CROCIATE DI OGGI E DI IERI
PROFILO STORICO DI UN FENOMENO DEL PASSATO OGGI MOLTO IN AUGE


ottobre 2001, REDS

 

Perché una ricostruzione storica delle crociate?
Le reazioni all'attacco contro gli edifici in USA dell'11 settembre hanno assunto aspri toni ideologici e irrazionali. I proclami inneggianti allo "scontro di civiltà", gli appelli alla lotta contro "l'impero del Male", i richiami alla crociata si sono sprecati, specie nella prima settimana. Essi hanno campeggiato nei titoli dei quotidiani, nei telegiornali, nelle parole di Bush e in quelle di esponenti politici e uomini di cultura soprattutto della destra. Ad un certo momento c'era stata una specie di ritenzione, di marcia indietro, e da allora si è parlato di lotta o crociata non contro l'Islam, ma contro il terrorismo. Ma l'idea comunque che si prepari o si debba preparare uno scontro di civiltà non è mai tramontata e viene anzi suggerita nei modi più disparati, celati o eclatanti, che danno nuovo alimento ai sentimenti razzisti radicati nelle società occidentali. Si cimentano in questa propaganda in maniera abbastanza compatta gli esponenti della destra, gente come Buttiglione, Baget Bozzo, i leghisti, e persino Berlusconi.
Sulle pagine della Padania del 16 settembre viene spiegato che l'attacco alle Twin Towers è avvenuto proprio l'11 settembre perché in quello stesso giorno del 1683 "una coalizione europea e cristiana liberò in una grande battaglia Vienna assediata dai turchi, il punto massimo dell'espansione islamica in Occidente, e per gli estremismi di quel mondo è una sconfitta da vendicare [...] Ecco perché la risposta a un simile terrorismo acquista i contorni di una difesa senza quartiere di una civiltà". E ancora: "è semplicemente demenziale sostenere che esista un Islam moderato contrapposto a un Islam integralista estremista". C'è chi parla di lotta al terrorismo ma intende lotta all'Islam, al musulmano, all'immigrato, al diverso, mescolando razzismo e xenofobia. Basti vedere il titolo di prima pagina di giovedì 20 settembre: "Un milione di clandestini: quanti terroristi?".
Sulla stessa falsariga si pongono le parole di Berlusconi, che il 26 settembre 2001 da Berlino ha dichiarato: "Noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà [...] l'occidente continuerà a conquistare popoli [...] non dobbiamo mettere le due civiltà sullo stesso piano: la libertà non è patrimonio della civiltà islamica" e bisogna "estendere a chi è rimasto indietro di 1400 anni i benefici che l'occidente conosce".
Addirittura lo stesso presidente della Repubblica Ciampi, che passa per essere un moderato pieno di buon senso, ha dichiarato davanti all'altare della patria: "Siamo pronti a difendere con tutte le nostre forze la nostra civiltà dalla terribile sfida del terrorismo" (Repubblica, 23 settembre).
Questi richiami alla nostra civiltà, alla sua difesa, sono pura demagogia e mistificazione che paiono ancor più grossolane se ripensiamo a certi episodi terroristici del passato. A quel che accadde, ad esempio, il 19 aprile 1995 sempre negli USA, quando un camion-bomba noleggiato da Timothy McVeigh distrusse gli uffici federali di Oklahoma City, uccidendo duecentotrenta persone e ferendone quattrocento. Timothy McVeigh, giustiziato qualche mese fa, era un "miliziano d'America", un esponente del cristianesimo integralista, razzista, antisemita e xenofobo. Anche allora apparvero sui giornali richiami alla crociata, almeno fino a quando sembrava che i responsabili dell'attentato potessero essere i fondamentalisti islamici (1). Riferimenti che immediatamente scomparvero quando fu evidente che gli attentatori erano occidentali bianchi, così come si attenuarono notevolmente, se mai furono sbandierati, le ansie e le invettive nei confronti del terrorismo.
L'equazione Islam=terrorismo è dunque quella che andava e sempre più va per la maggiore, anche se tutti si affannano a negarla, o a rettificare la portata delle affermazioni di certi leaders, per non inimicarsi i preziosi alleati musulmani "moderati". Anzi proprio per questo il messaggio passa più efficacemente. L'operazione di identificazione dell'Islam con il Male e la conseguente necessità di combatterlo per difendere la "nostra civiltà" scatta quasi automaticamente a livello di percezione di massa, ed è facilitata da precise ragioni storiche. La mitologia della crociata, lo spirito di crociata sono un topos della cultura cristiano-occidentale, la cui identità si è cementata circa mille anni fa, proprio nell'opposizione secolare all'arabo e al musulmano (2). Con questo articolo vogliamo quindi affrontare l'argomento che è stato più volte richiamato in questi giorni, anche con toni particolarmente esaltati, e che sui libri di storia "occidentali" va, appunto, sotto il nome di crociata. Facciamo questa precisazione per ricordare che "il concetto delle crociate come di un fenomeno storico a sé stante è estraneo alla storiografia musulmana. In generale, le guerre con i crociati furono per gli storici musulmani uno fra tanti elementi da essi trattati, un filo nella trama della loro storia" (F. Gabrieli, L'Islam nella storia, cit. in Di Tondo-Guadagni, La storia antica e medievale oggi, vol. 2, Loescher, 1982).

Alcuni errori e luoghi comuni sull'Islam
Prima di affrontare il tema delle Crociate crediamo sia opportuno aprire una parentesi e tracciare a grandi linee la realtà del mondo e della civiltà islamica medievale contro cui si infransero le armi dei crociati, cercando di individuarne alcuni caratteri fondamentali che persistono tutt'oggi. Chi non fosse interessato a questo excursus può agevolmente saltare questo e il successivo paragrafo e passare direttamente a quelli sulle crociate.
È molto frequente tra i cittadini europei e occidentali in genere una certa confusione di termini e concetti inerenti il mondo islamico. Certo non si pensa che arabo e musulmano siano sinonimi, ma i più credono ancora che la maggior parte dei musulmani siano arabi, o che l'Arabia sia il paese con il maggior numero di musulmani al mondo (vedi sondaggio Cirm, su Venerdì di Repubblica del 28 settembre). Sfugge in genere l'idea che l'Islam non sia un monolite, ma costituisca una varietà e una molteplicità di popoli, di culture, di etnie, di orientamenti religiosi, ecc. Fare confusione tra arabi e musulmani è come fare confusione tra tedeschi e italiani perché entrambi cristiani. Per non dire che tra i cristiani tedeschi ci sono cattolici e protestanti, come pure tra i francesi, gli italiani e così via. Allo stesso modo tra i musulmani ci sono i sunniti, gli sciti, i sufiti, ecc. Ma soprattutto, ed è la cosa che riteniamo maggiormente significativa, sono musulmani gli arabi, i turchi, i pakistani, gli iraniani, gli afghani, i kurdi, gli indonesiani, ecc., cioè popoli diversi che non hanno affatto perduto la loro identità nazionale aderendo alla religione islamica. Eppure, nonostante queste differenze qui presentate in maniera estremamente schematica e riduttiva, l'identificazione musulmano=arabo (e, come spesso avviene per proprietà transitiva, = terrorista) la si può spiegare, pensando anzitutto al fatto che l'Islam è nato in Arabia, l'ha unificata politicamente, ed è stato dagli arabi esportato nel bacino mediterraneo e in Asia mediante la jihad.
La questione della jihad, ovvero la guerra santa musulmana, e quella di coloro che oggi vengono chiamati "kamikaze", costituiscono un altro dei luoghi comuni su cui è bene fare un po' di chiarezza. Pur essendo assolutamente certi di possedere l'unica vera fede (e in questo non vi è alcuna differenza con le altre religioni monoteiste), i musulmani furono tolleranti con le altre religioni. Il presunto fanatismo nella conduzione della guerra santa, l'immagine del guerriero musulmano pronto a sacrificarsi in battaglia perché così guadagnerà le delizie eterne del paradiso, si rivelano stereotipi senza troppa consistenza alla luce della riflessione razionale di filosofi come al-Farabi, vissuto tra il IX e il X secolo. Il Corano insegna che la guerra e la violenza sono legittime come atti di difesa e come repressione dell'ingiustizia: "Uccidete chi vi combatte dovunque li troviate [...], ma se cessano di combattere, non ci sia più inimicizia altro che per i malvagi". Al-Farabi, dal canto suo, indaga la psicologia del soldato che lotta per la vittoria consapevole di poter morire: se vivrà godrà anch'egli dei frutti del successo, se perirà li godranno coloro per i quali combatte; per questo motivo, in ogni caso, si batterà al meglio delle sue capacità (3).

Impero arabo e civiltà islamica
La storia dell'impero islamico - dal 570, nascita di Maometto, al 1258, conquista di Baghdad da parte dei Mongoli (4) - può essere schematicamente ricondotta a due cicli principali suddivisi a loro volta in vari periodi:

1. Il ciclo arabo antico o dell'espansione dell'Islam (570-750): capitale Damasco. Predominano l'etnia araba e la tendenza all'unità, che porta in nome dell'Islam all'unificazione politica dell'Arabia prima e alla edificazione di un vasto impero subito dopo. Questo ciclo comprende i periodi di Maometto (570-632), l'età d'oro dell'Islam o dei quattro califfi "ortodossi" (632-661) e il periodo della dinastia degli Omayyadi (661-750). In questi due secoli l'impero arabo-islamico sottomette via via Siria e Palestina, l'intero Nordafrica (Egitto, Cirenaica, Algeria e Marocco), Mesopotamia e Iran, Turkestan e Afghanistan, Belucistan, Sind e Punjab (l'odierno Pakistan). Per un secolo le vittorie dell'Islam furono dovute alle tribù arabe. Poi con l'aiuto dei Berberi, popolazioni nomadi dell'Africa del nord, esso conquistò la Spagna.

2. Il ciclo abbasside o della civiltà islamica (750-1258): capitale Baghdad. L'originaria preminenza degli Arabi declina, mentre fiorisce una nuova civiltà. Alla precedente unità, che si mantiene a livello culturale, succede prima una divisione poi una vera e propria frammentazione politica e religiosa, con la nascita di emirati e califfati di fatto indipendenti. Oltre al califfato fatimide in Egitto (X secolo) e Almoravide nel Maghreb e in Spagna (XI-XII secolo), si assiste per oltre un secolo alla presa effettiva del potere a Baghdad da parte dei Turchi Selgiuchidi (1038-1194). Tra le poche conquiste durature vi sono quelle della Sicilia (827) e dell'Anatolia (1075). Nel periodo selgiuchida si collocano le crociate in Terrasanta. Il ciclo si conclude con la conquista di Baghdad da parte dei Mongoli Ilkhan e la fine della dinastia abbasside nel 1258 (5).

Se l'Islam si diffuse a macchia d'olio lo fece sovrapponendosi e non sostituendosi alle culture e alle mentalità preesistenti. La rapida espansione araba dei primi secoli dopo Maometto fu facilitata dal favore con cui le popolazioni dei territori di prima conquista, Siria e Palestina, stanche dell'oppressivo governo bizantino, accolsero i nuovi conquistatori. "Il vostro governo e la vostra giustizia ci piacciono molto di più dello stato di oppressione e di tirannia nel quale siamo vissuti" affermano gli abitanti di una città siriana (6). Analoga cosa si verificò con i popoli del bacino mediterraneo e dell'Asia sud-occidentale. Le popolazioni dei territori conquistati conservarono i loro modi di vita, senza venir molestate. Le altre religioni erano tollerate e le conversioni addirittura evitate, poiché solo i non islamici erano soggetti a tributi. Dopo la conquista araba di Gerusalemme nel 638, il califfo Omar firmò col patriarca cristiano un trattato che garantiva agli abitanti della città "le loro vite, la proprietà, le chiese, le croci"; inoltre stabiliva che "non saranno perseguitati per la loro religione", ma che "pagheranno un tributo". Fu proprio una motivazione economica legata al tributo che indusse nonostante tutto numerosi cristiani a convertirsi all'Islam, come testimonia una lettera del vescovo nestoriano Isoyabb III, morto nel 658: "Questi Arabi che sono presso di noi, non solo non impugnano la religione cristiana, ma lodano la nostra fede, onorano i sacerdoti e i Santi di Nostro Signore e largiscono benefizi alle chiese e ai conventi. Perché dunque c'è chi abbandona la nostra fede per la loro? Tanto più che gli Arabi, come essi stessi riconoscono, non li hanno costretti a rinnegare la loro religione, bensì ordinarono loro di cedere la metà dei loro beni in cambio della facoltà di conservarla. Ma essi abbandonarono la fede che giova eternamente, pur di conservare la metà dei beni del secolo caduco. Quella fede che tutti i popoli acquistarono al prezzo del loro sangue... essi non vollero neppure per la metà dei propri averi" (in De Bernardi-Guarracino, L'operazione storica, B. Mondadori, 1991, p. 186). Nei paesi conquistati, dunque, l'amministrazione rimase in mano agli "indigeni", e si continuò a scrivere in greco o in pehlvi (medio persiano) (7).
La conquista araba aveva pertanto sottomesso intere nazioni ma non le aveva arabizzate. Col passare del tempo l'impero entrò in crisi e con esso la preminenza dell'elemento arabo. Tutto ciò avvenne durante il regno degli Abbassidi, che vide d'altro canto il sorgere di una raffinata civiltà di tipo aristocratico, rimasta però per molti versi estranea alle masse popolari. Il potere invece si frammentava e diveniva contesa di tribù spesso stanziate ai margini o nelle regioni periferiche dell'impero, come i Turchi, presenti a partire dal X secolo nel Khorasan iraniano.
Secondo Braudel, "tutto l'Islam, finanche nel suo spirito religioso, si è venuto formando con elementi presi a prestito dalle antiche civiltà orientali e mediterranee, che ne riemersero ringiovanite, e furono da quel momento impegnate in una missione temporale e spirituale comune. L'Arabia non è stata che un episodio, la civiltà musulmana, da un certo punto di vista, non inizia che con le conversioni in massa all'Islam dei popoli non arabi e con la diffusione delle scuole attraverso l'«Umma», la comunità dei fedeli che si stendeva dall'Atlantico al Pamir". (Vedi Fernand Braudel, L'Islam e il mondo musulmano, in Il mondo attuale, vol. I, Einaudi, 1966).
Questa immagine dell'Islam come di una civiltà aristocratica e sovranazionale, una sorta di Koinè di matrice culturale e religiosa, fiorì secondo Braudel in concomitanza con la frammentazione politica che diverrà una costante almeno fino al periodo di massimo splendore della dominazione ottomana (XV-XVI sec.), causata anzitutto dall'incredibile varietà etnica che faceva e fa dell'Islam un vero e proprio mosaico di popoli.

Glossario musulmano
Islam
: sottomissione a Dio, alla volontà di Dio.
Muslim (musulmano): colui che dà tutto se stesso a Dio, si sottomette a Dio.
Califfo: vicario, successore di Maometto. Monarca assoluto dell'impero, eletto tra i discendenti della tribù di Maometto. Figura scomparsa dopo la caduta di Baghdad del 1258.
Emiro: governatore di una provincia imperiale.
Sultano: titolo del sovrano dei Turchi fino al 1922, oggi portato da alcuni regnanti del Marocco e della penisola arabica.
Imam: "colui che è davanti", che dirige la preghiera quotidiana, democraticamente designato dai fedeli dal momento che nell'Islam non esiste gerarchia religiosa né sacerdozio. Per estensione l'Imam è "la guida", colui che deve condurre, per ispirazione divina e perché ritenuto il migliore dei musulmani, la comunità "sulla strada di Dio".
Cadi: giudice che applica la Legge.
Muftì: esperto di Legge al quale ricorrono i cadi in caso di dubbio nell'applicazione della Legge.
Ulama: coloro che studiano la Legge.
Umma: la città o la comunità o la nazione o la fratellanza islamica. Ovvero l'insieme dei musulmani che professano e si riconoscono nell'Islam, a prescindere dal fatto che siano nomadi o sedentari o appartengano a questo o a quel popolo.
Jihad: guerra santa in nome di Allah.

Cosa sono e quali furono le crociate?
Quando parliamo di crociate la nostra mente va automaticamente al Medio Evo e alla Terrasanta. Ma quell'età e soprattutto quel luogo non sono gli unici che videro sfilare e combattere i "soldati di Cristo". Le crociate sono quindi delle guerre combattute da eserciti cristiani, di varie nazionalità, contro un nemico individuato come tale sul piano religioso. Il nemico principe dei crociati sono i musulmani, gli "infedeli", i "barbari", la "stirpe malvagia", la "gente turpe, degenere, serva dei demoni", secondo le parole di Fulcherio di Chartres, cronista della I crociata. Ma, come vedremo, i musulmani non sono l'unico nemico dei crociati.
Altro elemento essenziale di queste guerre è che i cristiani sono all'offensiva. Pertanto non rientrano in questa categoria le battaglie combattute per difendersi dagli attacchi musulmani, come la famosa battaglia di Poitiers del 732, quando Carlo Martello arrestò e respinse l'avanzata araba verso il centro dell'Europa.
La crociata è quindi la guerra santa, l'offensiva condotta in nome di Dio e per la sua gloria: il corrispettivo cristiano della jihad islamica (8).
Come abbiamo detto le crociate non furono combattute solo contro i musulmani: vi furono infatti vere e proprie crociate contro pagani e contro altri cristiani considerati eretici. Vediamone alcuni esempi prima di passare a quelle canoniche. In questi come in altri casi la religione rappresentò l'ideologia giustificatrice di un conflitto che aveva soprattutto ragioni etniche e politiche.

1. Nel 1208 il papa Innocenzo III bandì la famosa crociata contro gli Albigesi, nei territori della contea di Tolosa, per estirpare l'eresia catara, diffusa nelle città di Provenza e Linguadoca. La monarchia francese e la nobiltà franca profittarono della crociata bandita contro i catari per imporre il loro dominio su quello che oggi è il sud della Francia. Provenza e Linguadoca, terre di maggior affinità con la Catalogna e l'Aragona, erano regioni abitate dagli occitani, dove fiorì una civiltà raffinata e tollerante, che favorì la diffusione dei catari. Il furore dei cavalieri franchi ingolositi dai ricchi possedimenti meridionali si abbatté sull'intera popolazione occitana, catara o cattolica che fosse. Gli abitanti di molte città furono massacrati. Beziers che si rifiutò di consegnare i catari fu prima assediata e poi sterminata. L'abate Arnaldo di Citeaux, "cappellano" dell'esercito crociato, così esortò i crociati, come risulta da una cronaca del tempo: "Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi". In seguito alle stragi ci fu un grande esodo di popolazioni. Molti trovarono rifugio sui versanti alpini tra Francia e Italia, in zone periferiche dove si è conservata fino ad oggi la cultura occitanica e dove troveranno rifugio anche altri perseguitati per motivi religiosi come i Valdesi.

2. Tra il XII e il XIII secolo, la colonizzazione tedesca del Baltico orientale provocò diverse spedizioni militari (gli storici ne contano otto) contro le popolazioni slave e autoctone di quelle regioni, che assunsero il carattere proprio delle crociate a partire dal 1226. In quell'anno l'imperatore Federico II di Svevia installò in quelle zone l'ordine monastico dei cavalieri teutonici, ex crociati in Terrasanta, che ebbe il compito di condurre la colonizzazione e di evangelizzare le tribù pagane di Prussi, Suomi, Tavasti, Careli, Lettoni, Lituani, Curoni, ecc. che le abitavano. Anche questa iniziativa venne portata con estrema ferocia e furia sterminatrice. In questo modo tutto il litorale baltico fino alla Prussia orientale divenne territorio soggetto alla penetrazione tedesca e base per l'espansione ai danni delle popolazioni slave. L'invasione teutonica verso est fu portata anche contro i Russi di Novgorod e Pskov ma fu arrestata nel 1242 dal principe Aleksandr Nevskij nella famosa battaglia sul lago gelato Peipus (9).

3. A questi esempi di crociate non dirette contro i musulmani, aggiungiamo l'esito addirittura scandaloso della spedizione del 1202-1204 (ricordata negli annali come la IV crociata), che aveva come scopo ufficiale la riconquista della Terrasanta. I veneziani che fornivano le navi per il trasporto, poiché i cavalieri non erano in grado di pagare la somma pattuita, dirottarono i crociati prima su Zara e poi su Costantinopoli, che venne assediata e saccheggiata. Questa "diversione" trovò giustificazione nel conflitto tra cristianesimo cattolico e cristianesimo ortodosso, praticato nell'impero bizantino, e considerato eretico dai cattolici. La IV crociata, condotta da cristiani contro altri cristiani, portò alla nascita dell'effimero impero latino d'Oriente (1204-1261) con a capo Baldovino di Fiandra.

Occupiamoci ora delle crociate contro i musulmani. Anch'esse furono combattute in momenti e in luoghi diversi.
La prima in ordine di tempo è la "reconquista" spagnola, iniziata alla metà dell'XI secolo, profittando dello frantumazione dell'impero arabo. Dopo due secoli di lotte, durante le quali l'elemento religioso si sovrappose via via a quello della riscossa nazionale fino a prendere decisamente il sopravvento anche in funzione del predominio castigliano sulle altre nazionalità iberiche, si arrivò nel 1212 alla battaglia decisiva di Las Navas de Tolosa che segnò in pratica la fine del dominio arabo sulla Spagna. La conclusione definitiva della vicenda si ebbe però solo nel 1492, con la caduta di Granada, ultimo baluardo islamico in terra iberica. La persistenza di numerose comunità islamiche in varie parti della Spagna e soprattutto in Andalusia spinse nei due secoli successivi il governo spagnolo a tentarne la conversione forzata. Di fronte al fallimento di questa politica si decise per la repressione e per l'espulsione dei "moriscos" (e degli ebrei) dalla penisola iberica.
Qualche storico chiama crociata anche la conquista normanna della Sicilia (dominata dagli Arabi fin dal sec. IX), avvenuta tra il 1061 e il 1091. Ma le crociate vere e proprie sono quelle in Terrasanta. La storiografia generalmente ne conta sette in duecento anni, tra il 1095, anno del concilio di Clermont dove il papa Urbano II (1088-1099) bandì la prima crociata e il 1291, anno della caduta di San Giovanni d'Acri, ultimo baluardo cristiano in Terrasanta.

Le crociate in Terrasanta
Al tempo della prima crociata la situazione politica della Terrasanta era in fermento. Da una ventina d'anni la regione era controllata politicamente dai Turchi Selgiuchidi, che avevano conquistato Gerusalemme nel 1078, sostituendo il loro controllo politico a quello degli Abbassidi. La pratica del culto cristiano e i pellegrinaggi ai luoghi santi del cristianesimo erano sempre stati assicurati dai musulmani, coi quali si era venuto a stabilire una sorta di modus vivendi fatto di guerre e tensioni ma anche di scambi commerciali che interessavano l'intera area mediterranea. I nuovi conquistatori turchi costituirono un elemento di destabilizzazione e di insicurezza politica, economica e religiosa non solo per i cristiani ma anche per gli arabi. Essi imposero tributi e pedaggi anche alla pratica dei culti non islamici e ai pellegrinaggi, che valsero loro l'accusa di impedirli e di commettere violenze e arbitri nei confronti dei pellegrini.

 

Cronologia delle crociate

I crociata (1097-1099)

  • discorso di Urbano II al concilio di Clermont (1095)
  • conquista di Gerusalemme (1099)
  • riscossa musulmana (1135-1144): caduta delle contee cristiane di Tripoli (in Libano), Edessa e Antiochia (in Turchia.
  • II crociata (1147-1149)

  • spedizione di soccorso senza risultato
  • 1187, caduta di Gerusalemme ad opera di Salah-ad-din (Saladino)

    III crociata (1189-1192)

  • scarso risultato, riconquista solo di Cipro e lembi di costa dipendenti dall'Occidente per i rifornimenti
  • IV crociata (1202-1204)

  • scopo ufficiale riconquistare la Terrasanta,
  • i veneziani dirottano i crociati su Costantinopoli, assediata e saccheggiata,
  • impero latino d'Oriente (1204-1261) con a capo Baldovino di Fiandra
  • V crociata (1228-1229)

  • Federico II patteggia col sultano d'Egitto Elkamil le città di Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, e si autoincorona re di Gerusalemme
  • 1244, definitiva riconquista musulmana di Gerusalemme

    VI crociata (1248-1250)

  • spedizione contro l'Egitto: fallimento
  • VII crociata (1250)

  • tentativo di conquista della Tunisia: nuovo fallimento
  • 1291, caduta di San Giovanni d'Acri, ultimo baluardo cristiano in Palestina.

    Questi motivi si ritrovano tutti nell'allocuzione di Urbano II al concilio di Clermont del 1095 e soprattutto nei discorsi dei predicatori che percorsero l'Europa propagandando la crociata e accentuando i toni bellicosi dell'appello del papa.
    Di questo discorso sono pervenute quattro diverse redazioni da parte di altrettanti cronisti, che concordano almeno su due punti: l'urgenza di portare soccorso ai cristiani d'Oriente e la remissione dei peccati a chi vi si fosse recato. Per quanto riguarda l'incitamento alla vera e propria crociata, cioè alla "guerra santa" contro gli infedeli, molti storici ritengono si sia trattata di una forzatura del messaggio originale del papa da parte dei cronisti. Comunque sia è un fatto che i mass media del tempo, cioè cronisti e predicatori, divulgassero sia prima che durante e dopo la spedizione militare quello "spirito di crociata" di cui si è già parlato, fatto di profondo disprezzo, odio e intolleranza per il "diverso". Con questo non vogliamo dire che da quel momento in poi i rapporti tra cristiani e musulmani sono stati improntati unicamente all'odio e all'intolleranza, ma che questa realtà cominciò ad avere un'importanza sempre maggiore. Nondimeno ci sono vari documenti successivi alla prima crociata che testimoniano della persistenza di una convivenza civile fra le due parti, almeno in certe zone. Il teologo arabo-ispanico Ibn Giubair, naufragato durante un viaggio sulle coste della Sicilia nel 1185, salvato e ospitato per alcuni mesi dal re normanno Guglielmo il Buono, stilò una Relazione di viaggio nella quale si legge: "La più bella città del regno è Palermo, dove abitano i musulmani cittadini, e vi hanno moschee e mercati a loro riservati nei sobborghi, mentre gli altri musulmani stanno nelle campagne, nei villaggi e nelle altre città come Siracusa ecc. [...] È mirabile la buona condotta del re Guglielmo nell'impiegare i musulmani [...]. Egli ha gran fiducia nei musulmani, e a loro si affida nelle sue cose e nei suoi affari più importanti, tanto che il soprintendente della sua cucina è un musulmano".
    Ma torniamo al discorso di Urbano II. Oltre ai suddetti punti, le parole rivolte dal papa al popolo dei Franchi dimostrano una precisa consapevolezza della realtà politica e sociale che avrebbe potuto spingere sia i nobili che le masse diseredate a cercare fortuna oltremare. Il forte incremento demografico dopo il Mille evidenziava infatti una generale penuria di risorse, mettendo a nudo la fragilità delle strutture produttive di allora. Inoltre la piccola nobiltà franca e i cavalieri cadetti, ai quali si rivolge in particolar modo il pontefice, alla ricerca di feudi e terre da conquistare erano in perenne conflitto tra loro e compivano veri e propri atti di brigantaggio sul suolo francese. Si trattava di convogliare questa bellicosità verso obiettivi più nobili e convenienti.
    Riportiamo alcuni passi del discorso di Urbano II che illustra i tre punti sopra accennati (in Gaeta-Villani Documenti e testimonianze, vol. I, Principato, 1985, pp.216-218): "Da Gerusalemme e da Costantinopoli è pervenuta e più d'una volta è giunta a noi una dolorosa notizia: i Persiani [i Turchi Selgiuchidi, così chiamati poiché provenienti dal Khorasan iraniano], gente tanto diversa da noi, popolo affatto alieno da Dio, stirpe dal cuore incostante e il cui spirito non fu fedele al Signore, ha invaso le terre di quei cristiani, le ha devastate col ferro, con la rapina e col fuoco e ne ha in parte condotti prigionieri gli abitanti nel proprio paese, parte ne ha uccisi con miserevole strage, e le chiese di Dio o ha distrutte dalle fondamenta o ha adibite al culto della propria religione. [...] A chi dunque incombe l'onere di trarne vendetta e di riconquistarlo se non a voi? [...] riandate a ciò che dice il Signore nel Vangelo: «Chiunque lascerà il padre o la madre o la moglie o i figli o i campi per amore del mio nome, riceverà cento volte tanto e possederà la vita eterna». Non vi trattenga il pensiero di alcuna proprietà, nessuna cura delle cose domestiche, ché questa terra che voi abitate, serrata d'ogni parte dal mare o da gioghi montani, è fatta angusta dalla vostra moltitudine, né è esuberante di ricchezze e appena somministra di che vivere a chi la coltiva. Perciò vi offendete e vi osteggiate a vicenda, vi fate guerra e tanto spesso vi uccidete tra voi. Cessino dunque i vostri odi intestini, tacciano le contese, si plachino le guerre e si acquieti ogni dissenso ed ogni inimicizia. Prendete la via del santo Sepolcro, strappate quella terra a quella gente scellerata e sottomettetela a voi: essa da Dio fu data in possessione ai figli di Israele; come dice la Scrittura, in essa scorrono latte e miele. Gerusalemme è l'ombelico del mondo, terra ferace sopra tutte, quasi un altro paradiso di delizie [...]. Quando andrete all'assalto dei bellicosi nemici, sia questo l'unanime grido di tutti i soldati di Dio: «Dio lo vuole! Dio lo vuole!» [...] Chiunque vorrà compiere questo santo pellegrinaggio [...] porti sul suo petto il segno della croce del Signore".
    Sono qui raccolti in un unico testo tutti i luoghi comuni e gli artifici retorici che alimenteranno una mitologia della conquista valida in diverse luoghi e in diverse circostanze.
    San Bernardo di Chiaravalle che dedicò la sua vita a combattere le "eresie" catara e valdese, fu anche appassionato promotore della seconda crociata (1147-1149). A quell'epoca i toni intolleranti e la demonizzazione dell'Islam erano pratica abbastanza corrente, così come gli appelli alla guerra santa contro il Male. San Bernardo nell'esaltare il crociato sosteneva: "Un soldato di Cristo quando uccide un malvagio non è un omicida ma, per così dire, un uccisore del male e viene stimato vendicatore di Cristo nei confronti di coloro che fanno il male e difensore dei cristiani. [...] Peraltro i pagani non sarebbero da uccidere, se in qualche altro modo si potesse impedire loro di molestare e opprimere i fedeli. Ora però è meglio che siano massacrati, piuttosto che la loro spada rimanga sospesa sul capo dei giusti".
    Dirottare l'esuberanza demografica e bellicosa che provocava disordini all'interno verso un comune nemico esterno fu l'obiettivo di fondo delle crociate. I banditori e i predicatori, come abbiamo visto, non solo erano impegnati a dare legittimazione ma addirittura a santificare la violenza e la guerra. Anche i mercanti delle città marinare italiane avevano interesse a queste spedizioni poiché potevano ambire a subentrare ai mercanti arabi, turchi e bizantini nel controllo delle rotte mediterranee. Questo imperialismo di stampo feudale e mercantile trovava supporto ideologico non solo nell'esaltazione religiosa ma anche nel diritto. Il papa Innocenzo IV (1243-1257) motivò le crociate in base alla pretesa che il potere imperiale di Roma, che aveva legittimamente conquistato la Palestina milleduecento anni prima, era ora trasferito nelle mani del papa. Pertanto nei Commentaria super libros quinque decretalium scriveva: "La Terra Santa fu sottomessa con giusta guerra dall'imperatore romano dopo la morte di Cristo, ed è pertanto lecito al papa, in ragione del diritto dell'impero romano, revocare alla propria giurisdizione ciò che l'impero ha in suo potere, perché ingiustamente ne è stato spogliato da chi non aveva diritto di spogliarnelo". In virtù di questo diritto il papa ha potere di giurisdizione sulla Terrasanta e su tutti i suoi abitanti, e quindi in tutti i casi "nei quali è lecito al papa ordinare qualcosa agli infedeli, se questi non obbediscono debbono essere costretti ad obbedire dal braccio secolare e la guerra deve essere loro dichiarata dal papa e non da altri".

    Come vissero le crociate coloro che le subirono?
    Diciamo subito che i primi a patire sofferenze dai crociati non furono i musulmani ma gli ebrei. Nel 1096, prima della partenza della vera e propria spedizione militare guidata da capitani franchi e normanni, quali Goffredo di Buglione, Raimondo di Tolosa, Boemondo d'Altavilla, fu organizzata da predicatori privi di scrupoli una crociata a cui parteciparono non i cavalieri ma le masse popolari: la cosiddetta "crociata dei pezzenti". Essa compì stragi di ebrei in Germania prima di giungere in Oriente ed essere sterminata dai Turchi. Grazie alla cronaca postuma di Salomon Ben Sampson, che una quarantina d'anni dopo il fatto raccolse testimonianze scritte e orali, ci è pervenuto il resoconto dell'episodio del suicidio collettivo degli ebrei di Magonza: "Dapprima apparvero volti arroganti «gente di strano linguaggio», i popoli aspri e violenti delle terre francesi e tedesche. Si erano messi in mente di recarsi alla città santa, profanata da una nazione empia, perché volevano rintracciare la tomba del Nazareno, scacciare gli Ismaeliti [gli arabi] che abitano in quella terra, e assoggettarla con la forza al loro dominio. E «innalzarono il loro segnale», attaccarono alle vesti la croce: uomini e donne, che il cuore spingeva al finto pellegrinaggio verso la tomba del loro Unto; e via via diventarono più numerosi che le cavallette della terra, fra uomini, donne e bambini (10). E quando durante il viaggio passavano per città nelle quali abitavano Ebrei, dicevano: «Ecco! noi stiamo andando verso un luogo lontano, per cercare la tomba dell'Unto e vendicarci degli Ismaeliti, e proprio fra noi ci sono degli Ebrei, i cui padri lo uccisero, lo crocifissero senza un motivo! Prima, vendichiamoci di loro, cancelliamoli dalla convivenza dei popoli! Il nome di Israele non sia più ricordato, oppure riconoscano il Nazareno, come facciamo noi!» All'udire simili discorsi le comunità ricorsero al comportamento dei nostri padri: penitenze, preghiere e buone azioni. [...] Poi tutti gridarono a una voce, come se fossero una sola persona: «Non dobbiamo più indugiare, perché i nemici già ci sono addosso. Facciamo presto, sacrifichiamoci davanti a Dio. Chiunque ha un coltello, lo esamini, che non sia difettoso; poi venga a ucciderci, per santificare il Dio unico, che vive eterno, e poi uccida se stesso, tagliandosi la gola o conficcandosi la lama nel corpo»" (cit. in De Bernardi-Guarracino, cit., p. 531-532).
    Ma chi erano coloro che seguirono fanatici predicatori come Pietro l'Eremita dalla Francia e Gualtiero di Passy dalla Germania? Erano disperati che volevano sfuggire alla miseria, ai debiti, alla servitù, al carnefice; emarginati che vivevano di furti e di elemosine; migranti in cerca di lavoro e di occupazioni stagionali; gente insomma convinta dell'appressarsi della rigenerazione del mondo, che intendeva dare il suo contributo alla purificazione e allo stesso tempo vedeva in Gerusalemme la città celeste e il paese di Cuccagna. In poche parole una massa di diseredati di varie nazionalità dell'Europa cristiana che vedeva in musulmani ed ebrei la causa di ogni male e l'oggetto di sfogo delle proprie frustrazioni. Ancora un caso nella storia di una questione sociale o di classe non risolta, le cui potenzialità di rivolta sociale sono deviate in direzione di un'oppressione d'altro tipo, che potremmo definire "proto-nazionale". L'identità nazionale infatti è sicuramente rintracciabile per alcuni elementi (la lingua ad esempio), anche se non è ancora pienamente delineata secondo parametri moderni ma è contrassegnata e confusa con l'elemento religioso.
    Orrore non diverso suscitarono le imprese dei veri e propri crociati, tra cui l'elemento nobiliare se non altro a livello di comando era senza dubbio prevalente. Lo spirito cavalleresco, di lealtà e cortesia tanto cantato da poeti e intellettuali dell'epoca pareva estraneo a questi militi cristiani. Coloro che partirono per la crociata avevano solo vaghe idee dei musulmani, e soprattutto per opera dei predicatori si crearono un'immagine assolutamente negativa degli "infedeli", senza fare troppe distinzioni fra i militari turchi, gli arabi e le popolazioni civili di altre nazionalità convertite all'Islam. Essi si immaginavano di trovare una Terrasanta soggetta alla più crudele oppressione e si prepararono ad agire di conseguenza. In ogni città della Siria e della Palestina, da Antiochia a Gerusalemme, che riuscivano a riconquistare ai turchi, i crociati si abbandonarono a crudeltà e ad eccessi sfrenati, mostrandosi agli occhi di arabi e bizantini come degli energumeni rozzi e violenti. L'emiro di Shazir, vissuto negli anni seguenti la prima crociata, annota nella sua autobiografia: "Presso i Franchi - Dio li mandi in malora! - non vi è virtù umana che apprezzino tranne il valore guerriero e nessuno gode della superiorità e dell'alta considerazione più dei cavalieri, le sole persone che valgano presso di essi" (in Di Tondo-Guadagni, cit.)
    L'episodio della conquista di Gerusalemme, il 15 luglio 1099, è emblematico di questa furia devastatrice. Esso è riportato da più fonti, sia occidentali che arabe e bizantine, tra loro concordanti nel descrivere il clima di atrocità e violenze. Tutte le testimonianze sono tratte dal citato De Bernardi-Guarracino, pp. 533-535.
    La storica bizantina Anna Comnena, figlia dell'imperatore Alessio, scrive: "Durante l'avanzata [i cristiani] presero molte delle fortezze costiere; trascurarono le più munite, che richiedevano un lungo assedio, perché avevano fretta di giungere a Gerusalemme. Circondarono le sue mura, la assediarono con frequenti assalti, e dopo un mese la espugnarono, massacrando molti dei Saraceni e degli Ebrei che in essa abitavano".
    Lo storico musulmano di origine mesopotamica Ibn al-Athìr racconta: "La popolazione fu passata a fil di spada, e i Franchi stettero per una settimana nella città menando strage dei Musulmani. [...] Nel Masgid al-Aqsa [la moschea estrema] i Franchi ammazzarono più di settantamila persone, tra cui una gran folla di imam e dottori musulmani, devoti e asceti, di quelli che avevano lasciato il loro paese per venire a vivere in pio ritiro in quel Luogo Santo. Dalla roccia [dove sorgeva la moschea di Omar] predarono più di quaranta candelabri d'argento...".
    Il cronista franco Raimondo d'Aguilers dice: "Appena i nostri ebbero occupato le mura e le torri della città, allora avresti potuto vedere cose orribili: alcuni, ed era per loro una fortuna, avevano la testa troncata; altri cadevano dalle mura crivellati di frecce; moltissimi altri bruciavano tra le fiamme. Per le strade e le piazze si vedevano mucchi di teste; mani e piedi tagliati; uomini e cavalli correvano tra i cadaveri [...] nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava col sangue all'altezza delle ginocchia e del morso dei cavalli. E fu per giusto giudizio divino che a ricevere il loro sangue fosse proprio quel luogo stesso che tanto a lungo aveva sopportato le loro bestemmie contro Dio".
    Grandissima appare la differenza con la conquista araba di Gerusalemme di quattro secoli prima! I cristiani non lasciarono ai loro avversari né la metà dei beni, né la fede e i luoghi di culto, né tantomeno la vita.
    Steven Runciman, storico inglese dei nostri giorni, studioso delle crociate, così giudica gli effetti di queste violenze: "Molti cristiani rimasero inorriditi e fra i musulmani che erano stati disposti ad accettare i franchi come un nuovo fattore dell'ingarbugliata situazione politica dell'epoca, ci fu da allora in poi la netta determinazione che gli occidentali dovevano essere cacciati. Quella sanguinosa dimostrazione di fanatismo cristiano risuscitò il fanatismo dell'Islam" (in Di Tondo-Guadagni, cit.)

    Ipotesi interpretative musulmane della crociata
    Concludiamo la nostra ricostruzione con le interpretazioni fornite da Ibn al-Athìr sull'origine delle crociate. Lo storico musulmano riporta almeno due diverse "voci", che introducono nuovi possibili scenari e gettano una luce diversa da quella a cui siamo soliti ricondurci noi occidentali, che vuole che la crociata sia una spedizione in Terrasanta voluta per primo da Urbano II per por fine alle violenze tra cristiani e conquistare i luoghi santi.
    Secondo la prima ipotesi, la conquista della Palestina fu dovuta essenzialmente a una questione di equilibri geopolitici e di interessi economici tra sovrani e feudatari franco-normanni e potentati arabi. Più precisamente essa sarebbe stata suggerita da Ruggero di Sicilia ai Franchi per distoglierli dalla conquista dell'Africa mediterranea, che avrebbe interrotto o quantomeno reso più difficili i traffici normanni con le regioni musulmane dell'Africa. Narra infatti Ibn al-Athìr che giunse a Ruggero un'ambasciata da parte dei Franchi che chiedevano un'alleanza militare e un appoggio logistico in Sicilia per partire alla conquista dell'Africa. Radunatosi coi suoi consiglieri, i quali si mostravano favorevoli al disegno, Ruggero avrebbe manifestato platealmente la sua disapprovazione scoreggiando sonoramente ("levata una gamba fece una gran pernacchia dicendo: «Affé mia, questa vale più di codesto vostro discorso») e spiegando che egli non avrebbe guadagnato nulla dall'impresa, ma che avrebbe avuto soltanto grattacapi, qualunque fosse stato l'esito: "se conquistano il paese quello sarà loro e l'approvvigionamento dovranno averlo dalla Sicilia, venendo io a perderci il denaro che frutta qui ogni anno il prezzo del raccolto; e se invece non riescono, faranno ritorno qui al mio paese e mi daranno degli imbarazzi, e Tamim [l'emiro di Tunisi] dirà che l'ho tradito e ho violato il patto con lui, e si interromperanno i rapporti e le comunicazioni fra noi". Per cui Ruggero avrebbe detto no alla richiesta, ma suggerendo una soluzione alternativa: "Se avete deciso di far la guerra ai Musulmani, la cosa migliore è di conquistare Gerusalemme, che libererete dalle loro mani e di cui avrete il vanto".
    Secondo l'altra ipotesi l'origine sta tutta in una questione politica etnico-religiosa interna al mondo islamico. I fatimidi egiziani temendo un'invasione selgiuchida dei loro territori, "mandarono a invitare i Franchi a muovere contro la Siria per impadronirsene e far da cuscinetto fra loro e i Turchi". Conclude Ibn al-Athìr: "Dio poi ne sa di più" (vedi De Bernardi-Guarracino, cit., pp. 532-533).
    Forse a spiegare le "voci" raccolte da questo storico del XII-XIII secolo possiamo ricordare che in quel torno di tempo Federico di Svevia si accordò col sultano d'Egitto per prendere Gerusalemme ai Turchi (V crociata) e che dopo la morte di al-Athir ci furono le ultime due crociate che ebbero come obiettivo proprio le regioni arabe del Nord Africa. Tentativi entrambi condotti dal re francese Luigi IX il Santo, che trovò addirittura la morte, ed entrambi falliti (vedi scheda "Cronologia delle crociate").

     


    NOTE

    1) La Repubblica del 20 aprile titolava un editoriale di Furio Colombo "La nuova guerra santa", in cui si leggeva: " rimbalzano [...] due interpretazioni: sono i sopravvissuti della setta cristiana di Waco (una delle tante chiese fondamentaliste estremiste disseminate in tutto il paese) oppure il colpevole è il fondamentalismo islamico. Si tratta di un episodio della Jihad, della guerra santa islamica, che ha nel mondo occidentale il suo grande nemico e negli Stati Uniti il simbolo principale da colpire". Gli attentatori non potevano che essere "segmenti impazziti delle grandi religioni del mondo, il buddismo di Tokio e di Yokohama, se dobbiamo credere alle dichiarazioni febbrili di quei "credenti", i "cristiani di Waco", se fossero stati essi i colpevoli. E soprattutto la Jihad. L'ipotesi islamica domina, alla fine della tragica giornata, negli Stati Uniti, a causa delle dimensioni del fatto, dell'organizzazione quasi perfetta dell'attentato, e del suo grande significato simbolico".
    Dominava a tal punto questa convinzione che alcuni musulmani furono linciati, come è accaduto anche nella vicenda odierna. Ma è quel "soprattutto la Jihad", alla luce delle successive rivelazioni, che tradisce un atteggiamento pregiudiziale tipico dell'occidente nei confronti di altre civiltà, "soprattutto" quella islamica, la più "terzomondista" di tutte, che la dice lunga sulle facili equazioni odierne tra islam e terrorismo.

    2) Va ricordato però che il termine "europei", nell'accezione che gli attribuiamo oggi, comparve per la prima volta verso il 755, vent'anni dopo la battaglia di Poitiers. Esso venne usato da un anonimo scrittore cristiano di Cordova, nell'identificare e nominare i componenti dei due eserciti. Nel fare questo egli non applicò un criterio religioso ma li nominò secondo connotati geografici o di nazionalità: "ismaeliti" o "genti meridionali" per gli Arabi; "franchi", "genti settentrionali" o "europenses" per i guerrieri di Carlo Martello. Quindi nell'VIII secolo - prima cioè della costituzione dell'impero carolingio che fonderà politicamente e ideologicamente il primo nucleo dell'«Europa», dell'Occidente - i musulmani non appaiono ancora e non vengono chiamati soltanto infedeli o nemici della fede.

    3) "Quando il santo guerriero rischia la vita, non lo fa pensando che forse non morirà, ché sarebbe cosa sciocca, e neppure lo fa restando indifferente al fatto se vivrà o morrà, ché questo sarebbe temerarietà. Egli pensa piuttosto che c'è una possibilità di morire e una di sopravvivere, quindi non è ansioso di morire, né angosciato se il fato lo coglie, ma non rischia la vita pensando o supponendo che otterrà ciò che desidera senza pericolo. Rischierà la vita, piuttosto, sapendo che può perdere o non ottenere ciò che desidera se non si espone; penserà cioè che, agendo in un dato modo, otterrà quanto vuole, o che la gente della sua città lo otterrà senza dubbio, come conseguenza della sua azione, sia ch'egli muoia o che viva: in un caso egli condividerà quanto auspicato con gli altri, nel caso opposto lo otterranno gli altri, ed egli avrà la felicità per i suoi meriti e il suo sacrificio. [...] Speciale privilegio del santo guerriero morto in battaglia è quello di essere lodato per il sacrificio compiuto a favore della popolazione della città, e per il suo essersi esposto alla morte".

    4) Per praticità oltre che per convenzione internazionale usiamo il sistema di datazione cristiano anche per i fatti riguardanti l'Islam. Ricordiamo tuttavia che il 622, data dell'Egira secondo il calendario cristiano, corrisponde per i musulmani all'anno zero. Perciò quello che si è soliti indicare come VII secolo, per l'Islam è il I secolo, e così via.

    5) Dopo il crollo dell'impero abbasside l'Islam sarà un elemento fondante di almeno altri due imperi: quello Moghul in India dal XVI al XIX secolo e quello Ottomano nel bacino mediterraneo e in Medio Oriente dal XIV al XX secolo
    Crociata anti ottomana, papa Niccolò II

    6) Analoga testimonianza è quella fornita da un cronista cristiano, il quale di fronte alla conquista araba di Gerusalemme del 638 scrive che i vincitori si impegnano a "non uccidere i vecchi, né i bambini, né le ragazze, a non tagliare gli alberi da frutto, né le messi e a non distruggere le case, bensì a ricercare amicizia, concordia, sicurezza, pace, affinché di due popoli se ne facesse uno solo" (riportato in Di Tondo-Guadagni, La storia antica e medievale oggi, cit., p. 204.

    7) Vedi F. Braudel, L'Islam e il mondo musulmano, in Il mondo attuale, vol. I, Einaudi, 1966. Tra le opere di carattere generale sull'impero arabo, la civiltà islamica e le crociate ricordiamo: P. K. Hitti, Storia degli Arabi, La Nuova Italia, 1966; AA.VV. L'Islamismo I, "Storia universale", Feltrinelli, 1969; F. Gabrieli, Storici arabi delle crociate, Einaudi, 1957; F. Cardini, Il movimento crociato, Sansoni, 1972; B. Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Sansoni, 1974.
    Vi sono poi manuali di storia per le scuole superiori che hanno un ricco apparato di documenti a cui attingere. Tra essi ricordiamo: Gaeta-Villani, Documenti e testimonianze. 1, Principato, 1985; De Bernardi-Guarracino, L'operazione storica. Il medioevo, Bruno Mondadori, 1991.

    8) Non è solo di oggi neppure il richiamo ideologico o retorico alla crociata. Basti pensare che l'origine di certe letterature "nazionali" europee affonda nell'epopea cavalleresca della guerra contro i Mori o i Saraceni, come la "francese" Chanson de Roland o lo "spagnolo" Cantar de mio Cid, anche se in un primo momento il motivo centrale era quello nazionale e solo ai tempi della redazione scritta dei poemi, durante cioè l'epoca delle crociate, quello religioso diventa preponderante. Oppure si possono ricordare gli echi prodotti dallo scontro in corso nel XVI secolo tra cattolicesimo e Islam, con l'avanzata ottomana nell'Europa orientale e la vittoria cristiana nella battaglia navale di Lepanto del 1571, che si ripercuotono nella Gerusalemme liberata di Tasso, poema che canta l'epopea bellica della crociata in Terrasanta di cinquecento anni e che incita retoricamente il duca Alfonso II d'Este suo protettore a farsi "emulo di Goffredo" e a prendere le armi per una nuova offensiva.
    Il termine crociata è stato poi più volte usato in senso lato per denominare una campagna politica e culturale dai toni, e non solo, particolarmente accesi e violenti. La più famosa è la "crociata anticomunista" del secondo dopoguerra, che ha come esempi paradigmatici le elezioni del 1948 in Italia e il maccartismo in USA.

    9) Questo episodio, che testimonia l'intreccio tra crociate e questione nazionale è celebrato nell'omonimo film di Sergej Ejzenstein del 1938, con finalità antinaziste, patriottiche e di esaltazione della personalità del capo, con chiaro riferimento a Stalin.

    10) Prendiamo spunto da queste parole per ricordare che ci furono addirittura due crociate di bambini, partite indipendentemente l'una dall'altra dalla Francia e dalla Germania, entrambe nel 1212. La prima era guidata da Stefano di Cloyes e l'altra da Nicola di Colonia, due ragazzini che risposero alla "chiamata del Signore" e si posero alla testa di migliaia di bambini e bambine per andare in Terrasanta a liberare il santo sepolcro e convertire gli infedeli in virtù unicamente dell'evidente superiorità e verità del messaggio cristiano. Dopo varie traversie queste moltitudini di fanciulli finirono miseramente, chi morto di stenti o malattie durante il viaggio, chi sbranato dai lupi nel valicare le montagne, chi prostituito nei bordelli delle città meridionali dell'Italia, chi naufrago, chi infine schiavo nelle terre dell'Africa settentrionale, e furono i più fortunati.