Pensioni, pensioni integrative e TFR.
Un nuovo grimaldello per scardinare pensioni, occupazione e salario. In maniera didattica nell'articolo si spiega senza dare nulla per scontato le caratteristiche dell'attuale attacco alle pensioni che punta sull'uso del TFR per lanciare le pensioni integrative. Di Duilio Felletti. Novembre 1999.


Il salario che i lavoratori ricevono in busta baga in cambio della vendita della propria forza lavoro è solo una parte del salario complessivo che percepiscono: un'altra parte è corrisposta sotto forma di servizi (salario indiretto) e un'altra è posticipata nel tempo (salario differito).
La pensione e il Tfr sono salario differito; cioè retribuzione per lavoro prestato corrisposta in un secondo momento.
La pensione è un salario che viene corrisposto al lavoratore per il resto della vita dopo la fine dell'attività produttiva, mentre il Tfr (trattamento di fine rapporto) è salario che viene dato una volta sola alla fine di un rapporto di lavoro.
Sia la pensione che il Tfr sono costruiti nel tempo con accantonamenti ottenuti non retribuendo direttamente una parte del lavoro prestato dal lavoratore.
Per costituire il fondo per la pensione il padrone versa all'INPS il 27% della retribuzione e il lavoratore il 3%; i padroni si lamentano molto spesso del 27% che devono versare, come se lo dovessero sborsare di tasca propria e non si trattasse invece di soldi ottenuti dallo sfruttamento dei lavoratori!
Il Tfr è ottenuto accantonando ogni anno una cifra corrispondente all'incirca ad una mensilità; cosicché se un lavoratore si licenzia ad esempio dopo 18 anni di lavoro in una stessa azienda avrà un Tfr pari a 18 mensilità circa.
Durante questi 18 anni questa somma di denaro resta nelle tasche del padrone che la può utilizzare per gli scopi che riterrà più opportuni nell'interesse dell'azienda. Solo per questioni di estrema urgenza il lavoratore può chiedere anticipi del Tfr , comunque nei limiti posti da una legge e con grande discrezionalità della Direzione che sovente usa di queste elargizioni (che sono soldi dei lavoratori) per ricattare o premiare chi crede opportuno.
In quali altri modi il Tfr potrebbe essere corrisposto? A questo proposito ogni lavoratore ha una sua idea ed è quindi molto difficile mettere in atto una nuova normativa che possa accontentare tutti, per cui fino ad ora ogni piccolo cambiamento è stato introdotto con grande cautela, anche perché non si vuole soprattutto scontentare i padroni che vorrebbero tenere nelle proprie tasche per il maggior tempo possibile questa massa salariale che ammonta complessivamente a decine di migliaia di miliardi.
Ma veniamo dopo questa introduzione (necessaria) alle questioni che hanno posto il Tfr sulle pagine dei giornali in questi ultimi mesi.
Nelle fasi economiche in cui i padroni di un certo stato perdono competitività e vedono minacciati i profitti, pongono con forza la questione dell'insostenibilità del costo del lavoro, e di conseguenza chiedono che il governo e i sindacati, nel nome degli interessi generali della nazione, si facciano promotori di provvedimenti e accordi che consentano una riduzione della massa salariale che devono corrispondere ai lavoratori: è la concertazione.
Non chiedono cioè solo la riduzione del salario diretto, ma anche di quello indiretto e di quello differito.
Non pongono cioè solo la questione di una riduzione delle buste paga, ma anche una riduzione della spesa che lo stato sostiene per i servizi sociali con conseguente peggioramento degli stessi, come pure delle riduzioni delle pensioni e del Tfr.
Sui salari e sui servizi sociali sono state già definite le linee dei prossimi anni, grazie all'abolizione della scala mobile, l'ingabbiamento delle politiche contrattuali, l'introduzione delle gabbie salariali e dei salari di ingresso, l'introduzione dei tickets sanitari, l'aumento delle rette di asili e refezioni delle scuole, le privatizzazioni , ecc.
Lo scoglio che è rimasto da affrontare è quello delle pensioni che secondo quanto sostengono i padroni nostrani sono insostenibili e incoerenti con un livello accettabile e auspicabile di crescita economica.
Il fatto che per ogni 100 lire date ai lavoratori il padrone ne debba versare 27 nelle casse dell'INPS è diventato un fatto, a suo dire, al di fuori di ogni logica ragione.
In buona sostanza quello che i padroni vorrebbero è: una drastica riduzione degli oneri sociali che devono sostenere (il contributo per le pensioni) e che, poiché l'INPS avrebbe in questo modo meno soldi per pagare le pensioni, si costringano i lavoratori a lavorare per più anni (innalzamento dell'età pensionabile) per ridurre il numero di anni di godimento della pensione.
Questo provvedimento sarebbe molto urgente per lor signori anche perché la situazione è aggravata dal fatto che i lavoratori si sarebbero messi in testa di morire in età più avanzata.
A onor del vero le pensioni sono già state sottoposte a pesanti cure dimagranti, ma evidentemente non sono state sufficienti per mettere le imprese italiane sullo stesso livello di competitività delle altre europee e mondiali.
Ciò che i nostri padroni sognano è un sistema pensionistico che a loro non costi niente, e che, in aggiunta alla pensione pubblica i lavoratori si finanzino un sistema integrativo con versamenti su fondi che dovrebbero essere gestiti dai padroni stessi, o da compagnie di assicurazioni da essi controllate (quelli che loro chiamano "fondi aperti", contrapposti ai cosiddetti "fondi chiusi" gestiti dai sindacati).
Il problema però è che la stragrande maggioranza dei lavoratori non può pagare più di quanto già paga visto che i salari sono a un livello appena sopra alla fascia di povertà; infatti, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la preoccupazione di non impoverire troppo i lavoratori è molto forte tra i borghesi perché questi sanno che se i lavoratori restano senza soldi da spendere, essi ridurranno i consumi, e le merci prodotte nelle fabbriche resteranno invendute, e allora addio profitti.
Le pensioni integrative devono essere quindi finanziate con soldi che i lavoratori non possiedono direttamente ma che hanno a disposizione: il salario differito, cioè il Tfr.
Nell'idea di Governo, padroni e sindacati, il Tfr si propone come una massa di denaro che potrebbe benissimo essere utilizzata per finanziare le pensioni integrative senza ridurre il potere d'acquisto dei salari diretti, creando gli spazi e le condizioni per andare poi nel 2001 a un pesante taglio del sistema pensionistico obbligatorio consentendo così ai padroni di risparmiare importanti quote di denaro che altrimenti dovrebbero versare agli istituti previdenziali.
Il problema che oggi i sindacati e il governo hanno di fronte è duplice: a) fare in modo che il progetto della pensione integrativa coinvolga la stragrande maggioranza dei lavoratori per arrivare al 2001 a una riforma delle pensioni che non riduca drasticamente l'importo complessivo (INPS + integrativa) delle pensioni dei futuri pensionati, b) mantenere nello stesso tempo il consenso dei propri votanti e iscritti.
Il Governo, che sta spingendo vigorosamente per un anticipo della riforma delle pensioni, vorrebbe addirittura rendere obbligatorio il versamento del Tfr sui fondi pensione, o in alternativa la corresponsione sulle buste paga del Tfr con il conseguente aumento del carico fiscale per i lavoratori; mentre i sindacati che fino a ieri hanno stipulato contratti di lavoro che hanno favorito la formazione di fondi per la pensione integrativa ora si trovano nella necessità di dare un'accelerata a questo processo e al loro interno si stanno producendo delle divisioni sul come favorire questo massiccio trasferimento di risorse sui fondi pensione.
La CGIL è favorevole a un provvedimento legislativo che renda automatico il versamento del Tfr che deve ancora maturare sui fondi pensione (a meno di un esplicito rifiuto del lavoratore) mentre la CISL preferirebbe una soluzione contrattata tra le parti sociali escludendo un ruolo del Governo, verso cui porta avanti una linea di opposizione. La CISL vede nella gestione dei fondi pensione un ambito in cui sperimentare un nuovo modo di concepire le relazioni sindacali: una forma di cogestione.
Da parte sua la Confindustria storce il naso all'idea di non potere più avere a disposizione questa ingente massa di denaro che nei fatti ha consentito ai padroni di finanziare le aziende; e in particolare scalpitano i padroni della piccola e media industria che di quei soldi fanno un larghissimo uso e che notoriamente non godono degli aiuti di cui invece usufruisce il grande capitale.
Pertanto i padroni sono dell'idea che il Tfr debba restare così com'è adesso, e che solo in forma volontaria i lavoratori possano utilizzarlo per versarlo sui fondi pensione; nel qual caso i padroni che hanno subito il "danno" dovrebbero essere risarciti dal governo con sgravi fiscali.
I lavoratori dovrebbero essere indirettamente costretti a fare questa operazione di autofinanziamento della pensione integrativa, non da una legge, ma da un pesante ridimensionamento della pensione pubblica che la Confindustria chiede si faccia in tempi ristrettissimi e non certo nel 2001.
E' difficile prevedere come concretamente evolverà tutta la vicenda; si può però affermare con sufficiente certezza che i fondi integrativi si faranno e che il Tfr sarà la principale fonte di finanziamento.
Tutta questa bagarre sarà servita ancora una volta per costringere i lavoratori a digerire un nuovo salasso alle pensioni di vecchiaia e di anzianità in nome della difesa della competitività del sistema produttivo nazionale. Ancora una volta si cerca di fare leva sul concetto che se il nostro padrone va bene anche noi ne avremo dei benefici e che pertanto abbiamo tutto l'interesse a sostenerne gli interessi.
Le cose che i lavoratori toccheranno con mano saranno, da un lato, un aumento della disoccupazione e una precarizzazione del rapporto di lavoro dovute ai processi di modernizzazione degli impianti e dei macchinari (ristrutturazioni) finanziati coi risparmi che i padroni hanno fatto riducendo i salari, e sul fronte delle pensioni, l'acuirsi della diseguaglianza tra chi avrà potuto crearsi un fondo integrativo (perché occupato) e chi invece dovrà accontentarsi della inevitabilmente ancora più miserabile pensione pubblica.
A questo punto si apriranno le strade per ulteriori colpi di ascia sulle pensioni senza suscitare reazioni da parte dei lavoratori che invece saranno occupati a verificare sul mercato finanziario l'andamento delle azioni della compagnia di assicurazione che gestisce i fondi della propria pensione integrativa.

Veramente una bella prospettiva!