Ferrovie private e morti pubbliche.
Cronaca di incidenti annunciati. Di Loris Brioschi. Ottobre 1999.


Il recente e disastroso incidente ferroviario di Londra, (centotrenta tra morti accertati e cadaveri "cremati" che non si troveranno mai più), ha destato enorme impressione in Gran Bretagna e nell'Europa intera scuotendo anche la coscienza dei pennivendoli borghesi. Le ragioni, quelle vere, vanno ricercate lontano.

Bisogna, per capire quanto è successo, fare riferimento alle trasformazioni avvenute nel trasporto ferroviario inglese durante il passato governo Thatcher.
La lady di ferro, in piena coerenza con i dettami del neo-liberismo secondo cui solo se esistono più soggetti ad offrire lo stesso prodotto, cioè solo in regime di libera concorrenza, si possono combinare qualità e basso prezzo, diede il via alla privatizzazione delle Ferrovie inglesi secondo un modello molto simile a quello ora fatto proprio anche dalle Ferrovie italiane. Abbattimento dei costi e miglioramento della qualità del servizio dovevano essere il risultato finale di tanta furia privatizzatrice; è accaduto il contrario, anzi - come è noto - il servizio oggi fornito in Gran Bretagna è uno dei più bassi in qualità e sicurezza e i prezzi sono fra i più alti d'Europa. Un percorso di circa 80 chilometri costa qualcosa di più di quanto costa in Italia un percorso di trecento chilometri e la sicurezza ha raggiunto livelli bassissimi come dimostrano gli innumerevoli altri incidenti accaduti in questi anni e i relativi altri morti. Dire, quindi, che la soluzione liberista sia l'unica in grado di offrire il miglior servizio al minor costo è assolutamente falso mentre sicuramente è vero che essa è lo strumento migliore per incrementare i profitti dei privati scaricando le perdite sulla collettività.
Infatti, lo stato inglese con questa scelta, non ha certo risparmiato, poichè già nel primo anno di presenza dei privati il costo delle sovvenzioni è passato da 1000 a 2100 milioni di sterline, per non parlare delle emissioni di azioni per la Railtrack (la società che gestisce i binari) vendute ad un valore dimezzato rispetto a quello dei beni: una perdita secca per lo stato ed i contribuenti. Società che poi incassa i soldi dall'affitto delle linee ad altre compagnie private, che a loro volta sono di sovvenzioni pubbliche. Con questo denaro il governo inglese avrebbe potuto investire nella sicurezza degli impianti e rilanciare le ferrovie. Oggi, dopo che il governo conservatore Major con la privatizzazione della British Rail si è liberato dei costi delle ferrovie facendo fare ai privati immensi utili, il governo laburista Blair annuncia che investirà altri 1000 milioni di sterline pubbliche per gli impianti automatici di sicurezza. Non comprendendo che i problemi di sicurezza non potranno mai essere risolti con il sistema liberista, il cui unico scopo è quello di incrementare i profitti a qualsiasi costo.

Le ferrovie italiane si fanno in quattro, ma per chi?

Il lento processo della privatizzazione delle ferrovie risale ai primi anni '80, quando si assistette al famoso referendum interno da cui, come risultato, si ebbe lo sganciamento dal pubblico impiego. Si diceva che con la privatizzazione le FS sarebbero state risanate dal deficit cronico da cui erano afflitte, che il servizio avrebbe guadagnato efficienza e, finanche, che i ferrovieri avrebbero guadagnato di più.
Tutti ricorderanno i risultati della prima gestione Ligato, poi, di quella Schimberni e infine di quella Necci. Accomunate da colossali rapine del denaro pubblico e dalla fuoriuscita dal ciclo produttivo di circa centomila ferrovieri hanno portato le ferrovie letteralmente al collasso. Centinaia e centinaia di chilometri di linee abbandonate, stazioni chiuse, il traffico merci crollato e il deficit alle stelle. Ce n'era abbastanza perché l'equazione privato-efficienza facesse sorgere qualche dubbio e invece ecco una nuova riforma che spinge la privatizzazione fino alle più estreme conseguenze, ovviamente anche questa volta a sentire gli autori essa è fatta nell'interesse della collettività e degli stessi ferrovieri.
Con l'entrata in Europa e con vari dispositivi legislativi (vedi la direttiva 440, prevedeva solo la separazione contabile fra i diversi settori dell'azienda) il traguardo del risanamento è stato collocato all'interno della logica dello "spacchettamento" dell'azienda; le Ferrovie - come dice lo slogan pubblicitario - cioè, si fanno in quattro. Il processo produttivo viene, infatti, scisso per vettori affini tipicizzando i contratti in relazione alle caratteristiche del servizio offerto.

Il nuovo piano di ristrutturazione "Demattè - Cimoli"

La gestione Demattè-Cimoli, in ottemperanza alla direttiva del governo D'Alema, ha varato un piano d'impresa in cui i programmi operativi e le linee concrete di intervento sono articolati in sei capitoli:
1) Investimenti per l'ampliamento e l'ammodernamento dell'infrastruttura, l'automazione della circolazione e l'ammodernamento del materiale rotabile come base per l'incremento della capacità produttiva, la riduzione dei tempi di percorrenza, il rafforzamento dell'integrazione con altre modalità di trasporto, la valorizzazione delle valenze positive delle ferrovie rispetto all'inquinamento ambientale, alla densità di traffico, sicurezza per un deciso innalzamento della qualità del servizio. Gli investimenti previsti sono pari a 90 mila miliardi di cui 55 mila nell'arco di durata del piano;
2) Incremento dei ricavi da traffico grazie a una maggior concentrazione dell'offerta, e una politica di marketing resa possibile anche dalla liberalizzazione delle tariffe. E' previsto un aumento complessivo dei ricavi di quasi il 30%, pari a 1.325 miliardi (risultato a valle di una modifica cautelativa approvata dal C.d.A. vista la situazione economica generale e la revisione al ribasso del futuro andamento del Pil);
3) Valorizzazione/dismissione del patrimonio non strumentale e non strategico. Sono previste entrate per 2.900 miliardi nel periodo 2000-2003;
4) Contenimento dei costi operativi di esercizio, con un "efficientamento" di oltre 400 miliardi che si dovrebbe raggiungere senza penalizzare il necessario incremento della qualità;
5) Adeguamento dei contributi pubblici (comunque dovuti dal "Cliente Stato"' a FS) per oltre 400 miliardi, nel 2003, rispetto al 1998;
6) Allineamento del costo ai parametri degli operatori di riferimento europei, che hanno oggi costi più bassi del 34/43%.
A questo proposito, si sottolinea che il Tavolo Tecnico, Ministero del Tesoro/ Ministero dei Trasporti/Ferrovie dello Stato, ha già validato che il Piano deve consentire un recupero di produttività di circa il 27%. mentre ha stabilito che si deve raggiungere una riduzione del costo per dipendente da un minimo del 15% fino al 32%.
Il ricorso a "esuberi" non gestibili attraverso il normale turnover, gli esodi volontari e l'utilizzo del Fondo appositamente costituito, potrà essere limitato se le parti individueranno strumenti innovativi per il contenimento del costo complessivo del lavoro.
Dall'analisi dei punti esposti dal documento C.d.A. si intuisce che tutto il piano mira all'abbattimento del costo del lavoro (vedi la tabella sotto) anche se finora nonostante la forte riduzione del personale addetto all'esercizio l'obbiettivo non è mai stato raggiunto.

 

Divisione

N°dipendenti

al 1999

N°dipendenti

al 2003

Differenza dipendenti

1999-2003

Costo Lavoro Unitario

1999

 Costo Lavoro Unitario

2003

 Differenza

CLU

PAX  17.790  13.620  -4.710  79.482.855  71.071.953  -8.410.902
CARGO  16.850  13.270  -3.580  81.502.373  69.856.819  -11.745.554
TMR  23.594  19.453  -4.141  81.800.457  73.818.948  -7.981.509
Gruppo Trspo  58.234  46.343  .11.891  81.035.134  71.877.090  -9.158.044

 

La riduzione del costo medio unitario è ipotizzato attraverso la riduzione di salari (ipotesi extra costo).
Da questi numeri sono esclusi il personale Holding, Unità Tecnologia e Materiale Rotabile, Unità Servizi Amministrativi e tutta la galassia di società del gruppo come Metropolis, Italfer, ecc. (55) che sono nella stessa misura interessate al problema

Prima che iniziasse il processo di privatizzazione i ferrovieri erano in tutto 220.000 di cui 8.000 quadri e 870 dirigenti; oggi, sono 116.000 di cui 15.400 quadri e 980 dirigenti ovvero a fronte della diminuzione dei lavoratori addetti al ciclo produttivo si è avuto un tale incremento del numero dei dirigenti da annullare gli effetti della riduzione del costo del lavoro fino a determinare un sostanziale incremento dei costi e che ora si vogliono scaricare di nuovo solo su chi realmente lavora e produce.
Infatti, con la "divisionalizzazione" per ogni specializzazione di servizio, T.L. (trasporto locale) PAX (treni lunga percorrenza) A.T. (alta velocità), viene definita una specifica organizzazione di gestione, di normativa di lavoro e di contrattazione. Si ottiene così la diversificazione dei contratti di lavoro e un obbiettivo indebolimento dell'intera categoria. I ferrovieri, pur continuando a fare lo stesso lavoro avranno contratti diversi a seconda che appartengono all'una o all'altra delle società che gestiranno il servizio per cui la loro capacità rivendicativa risulterà fortemente indebolita. Inoltre poiché gli esuberi che si dovessero determinare in una società a causa di eventuali cali di produzione e della maggiore flessibilità del lavoro, non possono trasmigrare in un'altra società, le società che dovessero registrare carenze di organico le potranno colmare mediante l'assunzione con i contratti di formazione-lavoro (costo minore, soggetti fortemente ricattabili per la loro precarietà sul lavoro, soggetti a nuovi contratti) e quindi di fatto favorendo la riduzione dei salari che è ritenuto il presupposto per favorire l'ingresso dei privati nel settore.

Con lo "smembramento" infatti i privati potranno gestire società con un basso costo del lavoro e senza l'obbligo di dovere effettuare quegli investimenti necessari per colmare decenni di sviluppo solo autostradale e che rimarranno a carico dello Stato mentre i capitali privati potranno focalizzare il loro impegno solo nei settori competitivi e profittevoli a cominciare dalla spartizione dell'immenso patrimonio immobiliare che le FS stanno loro letteralmente svendendo.
Inoltre, poiché la Legge Bassanini demanda il finanziamento del Trasporto Locale alle Regioni, saranno queste a scegliere fra i vari vettori quelli più convenienti per cui è facile immaginare lo scontro che si avrà tra i singoli vettori per abbattere il costo Km/servizio, per l'acquisizione di queste quote di traffico e come questo abbattimento inciderà sul costo del lavoro e sulla riduzione dei costi strutturali necessari per garantire qualità e sicurezza del servizio.
Siamo con tutta evidenza, dunque, in presenza dell'ennesimo progetto che pur di assicurare al capitale nuovi ambiti in cui realizzare lauti profitti non esita a distruggere un servizio pubblico essenziale e a scaricarne gli oneri sui lavoratori sia ferrovieri che utenti.

I costi del capitalismo

Le morti atroci di Londra, sono il costo da pagare per i profitti della Great Western Train. E' infatti per incrementare tali profitti che le norme di sicurezza sono un "optional" e che nella scala dei valori capitalistici i guadagni sono in cima e la vita dei pendolari viaggiatori molto distante da essa. Non è la sola a idolatrare il dio denaro sempre più onnipotente nelle società felice del "mercato globalizzato". Se vi viene qualche dubbio date un'occhiata alla lista delle morti per lavoro, soprattutto in Italia. La logica del massimo profitto non può che portare a questo. Ma lo stesso avviene nelle compagnie aeree, portate a farsi concorrenza stracciando i prezzi ma anche i controlli di sicurezza, e cosa dire di quello che avviene nella sanità privatizzata con le sue camere iperbariche?
Fino a quando accetteremo tutto questo ?