Una strategia fallimentare
Riportiamo un articolo del sole24ore in cui con poche parole vengono descritte le situazioni che si sono determinate in Iraq e Afghanistan in seguito all'intervendo militare della cosiddetta "comunità internazionale".
Di Alberto Negri (corrispondente del sole24ore). Reds - Giugno 2006.


Le cronache da Kabul e da Baghdad evocano lo scenario di una rivolta arabo-mussulmana estesa dalle rive dello Shatt el Arab fino agli altipiani dell'Hindukush. Eppure Bush e Blair, pur ammettendo errori, continuano a ripetere che l'occidente sta vincendo la battaglia per esportare la democrazia. Ma a Baghdad c'è un governo blindato nella Green Zone che non sembra in grado di combattere il terrorismo, mentre in Afghanistan Karzai non è molto di più che il sindaco di Kabul, senza l'autorità per affrontare non solo le offensive dei Talebani ma anche una rivolta urbana.

Sia a Baghdad che a Kabul ci sono governi eletti dopo decenni di dittature e guerre. Iracheni e afghani alle ultime elezioni mostravano con orgoglio il dito intinto nell'inchiostro, il marchio indelebile di chi era andato alle urne, segnale della speranza in una svolta che però tarda ad arrivare. Per avere governi stabili ci vuole tempo mentre i problemi afghani e iracheni incombono e questi due paesi sono al collasso.

L'Afghanistan, dall'invasione sovietica del 1979, è uno Stato sgretolato, una zona grigia sulla mappa dell'Asia che paradossalmente ha vissuto un momento di riunificazione sotto il più tetro regime islamico della regione, caduto quando i Talebani si sono ostinati a dare protezione a Bin Laden. Sbalzati dal potere ma non cancellati, i Talebani oggi puntano ad aprire un nuovo fronte quando le truppe Nato andranno a sostituire, in parte, quelle americane.

L'Iraq non è più uno stato da quando è stato spazzato via Saddam, l'autocrate più spietato del Medio Oriente. Gli americani non hanno mai controllato davvero il territorio e l'Iraq è precipitato in un'anarchia sanguinosa, infestato dal terrorismo islamico e dalle milizie, una sorta di Jugoslavia araba dove i curdi si sono ritagliati la loro autonomia e gli sciiti puntano a fare lo stesso liberandosi degli stranieri. I sunniti, sprofondati in una specie di buco nero ma senza petrolio, sono sostenuti dalla rabbia contro l'occupazione e dall'odio confessionale.

L'aria che tira a Baghdad e a Kabul è simile a quella che soffiava a Mogadiscio negli anni 90, intervento fallito e paese abbandonato all'anarchia. L'intervento militare non ha risolto i problemi dell'Afghanistan e dell'Iraq e la diplomazia occidentale non ha affrontato neppure un nodo dell'aggrovigliato Medio Oriente, a partire dalla questione palestinese. Anzi, gli americani, occupato l'Iraq, alla ricerca di armi di distruzione di massa mai trovate, oggi hanno a che fare con le sostanziose ambizioni nucleari dell'Iran, il terrorismo ha trovato nuovo radicamento e l'integralismo di Hamas appare più intrattabile del marcescente al Fatah di Arafat.

E' giusto chiedersi se c'è una "exit strategy" militare dell'Iraq o dall'Afghanistan ma è una domanda sbagliata in una prospettiva politica e umana. Forse sarebbe meglio domandare a iracheni, afghani e mediorientali quali aiuti vorrebbero, se li vogliono, per tentare di risolvere i loro problemi, che poi sono diventati da un pezzo anche i nostri.