Lo scontro sui contratti a termine.
L'attacco della Confindustria sul terreno della flessibilità pone la Cgil di fronte al bivio: essere legittimata dai lavoratori o dai padroni. REDS. Aprile 2001.


Un argomento che sta tenendo banco nelle relazioni tra Confindustria e Sindacati in questo ultimo periodo è quello del recepimento in Italia della direttiva europea sui contratti a tempo determinato.
Anche negli altri stati che compongono l'U.E. i rispettivi governi dovranno entro il mese di luglio darsi una legge per uniformarsi alla direttiva emanata a livello centrale.
Come abbiamo già argomentato in altre occasioni, gli stati della Comunità devono darsi in tempi brevi strutture economiche omogenee; questo per consentire alla moneta unica (che con l'anno prossimo entrerà a tutti gli effetti in circolazione) di svolgere il suo ruolo di semplificazione di circolazione delle merci e dei capitali.
Al fine di giungere a questo appuntamento nel 2002 con le carte in regola l'attenzione dei padroni si sta rivolgendo in particolare sulla legislazione che regola le questioni di lavoro. Le motivazioni sono molto semplici: poiché il valore di una merce dipende in ultima analisi dal livello di sfruttamento a cui i lavoratori che producono quella merce vengono sottoposti, ne deriva che solo fissando delle regole a cui tutti i padroni devono attenersi nel campo del mercato del lavoro (salario, flessibilità, ecc..) è possibile creare le condizioni affinché le merci abbiano valori omogenei nel mercato interno e possano così liberamente circolare senza grossi problemi di concorrenza.
Infatti, come abbiamo spiegato, l'obbiettivo è quello di fare in modo che l'Europa sia un'entità compatta in grado di mettere in campo le proprie energie per competere nei confronti del resto del mondo, e non invece un'entità al cui suo interno le varie potenze capitalistiche si scontrano tra loro per conquistarsi fette di mercato interno; o per lo meno la competizione per la conquista di fette più ampie di mercato in Eurolandia dovrà essere posta in secondo piano rispetto la competizione a livello globale.
Sulla base di queste ragioni è facile inoltre prevedere che la questione dell'omogeneizzazione delle leggi sul lavoro non si fermerà a questo provvedimento; nei prossimi mesi (dopo le elezioni politiche) si ritornerà a parlare sicuramente, tanto per fare degli esempi, di pensioni, della libertà di licenziare, e delle politiche contrattuali.

Ma in queste settimane il tormentone come dicevamo è dato dalla questione dei contratti a termine, e dall'esito di questo confronto deriverà sicuramente una politica di un certo tipo piuttosto che di un altro anche in tutti gli altri campi.
Su questa questione la Confindustria ha già cercato di agire in anticipo sostenendo nel 99 anche i referendum antisociali dei Radicali tra i quali vi era quello del tempo determinato che intendeva produrre effetti di liberalizzazione di questo strumento; la Corte di Cassazione bloccò questo referendum proprio con la motivazione che la materia sarebbe stata regolamentata in seguito all'emanazione della direttiva europea.
Va precisato comunque che questa direttiva non va a modificare nella sostanza la legislazione già esistente in Italia, per cui l'intesa con il padronato assumerà la forma di un "avviso comune" che le parti consegneranno al Governo come base per il provvedimento legislativo che riguarderà tutto il mondo del lavoro sia privato che pubblico.
La Confindustria non intende comunque perdere questa occasione per mettere un altro paletto nel suo cammino verso la completa liberalizzazione dei licenziamenti aggirando l'ostacolo dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
È evidente infatti che l'esito sarà questo se i padroni avranno la possibilità di fissare all'atto dell'assunzione di un lavoratore anche la data del suo licenziamento.
Mano a mano che nella trattativa questa forzatura della Confindustria è apparsa manifesta sono iniziate a farsi sentire prese di posizione provenienti dalle strutture di base più radicali del sindacato, al punto da spingere, la CGIL a defilarsi dalla trattativa, proprio quando ormai sembrava che la firma fosse nelle cose, e a mettere sul tavolo delle condizioni senza il recepimento delle quali essa non avrebbe firmato nulla.
Va detto a onor del vero che i sindacati stanno portando avanti in modo pressoché clandestino, senza cioè averne il mandato, questa trattativa e chissà quante altre (come ad esempio quella sull'arbitrato in caso di licenziamento senza giusta causa), per cui era inevitabile che dal basso, venisse prima o poi qualche reazione di protesta, alimentata anche da una tensione che si è alzata a causa del periodo di campagna elettorale che inevitabilmente costringe la sinistra a interloquire in modo più stretto con la propria base sociale che, come si sa, ha al suo interno grosse sacche di irriducibili che non sono sempre disponibili a seguire i vertici quando questi mostrano una attenzione eccessiva nei confronti degli interessi della borghesia.

Ma vediamo quali sono a questo punto i problemi posti dalla confederazione di Cofferati.
Innanzi tutto in questo "avviso comune" si dovrebbe affermare, come fatto di principio, che il rapporto di lavoro normale è quello a tempo indeterminato per cui solo eccezionalmente si dovrebbe ricorrere ad altre forme di contratti, ivi compreso quello a tempo determinato.
In secondo luogo si dovrebbe stabilire la lunghezza massima del contratto a termine, in terzo luogo si dovrebbe fissare quanti lavoratori a tempo possono essere presenti nell'unità lavorativa in rapporto a quelli fissi, e in quarto luogo si dovrebbero precisare le causali cioè, le situazioni per cui si renderebbe necessario il ricorso a questo tipo di contratto.
E dulcis in fundo, queste questioni, dal punto di vista strettamente numerico e tecnico, dovrebbero essere definite nei contratti nazionali di lavoro delle singole categorie.
In assenza di queste questioni la CGIL, secondo quanto affermato da Cofferati non firmerà nessuna intesa.
Questa situazione ha provocato immediatamente la presa di distanza della CISL e della UIL che invece si sono dichiarate disponibili a proseguire il negoziato, mentre la Confindustria, gettando benzina sul fuoco, si è detta disponibile a firmare anche un accordo separato.
A nulla sono valsi i tentativi, messi in campo senza grande convinzione, del ministro Salvi (il quale ha problemi analoghi a quelli di Cofferati rispetto la base sociale dei DS) che ha tentato invano di ricucire il dialogo, scaricando nei fatti questa patata bollente nelle mani del governo del dopo 13 maggio.

Questi sinteticamente i fatti, ma ciò che a noi interessa è riflettere sulle posizioni assunte dalla parti in gioco per poi trarne un giudizio.

La Confindustria, come dicevamo sopra non intende perdere questa occasione per portare a casa due obbiettivi: cercare innanzi tutto di superare i vincoli del lavoro interinale che costringono i padroni a dover rendere conto alle rappresentanze sindacali delle motivazioni che li hanno indotti a ricorrere a questi lavoratori, lavoratori che inoltre costano all'azienda di più di un lavoratore normale in quanto è costretta a versare un surplus all'agenzia di collocamento valutabile attorno al 20% del costo complessivo.
Inoltre intende acuire le contraddizioni che sono emerse tra CGIL da una parte e CISL e UIL dall'altra per indebolire il movimento sindacale nel suo insieme e rendere i lavoratori più vulnerabili ad altri attacchi.
La Confindustria in particolare intende forzare la situazione affinché si arrivi a una firma separata per creare un importante precedente che nelle sue intenzioni dovrebbe aprire la strada a ulteriori accordi separati con la parte più moderata del sindacato, come quello già fatto al comune di Milano e alla FIAT di Cassino.
Che l'aria che circola sia questa è dimostrato anche dalle voci che circolano circa un possibile accordo separato anche in tutta la FIAT, dove è in corso un duro scontro sindacale per il rinnovo del contratto di secondo livello.
La CGIL in questo modo si troverebbe completamente spiazzata, dal momento che all'allontanamento dai lavoratori operato dalle sue burocrazie negli ultimi anni si aggiungerebbe la delegittimazione anche da parte della controparte padronale, e, dopo il 13 maggio (presumibilmente) la mancanza di una sponda governativa.

La CISL e la UIL, la cui base sociale è meno radicale, non hanno il problema di darsi un ruolo con una qualche parvenza di antagonismo per cui la loro attenzione è completamente protesa a cercare un accordo qualsiasi con la Confindustria vedendo in questo il loro compito specifico (li sentiamo spesso dire: "…un sindacato che non fa accordi non è un sindacato..").
Il loro modello di democrazia interna inoltre non porta queste due confederazioni a doversi confrontare con la base ma semplicemente a rendere conto del proprio operato nell'ambito dell'apparato burocratico stesso, che ovviamente non boccerà mai se stesso.
L'immagine che CISL e UIL vogliono darsi e quella di "sindacati responsabili" e che, a differenza della CGIL, sono "slegati da castelli ideologici" che non produrrebbero nulla di buono per il bene comune.

Il problema per la CGIL è terribilmente più complicato da qualsiasi lato lo si voglia vedere.
La CGIL ha fino a oggi sostenuto con CISL e UIL tutte le scelte sindacali più retrive sulla flessibilità e la moderazione salariale dando anche copertura alla politica neoliberista del Governo che ha operato per guadagnarsi la fiducia della Confindustria e della borghesia.
Ha dato giustificazione al ricorso al lavoro interinale, ai contratti di area (leggi: gabbie salariali), ha dato legittimità a forme di salario legate alla produttività e ai premi di risultato, ha dato copertura ideologica alle forme di previdenza integrativa ed è stata scavalcata a sinistra perfino dal movimento degli insegnanti che ha dovuto poi rincorrere per non perdere quei minimi contatti che le erano rimasti. Ogni voce critica contro questa linea chiaramente antioperaia è stata, quando andava bene, inascoltata, e lo scollamento con la base si è ulteriormente accentuato.
È in questa situazione che nella CGIL sta prendendo forma organizzata la sinistra sindacale "Lavoro Società: cambiare rotta" che si è data come obbiettivo immediato la convocazione del congresso della Confederazione, (congresso che Cofferati non ha ancora convocato nonostante siano già trascorsi sei mesi dalla naturale scadenza) ha messo a punto una piattaforma di contenuti su cui intende sviluppare la propria azione, e ha già stilato una bozza di documento congressuale.
Il consenso che questa componente sta riscuotendo a livello di delegati di base è interessante per cui il gruppo dirigente burocratico è in evidente difficoltà e ciò potrebbe spiegare lo slittamento di un anno del congresso.
Da qui al congresso Cofferati sta utilizzando questo periodo per cercare di rilanciare l'azione della CGIL su basi (pur interne a una logica socialdemocratica) di classe, e in prima persona si sta facendo carico della fuoruscita dalla crisi di consenso della Confederazione apparendo costantemente in televisive e sui mas media, cercando in questo modo di ridare almeno una facciata accettabile a questo sindacato.
Ecco quindi la lotta portata avanti per il no al referendum sull'art. 18 e la dura presa di posizione sui contratti a termine alle quali è seguita l'intervista su Repubblica, dopo il convegno della Confindustria di Parma, in risposta alle dure critiche dei padroni alla linea della CGIL.
Anche se Cofferati cerca di rispolverare l'antagonismo sindacale e lo scontro di piazza, le sue argomentazioni sono comunque dentro alla logica della concertazione che ha prodotto solo danno ai lavoratori e che la stessa Confindustria, che dentro questa politica ha potuto spostare i rapporti di forza in suo favore, ora intende abbandonarla per elevare il livello dello scontro di classe.
Questo a grandi linee il quadro in cui la CGIL si sta muovendo per cercare di riguadagnarsi legittimità e consenso nella sua base sociale nel tentativo di ricompattare i propri apparati burocratici in vista della prossima scadenza congressuale, e riprendere in seguito, una volta ridimensionata la componente di sinistra, la solita tresca con i poteri forti della società.

È importante in questa situazione non lasciarsi ingannare e non perdere si vista il senso della critica che nella CGIL portiamo avanti non da ieri.
Nella CGIL non è cambiato niente, si stanno semplicemente usando toni più alti.
Che senso ha infatti porre paletti e ostacoli alla protervia Confindustriale sui contratti a termine se poi non si rimettono in discussione i contratti interinali (che sono praticamente la stessa cosa)? Che senso ha porre un muro ai licenziamenti (art. 18) se poi si va avanti nella trattativa sull'arbitrato? Che senso ha parlare di democrazia di mandato se poi si fa ogni sorta di trattativa senza alcun mandato? Che senso ha sollevare tutta quella canea nella stesura della piattaforma dei metalmeccanici per poi accettare le posizioni di FIM e UILM davanti allo spauracchio di piattaforme separate e poi non temere le firme separate sui contratti a tempo?

La CGIL e le sue burocrazie devono essere inchiodate alla coerenza, e questo può essere fatto solo dal basso. La base deve contare veramente e i meccanismi che consentono agli apparati burocratici l'inamovibilità e l'impunità devono essere rimessi in discussione alla radice.
Questo è secondo noi il contenuto su cui la battaglia della sinistra sindacale deve concentrare le sue energie nei tempi immediatamente prossimi.