiunte sino ad oggi dalla classe lavoratrice spagnola, hanno costituito la AO per opporsi alla reazione nel nostro paese per evitare tentativi di colpo di stato o instaurazione di una dittatura.” (dal sito della Fundacion NIN)
Anche il partito comunista, dopo aver denigrato l’AO, entrò a farne parte; l’AO era formata dalla Ugt (Union general de Trabajadores), Psoe, Federacion Sindacale Libertaria, Union socialista di Catalogna, Unione de Rabassairea, BOC (Bloque obrero y campesino), IC; la Cnt (il sindacato anarchico) faceva parte dell’ AO delle Asturie. (La rivoluzione nelle Asturie, 1934)
Il progetto naufragò.

Nonostante questo insuccesso i tentativi per dar vita ad un partito unico andavano avanti; il primo passo fu tentato in Catalogna, dove un piccolo partito Il Partito Catalano Proletario procedette a convocare tutte le organizzazioni marxiste: il Bloque Obrero y Campesino (blocco operaio e contadino, formazione in cui era confluita la federazione Catalano-Baleare), la Federación Catalana del Partito Socialista, il Partito Comunista, la Uniò Socialista de Cataluña e la Izquierda Comunista (IC).
Sin dalla prima riunione apparirono le differenze che riguardavano diversi temi (il modo di procedere alla unificazione, i referenti internazionali, i rapporti con le forze nazionali), furono però individuati anche elementi comuni: la necessità di riunire le forze marxiste rivoluzionarie; il rifiuto di collaborare con i partiti borghesi; presa violenta del potere attraverso la lotta armata e instaurazione della dittatura del proletariato.
Un incontro successivo segnò, però, definitivamente l’abbandono di questo progetto perché i socialisti non lo ritenevano valido in quanto avevano già un partito politico di riferimento (il psoe), e i comunisti chiedevano l’espulsione dal tavolo dei “traditori” della IC. Altro problema che determinò la rottura del progetto fu l’area geografica di riferimento di questo soggetto con alcune forze che spingevano per dare al partito una sfera nazionale e altri che vedeva una forza politica solo catalana.

Dei tanti soggetti presenti solo il Boc (Blocco operaio e campesino, nato nel marzo del 1931 e che nel 1934 aveva 4500 militanti e 74 sezioni) e la IC (Sinistra Comunista) andarono avanti nel formare un nuovo partito. Le tesi e le risoluzioni furono preparate dai due leader Maurin e Nin che le sottoposero ai rispettivi comitati centrali ottenendo l’avvallo e portandole alla riunione del 26 settembre 1935 che diede formalmente vita alla nascita del nuovo partito: il partido obrero de unificacion marxista (POUM – partito operaio di unificazione marxista).
Il nuovo partito ebbe la riunione del primo comitato centrale nel gennaio del 1936.
Al momento della fondazione il Poum poteva contare su 8000 militanti e circa 40000 simpatizzanti; aveva una organizzazione giovanile (la Juventud Comunista Libertaria) molto forte in Catalogna e nel Levante e c’era anche un sindacato “vicino” al neonato partito, il FoUS.
Il congresso eleggeva il comitato centrale (C.C),composto da 41 membri, e il segretario generale. Il C.C eleggeva 6 compagni che insieme al segretario formano il comitato esecutivo.
La struttura del partito si articolava in cellula, unità locale, regionale e nazionale. Aveva un organo di stampa “La Batalla”, Il “Front” organo del partito in Catalogna, e una rivista mensile teorica” la Nuova Era”, inoltre possedeva una casa editrice, la Editorial Marxista.
Inevitabilmente la nascita del nuovo partito portò all’abbandono di alcuni militanti e dirigenti della IC e del BOC.

I principi
Il Poum riteneva che il partito dovesse svolgere un doppio ruolo; rispetto al proletariato doveva promuovere l’unità di tutti i lavoratori formando il fronte unico orizzontale e verticale, cioè sia a livello nazionale che a livello locale; doveva promuovere l’unità sindacale unendo tutte le forze che accettavano il principio della lotta di classe; rispetto alla piccola borghesia non doveva adottare né la tattica della socialdemocrazia, cioè di una collaborazione organica, né l’errore di un rifiuto totale, equiparandola alla grande borghesia. Poteva essere utile alleata che seguiva, però, le indicazioni e linee decise dal proletariato.

Il Poum si dimostrò molto critico verso il psoe (il partito socialista) che, secondo l’organizzazione di Nin e Maurin, non era un partito rivoluzionario ma socialdemocratico nonostante i discorsi verbali violenti dei suoi leader; il psoe aveva manifestato tutta la propria inconcludenza in occasione degli avvenimenti delle Asturie del 1934 dove era emersa l’incapacità di guidare una sollevazione del proletariato. Su molti temi, poi, i socialisti avevano posizioni equivoche, basti pensare al tema delle nazionalità e della terra, anche perché al loro interno erano presenti due fazioni molto forti e contrapposte tra loro (la sinistra di Cabalerro e la destra di Prieto).

Il partito comunista spagnolo (PCE) nato agli inizi degli anni venti da due successive scissioni del partito socialista, aveva seguito ormai pedissequamente le indicazioni che venivano dall’Unione Sovietica legando la propria linea di azione a quella dell’internazionale comunista; molto critiche erano le posizione del Poum nei confronti del Pce visto che molti dei suoi membri provenivano dalle fila del PCE, ed in più, si pensi a Nin o Andrade avevano ricoperto incarichi importanti negli organismi internazionali.

L’esperienza del 1934 con il fallimento della rivoluzione, soprattutto nelle Asturie e a Madrid, per il Poum aveva un’unica spiegazione: la mancanza di un partito rivoluzionario. Il Poum continuava ad insistere nel carattere di “strumento insurrezionale” dell’Alleanza Operaia (AO) che poteva svolgere lo stesso ruolo che in Russia ebbero i soviet.
Ma l’alleanza operaia non può sostituirsi al partito; senza partito l’AO si riduce a piedistallo del fronte popolare.

Il Poum sosteneva che ci sarebbe dovuta essere la rivoluzione democratica e proletaria insieme: democratica con i contadini distruggevano il potere feudale dei latifondisti,con la terra loro concessa in usufrutto, e il proletariato nazionalizzava le grandi industrie.

A proposito del tema delle nazionalità il Poum sottolinea come il tema percorrE tre momenti: un primo momento in cui la grande borghesia monopolizza il tema della nazionalità, questo tema poi viene condiviso e fatto proprio dalla piccola borghesia ed infine l’ultimo passaggio: del problema si fa carico il proletariato che “ lo porta vittoriosamente alla rivoluzione e alla risoluzione” (dal sito della fondazione Nin).

Il Poum si richiama ai concetti del marxismo-lemninsmo della presa violenta del potere, bollando come illusoria la possibilità per il proletariato di arrivare pacificamente al potere. Il Poum è contro la guerra, ma nel momento in cui i capitalisti la fanno scoppiare si adopererà perché si trasformi in guerra rivoluzionaria per la presa del potere da parte del proletariato.

Critico verso la posizione assunta dal VII congresso dell’Internazionale Comunista: sottolinea come l’alternativa sia tra capitalismo e socialismo e non tra democrazia e fascismo; porre in questi termini la questione è fuorviante e non marxista ed è solo un comportamento di utilità assunta dalla IC in ossequio alla volontà di Stalin.

La partecipazione alle elezioni del 1936
Finalmente arrivarono le elezioni del 1936, dopo due anni che gli storici hanno definito del biennio nero, in cui tutte le conquiste democratiche e sociali della repubblica erano state di fatto azzerate, e la Spagna era ripiombata pericolosamente indietro. Una delle maggiori vittime di quel biennio era stato, senza dubbio, il proletariato, che aveva visto il culmine delle sofferenze nella feroce e crudele repressione che era seguita agli avvenimenti del 1934, quando le Asturie si erano sollevate in occasione dell’ingresso dei fascisti della Ceda al governo e isolati, dall’insuccesso della rivoluzione nel resto del paese, erano stati per alcuni giorni i soli a lottare contro Madrid.

Tutte le forze politiche, incluso il Poum, compresero l’importanza del momento che poteva rappresentare una svolta nella storia della Spagna: o ricominciare dalle conquiste del 31 con diversi orizzonti a secondo della diversa forza politica o un altro governo delle destre avrebbe significato probabilmente il realizzarsi in Spagna di quello che era già successo in molte nazioni Europee, Italia e Germania, dove il sistema democratico-borghese era stato lo strumento con cui il fascismo era entrato nello stato.
Il Poum, nel suo organo ufficiale, la Batalla, già nel novembre del ‘35 rilanciava un suo punto programmatico importante la creazione di una Alleanza Operaia, un blocco politico formato dai rivoluzionari spagnoli (l’invito era rivolto a socialisti e comunisti). Non escludeva un coinvolgimento delle formazioni progressiste piccolo borghese nella formazione di quel progetto politico, il fronte popolare, che l’internazionale comunista imponeva in tutta Europa.
Ma questa soluzione era definita dal Poum come un patto elettorale provvisorio (pacto meramente circustancial). Il punto qualificante di questa alleanza era l’amnistia per i prigionieri, in gran parte asturiani per la rivolta del 34. A spingere i Poumisti verso l’accordo elettorale era la legge elettorale che favoriva i grandi raggruppamenti nazionali.

All’indomani dello scioglimento delle cortes da parte del presidente Alcala-Zamora le formazioni borghesi (Izquierda repubblicana di Azana, Union repubblicana di Martinez Barrio e Esquerra Catalana) trovarono facilmente l’intesa con il partito comunista e con il Psoe (anche se in questo caso si erano dovute vincere le resistente della corrente di sinistra di Largo Caballero).
Alla fine il Poum appoggiò il Fronte Popolare che vinse le elezioni e formò un governo formato soltanto da uomini dei partiti borghesi.

Il programma del Fronte era un programma molto limitato: si parlava dell’amnistia generale, la reintegrazione nei loro posti per coloro che avevano subito rappresaglie per gli avvenimenti del 34, ripristino della legge di riforma agraria e dello statuto della Catalogna, riforma della legislazione sociale e repubblicana (Tunon de Lara, La guerra civile in Spagna, pg 398). Il Poum riuscii a far eleggere un deputato.
Successivamente, già nell’aprile, il Poum chiedeva alle forze rivoluzionare marxiste del Fronte popolare di superare quell’alleanza, vista la realizzazione dell’amnistia, e dar vita ad un governo rivoluzionario guidato dai rappresentanti del proletariato.
Il governo del fronte popolare durerà sette mesi circa, vedendo alternarsi due compagini ministeriali (Azana e Cesar Quiroga) e assistendo anche alla destituzione del capo dello stato (Alzala Zamora sarà sostituito proprio dal capo del governo Manuel Azana).

Scatta l’ora del colpo di stato il 19 luglio 1936.

Il "pronunciamiento" e la rivoluzione
Il sollevamento di gran parte dell’esercito prima nei territori d’oltre mare e poi nella Spagna continentale non ebbe il successo sperato dai congiurati non tanto per l’attività di prevenzione e repressione adottata dal “legittimo” governo repubblicano, ma grazie alla forza del proletariato che armi in pugno, nonostante l’indecisione e l’inattività del governo, non solo impedii il successo pieno della sollevazione ma riuscii a tenere sotto il proprio controllo grandi e importanti regioni della Spagna (Aragona, Catalogna, Asturie, Paesi Baschi e Madrid).
“Il proletariato in armi” conscio del momento storico decise di gestire in prima persona il potere dando cosi vita ad una esperienza rivoluzionaria che, se da una parte aveva salvato la repubblica borghese dal tentativo delle forze fascista, dall’altra la voleva sottrarre al controllo della borghesia per dare vita ad una nuova organizzazione della società e quindi dello stato.
Il fatto che mancasse, da parte del governo di Madrid, una risposta unitaria ai fascisti, aveva fatto si che le diverse realtà, una volta contrastato e vinto il tentativo di sollevazione, dessero vita a progetti politici diversi da regione a regione, ma anche tra città distanti pochi chilometri in base alle tradizioni locale e al peso delle diverse forze impegnate nel difendere la repubblica. Lerida fu l’unico esempio di città gestita direttamente dal Poum, in quanto forza politica predominante.
Non è possibile dare una lettura unica di questi mesi, con un unico modello economico, sociale e politico.
Vediamo piuttosto gli esempi più importanti e che hanno prodotto maggiori novità rivoluzionari: Barcellona e la Catalogna in generale, le Asturie, l’Andalusia e la capitale Madrid.

Thomas, nella sua opera, parla della rivoluzione di Barcellona, come di una rivoluzione anarchica, e in effetti sia la descrizione di Orwell, nella sua “Omaggio alla Catalogna”, sia altre fonti storiche confermano questa opinione.
Il clima a Barcellona era davvero rivoluzionario, arrivando a non permettere di vestirsi in pubblico in modo borghese e vietando l’uso del cappello, simbolo borghese (!). L’alba di un nuovo giorno sembrava arrivata. Storicamente Barcellona e tutta la Catalogna erano una roccaforte degli anarchici, con il potente sindacato la CNT, e la loro rappresentanza politica la FAI.

Il 23 luglio era stato costituito un organo esecutivo “il comitato delle milizie antifasciste” formato dagli anarchici e appoggiato dal POUM.
Il Comitato prendeva di fatto il posto del governo della Generalitat che era rimasto come anche il governo centrale, espressione della repubblica borghese, immobile davanti alle manovre dei fascisti e dell’esercito. Il comitato era formato da 3 rappresentanti della CNT, 2 della FAI, 3 della UGT, 3 della Esquerra Repubblicana, 1 rispettivamente del POUM, della Uniò Socialista, 1 della Unio de Rabassaires e della Acciò Catalana. Non c’erano i comunisti , se non in modo indiretto con la formazione della Unio Socialista che sarebbe confluita poi nel PSUC (partito socialista unificato di Catalogna, longa manus del pce nella regione catalana).

La regola, nelle industrie, era l’esproprio con gli operai e i tecnici che avevano in mano la gestione dell’industria; nell’agricoltura metà dei campi vennero dati ai contadini più poveri, l’altra metà al comitato che la gestiva direttamente. Le ferrovie e i trasporti pubblici erano gestite di comitati formati dai sindacati UGT e CNT. Diffusissimo il fenomeno dell’incendio delle chiese poiché in Catalogna, ma in quasi tutta la Spagna la Chiesa rappresentava il baluardo della conservazione, della peggiore tradizione reazionaria, schierata sempre affianco degli oppressori e che aveva beneficiato di enormi favori per secoli appena intaccati dal governo repubblicano del 31 e, prontamente, ripristinati dai governi del biennio nero.

”La polizia scomparve in pratica dalle maggiori città nei primi giorni della rivolta; gli elementi più attivi dell’esercito e della guardia civile appoggiavano gli insorti.” (Gabriel Jackson, La repubblica spagnola e la guerra civile, Net 2003)

Ristoranti e alberghi di lusso furono collettivizzati o requisiti dal personale. Affitti e servizi pubblici erano controllati da comitati di fabbricato che comprendevano i referenti dei partiti del fronte popolare, ma che nei primi giorni avevano visto un predominio netto degli anarchici. Spaziose abitazioni dei ricchi scappati in Francia furono sequestrate e trasformate in scuole, ospedali e orfanotrofi.
I salari aumentarono del 15% e i fitti furono ridotti del 50% nelle abitazioni economiche. Tutti i cittadini furono tassati del 10 % per sostenere lo sforzo bellico.

Il 1 agosto Companys, presidente della Generalitat che si era rifiutato di dare le armi agli operai, cercò di far riprendere vita alla generalitat formando un nuovo governo che oltre ai tradizionali partiti borghesi contasse anche sull’appoggio del neonato partito comunista della Catalogna (PSUC). Ma gli anarchici non accettarono di far perdere potere al comitato che aveva salvato la Catalogna e che era intenzionato ad attuare profonde modifiche sociali ed economiche. Cosi il tentativo di privare il comitato di potere falli e il PSUC fu espulso dal comitato delle milizie.
Il comitato delegò alcuni dei suoi compiti ad organismi civili, concentrandosi esso, soprattutto, sullo sforzo di guerra.

A Madrid sostenevano che dopo il luglio del 36 ci si preparasse più alla guerra che alla rivoluzione; a governare qui, più che il governo Giral, era la UGT poiché riforniva di viveri la città e manteneva attivi i servizi pubblici. Le espropriazioni erano molto meno numerose che in altre città e riguardavano beni e proprietà di soggetti che avevano apertamente appoggiato i ribelli.
Le industrie che furono requisite risultavano ufficialmente essere gestite dal ministero della guerra, ma in realtà erano sotto il controllo delle commissioni operaie; spesso questa sorte era richiesta dai vecchi proprietari che cosi speravano di condividere responsabilità e rischi e credevano cosi di evitare una sorte peggiore. Anche a Madrid si verificò una forte riduzione (50%) degli affitti e falegnami, calzolai e barbieri collettivizzarono i loro negozi.

Nell’Andalusia, lo spirito anarchico che, in Catalogna era in qualche modo limitato da un centro forte come Barcellona, si poté manifestare liberamente e quindi in maniera più totale rispetto alla esperienza catalana.
I grandi latifondi erano stati completamente collettivizzati e i contadini, che erano gli stessi che ci lavoravano prima, non venivano pagati ma ricevevano viveri dai depositi del villaggio secondo le loro necessità.
In molti comuni venne abolita la proprietà privata, aboliti i pagamenti ai commercianti e in alcuni pueblos venne abolita la moneta. Contrasti si crearono nella regione tra le grandi città, come Malaga, e i piccoli pueblos per la pretesa da parte dei grossi agglomerati di delimitare l’autonomia dei piccoli comuni, tentativo spessissimo vano; in molti casi “le paghe vennero ridimensionate in proporzione al numero dei membri di ogni famiglia piuttosto che secondo l’abilità o la quantità del lavoro” (G. Jackson, op cit, pg 353).

Nelle Asturie dove la “coscienza” di classe era tra le più alte della nazione e dove il ricordo della rivoluzione e dell’esperienza della Comune del 1934 era ancora vivo, cosi come piene erano ancora le carceri di migliaia di “rivoltosi” di quell’ottobre la rivoluzione della metà del 36 raggiunse i suoi livelli più alti. Il governo era esercitato da una coalizione formata da comunisti, socialisti e UGT e il governatore con pieni poteri era Bernardino Tomas.
Le miniere, grande ricchezza della regione, erano amministrate da un responsabile nominato dal governo della regione coadiuvato dagli operai, senza il cui assenso i poteri erano molto limitati.
Comitati di villaggio collettivizzavano tutto il commercio, fornirono pasti presso le cucine pubbliche in corrispettivo di buoni e abolirono la moneta.

Nella provincia di Lerida, nella Catalogna, si realizzò l’unica esperienza in cui il partito maggiormente rappresentativo era il Poum. Nel momento dell’esplosione della ribellione franchista e, quindi dello scoppio della rivoluzione, un rappresentante del Poum oltre che uno della Ugt si recarono dalla Generalitat e dalle guardie di assalto e li spinsero a schierarsi con il popolo. Il potere fu subito nelle mani delle organizzazioni del proletariato senza che i partiti repubblicani, espressione della piccola borghesia, si opponessero. Furono costituiti una serie di comitati che controllavano tutte le attività Successivamente, si procedette ad una organizzazione più articolata. Il potere legislativo fu esercitato da un organismo formato da rappresentanti dei sindacati (UGT, CNT, Fous) e rappresentanti del Poum. Il potere esecutivo veniva esercitato da due commissari (un esponente del Poum e l’altro della UGT) che si occupavano di questioni economiche (il consigliere della Generalitat) e di ordine pubblico e problemi di difesa (quello dell’orden pubblico e della seguridad revolucionaria). Nelle altre questioni a decidere era il Comitato popolare antifascista formato da tutte le forze sindacali e dal Poum.

Il potere giudiziario era esercitato da tribunali popolari, creato dai sindacati. Al Poum, cui tutti attribuivano un ruolo fondamentale nella rivoluzione, veniva affidato l’incarico dell’amministrazione fiscale. L’esperienza di Lerida seguì quello che successe nel resto della Catalogna; dopo l’iniziale ardore rivoluzionario, i partiti piccolo borghesi rialzarono la testa, riprendendo le vecchie posizioni grazie soprattutto al ruolo e alla funzione svolta dal PSUC. (fonte El poder obrero en Lerida, di Jordi de Gardeny in Fundacion Andreu NIN).

Fine prima parte.