La partecipazione quale asse strategico per riprogettare il
paese e i valori della confederalità, dell'autonomia e dell'unità.
La
tesi alternativa alla tesi 9, presentata dal segretario della FIOM, Gianni
Rinaldini. Luglio 2005.
Tesi 9
La partecipazione quale asse strategico per riprogettare il paese e i valori
della confederalità, dell’autonomia, dell’unità.
1. La società italiana ha bisogno di più partecipazione. Occorre,
perciò, invertire il trend di questi ultimi anni contrassegnato da
una progressiva e costante riduzione degli spazi di partecipazione, conseguenza,
anche, dell’avanzare di quell’idea di democrazia plebiscitaria
che ha connotato la politica del centro-destra. Una prova decisiva di questa
tendenza è rappresentata dall’allontanamento, sempre più
marcato, dalla vita politica e sociale di soggetti che ne erano stati protagonisti,
come le donne. Il problema è di assoluta evidenza per il mondo del
lavoro. La scelta perseguita nel corso di questi anni della precarizzazione
e individualizzazione dei rapporti di lavoro, la scomposizione del ciclo lavorativo
e l’offensiva nei riguardi della contrattazione collettiva, sono parte
integrante e determinante di questo processo. Estendere, quindi, gli spazi
di partecipazione per rendere più forte la democrazia, vuole dire anche
abrogare e sostituire l’attuale legislazione sul lavoro.
1.1. Occorre riattualizzare tutti quei canali che hanno consentito anni addietro
una grande e proficua stagione di partecipazione democratica, a livello istituzionale,
politico e sociale. Bisogna intanto colmare il deficit di democrazia e rappresentanza
determinato dall’assenza delle donne, ai vari livelli politici, sociali
e istituzionali del paese. È necessario invertire una tendenza. L’elezione
diretta dei sindaci, dei presidenti di Regioni e Province non determina in
sé una caduta di partecipazione. In tutti i casi occorre battersi contro
ogni insorgere di problemi di questa natura – ridando in particolare
ruolo e funzione alle Assemblee elettive – e sviluppare iniziative che
consentano a ogni cittadino e a ogni cittadina di concorrere da protagonista
ai processi decisionali. Allo stesso modo occorre riaprire canali di partecipazione
effettiva dell’utenza nei grandi sistemi pubblici – sanità,
scuola e politiche sociali, innanzitutto – attraverso le loro associazioni
di rappresentanza. Così come il terzo settore – per il quale
si conferma la necessità, prevista anche nella recente intesa Cgil-Cisl-Uil
e Forum del terzo settore, di garantire ai lavoratori che vi operano diritti
e piena applicazione dei contratti di lavoro – innanzitutto nella sua
componente di volontariato, deve effettivamente rappresentare esso stesso
uno strumento della partecipazione democratica, in particolare alla progettazione
della politica sociale. Ma non vi può essere partecipazione diffusa
se non si realizzano condizioni che ne favoriscano lo sviluppo anche nei partiti.
C’è bisogno che i nuovi partiti, nati negli ultimi quindici anni
e che hanno cambiato radicalmente la fisionomia delle vecchie forme di rappresentanza,
siano luoghi di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine e di promozione
di idee, culture e valori, a partire dalla riaffermazione di una nuova centralità
del lavoro. Anche nel corso di questi anni si è accentuata la distanza
tra la politica e le dinamiche che coinvolgono il lavoro, contribuendo a determinare
la percezione di isolamento delle lavoratrici, dei lavoratori e degli strati
sociali più deboli.
1.2. Più partecipazione deve significare anche più contrattazione
e quindi più sindacato. C’è bisogno di consolidarla, estenderla
e qualificarla. C’è bisogno, in sostanza, anche in questo caso,
di invertire una tendenza di questi ultimi anni, in particolare relativamente
agli orientamenti del governo centrale e di quelli regionali e del sistema
delle autonomie che lo hanno imitato. Occorre, perciò, più contrattazione
territoriale e sociale in grado non solo di meglio tutelare e difendere le
condizioni di vita e di reddito delle lavoratrici e dei lavoratori, delle
pensionate e dei pensionati, ma anche di incidere sugli assetti economici,
sociali, ambientali e di potere di un territorio. È in questo modo
che si completa il già citato quadro di partecipazione e di protagonismo
nell’assetto dei grandi sistemi pubblici. Allo stesso modo c’è
bisogno anche di relazioni sindacali strutturate – entro le quali ricondurre
anche la Legge 146/90 e i suoi interventi correttivi allo stretto ambito dei
servizi essenziali, superando la logica dell’iter di regolamentazione
– e improntate a una effettiva volontà di considerare il sindacato
un elemento essenziale e imprescindibile della dialettica impresa-lavoro.
1.3. Nei luoghi di lavoro la democrazia e la partecipazione rappresentano
l’asse strategico per definire nuovi assetti di potere. Se l’imperativo
oggi è la valorizzazione del lavoro, se rimane di prima grandezza l’obiettivo
di accrescere il potere dei lavoratori nei luoghi della produzione e negli
uffici, se libertà e uguaglianza passano anche dalla conquista del
diritto alla formazione permanente e alla piena accessibilità dei lavoratori
ai processi formativi acquisitivi di nuovi saperi, se la disarticolazione
del mercato del lavoro ci consegna una battaglia per nuovi diritti e tutele,
è vitale, innanzitutto, affermare il valore della democrazia e allargarne
progressivamente gli spazi. Sullo stesso terreno della democrazia sindacale
e cioè del rapporto tra le organizzazioni sindacali i lavoratori e
le lavoratrici l’esperienza di questi anni ci consegna il problema irrisolto.
Le forme e le modalità di approvazione delle piattaforme e degli accordi
a livello confederale e di categoria sono state diverse, consegnandoci la
fotografia di molteplici procedure democratiche a disposizione dei gruppi
dirigenti e dei mutevoli rapporti tra le organizzazioni sindacali. Ciò
è avvenuto anche a fronte dei momenti più alti di espressione
della democrazia sindacale come è stato il referendum sulla riforma
delle pensioni promosso da Cgil, Cisl, Uil nel 1995. Il problema non è
più eludibile. La Cgil ritiene necessario esprimere una propria posizione
su aspetti fondamentali quali il rapporto tra validità erga omnes dei
contratti e sindacato come libera associazione, tra legislazione e democrazia
sindacale come peraltro hanno fatto le altre organizzazione sindacali. Per
la Cgil la validazione delle piattaforme e degli accordi attraverso il voto
referendario di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori rappresenta una
scelta strategica. Per questo la Cgil sostiene la necessità di una
legislazione che affermi l’elezione dei rappresentanti sindacali aziendali
su base proporzionale e la validazione di piattaforme e accordi come un diritto
democratico delle lavoratrici e dei lavoratori. Per la Cgil questo costituisce
a tutti i livelli un vincolo della propria pratica contrattuale. Le regole
legislative oggi vigenti nel pubblico impiego costituiscono da questo punto
di vista un importante riferimento, che va completato con lo strumento del
referendum.
1.4. In questo contesto è necessario definire con le altre organizzazioni
sindacali forme e modalità di un percorso democratico unitario. Ciò
avrebbe un valore unitario evidente e rappresenterebbe un riferimento assolutamente
significativo per l’iniziativa legislativa.
Un percorso democratico che definisca un quadro di regole certe ed esigibili
che consentano la periodicità triennale delle elezioni delle Rsu su
base proporzionale e la certificazione della rappresentatività delle
organizzazioni sindacali.
Un percorso democratico su piattaforme e accordi che valorizzi il ruolo delle
Rsu o di un’assemblea nazionale dei delegati eletti su base proporzionale
contemporaneamente al voto sulla piattaforma, assegnando loro la responsabilità
di seguire la trattativa nelle sue diverse fasi e di esprimere la valutazione
sull’ipotesi conclusiva. Tale percorso deve esser comprensivo della
validazione finale da parte di tutti i lavoratori e lavoratrici con il voto
referendario.
2. Più partecipazione e più politica per il sindacato significa
necessariamente anche più confederalità. La profondità
della crisi e le grandi trasformazioni degli assetti produttivi nel mercato
del lavoro, in generale nell’economia e nella società, rimandano,
infatti, a un nuovo grande problema di riunificazione del mondo del lavoro.
Si riproducono, cioè, condizioni che la Cgil ha già affrontato
nel passato, ponendosi, anche allora, esattamente lo stesso obiettivo –
l’unificazione del mondo del lavoro – che ci prefiggiamo oggi.
Rappresentare e difendere gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori,
delle pensionate e dei pensionati, nelle condizioni attuali, significa perciò
innanzitutto darsi strategie, obiettivi e pratiche rivendicative che ricompongano
in un quadro di unità ciò che il neoliberismo intende frantumare.
E ciò è possibile solo rendendo ancor più forte l’idea
di confederalità che rappresenta la caratteristica principale della
storia e della cultura del sindacalismo italiano.
2.1. Un’idea alta di confederalità si invera dentro una progettualità
che ne definisca con precisione l’identità e la proposta politica.
La scelta di caratterizzarci come sindacato di programma come definita nel
XII Congresso mantiene inalterata la sua attualità; anzi, dalla crisi
del paese essa trae ancor più forza. E, allo stesso modo, il significato
strategico della centralità dei diritti decisa dall’ultimo Congresso,
rappresenta l’orizzonte valoriale entro il quale praticare oggi politiche
per l’unificazione del mondo del lavoro.
2.2. Tale progettualità rappresenta, altresì, condizione per
l’autonomia del sindacato. Le ragioni dell’autonomia affondano
le proprie radici nella storia della Cgil e non solo; così come la
sua difesa, nelle varie fasi storiche, ha poggiato su diverse motivazioni;
è stata garantita dall’impegno personale delle compagne e dei
compagni che ne hanno portato la responsabilità, ma oggi, accanto a
tutto ciò, prevale certamente l’aspetto della progettualità
intesa come idea generale di società e proposta politica concreta per
realizzarla. In questo senso va assunta come vincolo essenziale. E questo,
soprattutto, in presenza dell’evolversi del sistema politico italiano.
Il formarsi di schieramenti politico-programmatici fra loro alternativi rende,
infatti, ancor più indispensabile la definizione di un progetto sindacale
col quale interloquire – pena l’essere esposti, in particolare
agli occhi di chi rappresentiamo, a rischi oggettivi di subalternità
– per verificarne la vicinanza o la distanza dai programmi dei diversi
schieramenti politici. Nessuna indifferenza, di conseguenza, ma autonomia
piena. Progettualità e democrazia sono alla base della scelta dell’autonomia
come indipendenza politica e culturale. Questo comporta in primo luogo il
riconoscimento di un punto di vista del lavoro diverso da quello dell’impresa
e del mercato. Parimenti nel rapporto con il potere politico il sindacato
può avere governi avversari, ove l’esecutivo – come ha
fatto il governo di centro-destra – vari una legislazione che riduca
i diritti del lavoro e pratichi la rottura dell’unità sindacale,
ma non può avere governi amici a cui delegare le proprie funzioni.
Naturalmente la definizione di un tale progetto non riguarda solo la Cgil.
Anzi, in questo senso, la ricerca unitaria di convergenze su obiettivi programmatici
rappresenta un punto essenziale per difendere con più efficacia l’identità
del sindacalismo italiano di soggetto sociale, di natura confederale, pienamente
autonomo.
2.3. La stessa unità sindacale non può prescindere dalla costruzione
di un progetto comune. Lo stesso insopprimibile pluralismo esistente fra le
Confederazioni – e che poggia su ragioni eminentemente sindacali, relative,
tra l’altro, a come storicamente ciascuna ha inteso l’esercizio
della funzione sindacale – se non si misura con questa ricerca comune,
anziché rappresentare – come effettivamente è –
una ricchezza, rischia di costituire un ostacolo insormontabile. Per questo
avanziamo a Cisl e Uil la proposta di lavorare assieme alla definizione di
una Carta programmatica dei valori del sindacato confederale. Valori che,
nel caso dell’assoluto rispetto del pluralismo e della gelosa difesa
dell’autonomia, sono comuni da tempo, anche se declinati in modo diverso
all’interno di ogni organizzazione. La Carta programmatica pare a noi
un modo serio – che non rimuove problemi, difficoltà, rotture
di questi anni, per la cui soluzione o ricomposizione non vi è alternativa
se non nella ricerca convinta di una necessaria, limpida e democratica pratica
di mediazione – per non rassegnarsi a un’idea di divisione.
Gianni Rinaldini
Segretario generale Fiom-Cgil