GUERRA E SINISTRA
LE DIFFICOLTA' DELLA SINISTRA A INTERPRETARE LA NUOVA FASE


novembre 2001, REDS


Gli atti terroristici prima e la guerra poi hanno gettato la sinistra in una grande confusione interpretativa. In questo nostro articolo analizzeremo le più diffuse difficoltà analitiche ed anche la loro ragione. Il problema non è di secondaria importanza. La sinistra sta subendo un vertiginoso declino della propria capacità di analisi e ciò costituisce un elemento che influisce negativamente anche sulle sue potenzialità di attrazione e di mobilitazione.

L'oleodotto fantasma

Tra la gente di sinistra, e non solo tra i commentatori o i quotidiani dell'area (Manifesto e Liberazione), è molto popolare una concezione complottista che vede il binomio terrorismo/guerra come una sorta di astuta manovra dell'imperialismo USA. Spesso non si portano a supporto di questa tesi argomentazioni precise, ma solo domande che vorrebbero essere di per sé significative. Ad esempio: "come mai la CIA e l'FBI che sono tanto potenti non sono riuscite a prevenire gli attentati?", facendo così intendere che la "distrazione" sia stata voluta. La tesi è molto popolare anche tra i popoli islamici con una certa preferenza nei confronti di un complotto sionista. Popolarissima è ad esempio la leggenda dei 5000 ebrei che proprio l'11 settembre non si sarebbero recati a lavorare alle Twin Towers. Le ragioni che avrebbero spinto gli USA a tirarsi gli aerei addosso da soli, o comunque a prendere al volo questa occasione, variano a seconda dei commentatori. Una parte di essi dà spiegazioni di carattere "economico" (la crisi recessiva che incombe), altri mettono in campo gli "oleodotti" dell'Afghanistan, altri ancora la necessità del controllo politico su regione definita "strategica", e infine vi sono coloro che sottolineano l'urgenza per gli USA di trovare una "scusa" per dare una dimostrazione di potenza. Alcuni esempi di queste argomentazioni.

Sul Manifesto del 12 ottobre Francesco Piccini afferma che per sfruttare il patrimonio petrolifero "probabilmente immenso" delle repubbliche centroasiatiche "mancano gli oleodotti. O meglio, quelli che ci sono portano tutti in Russia. E questo non piace né alla Chevron (il cui ex amministratore - Condoleeza Rice - siede ora nel governo Bush) né alla Turchia (il terminale di Novorossisk è nel Mar Nero, e le petroliere devono attraversare il Bosforo)". Manlio Dinucci e Tommaso di Francesco sul Manifesto del 21 settembre scrivono che "l'azione militare, ufficialmente diretta a scovare ed eliminare Bin Laden e la sua organizzazione terroristica, è per gli USA di crescente valore strategico: la zona comprende Afghanistan e Pakistan, confina da un lato con la Cina e l'India (potenze emergenti che gli USA temono) e, dall'altra, con il sempre più importante corridoio petrolifero che va dal Caspio al Golfo. Qui Bush, un uomo solo al comando, anzi un petroliere al comando (qualcuno ricorda che lui e il vicepresidente Cheney, sono potenti rappresentanti delle lobby petrolifere americane?), intende piantare le prime bandiere della sua crociata infinita". Sul Manifesto del 18 ottobre lo stesso Manlio Dinucci nell'articolo "Sotto il corridoio afghano" ci parlava della "importanza strategica del gas-oleodotto che dovrebbe andare dal Caspio al Pakistan e dell'accordo tra imprese che ha escluso l'Unocal, importante compagnia petrolifera degli USA. Lo scacco energetico è una delle ragioni della guerra in Afghanistan".

Questo genere di argomentazioni sono diventate molto diffuse nella sinistra per la loro apparenza "marxista". Noi invece pensiamo che quando al posto di una interpretazione complessa si collocano le trame di una qualche multinazionale si fa solo economicismo tinto di giallo. E' bene dire una volta per tutte che di oleodotti, a parte brevissimi tratti nel Nord (comuni a tutti i Paesi, l'Italia è piena di oleodotti di quel tipo), nell'Afghanistan non ve ne sono. Che vi siano dei progetti in quel senso è certo, esattamente come ne esistono in ogni dove, ma questi progetti non hanno mai giustificato una guerra dagli esiti incerti come quella alla quale assistiamo. L'Afghanistan non è un produttore di petrolio. Il petrolio della zona del Golfo arriva agevolmente in Occidente attraverso le petroliere e gli oleodotti della regione. Un oleodotto che passasse per l'Afghanistan dovrebbe servire a convogliare il petrolio che è ancora da estrarre, da una regione (repubbliche centroasiatiche) in cui la sua presenza è incerta, e la cui produzione massiccia se mai avverrà è tutta di là da venire. E con tutti questi se si organizza una guerra con annessi autoattentati? I vari riferimenti ai legami personali tra la dirigenza statunitense e il petrolio poi, non hanno alcun senso. Clinton non è un petroliere ma ha continuato ad affamare l'Iraq esattamente come i suoi predecessori petrolieri. Reagan ha organizzato la sanguinaria controrivoluzione in Centroamerica senza avere il benché minimo interesse personale nella vicenda. Pensiamo sul serio che un capitalismo come quello USA, che ha responsabilità globali che vanno ben al di là di una sua singola multinazionale, possa subire il condizionamento di una fetta ristretta della sua classe dominante o addirittura di una singola impresa? Il governo USA sta difendendo gli interessi complessivi del suo capitalismo.

Un'argomentazione simile a quella dell'oleodotto fantasma, e che leggiamo qua e là (ad esempio su Liberazione del 21 ottobre a firma Sabina Morandi, o Maurizio Veglio sul Manifesto del 24 ottobre nell'articolo "C'è anche l'oppiodotto") è quella che sottolinea l'importanza per la regione del commercio di oppio. Questi argomenti lasciano intuire che "quindi" vi sarebbe un interesse economico USA, ma la tesi è talmente strampalata (perché mai gli USA avrebbero dovuto far la guerra, per coltivare in proprio i papaveri? E non avrebbero potuto più agevolmente rivolgersi ad altri stati ben più arrendevoli?), che questi stessi testi si tengono lontano da una chiara dimostrazione della tesi.

Una argomentazione all'apparenza più raffinata è quella riassunta su Liberazione del 13 ottobre da Fausto Sorini che scrive: "è il caso di ricordare che l'Afghanistan si trova proprio nel cuore dell'Eurasia, al crocevia tra Russia, Cina e India" e che in un quadro di concorrenza globale tra imperialismi ed emersione di nuovi stati-nazione "si comprende assai bene la ragione strategica che induce la parte più aggressiva dell'imperialismo americano e del suo stato-nazione - che è oggi la fondamentale fonte di guerra - a fronteggiare e bilanciare i pericoli di un possibile ridimensionamento della propria influenza sull'economia mondiale con il perseguimento di una schiacciante superiorità militare nei confronti degli imperialismi concorrenti e di stati emergenti". Dello stesso tenore la tesi di Manlio Dinucci e Tommaso di Francesco che sul Manifesto del 10 ottobre affermano che "L'operazione libertà duratura costituisce non una azione militare limitata all'annientamento dell'organizzazione di Bin Laden, ma il primo passo di una strategia di lunga durata attraverso cui gli USA vogliono imporre il loro ruolo di potenza globale, impedendo che in regioni cruciali, a partire da quella asiatica, si formino potenze in grado di sfidare quella statunitense".

La dinamica che sta prendendo la guerra però dimostra l'insostenibilità di questa tesi: gli USA sono stati costretti ad un forte riavvicinamento a India, Cina e Russia, e queste ultime sono state ben felici (come è stato evidente nell'incontro dei Paesi del Pacifico) di ciò. E' verissimo che gli USA considerano quei tre Paesi, e soprattutto la Cina, dei concorrenti strategici, ma proprio a causa della guerra e della necessità di trovare alleanze globali, gli USA sono costretti a soprassedervi. Se la guerra fosse stata scatenata da loro apposta con un astuto piano per ridimensionare quei Paesi, beh, il minimo che si possa dire è che stanno ottenendo l'effetto contrario. Gli USA non hanno bisogno di raggiungere nessuna schiacciante posizione militare: ce l'hanno già, nessuno stato al mondo può sperare di vincere una guerra convenzionale con essi. Ma il loro problema è che sono costretti oggi a combattere una guerra di ben altra natura, che non volevano perché crea loro problemi a non finire, che più sotto analizzeremo.

Altre argomentazioni, più frequenti nel mese di settembre, tendevano ad attribuire la guerra alla necessità per il capitalismo USA di uscire da una crisi recessiva incombente. Si dà il caso però che la recessione sia cominciata qualche mese fa, mentre l'attentato alle Twin Towers era in preparazione da anni. O si vuol dire che la CIA teneva "in caldo" i terroristi per farli agire ai primi venti recessivi? In ogni caso la guerra in corso sta peggiorando la crisi recessiva, proprio perché non si tratta di una guerra convenzionale. La guerra del Vietnam e prima ancora la seconda guerra mondiale erano effettivamente servite agli USA per uscire dalla recessione (anche se certo non vi hanno partecipato per quella ragione), ma ciò poté avvenire perché il mercato interno era al sicuro e la guerra si combatteva su suoli lontani. Oggi invece la natura della crisi porta ad una fortissima contrazione dei consumi del mercato interno statunitense: la gente esce meno di casa, compra poco, manifesta una minor fiducia verso il futuro quindi risparmia di più e spende di meno, viaggia di meno, e dunque i magazzini si riempiono e la recessione avanza. Inoltre le paure legate alla natura particolare della guerra rallentano enormemente la velocità di circolazione delle merci e delle persone (paralisi delle poste, crisi dell'aviazione, controlli sulle vie di comunicazione) che è un ingrediente fondamentale di una crisi recessiva. Dunque gli USA non hanno provocato una guerra per uscire dalla crisi, al contrario si trovano esposti contemporaneamente ad una recessione interna e a una guerra dagli esiti incerti: come dovrebbero sapere gli storici, una miscela esplosiva.

La modalità intepretativa complottista nega la dialettica. I suoi teorici immaginano che l'avversario disponga di capacità davvero stupefacenti di previsione, programmazione e azione. Ogni sua mossa sarebbe parte di un disegno che avanza implacabile. Al contrario gli imperialismi si trovano, al pari dei lavoratori, o dei Paesi del Sud del mondo, a lottare (per mantenere la propria egemonia), e lo fanno, al pari di noi, sbagliando, oppure sono colti alla sprovvista, o vengono spinti dagli eventi in vicoli ciechi. Noi dobbiamo cogliere questi elementi di contraddizione interna e di debolezza o non sapremo approfittarne per costruire una politica a favore delle masse oppresse.

Dobbiamo renderci conto una volta per tutte che gli attentati negli USA hanno costituito per la direzione politica di quel Paese una vera e propria catastrofe. Quegli attentati minano all'interno la fiducia dei cittadini nei confronti del proprio stato. Non facciamoci confondere dalle miriadi di bandierine che s'agitano al vento: se entro pochi mesi Bush non avrà combinato niente assisteremo ad una crisi di rappresentatività formidabile in quel Paese. Gli attentati hanno costretto gli USA ad una guerra che è in grado di minare in maniera duratura, e con rotture violente, il loro dominio in tutto il Medio Oriente. Sino a pochi mesi fa Arabia Saudita, Egitto, Pakistan, erano bastioni del dominio USA nella regione, oggi traballano sonoramente e per stare in piedi saranno costretti a prendere una crescente distanza da Bush. Gli Usa se ne rendono conto e fanno di tutto per evitare la catastrofe, ad esempio spingendo ad un accordo coi palestinesi la direzione sionista, ma anche loro sono prigionieri di una dinamica oggettiva, non possono procedere diversamente perché se non reagissero perderebbero il consenso interno ed anche la propria autorevolezza nel mondo. Le loro azioni sono obbligate dal proprio status, ma saranno quelle stesse azioni che potranno aprire la strada ad un loro secco ridimensionamento. Non vorremmo essere però fraintesi: non per questo ci piacciono gli attentati negli USA. Per noi non è indifferente che piega prende il declino del dominio USA: la politica terrorista per sua natura compatta la popolazione dell'Occidente e la spinge verso la crociata, e ciò innesta una dinamica potenzialmente esplosiva e sanguinaria, perché un imperialismo messo in un vicolo cieco e senza una opposizione interna da parte delle classi sociali oppresse, può dare zampate che con le moderne tecnologie possono produrre stragi impensabili. Le dichiarazioni di esponenti politici statunitensi sul possibile uso di armi atomiche non è uno scherzo.

La natura del fondamentalismo

Nel popolo di sinistra regna il silenzio e la rimozione sulla natura del fondamentalismo islamico. E i suoi quotidiani non sono da meno. Il ritornello sempre ripetuto in maniera ossessiva è: Bin Laden "creatura" della CIA, da Ignacio Ramonet su Le Monde Diplomatique a Rina Gagliardi (su Liberazione del 9 ottobre: "Ma Bin Laden è figlio dell'impero").

E' verissimo che gli USA hanno finanziato in chiave anticomunista gruppi fondamentalisti e lo stesso Bin Laden. Ma ci si deve rendere conto che quella fondamentalista è una corrente politica (non religiosa, ma politica) che ha una sua storia pluridecennale, i propri quadri, i propri obiettivi, la propria politica. Li ha sempre avuti ed ha a sua volta stretto un'alleanza con gli USA perché così faceva loro comodo all'epoca dell'Afghanistan. Ma i suoi obiettivi sono sostanzialmente incompatibili con quelli dell'Occidente, anche se non per questo coincidono con quelli della sinistra. Ricordiamoci che questa corrente è responsabile della repressione sanguinaria di migliaia di comunisti in tutta una serie di Paesi, tra i quali l'Iran. I suoi obiettivi sono quelli, classici, delle correnti nazionaliste dei Paesi del Terzo Mondo: riappropriarsi delle ricchezze depredate dai vari imperialismi, ma, dato che si tratta di nazionalismo di destra, non ha certo in mente di distribuirle poi alle masse impoverite. Queste ultime però, sapendo molto bene che è l'Occidente a mantenere al potere classi politiche corrotte che si lasciano depredare perché ne ricavano benefici secondari (Arabia Saudita, Kuwait, ecc.), vedono in questa corrente il canale attraverso il quale cercare la strada della propria liberazione. Il progetto fondamentalista dunque ha una sostanza nazionalista reazionaria. Ma se la sinistra non entra in sintonia con le aspettative popolari alle quali il fondamentalismo risponde e che sono sacrosante, gli regalerà uno spazio politico enorme e difficilmente recuperabile (sul carattere nazionalista del fondamentalismo islamico vedi "La crociata infinita").

La sinistra non riesce a comprendere la natura del fondamentalismo per varie ragioni. Innanzitutto perché non accetta una strumentazione di analisi che comprenda la questione nazionale, oltre che quella di classe. La sinistra dovrebbe risolutamente schierarsi contro il nazionalismo degli oppressori (quindi contro il dilagare delle bandiere occidentali), ma dovrebbe comprendere e, se è il caso, sostenere, il nazionalismo dei popoli oppressi (e in questo ci sentiamo marxisti "ortodossi", vedi la nostra pagina "Marxismo e questione nazionale"). Il discorso fondamentalista affascina i popoli di religione islamica non certo per il suo afflato religioso (quasi inesistente) ma per le sue parole d'ordine nazionali: fuori gli USA dai Paesi del Golfo, basta con l'embargo all'Iraq, Palestina sovrana, ecc. O intercettiamo quelle parole d'ordine con forza e determinazione anche contro i nostri governi, o lasceremo campo libero al fondamentalismo.

La sinistra del resto ha compiuto in passato errori di natura diametralmente opposta. Ad esempio immaginando che fossero sul serio "comunisti" gruppi e correnti (come l'MPLA angolano, l'FLN algerino, l'FPLE eritreo, ecc.) che invece erano semplicemente nazionalisti, ma che "ricoprivano" la propria natura dell'ideologia socialista, così come i fondamentalisti ricoprono il nazionalismo con un linguaggio religioso. Naturalmente il nazionalismo di quei gruppi era un po' più progressista, per lo meno non aveva incorporato la misoginia.

La sinistra infine sconta una fosca campagna antislamica condotta da varie correnti e oscuri personaggi durante la crisi bosniaca e soprattutto kosovara. Anche in quel caso non si comprendeva la domanda nazionale, del tutto legittima, delle masse kosovare e si riduceva tutto al teatrino di una UCK "strumento della CIA". Così ci capita ancora di leggere pezzi piuttosto ignobili come quello di Guido Caldiron su Liberazione del 27 ottobre nell'articolo "La Jihad dei Balcani" dove compie una escursione storica completamente delirante rivedendo la storia della dissoluzione jugoslava come storia dell'infiltrazione islamica nei Balcani (dove asserisce che "migliaia" di fondamentalisti islamici affluirono in Bosnia), pare incredibile ma non riesce a dire nemmeno una parola sulle responsabilità del regime serbo. Poi compie un ardito ma significativo parallelo con la situazione attuale: "uno scenario simile a quello che si sarebbe ripetuto parzialmente con l'intreccio religioso, militare e malavitoso legato all'uck". Dove la religione non c'entra un bel nulla perché il gruppo dirigente dell'UCK aveva origini maoiste e non certo religiose, ma lo stesso non si può dire per Milosevic che invece ha fatto larghissimo uso dell'elemento religioso ortodosso.

La campagna antiimam

Abbiamo assistito in Italia ad una vergognosa campagna antislamica. In televisione e sui giornali non passava giorno senza che un qualche giornalista con fare inquisitorio domandsse ad un qualsiasi musulmano se era d'accordo o no con Bin Laden. Il culmine si è raggiunto con le dichiarazioni dell'Imam di Torino, che non condividiamo, ma che certo non vediamo perché dovrebbero scandalizzare. Si è limitato ad affermare che prima di considerare Bin Laden colpevole lui vuol vedere le prove. Questo linciaggio, salve rarissime eccezioni, ha visto la sinistra sostanzialmente silente e vagamente complice. Liberazione e il Manifesto si sono limitati a pochi imbarazzati articoli. Facciamo attenzione: o saremo in grado di comprendere la rabbia e la frustrazione nazionale anche dei nostri fratelli immigrati e di agire di conseguenza con chiari e visibili atti di solidarietà, o nei fatti, per ignoranza, paura, o dabbenaggine, ci ritroveremo complici della guerra di civiltà che ci stanno preparando.