Il
lavoro interinale.
Una
ampia analisi di questo potente strumento di divisione della classe lavoratrice.
Di Duilio Felletti. Dicembre 2000.
Il
meccanismo del lavoro interinale è molto semplice: un'azienda pubblica
o privata che ha bisogno di un operaio o di un professionista e non intende
assumerlo può rivolgersi ad un'agenzia interinale che glielo affitterà
per il periodo richiesto. Concludendo
possiamo dire che il lavoro interinale costituisce una forma ancora più
odiosa di sfruttamento rispetto a quelle già esistenti, poiché
va a colpire principalmente settori di lavoratori che vivono sulla propria
pelle altre oppressioni: i giovani, le donne e una quantità considerevole
di extracomunitari, e che oggi non trovano nei sindacati ambiti di organizzazione
per tentare una difesa in forma collettiva dei propri diritti.
In Italia il ricorso a questo tipo di lavoro è in continuo aumento.
Nei primi 6 mesi del 2000 i lavoratori che sono stati impiegati con lavoro
interinale sono in numero pari a quelli impiegati in tutto il 1999. Dall'1
gennaio al 30 giugno sono iniziati 228mila rapporti di lavoro (contro i 260mila
di tutto il '99), e il fatturato complessivo ha sfiorato i 1500 miliardi di
lire.
Il comparto dell'interinale si sta sempre più strutturando e conta
oggi su più di 50 società di cui 5 multinazionali, con 1100
agenzie operative sul territorio nazionale e impiega nel complesso oltre 3500
addetti assunti a tempo indeterminato.
Nel primo semestre dell'anno sono 40mila le imprese che hanno fatto uso di
lavoratori interinali e nel 70% dei casi lo hanno fatto, a loro dire, per
affrontare picchi di lavoro non programmabili.
Il lavoratore temporaneo tipo è maschio (62% dei casi), con un'istruzione
di scuola media superiore (49%) e lavora prevalentemente nell'industria metalmeccanica
(40%).
Stanno però aumentando i lavoratori con basso livello di istruzione
che oggi costituiscono il 7% del totale; ciò è dovuto alla modifica
della legge, avvenuta con la Finanziaria del 1999 (governo D'Alema), che ha
permesso l'estensione del lavoro in affitto ai profili professionali più
bassi.
Per inciso è opportuno ricordare che la legge che ha introdotto il
lavoro interinale è stata approvata all'epoca del governo Prodi (il
cosiddetto "pacchetto Treu") ed è passata grazie anche all'appoggio
o, come si dice oggi, alla non belligeranza del PRC.
L'età media del lavoratore interinale è di 27 anni ma il maggior
numero di avviamenti riguarda i più giovani: nel 34% dei casi infatti
non superano i 25 anni.
Nell'89% dei casi i rapporti di lavoro durano meno di 6 mesi, raramente (1,9%)
si supera l'anno.
In Italia secondo i dati dell'Assointerim i lavoratori interinali percepiscono
mediamente uno stipendio netto di 1.500.000 lire, ma l'azienda che utilizza
il lavoratore ne versa 4.000.000 all'agenzia interinale che dovrà provvedere
a pagare tutti i contributi e i carichi fiscali. In tale cifra sono compresi
mediamente 400.000 lire che l'agenzia trattiene per sé.
Il lavoratore interinale quindi, pur percependo uno stipendio più basso,
ha un costo più elevato rispetto un lavoratore fisso che è calcolato
in un 18-20% in più ma che il padrone paga più che volentieri
pur di avere alle sue dipendenze lavoratori che in qualsiasi momento e per
qualsiasi motivo può lasciare a casa.
Mentre però in Italia questo tipo di rapporto di lavoro esiste da pochi
anni, nel resto d'Europa invece è una forma di lavoro largamente usata
e ha consentito al sistema delle imprese livelli di flessibilità che
i padroni nostrani hanno sempre invidiato. In Gran Bretagna ad esempio questa
è una realtà radicata fin dal dopoguerra, e pochissimo messa
in discussione nonostante le sue regolamentazioni comincino ad avvicinarsi
alle garanzie seppur formali ammesse in Italia.
Agenzie e datori di lavori hanno molta libertà di manovra, non ci sono
leggi che impongano dei limiti ai tempi di assunzione e l'equiparazione di
compensi con quelli dei lavoratori fissi. Inoltre fino al 1998 nessun lavoratore,
tanto meno quelli interinali avevano diritto alle ferie pagate che rimanevano
un elemento legato alla contrattazione diretta tra le parti. Il minimo salariale
è stato introdotto dall'aprile 99 e fino ad allora non c'erano limiti
alla pochezza della busta paga.
Un'assenza di regole tale ha portato a dei record, come quello di un lavoratore
impiegato per 20 anni dalla
stessa università con contratti provvisori. Senza arrivare a questi
estremi, non sono certo rari i casi di agenzie
di collocamento che, specialmente in zone a disoccupazione più alta,
abusano regolarmente della mano
d'opera meno qualificata.
Rispetto a questo problema i sindacati non oppongono un'azione rivendicativa
che tenda a ridurre la portata di questo tipo di rapporto di lavoro, si limitano
a far sì che gli abusi non dilaghino, ma riconoscono parimenti che
per il lavoratore e per il datore la scelta dell'interinale è una scelta
razionale.
Questo è valido soprattutto per le zone ad alta occupazione dove può
anche accadere che in presenza di un periodo di espansione economica si guadagna
anche di più con un rapporto di lavoro interinale.
In altre zone e in presenza di una situazione di riflusso economico sull'interinale
si scatena una guerra al ribasso.
Questo aiuta a spiegare il perché in un periodo di recessione come
il '95 il non aver trovato un lavoro a tempo pieno era la motivazione del
44% dei lavoratori interinali mentre nella primavera 2000, in pieno boom,
quella percentuale era scesa al 31%.
Infine il lavoro interinale è utilizzato il doppio nel settore pubblico
rispetto a quello privato, in particolare nella
pubblica amministrazione, nell'educazione e nella sanità, settori nei
quali comprende il 7,1% del totale della
forza lavoro.
Ma ritornando in Italia vediamo che questo tipo di contratto è utilizzato
nei fatti dalle aziende esclusivamente per selezionare i lavoratori. Moltissime
richiedono lavoratori che provengono da agenzie di lavoro interinale per inquadrarli
poi in categorie di basso profilo professionale, con l'impegno di promuoverli
al livello contrattuale superiore nei tempi previsti dal contratto stesso.
Però il periodo per poter arrivare al livello in questione è
abbastanza lungo, e questi lavoratori non ci arrivano mai. Vengono cambiati
uno con l'altro e continuano a essere al livello più basso.
È per questa via che i padroni recuperano il maggior costo di cui sono
oberati: elevato livello di sfruttamento e basso livello salariale e professionale.
Per quanto riguarda le agenzie interinali la prima impressione è che
si tratti di imprese nate per offrire in affitto il corpo e la mente di lavoratori.
Nei fatti si tratta di una legittimazione per legge del caporalato.
Sembra una contraddizione: mentre da una parte si assiste a un progredire
in avanti delle tecnologie e degli aumenti delle innovazioni, dall'altra verifichiamo
il ritorno nel circuito del lavoro di forme antiche di sfruttamento di lavoro
servile, di messa al lavoro di corpi e di anime senza garanzie reali; da una
parte si offrono ampie possibilità a chi sui circuiti della conoscenza
è forte, dall'altra parte si crea incertezza e frammentazione.
Il lavoratore diventa fonte di guadagno per due padroni anziché uno,
è meno pagato, non ottiene miglioramenti di carriera a cui avrebbe
diritto se avesse il posto fisso (che sembra una vergogna desiderare), continuerà
a fare lavori di bassa preparazione in quanto chi lo dovrebbe specializzare,
con un contratto del genere, non si piglia certamente la briga di formarlo
(formare costa).
Il livello di sfruttamento ritenuto intollerabile anni fa a causa della diversa
situazione economica e dei rapporti di forza favorevoli ai lavoratori, oggi
in virtù delle mutate situazioni lo si ritiene logico e sintomo di
progresso.
Ci sono tutta una serie di garanzie e di diritti per i lavoratori in affitto,
lo prevede la legge e lo prevedono i contratti di lavoro. Ma questi diritti
sono veramente esigibili?
Sulla carta ad esempio le lavoratrici che devono affrontare una maternità
hanno gli stessi diritti di qualunque altra lavoratrice, ma spesso le lavoratrici,
proprio a causa della precarietà del lavoro interinale, rinunciano
a rendere esigibile il proprio diritto.
Vi sono casi in cui le donne incinte che fanno un lavoro pesante e nocivo
non pretendono un cambio di lavoro; preferiscono stare zitte, e tenere il
proprio posto e mettere a repentaglio la propria salute e quella del bambino,
pur di non rivelare la propria condizione.
Questo perché il lavoro interinale è quasi esclusivamente un
lavoro a termine, per cui se una lavoratrice resta incinta, al termine del
suo periodo concordato sarà lasciata a casa, saltando così tutte
le garanzie che la legge prevede per le lavoratrici in maternità, compreso
il divieto di licenziamento.
Quindi le garanzie per i lavoratori interinali sono in realtà solo
formali, e questo per un motivo molto semplice: perché a questi lavoratori
viene negato il diritto fondamentale per antonomasia, quello cioè della
conservazione del posto di lavoro.
Secondo la Confinterim il 30-35% dei lavoratori riescono a tramutare il contratto
temporaneo in tempo indeterminato, ma secondo il sindacato queste percentuali
sono molto più basse e variano a seconda delle zone geografiche.
Ma più che tempo indeterminato c'è in realtà un accumulo
di flessibilità: accade che dei giovani dopo il militare passano dall'interinale
al contratto di formazione e lavoro in una situazione che appare scarsamente
legale.
Molto spesso i contratti vengono prolungati ben oltre i quattro rinnovi previsti
dalla legge utilizzando degli escamotages di questa natura. Inoltre vi sono
lavoratori il cui contratto di lavoro in pratica viene sospeso alla fine dell'anno,
quindi utilizzando le festività di fine anno e poi rinnovato di fatto
con accumulato un periodo di lavoro superiore ai due anni. Si hanno quindi
8 - 9 - 10 rinnovi di contratto e quindi ben al di là di quello che
è previsto.
Inoltre il lavoro interinale non ha avuto nemmeno la funzione di far riemergere
il lavoro nero. Infatti le aziende che utilizzano lavoratori interinali sono
tutte aziende che non hanno mai lavorato in nero ma che utilizzano questa
forma come abbiamo detto per selezionare i dipendenti. Non è vero che
un'azienda che prima lavorava in nero si è poi messa in regola assumendo
lavoratori interinali.
Tra l'altro il lavoro interinale è decollato principalmente al nord
dove il lavoro nero è molto meno diffuso rispetto il sud, e le aziende
dove sono collocati i lavoratori interinali sono soprattutto le grandi aziende
dove non è mai esistito il lavoro nero.
Oltretutto il costo ben più alto di un lavoratore in affitto rispetto
uno fisso è un deterrente alla fuoruscita del lavoratore in nero.
Accade invece che il ricatto a cui sono sottoposti i lavoratori in nero si
trasferisca sui lavoratori interinali con conseguenze devastanti sul piano
della capacità di resistenza allo sfruttamento.
Infatti, la speranza di ottener il posto fisso porta piuttosto questi lavoratori
a dare di sé una disponibilità allo sfruttamento sganciata da
qualsiasi regola con ripercussioni pesanti soprattutto sulla sicurezza sui
posti di lavoro.
Sono in continua crescita i casi in cui dei lavoratori si infortunano, anche
seriamente, e che vengono tenuti in forza fino alla scadenza del contratto,
per essere poi scaricati all'INAIL che pagherà fino a decorso avvenuto
dell'infortunio; dopo di che non si sa più che fine farà quel
lavoratore.
Ben diversa è solitamente la sorte di un lavoratore a tempo indeterminato
che si infortuna anche in modo pesante; questo viene regolarmente ricollocato
nell'azienda anche con mansioni diverse.
Ma anche più semplicemente per i lavoratori che si ammalano la situazione
finisce per ritorcersi loro contro.
Infatti se il lavoratore interinale si ammala, l'azienda che l'ha acquisito
lo rimanda all'agenzia affermando che serve un lavoratore per fare un lavoro
non per pagargli la malattia. Di conseguenza l'agenzia è costretta
a mandarne un altro, e al primo non viene più rinnovato il contratto.
Da parte loro i sindacati confederali hanno a suo tempo sostenuto l'introduzione
di questo tipo di lavoro. A loro modo di vedere era necessario per favorire
l'aumento della competitività del sistema economico nazionale rispetto
alla concorrenza che al contrario dell'Italia da anni usufruiva di queste
forme di flessibilità. In tal modo dimenticavano però il proprio
ruolo politico che è quello di difendere, organizzare e unire i lavoratori,
che i padroni vorrebbero sempre più divisi e ricattabili.
Nella CGIL la costituenda Sinistra Sindacale sta cercando di portare avanti
una lotta tesa a riorientare il sindacato verso una ripresa della conflittualità
che rimetta al centro la questione del posto di lavoro fisso. La convinzione
è che sia questo il punto di partenza per tutto il resto, ivi compresa
la difesa del doppio livello di contrattazione (nazionale e aziendale), che
in questa fase è oggetto di un poderoso attacco da parte della Confindustria
e del sistema bancario europeo.
Ma bisogna far presto, i numeri parlano chiaro: i padroni stanno marciando
a passi da gigante grazie a un quadro legislativo e di governo molto attento
ai loro richiami.
Fra qualche anno la situazione potrebbe essere ancora diversa e allora qualsiasi
tentativo anche di difesa collettiva minima delle condizioni di vita e di
lavoro dei proletari potrebbe apparire azione velleitaria.