Dodici anni fa.
La guerra del Golfo.
Storia
della guerra contro l'Iraq condotta nel 1991 da una coalizione internazionale
guidata dagli USA sotto le bandiere dell'ONU: gli avvenimenti, i protagonisti
e le ragioni profonde che la causarono. Se ne traggono utili indicazioni per
comprendere i tratti della nuova guerra del Golfo che sta per scoppiare. Di
Ilario Salucci. Ottobre 2002.
La guerra
Ë uníesplosione di contraddizioni storiche acutizzatesi al punto che non esiste
altro mezzo per la loro soluzione, perchÈ in una societ‡ di classe non ci
sono giudici che possano decidere con strumenti giuridici o morali sui conflitti
che saranno risolti con le armi in guerra. La guerra Ë un fenomeno politico,
e non giuridico, morale o penale. La guerra non Ë condotta per punire un nemico
per colpe reali o supposte, ma per spezzare la sua resistenza al fine di perseguire
i propri interessi. La guerra non Ë una cosa in sÈ, con un proprio obiettivo:
Ë la parte organica di una politica ai cui presupposti rimane legata e alle
cui necessit‡ deve adattare i propri successi.
Franz Mehring, Vom Wesen des Krieges, Die Neue Zeit, 20.11.1914,
cit. in: E. Mandel, The Meaning of the Second World War, London, 1986, pag.
56.
Gli
avvenimenti
Il 2 agosto 1990 líesercito iracheno varca il confine con il Kuwait e procede
a occupare il piccolo emirato. Non vi Ë praticamente resistenza. Líemiro,
la sua famiglia e tutta la classe dirigente kuwaitiana si rifugiano allíestero.
Il Kuwait rimane sotto occupazione irachena circa sette mesi, durante i quali
vengono giustiziate alcune centinaia di persone.
La reazione internazionale Ë immediata. Due giorni dopo líinvasione del Kuwait
Washington decide di inviare delle truppe in Arabia Saudita, e il 6 agosto
il Consiglio di Sicurezza dellíONU decreta líembargo nei confronti dellíIraq.
A fine agosto il Consiglio di Sicurezza autorizza líuso della forza per imporre
líembargo. Da settembre inizia a formarsi líalleanza politica e militare attorno
agli Stati Uniti, a partire dallíUnione Sovietica sotto la direzione Gorbacev.
Il 29 novembre il Consiglio di Sicurezza autorizza líuso della forza per obbligare
líIraq a lasciare il Kuwait, e fissa un ultimatum per il 15 gennaio 1991:
le truppe schierate in Arabia Saudita raggiungono a gennaio il numero di 670.000
persone, di cui mezzo milione statunitensi. Il ritiro dellíIraq dal Kuwait
per líalleanza costruita sotto líegida degli Usa devíessere incondizionato,
e per questo motivo vengono respinte tra agosto e gennaio numerose proposte
di mediazione provenienti da Baghdad.
Il 16 gennaio iniziano i bombardamenti su Iraq e Kuwait: Ë il piš pesante
raid aereo della storia, senza paragoni sia con la guerra vietnamita, sia
con i successivi bombardamenti su Serbia e Kosovo nel 1999 e sullíAfghanistan
nel 2001. Il 24 febbraio, dopo cinque settimane di bombardamenti, inizia líoffensiva
terrestre della coalizione in Kuwait e Iraq: il giorno successivo Baghdad
ordina il ritiro delle proprie truppe dal Kuwait, che vengono massacrate dallíaviazione
statunitense sullíautostrada che collega Kuwait City a Basssora. Il 28 febbraio
Baghdad capitola, accettando tutte le condizioni. Viene firmato il cessate
il fuoco.
Secondo fonti statunitensi líesercito iracheno avrebbe sofferto 100.000 morti,
mentre secondo fonti irachene i civili iracheni uccisi sarebbero stati 35.000.
Gli Stati Uniti hanno contato 300 vittime nelle proprio esercito (di cui perÚ
la met‡ lontano dai teatri di guerra, per incidenti díogni genere e specie).
Nel corso di questi ultimi dodici anni sono morti 7.800 ex soldati statunitensi,
per malattie contratte durante la guerra del Golfo (la cosiddetta ìsindrome
del Golfoî), a causa dellíuso di munizioni allíuranio, dei bombardamenti alleati
dei pozzi petroliferi e di fabbriche chimiche, e cosÏ via.
Fin dal 27 febbraio il sud dellíIraq insorge contro Baghdad, e molti soldati
iracheni in fuga dal Kuwait si uniscono alla popolazione sciita che si rivolta
contro Saddam Hussein. Nel giro di due settimane tutto il sud iracheno Ë controllato
dai ribelli, ma Baghdad con il consenso degli Stati Uniti riesce a organizzare
uníoffensiva e a riprendere il controllo del territorio. La repressione Ë
feroce e centinaia di migliaia di persone si rifugiano in Iran o si nascondono
nelle paludi. Alcune sporadiche rivolte si registrano nel cuore dellíIraq,
ma Ë nel Kurdistan iracheno, a nord, che scoppia una insurrezione di massa
contro Saddam Hussein, a partire dal 7 marzo. Le truppe irachene dopo aver
schiacciato la rivolta a sud riescono a reprimere anche quella kurda a nord,
sempre con il benevolo consenso di Washington: tra fine marzo e i primi di
aprile del 1991 piš di due milioni di kurdi si rifugiano in condizioni umanitarie
terribili in Turchia e in Iran. Solo dopo molti tentennamenti il Consiglio
di Sicurezza dellíOnu adotta una risoluzione in aprile perchÈ si crei una
zona nellíIraq del nord dove i kurdi possano essere rimpatriati al riparo
dalla repressione di Baghdad: su questa base inizia il rientro dei profughi
kurdi, e líavvio, il 19 aprile, di negoziati tra Saddam Hussein e i leader
kurdi. A giugno viene formata una zona autonoma kurda nel nord dellíIraq,
e a ottobre, dopo il fallimento dei negoziati, Baghdad ordina come rappresaglia
il ritiro di tutto il proprio personale dal Kurdistan iracheno (ad eccezione
del territorio di Kirkuk, ricco in petrolio, che rimane sotto il controllo
di Baghdad) e un embargo totale. Da allora esiste un territorio autonomo,
di fatto indipendente, del Kurdistan iracheno, con proprie istituzioni.
Líemiro del Kuwait rientra nel suo paese il 14 marzo 1991. Provvede allíespulsione
degli immigrati palestinesi (400.000 persone) e fa giustiziare alcune centinaia
di persone. Líunico giornale vagamente critico del suo operato viene immediatamente
fatto chiudere.
I
motivi dellíinvasione del Kuwait
Saddam Hussein era salito al potere in Iraq nel 1968, con un colpo di stato
il cui primo obiettivo era di schiacciare un ìfuocoî guerrigliero di ispirazione
guevarista nel sud del paese, a cui si stava unendo una scissione di sinistra
del Partito Comunista iracheno. Nel corso dei successivi dieci anni Saddam
Hussein ha represso in modo feroce qualsiasi tipo di opposizione alla sua
dittatura personale: la ribellione kurda del 1974, i comunisti di tutte le
tendenze, anche frazioni del proprio stesso partito (il ìPartito della resurrezione
araba socialistaî - Baath), sono stati tutti annegati nel sangue. Ogni gruppo
o ogni individuo recalcitrante Ë stato liquidato o neutralizzato. Líirresistibile
ascesa di Saddam Hussein Ë culminata nel 1980, con la concentrazione di tutti
i poteri nelle sue mani, e da allora Ë iniziato un grottesco culto ufficiale
della sua personalit‡. La dittatura di Saddam Hussein si basa su una burocrazia
borghese civile, militare e poliziesca, a cerchi concentrici, largamente determinati
dallíappartenenza alla famiglia, al clan o alla provincia (Takrit) del tiranno.
I privilegi di questa burocrazia sono assicurati dalla rendita petrolifera
dello stato iracheno.
Nel settembre 1980 líIraq attacca líIran, dove líanno precedente una vittoriosa
rivoluzione era riuscita a cacciare il regime dello Sci‡: líobiettivo iracheno
era di appropriarsi dei campi petroliferi dellíArabistan iraniano (la principale
regione petrolifera iraniana) ed affermarsi cosÏ come potenza regionale dominante.
La guerra dura piš di otto anni, e dalla sola parte irachena i morti sono
300.000. A queste vittime devono essere aggiunti almeno 100.000 kurdi (alcune
fonti kurde arrivano alla cifra di 180.000 vittime) massacrati dallíesercito
nel nord dellíIraq dal 1987 al 1989, con líoperazione denominata ìAnfalî,
con largo uso di armi chimiche, che portÚ alla distruzione della maggioranza
dei villaggi del kurdistan iracheno (il caso-simbolo di questa repressione,
grazie alla disponibilit‡ di documenti fotografici, Ë stato lo sterminio il
16 marzo 1988 di tutti gli abitanti del villaggio di Halabdja, circa 5.000
persone, con iprite e gas sarin, mentre i sopravvissuti vennero ìspianatiî
con i bulldozer). Il cessate il fuoco con líIran venne firmato nel 1988, senza
che la frontiera esistente prima del conflitto fosse modificata.
Le distruzioni materiali provocate dalla guerra con líIran furono enormi (stimate
a 150 miliardi di dollari), e Baghdad uscÏ dalla guerra con un indebitamento
di 60 miliardi di dollari, oltre a ritrovarsi con un esercito totalmente sproporzionato
rispetto alle dimensioni (un milione di persone mobilitate) che può
mantenere. La crisi finanziaria del Paese dopo la guerra del Golfo del 1980-1988
non fece che aumentare, e i vari paesi arabi ed emirati che avevano sostenuto
l'Iraq nella guerra contro líIran non accettavano di continuare a sovvenzionarlo.
Eí in questa situazione che matura la decisione di occupare il Kuwait (uno
stato artificiale creato dallíimperialismo britannico delineando un confine
attorno ai pozzi petroliferi, propriet‡ personale dellíemiro e della sua famiglia,
dove nessun minimo diritto democratico era garantito): uníoccupazione permanente
e líannessione del Kuwait allíIraq avrebbe risolto tutti i suoi problemi finanziari
grazie alla rendita petrolifera aggiuntiva, mentre un accordo di mediazione
(in cambio del ritiro dal Kuwait) avrebbe comunque portato risorse aggiuntive.
Baghdad non si aspettava una reazione statunitense e internazionale cosÏ determinata
e inflessibile (numerosi altri casi simili nel passato non avevano provocato
reazioni significative a livello internazionale, per Israele, per líIran,
il Marocco, la Turchia, líIndonesia, ecc.) contando piuttosto che la fine
della guerra fredda avrebbe consentito un maggior margine di manovra rispetto
al passato per un paese come il suo, lasciando comunque spazi per mediazioni
vantaggiose. Una volta resosi conto che cosÏ non era, il regime di Saddam
Hussein non potÈ ritirarsi senza passare attraverso la guerra del 16 gennaio
28 febbraio 1991 (il cui esito, vista la sproporzione nel numero delle vittime,
era scontato), in quanto la legittimazione del suo regime ne sarebbe uscita
a pezzi.
I
motivi della guerra del Golfo: la sindrome vietnamita
Gli Stati Uniti erano rimasti profondamente segnati dalla sporca guerra che
avevano condotto in Vietnam, con una delegittimazione interna ed internazionale
in materia di operazioni militari allíestero che doveva accompagnarli per
decenni. Il tentativo (timido) di effettuare un intervento militare allíestero
da parte del ìfalcoî Reagan era terminato in modo catastrofico: nel 1983 gli
Usa si ritiravano dal Libano dopo aver subito in due attentati 305 perdite.
Líinvasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein offrÏ uníoccasione ideale
a Bush per tentare di superare líinibizione statunitense in fatto di guerra
ritornare ad una situazione di ìnormalit‡î in base alla quale la maggior
potenza militare del mondo potesse essere in grado di sfruttare la propria
superiorit‡. Nel 1990-1991 líargomentazione-chiave fu il ìrispetto del diritto
internazionaleî, mentre successivamente venne invocata la ìdifesa della democraziaî
(Haiti), la ìguerra umanitariaî (Somalia, Bosnia e Serbia), ed oggi la ìguerra
al terrorismoî (Afghanistan). La grande variabilit‡ delle argomentazioni ideologiche
per dare legittimit‡ alle guerre e alle offensive militari scatenate in varie
parti del mondo traducono la debolezza intrinseca di ciascuna di queste argomentazioni
(riassumibili tutte nel fatto che i ìbuoni motiviî sono sempre selettivi)
e la difficolt‡ persistente a ritrovare una legittimit‡ in primo luogo interna
alle azioni dellíimperialismo statunitense. Da questo punto di vista la
situazione odierna Ë ancora ben lungi dallíessere paragonabile a quella dei
25-30 anni seguiti alla fine della seconda guerra mondiale, passati sotto
il segno della ìlotta al comunismoî (e di un miglioramento nelle condizioni
di vita grazie al boom economico). Un segnale inequivocabile fu la poco gloriosa
ritirata statunitense dalla Somalia nel 1994.
Oggi ìBush il piccoloî riprende tutta la retorica degli ìstati canagliaî inaugurata
da suo padre allíinizio degli anni í90, ma come questa retorica aveva mostrato
tutti i suoi limiti nel corso degli anni í90 (i continui bombardamenti condotti
sullíIraq da Usa e Gran Bretagna sono sempre stati condotti nel piš totale
isolamento internazionale, e sottoposti a critiche sempre piš ampie allíinterno
degli stessi Stati Uniti; líisolamento dellíIran Ë fallito proprio grazie
ai piš fedeli alleati degli Usa, in primo luogo líArabia Saudita; e cosÏ via),
cosÏ costituisce oggi una argomentazione ben piš debole, visto che i cosiddetti
ìstati canagliaî non fanno nulla per essere considerati tali. La guerra del
Golfo di dodici anni fa fece credere ai dirigenti di Washington di aver girato
definitivamente pagina dopo i ìgiorni buiî del 1974 (quando gli Usa furono
costretti a ridurre in modo decisivo la propria presenza in Indocina, con
la conseguente caduta líanno successivo dello stato fantoccio del Vietnam
del Sud) ma ancora oggi questi dirigenti si ritrovano con lo stesso problema:
il fantasma sempre presente della contestazione di massa contro il bellicismo
Usa che fece affondare líimpresa vietnamita. Il consenso interno per ogni
azione militare devíessere conquistato volta per volta e non puÚ essere mai
considerato definitivamente acquisito: per questo líinsistenza odierna sulle
ìguerre lampoî, su un numero di (proprie) vittime limitato e sullo sviluppo
tecnologico in materia di armamenti (i tre quarti delle spese mondiali per
ricerca e sviluppo in campo militare sono effettuati negli Usa), in grado
di compensare la debolezza del ìfattore umanoî.
I
motivi della guerra del Golfo: assicurare i flussi di capitali
La motivazione fondamentale che spinse gli Stati Uniti alla guerra del Golfo
fu quella di garantirsi un flusso di capitali in entrata. Nel 1990 (e molto
piš oggi) il capitalismo statunitense Ë dipendente dal fatto che un flusso
costante di capitali provenienti da tutto il mondo entri in patria. Uno di
questi flussi, non quantificabile ma estremamente importante, era ed Ë quello
proveniente dai vari paesi che godono di una ìrendita petroliferaî, che viene
investita da questi paesi nelle azioni e nei titoli di stato Usa, o viene
spesa per líacquisto (sovraprezzo!) di armamenti sempre provenienti dagli
Usa. Nel 1990 gli Stati Uniti conoscevano una recessione economica (come oggi)
che rendeva il capitale ancora piš sensibile a questo fattore: una modificazione
degli equilibri nel golfo persico, dove sono concentrati questi ìstati rentierî
(la ìbanda dei quattroî: Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti)
metteva pericolosamente in discussione questi vitali flussi di capitali, e
richiedeva un intervento per ristabilire lo status quo ante. La creazione
di un regime in Iraq, al posto di quello di Saddam Hussein, che garantisse
un flusso aggiuntivo di questi capitali era certamente un obiettivo ben gradito
a Washington, ma gli Stati Uniti si scontrarono con líassenza di una ìcarta
di ricambioî che cercarono inutilmente nei piš alti vertici dellíesercito
iracheno. Lo scoppio di rivolte e insurrezioni contro il regime di Baghdad
nel marzo 1991 venne visto come un grave pericolo poichÈ poteva portare esattamente
allíopposto di quello che veniva ricercato: un Iraq democratico, federale,
concentrato sulla propria ricostruzione. Sarebbe stato líevento piš distruttivo
per tutta la regione, dove esistono solo regimi autocratici terrorizzati dalla
possibilit‡ di movimenti rivoluzionari al proprio interno. Per questo concesse
tutto quanto era necessario al regime di Saddam Hussein per poter schiacciare
queste rivolte.
In questo groviglio di interessi Washington non poteva permettersi di ìmarciare
su Baghdadî nel febbraio 1991. Come ironicamente raccontava ìil buon soldato
ScívËikî piš di ottantíanni or sono,
ìnon Ë mica una cosa cosÏ semplice penetrare in questo o quel paese! Ognuno Ë capace di farlo, ma poi, venirne fuori, questa sÏ che Ë vera arte militare! Quando uno entra in un posto, deve sapere tutto quello che succede intorno, per non doversi trovare tuttía un tratto dinnanzi a qualche difficolt‡, vale a dire dinnanzi a una catastrofe. Ad esempio una volta a casa nostra, ancora nel vecchio edificio, acchiapparono nel solaio un ladro; quel mariuolo aveva notato, quando era entrato dentro, che cíerano certi muratori i quali stavano proprio allora riparando un abbaino, e dunque riuscÏ a svincolarsi, freddÚ la portinaia e scese giš per le scale fino a raggiungere il lucernario, ma poi di lÏ non potÈ piš uscir fuori. Il nostro vecchio Radetzky, invece, conosceva ogni strada, non riuscivano mai a pizzicarloÖî
Nel 1990-1991 (e cosÏ Ë ancora oggi) il controllo del petrolio in quanto tale da parte degli Usa non fu una delle motivazioni per la guerra. Dalla prima met‡ degli anni í70 il mercato del petrolio Ë un mercato perfettamente internazionalizzato, dove i vari produttori di petrolio nel mondo si fanno direttamente concorrenza líuno con líaltro. In questo modo il prezzo del petrolio Ë fissato dal funzionamento del mercato stesso, secondo un meccanismo conosciuto in economia come quello della rendita marginale, e non da accordi tra vari stati produttori che decidono di aumentare o diminuire la produzione, accordi che tuttíal piš possono influire sul prezzo mondiale in modo marginale e temporaneo. Il prezzo del petrolio sulla base di questo mercato non viene fissato nel golfo persico, ma dallíindustria petrolifera statunitense, la meno produttiva esistente oggi sul pianeta, e garantisce una cospicua rendita a tutti i paesi con una produttivit‡ maggiore nellíestrazione del petrolio. Che il petrolio in sÈ non fosse la questione chiave venne dimostrato proprio dal biennio 1990-1991, quando si ebbe contemporaneamente il crollo della produzione di petrolio in URSS, e il blocco della produzione ed esportazione di quello iracheno e kuwaitiano: il mercato internazionale non soffrÏ di mancanza nellíofferta di petrolio e i prezzi dopo una breve e limitata impennata tornarono ad essere quelli esistenti prima della crisi internazionale.
Un
bilancio
Gli Stati Uniti sono riusciti, nello scorso decennio, a mantenere stabile
la situazione del golfo persico, assicurandosi il flusso costante dei capitali
di cui abbisognavano.
Tuttavia il costo umano, anche dopo la fine della guerra del golfo, Ë terribile.
La popolazione irachena Ë sottoposta da dodici anni a sanzioni economiche
che, secondo la prestigiosa rivista ìForeign Affairsî, sono delle ìsanzioni
di distruzione di massaî, con circa 90.000 decessi allíanno. In un articolo
nel 1999, i due professori americani John e Karl Mueller dopo aver stimato
a 400.000 il numero totale dei morti provocati nella storia da armi di distruzione
di massa (nucleare, chimiche e biologiche, ad esclusione delle camere a gas
naziste) concludevano, usando il condizionale per attenuare líimpatto delle
loro affermazioni: ìSe le stime dellíOnu delle perdite umane in Iraq sono
corrette, anche solo approssimativamente, appare dunque cheÖ le sanzioni economiche
costituirebbero la causa della morte in Iraq di piš persone di quante ne siano
mai state massacrate nella storia da tutte le armi cosiddette di distruzione
di massaî.
Tuttavia non solo il regime di Saddam Hussein Ë ancora al suo posto, e la
ìcarta di ricambioî militare ricercata nel 1990-1991 pare non ci sia ancora
oggi, ma anche il regime iraniano sorto dal crollo del ìpilastro statunitense
nel Medio orienteî (il regime dello Sci‡) non Ë stato affatto intaccato dalla
ìpolitica di contenimentoî attuata dagli Usa. Al contrario gli Usa si sono
scontrati con numerosi loro alleati (ed addirittura proprie multinazionali)
che hanno stretto rapporti via via piš stretti sia con líIraq, sia soprattutto
con líIran.
Riuscir‡ ìBush il piccoloî a ritrovare questa egemonia sempre piš messa in
discussione con la sola forza delle sue supersofisticate armi? Questíultimo
anno e soprattutto questi ultimi mesi testimonierebbero il contrario: che
la corsa in avanti bellicista degli Stati Uniti accentua, anzichÈ risolvere,
i problemi di egemonia di cui Ë afflitta la superpotenza Usa. Il capitale
francese e tedesco esprime interessi divergenti da quelli americani per quanto
riguarda la nuova guerra allíIraq. Kuwait e Arabia Saudita si azzardano a
criticare Washington come mai in passato Ë avvenuto (in un certo momento sono
addirittura circolate voci su un ritiro dei capitali sauditi dagli Stati Uniti!!!).
E soprattutto il movimento antiguerra Ë gi‡ da ora fortissimo in Europa, e
gli Stati Uniti hanno visto in aprile una manifestazione (nonostante fosse
malissimo organizzata) di 100.000 persone a sostegno dei palestinesi, e a
settembre decine di migliaia di persone manifestare contro la guerra. Il fantasma
del movimento antiguerra statunitense della fine anni í60 inizio anni í70,
che riuscÏ ad essere per estensione e radicalit‡ la causa prima della sconfitta
dellíimperialismo statunitense in Indocina, continua a provocare notti agitate
ai dirigenti di Washington.
Secondo le parole di Dickens, in apertura a ìUna storia tra due citt‡î, ìerano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era uníepoca di saggezza, era uníepoca di follia, era un tempo di fede, era tempo di incredulit‡, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era líinverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamoÖî In ultima analisi, sta a noi scegliere.