A proposito di "missione di pace"
Una lucida analisi retrospettiva sull'evoluzione
dei fatti nella martoriata terra afghana. Da "Liberazione" del 20/9/09.
(di Simonetta Cossu). Reds - settembre 2009
La guerra in Afghanistan è iniziata nell'ottobre 2001, poco dopo gli
attentati dell'11 settembre 2001. Segnò l'inzio della guerra al terrorismo,
voluta da George W. Bush e di cui oggi raccogliamo gli amari frutti. La prima
fase del conflitto fu gestito da Stati Uniti e Gran Bretagna e fù batezzata
Operazione Enduring Freedom. Una prima fase di guerra costellata da bombardamenti
al tappeto, rapimenti e torture, la vergogna di Abu Grahib.
Il tradimento della missione Isaf
Le forze Usa e Gb, vennero poi integrate con una forza internazionale di assistenza
per la sicurezze (ISAF) della Nato. L'Italia sostenne e lo fa ancora oggi, la
missione militare dell'ISAF - che non è una missione unilaterale "di
guerra" come "Enduring Freedom", bensì una missione multilaterale
Onu "di pace" dalla quale non si può uscire unilateralmente
senza venire meno ai nostri impegni internazionali. Il vero problema è
un altro: la natura della missione ISAF è completamente cambiata, poiché
si è "fusa" con Enduring Freedom diventando anch'essa una missione
di guerra contro i talebani. Con l'apertura dell'impegnativo fronte di guerra
iracheno nel 2003, gli Usa decisero di lasciare l'allora più tranquillo
fronte afgano agli alleati della Nato. Per fare questo, però, non chiesero
loro di entrare in Enduring Freedom, ma imposero un cambiamento strutturale
della missione ISAF. Nell'agosto 2003, la missione ISAF diventa a comando Nato:
alleanza militare formalmente in guerra a fianco degli Usa in virtù del
richiamo all'art. 5 del Trattato dell'Alleanza Nord-Atlantica. Pochi mesi dopo,
la risoluzione Onu 1510 del 13 ottobre 2003 stabilisce l'espansione della missione
ISAF dalla sola Kabul a tutto il territorio nazionale afgano, prevedendo per
il 2006 un'espansione anche nelle zone meridionali e orientali del paese. Ma
nel 2005, dopo un anno di relativa quiete, proprio quelle regioni vengono riconquistate
dalla resistenza talebana. Nei quartieri generali della Nato si inizia a parlare
dell'esigenza di "irrobustire" le regole d'ingaggio per la missione
ISAF visto l'impegno in un teatro "ostile". Polemiche e dibattiti
scuotono le cancellerie di tutta Europa. Non una parola in Italia. Come ha spiegato
il generale Fabio Mini (ex comandante della missione KFOR in Kosovo), invece
di espandersi, come previsto, in zone che dovevano essere già state pacificate
e bonificate' dai soldati Usa, nel 2006 la missione ISAF si è trovata
essa stessa impegnata, a fianco e al posto delle forze Usa, nella bonifica'
di queste zone, ovvero nella guerra ai talebani. Così, la missione ISAF
è diventata una missione di guerra, sovrapponendosi e confondendosi con
Enduring Freedom. Confermare la partecipazione ad ISAF ignorando i cambiamenti
che invece ci sono stati, significa far prevalere la prassi sul diritto, mentire
all'opinione pubblica e calpestare l'articolo 11 della nostra Costituzione.
Fiume di soldi... in tasche sbagliate
Un secondo e tragico errore, se così si vuole chiamarlo è la marea
di soldi promessi alla ricostruzione dell'Afghanistan finite in ben altre tasce.
Come scrive l'economista Pepe Escobar «Per quanto riguarda la United States
Agency for International Development, l'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo
Internazionale, si è appena "scoperto" che i taliban - come
racket di protezione - si prendono una parte degli aiuti allo sviluppo internazionale
che si riversano in Afghanistan. Ma quella fetta impallidisce se confrontata
con le somme che il governo di Hamid Karzai e dei signori della guerra suoi
compari distraggono dalle casse dell'Unione Europea sotto la supervisione delle
Nazioni Unite - con una baldoria dopo l'altra in nome della "ricostruzione
afghana" (Tokyo 2002, Berlino 2004, Londra 2006, Parigi 2008). Forse non
quanto gli americani, ma anche i contribuenti europei vengono derubati. In un
fantastico post sul blog italiano byebyeunclesam, Giancarlo Chetoni spiega come
l'Afghanistan stia costando ai contribuenti italiani 1000 euro (1433 dollari)
al minuto, o 525,6 milioni di euro all'anno, per "liberare il paese dal
terrorismo e dalle droghe". Il surrealismo è la regola. È
rimasta famosa la decisione dell'Italia di destinare 52 milioni di euro alla
"riforma del sistema giudiziario dell'Afghanistan", quando in Italia
"sono attualmente pendenti 3,5 milioni di processi penali e 5,4 milioni
di processi civili"».
La delusione degli afghani
La guerra con tutti i suoi orrori aveva però in qualche modo illuso il
popolo afghano che prima o poi la democrazia e la libertà sarebbero arrivati.
Ma la realtà è purtroppo assai diversa. Washington ha installato
al potere a Kabul il fedele ex consulente locale della compagnia petrolifera
Usa Unocal e del Pentagono, Hamid Karzai, e nel 2004 gli ha procurato la vittoria
elettorale sostenendolo apertamente come unico candidato possibile e pagandogli
la campagna elettorale. Oggi che la sua rielezione viene messa in dubbio, Karzai
ha saputo accumulare tanto di quel potere da potersi permettere di mandare al
diavolo il vecchio alleato. Gli "stranieri" erano sbarcati promettendo
diritti per tutti. Anche qui la realtà è ben diversa. La condizione
delle donne non è affatto migliorata, perché essa è un
prodotto della cultura afgana. I talebani l'avevano solo "istituzionalizzata".
Ora è tornata, com'è sempre stata, un affare "privato",
gestito dai capi famiglia invece che dai mullah. E la tortura nelle medievali
carceri afgane continua a essere pratica comune. Dovevamo portare sviluppo economico
e benessere e invece
Al di là della poverissima economia di sussistenza
tradizionale basata su agricoltura (legale e illegale), pastorizia e piccoli
commerci (con un reddito medio che non supera i 10 dollari al mese), non esistono
nuovi sbocchi lavorativi per gli afgani. Anzi la massiccia presenza nel paese,
e in particolare a Kabul, di stranieri pieni di dollari, ha avuto un devastante
effetto inflazionistico (soprattutto per il mercato immobiliare urbano) che
ha ulteriormente ridotto il già infimo potere d'acquisto della popolazione.
Senza contare la comparsa di piaghe sociali come la prostituzione, tossicodipendenza
e malattie come l'Aids, prima inesistenti, frutto del degrado sociale ma anche
della presenza straniera.Il business della ricostruzione è un affare
da 15 miliardi di euro in piena espansione, gestito in gran parte dagli Stati
Uniti (tramite UsAid). Peccato che questi soldi o sono tornati indietro come
profitti delle aziende appaltate (quasi tutte Usa) - che per guadagnarci hanno
gonfiato i conti e risparmiato su tutto costruendo scuole e ospedali che ora
sono chiusi perché pericolanti - o sono finiti in spese di gestione'
di Ong e organizzazioni internazionali (stipendi stratosferici, vitto e alloggi
di standard occidentale e fuoristrada di lusso per il personale espatriato)
o ancora sono finiti nelle tasche di funzionari afgani corrotti. L'unica opera
di ricostruzione è stata l'asfaltatura della "superstrada"
Kabul-Kandahar, eseguita a scopo di propaganda pro-Karzai durante la campagna
elettorale del 2004 (oltre che per facilitare i movimenti via terra delle truppe
d'occupazione).Il fallimento della ricostruzione internazionale ha causato un
forte risentimento popolare verso gli stranieri, considerati ormai dei bugiardi
che fanno solo il loro interesse. Un ultima nota: dal novembre del 2001 al dicembre
del 2008 l'amministrazione Bush ha bruciato 179 miliardi in Afghanistan, la
Nato 102 miliardi. Alla faccia della crisi.20/09/2009