Un consiglio già diviso.
In seguito alle morti quotidiane tra le truppe USA in Iraq, l'amministrazione ha spinto il suo viceré, Paul Bremer, a costituire il nuovo Consiglio di governo. Ma trascorse due settimane dalla sua formazione, restano aperti gli interrogativi sulla sua struttura, la sua efficacia e sulla disponibilità degli iracheni ad accettarlo come nuovo organismo di governo. Di Maria Tomchick. Traduzione di Eva Milan. Da Zmag Italia. Agosto 2003.



In seguito alle morti quotidiane tra le truppe USA in Iraq, l'amministrazione ha spinto il suo viceré, Paul Bremer, a inserire la marcia per la democrazia irachena. Il risultato di tale pressione è il nuovo Consiglio di governo. Ma trascorse due settimane dalla sua formazione, restano aperti gli interrogativi sulla sua struttura, la sua efficacia e sulla disponibilità degli iracheni ad accettarlo come nuovo organismo di governo.

I giornalisti sul campo riferiscono che gli iracheni sono divisi sul nuovo

onsiglio, esprimendo un misto tra speranza e dubbi. La speranza è quella di un governo iracheno che ponga fine all'occupazione USA. I dubbi si basano sulla consapevolezza che il Consiglio non sia altro che un prestanome che si è adoperato assai poco per i loro problemi, impegnato piuttosto a legittimare il dominio USA sulla scena internazionale. Il fatto che Paul Bremer abbia scelto i membri del consiglio sulle cui decisione egli potrà opporre il veto, certamente non aiuta la sua credibilità. E neanche il fatto che le riunioni non siano pubbliche, svolgendosi sotto stretta sorveglianza per prevenire attacchi iracheni.

Un altro problema è che i due terzi del consiglio sono composti da esuli iracheni e leader curdi (che hanno trascorso i passati 13 anni nell'Iraq settentrionale, fuori dal controllo di Saddam Hussein). Ciò era stato previsto, poiché Bremer si era incontrato esclusivamente con i gruppi di esuli -- molti dei quali fondati e sostenuti dal Pentagono - mentre compilava l'elenco dei candidati da inserire nel consiglio. Tuttavia tale predominanza di "estranei" ha convinto i cittadini iracheni che il nuovo consiglio non corrisponda ai loro bisogni e preoccupazioni.

I membri non esuli del consiglio sono una varietà di professionisti: dottori, giudici, avvocati, imprenditori, scrittori, ecc. Nessuno di loro ha sufficiente esperienza politica e pochi sono noti tra gli iracheni comuni. Ciò ha consentito la predominanza dei gruppi di esuli. Durante la prima conferenza stampa, ad esempio, gli esuli hanno preso il controllo, rispondendo alle domande della stampa e illustrando i programmi del consiglio, mentre i membri non esuli sono rimasti ad osservare in silenzio.

Infatti, gli unici membri del consiglio con un minimo di esperienza politica sono Adnan Pachachi, un esule ottantenne che ha svolto il suo ultimo impegno diplomatico presso il ministero degli esteri iracheno per soli due anni nella metà degli anni sessanta, e Akila al-Hashimi, un ex funzionario del partito Baath che ha lavorato per l'ex vice primo ministro di Saddam Hussein, Tareq Aziz.

L'amministrazione Bush non ha comunque smesso di rilasciare brillanti dichiarazioni sul futuro del consiglio, basate soprattutto sulla sua "diversità". In un certo senso, la definizione è corretta: la struttura etnica del consiglio è un riflesso accurato della popolazione irachena (per quel che se ne può sapere senza un censimento). Gli iracheni, tuttavia, hanno parecchie rimostranze da fare sulla diversità del consiglio, soprattutto sulla sua composizione religiosa e politica.

Nell'organismo risiedono tre figure religiose: due sciiti e un sunnita. Entrambi gli sciiti sono ex esuli: Mohammed Bahr al-Ulloum, uno studioso liberale religioso di Najaf che lasciò il paese nel 1991, e Abdel-Aziz al- Hakim, fratello dell'Ayatollah Mohammad Bakar al-Hakim, che presiede il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (SCIRI). Lo SCIRI, con base in Iran, ha relazioni turbolente e di lunga data con il Pentagono e la CIA. La CIA ritiene che lo SCIRI abbia accettato armi e addestramento dal governo iraniano; lo scopo dello SCIRI è certamente quello di una rivoluzione fondamentalista in Iraq sullo stile di quella iraniana. Ma il Pentagono sa che è possibile trattare con lo SCIRI e, nel contesto attuale, lo status di esule dello SCIRI offre una marcia in più. Senza un vasto consenso in Iraq, lo SCIRI non comporterà più problemi di quanto ne comporti un noto leader religioso fondamentalista di Najaf.

L'esclusione dei leader religiosi locali sciiti non è andata proprio a genio nella città santa di Najaf e nelle altre zone meridionale dell'Iraq - la regione ritenuta la meno problematica per le truppe USA. Ciò ha provocato risentimento, proteste e il pericolo di una guerra religiosa. Persino il noto e moderato clerico sciita Ali Husseini al-Sistani ha decretato una fatwa chiedendo che gli Stati Uniti consentano l'elezione mediante voto popolare dei rappresentanti di un consiglio costituzionale, invece che essere scelti da questo consiglio non rappresentativo.

Dei nove rappresentanti sunniti al consiglio, due sono esuli (Adnan Pachachi e Ghazi al-Yawer, un ingegnere civile che ha vissuto 15 anni in Arabia Saudita), quattro sono curdi, uno è un avvocato di lunga esperienza sui diritti umani, uno è un esperto imprenditore e uno è uno studioso coranico e capo del gruppo iracheno della Confraternita musulmana. Non occorre che i leader tribali sunniti, i capi religiosi popolari o gli ex funzionari del partito Baath con una vera esperienza politica si candidino (ad eccezione degli sciiti, come al-Hashimi).

Al-Hashimi è una delle sole tre donne nel consiglio governativo. Ciò ha deluso i gruppi di donne irachene che avevano chiesto il 30% della rappresentanza nel consiglio. (Le donne in Iraq rappresentano almeno il 55% della popolazione.) Inoltre, le candidata più popolare, la femminista Lina Aboud, è stata scartata all'ultimo minuto dietro l'insistenza del rappresentante fondamentalista dello SCIRI. Soltanto una delle tre donne restanti nel consiglio, Sondul Chapouk, è un'attivista per il diritti delle donne.

Se il consiglio è privo di diversità religiosa, politica e di sesso, ripropone una forma di diversità che in futuro condizionerà negativamente la sua efficacia: l'inclusione di tutti i maggiori esponenti politici che avevano formato il primo Congresso nazionale Iracheno nel 1990, rischiando di replicare i conflitti tra fazioni che hanno demolito la comunità degli esuli iracheni oltre un decennio fa. Ahmed Chalabi, ad esempio, non mantiene neanche più le relazioni con il suo rivale, Ayad Allawi, benché entrambi risiedano nello stesso consiglio. Ed entrambi i maggiori rappresentanti curdi, Massoud Barzani del PDK e Jalal Talabani del PUK, hanno passato il decennio scorso combattendo una guerra civile per il controllo dell'Iraq settentrionale.

Una paralisi si è già insinuata nel consiglio. Le prime azioni sono state largamente simboliche: l'annuncio di una nuova festività, il divieto di alcune festività che celebravano il regime di Hussein e l'annuncio della formazione di un nuovo tribunale per processare gli ex Baathisti sulle violazioni dei diritti umani (senza offrire alcun programma né dettagli sul funzionamento dei tribunali o su chi li gestisca). Due dei principali impegni sono stati accantonati: la scelta di un capo del consiglio e dei ministri per il governo provvisorio. Ovviamente, troppe vecchie rivalità dominano sui procedimenti per poter prendere anche le decisioni fondamentali. Invece di un unico leader, il consiglio ha optato per un incarico a rotazione. Naturalmente, il primo presidente deve essere ancora selezionato.

Tuttavia, il consiglio ha preso una decisione. Paul Bremer ha fatto pressione perché venga selezionata una delegazione presso l'ONU per richiedere il riconoscimento internazionale. Gli Stati Uniti necessitano disperatamente del riconoscimento dell'ONU, in modo che Bremer possa iniziare a firmare gli appalti petroliferi e il Pentagono possa persuadere gli alleati riluttanti ad inviare truppe in Iraq per sostituire gli esausti soldati americani. Il consiglio, affrettandosi a soddisfare le priorità di Bremer, non ha così perso tempo con la popolazione irachena, che ancora aspetta l'elettricità, l'acqua potabile e la sicurezza.

I tre candidati scelti per la missione ONU riflettono chi predomina sui procedimenti del consiglio: l'ex esule Adnan Pachachi (ritenuto il favorito del Pentagono per la presidenza irachena), l'ex esule Ahmed Chalabi (un truffatore condannato che desidera prendere il posto di Saddam Hussein), e l'ex Baathista Akila al-Hashimi, scelto come mediatore tra i due. Persino all'interno di questa delegazione di tre persone, le divisioni interne al consiglio sono state subito evidenti. Chalabi è andato su tutte le furie quando i suoi manipolatori del Pentagono gli hanno riferito che non sarebbe stato lui ad intervenire all'ONU, ma che Pachachi lo avrebbe fatto al suo posto.

Se il buongiorno si vede dal mattino, la strada per la democrazia in Iraq sarà lunga e insidiosa, e il coinvolgimento USA non terminerà entro due, tre o cinque anni. Persino un decennio potrebbe non essere sufficiente a rimettere ordine in questo pasticcio.