L'Europa
della Moneta Unica è contro i lavoratori.
Le
gabbie salariali, i contratti d'area, i salari legati alla produttività:
nuove vecchie idee per legare gli interessi dei lavoratori al carro dei loro
padroni. Di Duilio Felletti. Ottobre 2000.
Alla
fine del 2001 in Europa circolerà la moneta unica. Da tutti (politici,
economisti, ecc..) questa viene considerata una data molto importante perché
su questa base verrà sancita definitivamente l'unità del vecchio
continente. Tuttavia sono ancora molti i nodi che devono essere risolti affinché
questa unificazione corrisponda a qualcosa di reale, tant'è che, vista
la situazione generale, sono sempre più le voci secondo cui questa
scadenza potrebbe essere posticipata. Il grosso problema sta nel fatto che
le economie dei vari paesi di Eurolandia non sarebbero per quella data ancora
sufficientemente omogenee. Evidentemente i parametri di Maastrich, che hanno
posto dei vincoli alla spesa pubblica degli stati membri vincolandola alla
ricchezza prodotta, da soli non hanno consentito questa omogeneizzazione,
come pure non è stato sufficiente aver dato vita alla BCE (Banca Centrale
Europea). Economie
omogenee e moneta unica Valore
delle merci Affinché
anche queste vengano vendute, come si fa? Si riduce la paga dei lavoratori
o si fa in modo che questi producano maggiori quantità nella giornata
lavorativa, (visto che è impensabile che lor Signori riducano i loro
santi profitti). In altre parole si agisce sui livelli di sfruttamento dei
lavoratori. Economie
omogenee, sfruttamento omogeneo Contratti
di area, gabbie salariali Riduzione
dei salari in base alla produttività dell'azienda
Ma cosa significa concretamente che "le economie devono essere omogenee"?
E cosa comporta per i lavoratori questo processo di omogeneizzazione delle
economie nazionali che si vorrebbe realizzare?
In Italia esistono nei fatti tre stati: Italia, S.Marino e la Città
del Vaticano. In questi tre stati esiste già la moneta unica, quindi
dobbiamo dedurre che le economie in questi tre stati sono omogenee, e lo sono
al punto tale che se non circolasse in "Liralandia" una lira unica
è facile immaginare che avremmo dei problemi in più.
Ma cosa ha consentito che alla fine si sia trovato conveniente avere una moneta
con lo stesso valore su tutta la penisola?
Se riusciamo a capire questa cosa sarà più semplice comprendere
quali sono i problemi che l'Europa deve risolvere per poter stampare la stessa
moneta.
Se oggi noi possiamo andare a San Marino, comprare un chilo di pane e pagarlo
come in Italia è perché questa merce ha grosso modo lo stesso
valore, pertanto è logico che a parità di valore della merce
ci sia anche parità di valore della moneta: la moneta unica quindi
si può avere quando una stessa merce prodotta in un'area geografica
diversa mantiene lo stesso valore di scambio.
Possiamo a questo punto dire che due o più sistemi economici sono
omogenei quando le merci che in essi vengono prodotte hanno sul mercato lo
stesso valore. Da ciò deriva quindi che solo agendo sui meccanismi
che determinano il valore delle merci è possibile omogeneizzare i sistemi
economici e giungere di conseguenza a coniare la stessa moneta su tutto il
territorio. Se le cose stanno in questo modo è necessario capire che
cosa determina il valore delle merci: si deve vedere cioè qual' è
quell'elemento contenuto in una determinata merce che fa sì che questa
acquisti valore.
Sicuramente il valore delle materie prime che si usano (un oggetto d'oro vale
di più di uno d'argento), ma a parità di materie prime vale
di più una merce prodotta artigianalmente (a bassa produttività)
che la stessa prodotta industrialmente (ad alta produttività). Questo
per un motivo molto semplice: perché è stato necessario più
tempo per produrla, o, in altre parole, perché in essa è contenuta
una maggiore quantità di lavoro.
A determinare quindi il valore della merce è in ultima analisi la quantità
di lavoro contenuta in essa.
Il problema sorge quando si tratta di fissare i prezzi sul mercato di questi
due tipi di merci: ovviamente la merce con un maggior valore (perché
contenente più lavoro) dovrebbe avere un prezzo più alto di
quella prodotta in impianti veloci e con scarsa mano d'opera. Il risultato
che ne deriverebbe è che quella che costa meno viene venduta e quella
che costa di più resta nei negozi o non esce proprio dalle fabbriche.
Tornando alla nostra domanda iniziale, per fare in modo che le varie economie
nazionali diventino omogenee è indispensabile dunque che le merci prodotte
abbiano lo stesso valore sul mercato, il che in altre parole significa che
i lavoratori devono subire un livello di sfruttamento omogeneo: è cioè
inaccettabile che in determinate aree si verifichi che dei lavoratori non
vengano adeguatamente sfruttati.
Il caso della Germania è eloquente: dopo l'unificazione il Governo
si è trovato a dover fare in modo che il marco avesse lo stesso valore
su tutto il territorio nazionale, poiché accadeva che le merci prodotte
nella ex DDR, oltre ad avere un basso contenuto tecnologico erano prodotte
con un basso livello di produttività, sia a causa degli impianti industriali
arretrati, sia per la mentalità dei lavoratori poco avvezza alla logica
dell'efficientismo capitalista. È stato necessario per il governo favorire
ingenti investimenti in quella parte di territorio, per riportare la struttura
industriale a livelli di produttività ed efficienza paragonabili a
quelli della Germania ovest. Proprio per fare in modo che il marco avesse
lo stesso valore, cioè che con una stessa quantità di moneta
fosse possibile comperare la stessa quantità di merci.
Lo sfruttamento dei lavoratori non si misura però esclusivamente con
il rapporto tra la quantità di merce prodotta e la quantità
di lavoro che è servita a produrla. Esso si misura anche con la quantità
di salario che il lavoratore riceve in rapporto a quanto produce. Ad esempio
è chiaro che se due lavoratori producono lo stesso quantitativo però
uno è pagato meno, questi è più sfruttato; o viceversa
se due lavoratori sono pagati nella stessa misura però uno produce
di meno quel lavoratore è meno sfruttato.
Per fare in modo quindi che due modelli economici siano omogenei, abbiamo
detto, è necessario che i lavoratori vengano sfruttati nella stessa
misura e questo può comportare anche salari differenziati: pagando
di meno i lavoratori che prestano la loro opera in impianti arretrati o in
condizioni che non consentono altri livelli di produttività, e pagando
di più lavoratori che invece operano in strutture con alti livelli
produttivi.
Ma per realizzare su tutto il territorio europeo nel quale circolerà
l'Euro questa gigantesca operazione di omogeneizzazione del livello di sfruttamento
della forza lavoro è importante che da qui alla fine del 2001 ogni
Governo nazionale agisca in due direzioni. Da una parte devono fare in modo
che le garanzie sociali dei lavoratori, che si traducono in costi per i padroni,
siano le stesse che hanno i lavoratori degli altri paesi. Questo significa
ad esempio che le pensioni devono essere calibrate ai livelli più bassi
esistenti: non sarà accettabile che un lavoratore italiano possa andare
in pensione dopo 35 anni di lavoro e un lavoratore tedesco o francese debba
andarci dopo 40 anni, o che un lavoratore italiano non possa essere licenziato
e uno olandese invece sì.
Dall'altra parte devono agire in casa propria facendo in modo che gli squilibri
dello sfruttamento interno vengano risolti. A questo proposito la questione
che si pone in Italia è quella del sud: quest'area, come sappiamo tutti
è fortemente arretrata e ha livelli di disoccupazione 4 volte superiori
a quelli del nord. Per anni i governi che si sono succeduti hanno cercato
di portare avanti politiche di industrializzazione per far decollare lo sviluppo,
ma poi nei fatti i giganteschi investimenti fatti hanno avuto esclusivamente
una funzione di alimentazione delle clientele che dovevano servire a dare
stabilità agli assetti governativi.
Negli ultimi 5 o 6 anni è la borghesia a condurre una vera e propria
campagna finalizzata a rilanciare il sud. Quest'area viene considerata ideale,
viste le condizioni in cui si trova, per sperimentare rapporti di lavoro simili
a quelli che negli altri stati europei si sono instaurati da anni. In questa
area i padroni cercano di ottenere livelli di flessibilità del lavoro
molto elevati, salari più bassi, sgravi fiscali e fiscalizzazioni degli
oneri sociali. L'argomento molto convincente che usano è che per questi
lavoratori sono pur sempre meglio queste condizioni precarie della disoccupazione.
Sono stati così convincenti da aver fatto breccia anche tra le
fila dei sindacati confederali tanto da riuscire, nell'ambito della cosiddetta
concertazione, a ottenere accordi che consentono ai padroni di ottenere le
cose dette sopra: flessibilità, salari bassi, fiscalizzazioni, il tutto
sotto la denominazione di "contratti di area". Qualcosa di simile
era già stato fatto negli anni '50 con l'introduzione delle cosiddette
gabbie salariali con le quali era consentito pagare con salari ridotti i lavoratori
del sud. Le lotte dei lavoratori hanno poi posto fine a questo odioso provvedimento.
Anche contro i contratti di area, fortemente sostenuti anche dai sindacati
confederali, si stanno sviluppando delle resistenze da parte dei lavoratori,
tant'è che i padroni lamentano la lentezza nell'introduzione di questi
istituti e ormai si stanno indirizzando su una linea diversa: quella della
diversificazione salariale in rapporto alla produttività della singola
fabbrica. Nella pratica, se la produttività è bassa il salario
deve essere basso, e se la produttività è alta il salario deve
essere più alto, anche più di quanto prevede il contratto nazionale
di lavoro.
A partire da questo ragionamento, fortemente sostenuto da pseudo-economisti
che dalle colonne del Sole24ore tutti i giorni conducono una campagna martellante,
si fa derivare l'affermazione secondo cui i contratti nazionali di lavoro
sarebbero dei ferri vecchi di cui liberarsi al più presto, e che invece
debbano essere stipulati esclusivamente i contratti aziendali con aumenti
e decrementi salariali strettamente legati ai livelli di produttività
raggiunti. E questo varrebbe sia per il sud che per il nord (ecco l'omogeneizzazione).
La logica antioperaia insita in questa linea è evidente.
Nelle fabbriche sta passando di tutto, anche i contratti di formazione lavoro
sono ormai considerati sorpassati, e a farla da padrone sono ora i lavori
in affitto: condizioni di lavoro disastrose accettate in cambio della speranza
di riconferma. Le RSU vivono difficoltà crescenti nell'organizzare
una seppur minima resistenza allo strapotere padronale, mentre gli infortuni
e le morti sul lavoro sono in crescente aumento. I sindacati non sembrano
in grado di contrastare queste politiche, sono lacerati da divisioni interne;
mentre il movimento dei lavoratori viene trascinato in questa spirale perversa
di peggioramento-omogeneizzazione dello sfruttamento che ci dovrebbe portare
in Europa.
Nelle maggiori potenze capitalistiche i padroni sfruttano questo momento a
loro favorevole (con la piena collusione dei governi socialdemocratici) organizzandosi
con fusioni e accorpamenti di cui si legge tutti i giorni sui loro giornali.
Si preparano così a meglio sostenere la concorrenza, che assumerà
livelli più aspri, e a far fronte alle possibili ribellioni da parte
dei lavoratori con un maggiore livello di sindacalizzazione.
Dobbiamo attrezzarci allora per dare battaglia. Occorrerebbe rispondere da
una parte con una maggiore radicalizzazione della lotta per la difesa degli
interessi di classe dei lavoratori, e dall'altra con un maggior collegamento
internazionale tra lavoratori delle diverse nazionalità.