Il vero
obiettivo, un fantoccio a Beirut
Lo
scopo delle operazioni belliche in Libano non è la liberazione dei
soldati prigionieri ma un cambio di regime e l'instaurazione di un governo-marionetta
Accadde lo stesso nel 1982. Allora Haig raccomandò a Sharon di dotarsi
di «una chiara provocazione», accettabile dal resto del mondo.
Oggi è uguale.
Di Uri Avnery. Reds – Luglio 2006.
L'obiettivo autentico è il cambio di regime in Libano e l'instaurazione
di un governo fantoccio. Era l'obiettivo dell'invasione del Libano dell'82,
quella di Sharon. Fallì. Ma Sharon e i suoi discepoli della leadership
politica e militare israeliana non si sono mai del tutto arresi.
Come nel 1982, anche l'operazione oggi in corso è stata pianificata
e portata avanti in piena coordinazione con gli Stati uniti. Come allora,
non ci sono dubbi che sia stata coordinata con una parte dell'elite libanese.
Questo è il fatto principale. Il resto non è che rumore e propaganda.
Prima dell'invasione del 1982 il segretario di stato americano Alexander Haig
disse a Sharon che sarebbe stato necessario, prima di partire, poter disporre
di «una chiara provocazione» in grado di essere accettata dal
resto del mondo. La provocazione scattò nel momento più appropriato,
quando la banda di terroristi di Abu Nidal tentò di assassinare l'ambasciatore
israeliano a Londra. Ciò non aveva alcuna connessione con il Libano,
e meno ancora con l'Olp (nemico di Abu Nidal), ma raggiunse ugualmente lo
scopo.
Questa volta la necessaria provocazione è stata fornita dalla cattura
di due soldati israeliani da parte di Hezbollah. Tutti sanno che non potranno
essere liberati se non attraverso uno scambio di prigionieri. Ma l'enorme
campagna militare approntata da mesi è stata venduta al pubblico israeliano
e internazionale come un'operazione di salvataggio. (Stranamente, la stessa
cosa era avvenuta due settimane prima nella striscia di Gaza. Hamas e i suoi
soci catturarono un soldato, cosa che fornì il pretesto per una massiccia
operazione preparata molto tempo prima e il cui obiettivo era la distruzione
del governo palestinese).
L'obiettivo dichiarato dell'operazione Libano è di spingere Hezbollah
fuori dai confini, per rendergli impossibile la cattura di altri soldati e
il lancio di razzi sulle città israeliane. Anche l'invasione della
striscia di Gaza ha ufficialmente l'obiettivo di sottrarre i paesi di Ashkelon
e Sderot al raggio dei missili Qassam. Somiglia all'operazione «Pace
in Galilea» del 1982. Allora all'opinione pubblica e al parlamento venne
raccontato che l'obiettivo della guerra era quello di «spingere le katiushe
a 40 chilometri dal confine».
Era una menzogna deliberata. Per undici mesi prima della guerra non un razzo
(non uno) era stato sparato attraverso il confine. Fin dall'inizio, l'obiettivo
dell'operazione era di raggiungere Beirut e installarvi un Quisling. Come
ho già raccontato parecchie volte, me lo disse lo stesso Sharon nove
mesi prima della guerra, e persino lo pubblicai (con il suo consenso, ma senza
attribuirglielo).
Certo l'attuale operazione ha anche molti obiettivi secondari, che non includono
la liberazione dei prigionieri - che tutti sanno impossibile da raggiungere
con mezzi militari. Ma è forse possibile distruggere un po' delle migliaia
di missili che Hezbollah ha accumulato negli anni. Per questo fine, i capi
delle forze armate sono pronti a rischiare gli abitanti dei paesi israeliani
a tiro di razzo. Essi ritengono che il gioco valga la candela, come un gambetto
negli scacchi.
Un altro obiettivo secondario è quello di riabilitare il «potere
deterrente» dell'esercito. Questa è la parola chiave per restaurare
l'orgoglio delle forze armate, profondamente ferito dalle rischiose azioni
militari di Hamas nel sud e di Hezbollah nel nord. Ufficialmente il governo
israeliano chiede che il governo del Libano disarmi Hezbollah e lo scacci
dalle zone di confine. Ciò è chiaramente impossibile nelle condizioni
politiche del paese, retto da una delicata trama di comunità etnico-religiose.
Il più piccolo choc può far collassare l'intera struttura e
gettare il paese nell'anarchia - specialmente dopo che gli americani sono
riusciti a far ritirare l'esercito siriano, il solo elemento che per anni
ha garantito una qualche stabilità.
L'idea di insediare un Quisling in Libano non è nuova. Nel 1955 David
Ben Gurion propose di prendere un «funzionario cristiano» e di
installarlo come dittatore. Moshe Sharet dimostrò che questa idea era
basata sulla completa ignoranza degli affari libanesi e la silurò.
Ma 27 anni dopo, Ariel Sharon cercò ugualmente di attuarla. Bashir
Gemayel fu infatti insediato come presidente solo per essere assassinato poco
dopo. Il fratello, Amin, gli succedette e firmò un accordo di pace
con Israele, ma fu cacciato (lo stesso fratello sostiene oggi pubblicamente
l'operazione israeliana).
Il calcolo ora è che se la forza aerea israeliana fa piovere colpi
abbastanza pesnti sulla popolazione libanese - paralizzando il mare e gli
aeroporti, distruggendo infrastrutture, bombardando i quartieri residenziali,
interrompendo l'autostrada Beirut-Damasco eccetera - la gente si infurierà
con Hezbollah e premerà sul governo libanese affinché accolga
le richieste di Israele. Dal momento he l'attuale governo non può neppure
sognarsi di fare una cosa del genere, si installerà una dittatura col
sostegno di Israele.
Questa è la logica militare. Io ho i miei dubbi. Si può presumere
che la maggior parte dei libanesi reagirà come farebbe tanta altra
gente nel mondo: con rabbia e odio verso l'invasore. E' già accaduto
nel 1982, quando gli sciiti nel sud del Libano - fino a quel momento docili
come uno zerbino - si sollevarono contro gli occupanti israeliani e crearono
Hezbollah, che è diventata l'organizzazione più forte del paese.
Se l'élite libanese ora si mette a collaborare con Israele sarà
spazzata (e poi, i Qassam e i Katiusha hanno spinto la popolazione di Israele
a premere sul governo affinché la facesse finita? Tutto il contrario).
La poltica americana è piena di contraddizioni. Il presidente Bush
vuole un «cambio di regime» in Medio oriente, ma l'attuale governo
libanese è stato insediato sotto pressione americana. Nel frattempo,
Bush è riuscito solo a spaccare l'Iraq e provocare una guerra civile
(come già detto sopra). Potrebbe provocare la stessa cosa in Libano,
se non ferma in tempo l'esercito israeliano. Inoltre un attacco devastante
contro Hezbollah potrebbe scatenare la furia e non solo in Iran, ma anche
fra gli sciiti in Iraq, sul cui sostegno sono stati costruiti tutti i piani
di Bush per un regime filo aamericano.
E dunque, qual è la risposta? Non per caso, Hezbollah ha attuato il
suo raid per rapire i soldati nel momento in cui i palestinesi gridavano aiuto.
La causa palestinese è popolare in tutto il mondo arabo. Mostrando
che essi sono amici nel momento del bisogno, quando gli altri arabi stanno
tristemente fallendo, Hezbollah spera di accrescere la propria popolarità.
Se un accordo israelo-palestinese fosse stato già raggiunto, Hezbollah
non sarebbe altro che un fenomeno locale libanese, irrilevante per la nostra
situazione.
Meno di tre mesi dopo la sua formazione, il governo Olmert-Peretz è
riuscito a far precipitare Israele in una guerra su due fronti, dagli obiettivi
irrealistici e dai risultati imprevedibili. Se Olmert spera di essere visto
come Mister Macho-Macho, uno Sharon numero due, resterà deluso. Lo
stesso per i disperati tentativi di Peretz di essere preso seriamente come
un imponente Mister Sicurezza. Tutti capiscono che questa campagna - sia a
Gaza che in Libano - è stata pianificata e dettata dall'esercito. L'uomo
che decide oggi in Israele è Dan Halutz. Non è un caso che il
lavoro in Libano sia stato affidato all'aviazione.
L'opinione pubblica non è entusiasta della guerra. Vi è rassegnata,
in una sorta di stoico fatalismo, perché le viene detto che non c'è
alternativa. E in verità, chi puo essere contrario? Chi è che
non vuole liberare i «soldati rapiti»? Chi è che non vuole
rimuovere i katiusha e ripristinare la deterrenza? Nessun politico osa criticare
l'operazione (ad eccezione dei deputati arabi alla Knesset, ignorati dall'opinione
pubblica ebrea). Nei media, i generali regnano supremi, e non solo quelli
in uniforme. Non c'è quasi nessun ex generale che non venga invitato
dai media a commentare, spiegare, giustificare, e tutti parlano con una voce
sola.
Un esempio: il più popolare canale tv di Israele mi ha invitato per
un'intervista dopo aver sentito che avevo preso parte a una manifestazione
contro la guerra. Sono rimasto assai sorpreso. Ma non è durata: un'ora
prima della trasmissione, in una telefonata di scuse, un presentatore del
talk show mi ha spiegato che c'era stato un terribile sbaglio, in realtà
intendevano invitare il professor Shlomo Avineri, ex direttore generale del
Foreign Office, su cui si può contare per giustificare qualunque atto
del governo, qualunque esso sia, in paludato linguaggio accademico. «Inter
arma silent Musa» - quando parlano le armi, le Muse tacciono. O meglio:
quando ruggiscono i cannoni, il cervello smette di funzionare.
Infine, giusto un piccolo pensiero: quando lo stato di Israele fu fondato
nel mezzo di una guerra crudele, fu attaccato ai muri un manifesto: «Tutto
il paese - un fronte! Tutto il popolo - un esercito!» Sono passati 58
anni e quello stesso slogan è valido come lo era allora. Che cosa ci
dice questo fatto di un'intera generazione di statisti e generali?