LA GUERRA VISTA DAI BALCANI
novembre
2001. Intervista ad Andrea Ferrario curatore della mailing list
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DOMANDA: I fatti dell'11 settembre hanno suscitato numerosi episodi di razzismo in USA (ma anche in Europa) verso gli immigrati di origine araba e i musulmani. Allo stesso tempo la distruzione delle torri gemelle è stata presa a pretesto per criminalizzare le lotte di liberazione nazionale di popoli di tradizione islamica (si pensi alle vicende cecene e palestinesi) e legittimarne l'oppressione ma anche il massacro che diverrebbe semplice azione di "lotta al terrorismo". E' avvenuto altrettanto nei Balcani?RISPOSTA: Nei Balcani le cose mi sembrano siano un po' più complesse. Non si sono registrati, in conseguenza degli attentati dell'11 settembre, episodi rilevanti di violenze organizzate, o di ostilità accentuata, nei confronti delle popolazioni balcaniche di tradizione islamica. Ciò è dovuto a mio parere a due fatti: la criminalizzazione e l'ostilità nei confronti dei musulmani balcanici era ampiamente diffusa anche in precedenza e aveva raggiunto punte altissime, al limite del genocidio, soprattutto in Bosnia e in Kosovo, già prima degli attentati, sia a livello amministrativo che, in parte, a livello popolare. Tale profondo radicamento ha fatto sì che la criminalizzazione delle popolazioni di tradizione islamica non potesse essere una variabile di attentati che, visto quello che hanno vissuto le nazioni balcaniche sul loro territorio negli anni recenti, non hanno avuto sicuramente l'impatto che hanno avuto in Occidente. In secondo luogo, l'identificazione che i potenziali portatori di una "crociata di massa contro l'Islam" hanno con l'Occidente è bassissima, a livello popolare, e rimane confinata soprattutto all'ambito puramente retorico: essi non si sono sentiti per nulla colpiti o minacciati da tali attentati, come è invece il caso, per esempio, dell'Europa Occidentale, che pure è geograficamente altrettanto lontana dagli USA. In Serbia le prime reazioni popolari dopo l'11 settembre sono state improntate al commento: "Se lo sono meritati", che rimandava chiaramente ai recenti bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia. I media del paese sono stati più moderati nei toni, ma hanno comunque sottolineato le responsabilità della politica estera USA nel creare il contesto in cui sono maturati gli attentati. Vi è stato invece un evidente tentativo di sfruttare la "crociata contro il terrorismo" da parte delle élite al potere. Il discorso implicito contenuto in questi tentativi è stato quello dell'affermare: "anche noi siamo vittime del terrorismo, come lo sono gli Stati Uniti, e quindi siamo legittimati a mettere in atto una nostra guerra parallela contro il terrorismo (cioè contro gli albanesi e le altre popolazioni di tradizione islamica più consistenti)". Questo tipo di campagna, tuttavia, ha avuto caratteristiche difformi. In Macedonia ha raggiunto punte estreme e particolarmente virulente contro gli albanesi del paese e della regione nel suo complesso, in Serbia è stata notevole, ma con toni più prudenti. In Croazia ha assunto le caratteristiche di una proposta di fare da baluardo nei Balcani contro una più vaga minaccia islamica nel suo complesso. In Bulgaria, dove pure vi è una consistente minoranza turca e islamica, ha assunto più che altro i toni generici dello "scontro tra civiltà", limitati esclusivamente alle pagine dei giornali, mentre le popolazioni islamiche del paese non sono state prese di mira. L'Occidente, che ha praticamente ridotto la maggior parte dei Balcani a un proprio protettorato, non ha comunque dato segno di avallare questi tentativi di criminalizzazione, anzi, nel caso della Macedonia ha addirittura ammonito seccamente il governo per farlo desistere. Penso che ciò sia dovuto al fatto, da una parte, che i Balcani non sono di particolare interesse strategico per l'imperialismo occidentale (eccezion fatta per l'Italia, la Grecia e forse, in misura più limitata, la Germania), la cui presenza nella regione mira in primo luogo a cercare di arginare una situazione di pericolosa instabilità ai propri confini e a utilizzare l'area come "palestra" per nuovi assetti nelle proprie organizzazioni militari e politiche. Dall'altra, si tratta di una regione in cui i gruppi politici, militari ed economici al potere nei singoli paesi sono estremamente deboli, frammentati e instabili, fattori che non li rendono particolarmente appetibili come alleati nella "crociata globale". Nei Balcani, le conseguenze degli attentati che appaiono maggiormente probabili al momento sono quelle di una più rigida "messa in riga" dei gruppi armati, o comunque più radicali, albanesi e delle frange estreme islamiche, queste ultime presenti tuttavia solo in Bosnia, a quanto è noto, in misura tra l'altro limitata e privi di un seguito di massa. Penso tuttavia che saranno meno tollerate anche le frange estreme della "destra cristiana" in Croazia, in Serbia e in Macedonia e che, soprattutto, si esigerà una maggiore obbedienza da parte dei governi della regione per un mantenimento della stabilità. Nei Balcani a tutt'oggi rimane questo l'obiettivo primo dell'Occidente. Tuttavia, se la situazione di dovesse radicalizzare a livello mondiale, non è escluso che i gruppi di potere balcanici possano essere chiamati a svolgere ruoli di manovalanza nel controllo poliziesco e militare del "pericolo terrorista". Nel valutare una tale ipotesi, comunque, è necessario tenere presenti alcune realtà che riguardano le popolazioni di tradizione islamica e quelle slave e di tradizione cristiana nei Balcani. Le prime, in realtà, non si identificano compattamente nel loro insieme come islamiche, non hanno collegamenti tra di loro e inoltre si trovano nella posizione ambivalente di potenziali obiettivi, in quanto "islamiche", e allo stesso tempo di popolazioni tra le quali, in particolare nel caso degli albanesi del Kosovo, si guarda con favore agli Stati Uniti. Le seconde, come già ricordato, non si identificano in alcun modo con l'Occidente, sebbene i loro governanti tentino di proporsi come paladini locali della "lotta mondiale contro il terrorismo".
DOMANDA: Tra le conseguenze dell'attacco USA in Afghanistan vi dovrebbe essere anche il ridimensionamento delle truppe USA nei Balcani mentre la già ingente presenza italiana (nell'area seconda solo a quella USA) dovrebbe aumentare ulteriormente, non male per quello che buona parte della sinistra nostrana definisce "imperialismo straccione". Cosa ne pensi?
RISPOSTA: Un ritiro progressivo delle forze statunitensi dai Balcani era nei programmi dell'amministrazione Bush già prima degli attentati dell'11 settembre. Recentemente, nel corso della visita di Berlusconi a Washington, il segretario alla difesa Rumsfeld ha chiesto esplicitamente all'Italia di riempire militarmente il vuoto che verrà lasciato dagli USA in seguito ai maggiori "impegni" di questi ultimi in Medio Oriente e nell'Asia Centrale. Non tutto però è così scontato: altri settori della diplomazia statunitense, per ora evidentemente in minoranza, premono per fare dei Balcani una zona-cuscinetto militarizzata contro la minaccia del terrorismo islamico. Anche se tale ipotesi si dovesse realizzare, tuttavia, l'Italia continuerebbe ad avere un ruolo di primissimo piano sia in conseguenza della sua presenza capillare nei Balcani, sia per la sua vicinanza geografica a tale eventuale "zona-cuscinetto". Vi è un altro fatto all'apparenza non direttamente legato alla politica italiana verso i Balcani, ma che vale la pena citare per le implicazioni che potrebbe avere su quest'ultima e sui rapporti tra Italia, USA eUE. In queste settimane il governo Berlusconi ha ventilato un ritiro dall'importante consorzio europeo per la costruzione di aerei militari Airbus. Su questa ipotesi si è aperta una divergenza esplicita tra il ministro della difesa Martino, di Forza Italia, favorevole al ritiro dal consorzio, e tra il ministro degli esteri Ruggiero, un "tecnico", che invece preme per un proseguimento della partecipazione italiana. A prima vista, l'incontro tra Rumsfeld e Berlusconi e il ventilato abbandono del consorzio Airbus potrebbero dare l'impressione di una svolta nella politica estera italiana dopo l'arrivo di Berlusconi al potere, una svolta che ne avrebbe accentuato il carattere di vassallaggio (ovvero di imperialismo straccione e servile nei confronti degli USA). In realtà le cose stanno diversamente. Vale la pena ricordare che Ruggiero è stato nominato ministro degli esteri su forti pressioni proprio degli USA, come "tecnico" in grado di garantire la continuità della politica estera italiana. Ruggiero inoltre ha forti agganci internazionali, in particolare con gli USA, essendo stato un altissimo burocrate del WTO per anni (singolare la similitudine con il precedente ministro degli esteri, Dini, per anni alto funzionario del FMI), agganci che a Forza Italia e ai partiti suoi alleati mancano. E proprio gli USA, in particolare l'amministrazione Bush, hanno guardato con molto favore, e addirittura sollecitato, la creazione di una forza militare europea in grado di prendersi carico delle missioni nei Balcani - il consorzio Airbus costituisce un'importante anello nella catena di formazione di tale forza. In realtà, l'eventuale abbandono del consorzio Airbus, più che un atto di vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti, sarebbe a mio parere interpretabile come un bastone tra le ruote della politica internazionale di questi ultimi, venuto non a caso dopo le difficoltà tra Roma e Washington e i relativi mercanteggiamenti tra le due capitali.
Ma a parte questi giochi diplomatici, rimane il fatto che l'Italia ha un ruolo di primissimo piano nei Balcani, costruito con una politica mirata e attiva, e non semplicemente di vassallo degli USA. Dalle grandi banche e le altre grandi aziende italiane che assumono il controllo di interi monopoli nei paesi balcanici, alle piccole e medie aziende a bassa tecnologia che sfruttano la manodopera a prezzi da terzo mondo nell'area, alla presenza di contingenti militari in quasi tutti i paesi dei Balcani, al dispiegamento massiccio di forze di polizia ai confini con questi ultimi o addirittura al loro interno con la scusa della lotta all'immigrazione e alla criminalità, alle migliaia di operatori di ONG parastatali e alle innumerevoli collaborazioni con le regioni italiane, la presenza del nostro paese non ha pari in quanto a capillarità. Tale presenza non è casuale, ma è invece il frutto di precisi intrecci di interessi e di fenomeni interni al nostro paese. Essendo i Balcani, per motivi geografici, storici ed economici, il principale "cortile di casa" dell'Italia, vi è un interesse da parte dei ceti di governo e di quelli economici a instaurare rapporti solidali con i potentati locali che garantiscono loro un accesso allo sfruttamento delle risorse economiche e umane dei Balcani. Questo è uno dei motivi per cui, tra le altre cose, l'Italia ha avuto più di altri una politica filoserba e antialbanese nel corso del conflitto in Kosovo e dopo di esso: la parte serba aveva un ceto di governo fatto di banchieri, petrolieri e generali professionisti, con i quali era sempre in ultimo possibile trattare sulla base di un linguaggio comune, cosa che non valeva per la parte albanese, una massa di sottoproletari guidata da un gruppo ristretto di intellettuali o di leader di ex gruppuscoli marxisti-leninisti convertitisi per convenienza in fretta e furia al liberismo. Si potrebbe naturalmente osservare che l'Italia ha fatto proprio dell'Albania una vera e propria colonia, ma il caso di quest'ultima è ben diverso da quelli della Serbia, della Croazia o della Bulgaria, per esempio. L'Albania è una testa di ponte militare e diplomatica per il resto dei Balcani, un paese debolissimo di cui sfruttare direttamente le poverissime risorse, tanto per "ricoprire i costi", e da mettere sotto controllo poliziesco con il pretesto dell'immigrazione e della criminalità. Ma la fitta maglia degli interessi italiani nei Balcani ha altri importanti attori, oltre a quelli politici ed economici. Le forze militari e quelle di polizia dell'Italia hanno visto crescere il proprio ruolo nel paese e internazionalmente in buona parte in virtù del fatto di rappresentare una pedina fondamentale delle politiche verso i Balcani. Vi è inoltre tutto un sottobosco burocratico parastatale (le ONG "miliardarie" e gli altri soggetti che ottengono contributi dallo stato e dalle regioni), dalle salde ramificazioni anche nel mondo accademico, che ha trovato nell'"aiuto allo sviluppo" e nella "promozione della pace" nei Balcani il canale per ottenere ingenti finanziamenti che ne garantiscono l'autoriproduzione. A tutto questo va aggiunta la notevole presenza di immigrati dai Balcani, soprattutto albanesi, in Italia. Relegati nell'illegalità e nelle aree già più degradate delle città, tali immigrati sono diventati oggetto di una forte ostilità anche a livello popolare, mentre la dislocazione di alcune produzioni nelle aree balcaniche dove vi è manodopera a prezzi bassissimi fa erroneamente individuare in quest'ultima una minaccia ai posti di lavoro in Italia e contribuisce a un inasprimento di tale ostilità, già ampiamente fomentata dai media. La presenza italiana nei Balcani non è quindi solo frutto del vassallaggio dei nostri governi, bensì la conseguenza di una politica attiva, che ha un proprio retroterra storico e forti radici nei meccanismi interni del paese. Lo testimonia tra le altre cose la continuità pressoché assoluta tra la politica balcanica del centro-sinistra e quella della destra, nonché la larga comunità di vedute in merito. Ne è purtroppo una testimonianza anche il fatto che riguardo ai Balcani, più di qualsiasi altra regione mondiale, tale clima di "unità nazionale" riesca a coinvolgere spesso anche larghi settori della sinistra anticapitalista italiana. L'allarme per il pericolo del terrorismo islamico nei Balcani ha trovato eco, in termini che non si distinguono nella sostanza da quelli dei media "borghesi", anche in giornali della sinistra come "Il Manifesto". L'opposizione alle guerre nei Balcani è stata impostata sopratutto sulla denuncia delle politiche USA, mentre su quelle italiane ed europee si è taciuto, o le si è accusate unicamente di essere troppo supine rispetto agli Stati Uniti. Spesso si è guardato con favore all'Europa e all'Italia come male minore e in alcuni casi vi sono state addirittura simpatie nei confronti dei "nostri ragazzi", quando le loro politiche venivano interpretate come divergenti da quelle USA. Non è infine un caso che proprio riguardo ai Balcani si siano registrate convergenze altrimenti impensabili tra estrema destra ed estrema sinistra, tra testate che fanno della riduzione dei Balcani al cortile di casa dell'Italia un vero e proprio programma e testate della sinistra alternativa, mentre su queste ultime sono stati ripresi, in riferimento ai Balcani, elementi di campagne antislamiche o antialbanesi promosse dalla Lega Nord o dal suo giornale. Su un altro piano, invece, vi sono contiguità e comunanza di vedute tra la sinistra anticapitalista e soggetti che promuovono politiche definite pudicamente "umanitarie" o di "società civile", ma che in realtà sono perfettamente integrate nelle politiche dell'UE e dei singoli governi europei.
La denuncia della politica italiana ed europea nei Balcani non deve naturalmente comportare una sottovalutazione dell'imperialismo USA che, come si è dimostrato nel 1999, rimane l'unico in grado di organizzare guerre di grande portata e che dispone, in quanto unica superpotenza mondiale, di fortissime leve a livello diplomatico e finanziario. L'importante è invece capire che non vi è "vassallaggio", ma giochi di forza e conflitti di interesse tra poteri complementari: se gli Stati Uniti decidesssero di disimpegnarsi dai Balcani, un'ipotesi oggi non del tutto peregrina, anche se personalmente non credo a un disimpegno completo, continuerebbe comunque ad esservi nell'area una massiccia presenza dell'imperialismo italiano ed europeo, altrettanto oppressivo di quello statunitense, soprattutto se visto con gli occhi degli oppressi locali e non con quelli, alquanto strabici, di una certa sinistra "nazionale" italiana o europea. Che sarebbe così ce lo dicono sia cento anni di politica italiana verso i Balcani, sia la realtà che abbiamo sotto gli occhi qui, a casa nostra.