La
decontribuzione affonda l'Inps e... massacra le pensioni pubbliche.
È
sempre più chiaro il disegno del Governo: chiudere con le pensioni
pubbliche, e affermare il principio che la pensione è un diritto solo
per chi è in grado di pagarselo. Di Duilio Felletti. Febbraio 2002.
Come
abbiamo già scritto (Pensioni: siamo arrivati al dunque sindacato0201pensioni.html)
il disegno di legge delega presentato dal ministro Maroni ipotizza una diminuzione
delle aliquote per i neoassunti fra 3 e 5 punti percentuali, ai quali si aggiungerebbe,
dice il testo del governo, un punto ulteriore eventualmente concordato attraverso
la contrattazione aziendale.
In totale si arriverebbe dunque a 6 punti percentuali in meno.
I lavoratori parasubordinati invece si vedranno aumentare il proprio contributo
previdenziale di 6 punti percentuali. Con questo giochetto del "tolgo
di qua e metto di là" il governo pensa in questo modo di avere
sistemato le cose.
Davanti alle riluttanze dei sindacati e ai richiami al buon senso di Ciampi
è stata ventilata un'ipotesi alternativa: scontare di un punto percentuale
i contributi pagati dai padroni per tutti i lavoratori (quindi non solo per
i nuovi assunti). Allora è intervenuto il sig. Brambilla (presidente
della commissione lavoro della Camera), che ha avuto l'idea dello sconto per
i padroni, a rimettere tutto a posto: "Bisogna partire da questi [i neoassunti,
ndr] se si vuole far camminare il sistema previdenziale con due gambe riducendo
un po' i contributi della previdenza obbligatoria, perché possa partire
il pilastro complementare". Tradotto significa: "i lavoratori non
faranno mai una pensione integrativa se non gli riduciamo la pensione pubblica".
A questo punto alcuni osservatori, e lo stesso presidente dell'INPS Massimo
Paci, hanno voluto capirci qualcosa in più.
"Ci siamo tenuti molto più bassi - ha spiegato Massimo Paci -
cioè a un taglio di circa 3 punti, e abbiamo scoperto che la situazione
è relativamente sopportabile nei primi anni, ma diviene sempre più
grave con il passare del tempo. In ogni caso, nemmeno all'inizio l'aumento
dei contributi per i parasubordinati è sufficiente a mantenere l'equilibrio".
L'Inps non ha ancora diffuso pubblicamente le cifre, ma all'interno dell'istituto
è stato calcolato che per ogni punto in meno di aliquota contributiva
sul totale dei lavoratori dipendenti si perdono 2,32 miliardi di euro (circa
4.500 mld di lire).
Anche secondo alcune simulazioni contabili dei tecnici della Ragioneria dello
stato il possibile buco per le casse dell'INPS potrebbe oscillare tra i 2,5
e i 9 miliardi di euro (4.840-17.400 mld di lire).
Il quotidiano "on line" Il Nuovo si è spinto ancora più
in là, sostenendo che sarebbe proprio la decontribuzione del 5% a creare
questo buco, che farebbe peggiorare l'indebitamento netto dell'INPS a regime
per una quota pari allo 0,6% del Prodotto interno lordo (Pil).
Data la premessa, per tradurre in soldoni l'ipotesi di riforma bisognerebbe
però sapere non solo a quanti punti percentuali ammonterà lo
sconto contributivo, ma anche quanto è grande la platea dei neoassunti
rispetto al totale dei dipendenti.
Su quest'ultimo punto (lo sconto contributivo) le intenzioni del governo non
sono ancora chiare: i neoassunti sono i giovani alla prima iscrizione all'Inps
- che l'anno scorso sono stati circa 400.000 - oppure l'insieme ben più
ampio di tutti coloro che iniziano un nuovo rapporto di lavoro?
La Confindustria, per esempio, ha già chiesto che siano considerati
come neoassunti anche i lavoratori che passano da contratti a termine a contratti
a tempo indeterminato. In questo modo, è evidente che se gli sgravi
si estendessero a tutti i nuovi rapporti di lavoro, la platea dei lavoratori
interessati si allargherebbe sempre di più.In ogni caso, le simulazioni
non lasciano alternative: l'Inps dovrà dire addio a quella dinamica
virtuosa legata all'aumento dell'occupazione, che l'anno scorso ha portato
a entrate contributive decisamente superiori alle uscite per le pensioni erogate.
L'istituto avrà quindi bisogno di iniezioni di liquidità da
parte del fisco, per consentire il pagamento delle pensioni già in
essere; e questo trasferimento si ridurrà man mano che i pensionati
moriranno, e finché non moriranno anche quei lavoratori che andranno
in pensione con il sistema retributivo. Il sistema insomma andrà a
regime, come ha precisato il presidente dell'Inps, "nello spazio di un'intera
generazione".
Tutto questo mentre nel frattempo (non dimentichiamolo) anche il fisco avrà
avuto un danno, non ancora quantificabile. Da una parte la riforma Maroni,
che prevede sostanziosi sgravi per il reddito che viene investito nella pensione
integrativa; dall'altra la riforma Tremonti, che prevede forti sconti alle
tasse dei contribuenti più ricchi, grazie all'abolizione della progressività
delle aliquote IRPEF.
Poi ci sono i conti nelle tasche dei lavoratori.
Stando all'ipotesi del governo, la diminuzione delle aliquote contributive,
possiamo starne certi, non sarà compensata da alcun genere di contributi
figurativi. E dal momento che il calcolo della pensione per i nuovi lavoratori
è contributivo, cioè la pensione verrà calcolata sulla
quantità di denaro versato sotto forma di contributi, e non sulla base
delle ultime retribuzioni, gli effetti dei tagli si ripercuoteranno direttamente
sul valore della pensione futura.
Quando il ministro Maroni sostiene che l'ammontare della pensione rimarrà
uguale, fa riferimento, con notevole ottimismo, all'insieme, cioè alla
somma delle due pensioni, vale a dire quella pubblica e quella integrativa
(finanziata con il proprio TFR) che il lavoratore percepirà alla fine
della sua attività.
A proposito delle pensioni integrative o complementari, va poi detto - per
inciso - che, contrariamente a Maroni, il presidente dell'INPS Massimo Paci
ha insistito sugli elementi di rischio che si accompagnano alla previdenza
complementare e sulla necessità che il primo pilastro, quello pubblico,
rimanga centrale.
A fronte di alti rendimenti, la previdenza legata al mercato finanziario tracolla
infatti irrimediabilmente nei periodi di gravi turbolenze economiche.
Basti pensare che il Dow Jones, l'indice della borsa americana, impiegò
circa trent'anni per tornare ai livelli precedenti il 1929.
Da quello che stiamo sostenendo appare chiaro che la via lungo la quale il
binomio Confindustria-Governo sta portando la classe lavoratrice conduce dritta
verso una situazione in cui il sistema pensionistico - così come lo
conosciamo oggi e che negli ultimi 8-10 anni ha perso parecchi dei pezzi che
hanno garantito nel tempo un legame solidaristico tra le generazioni - sarà
un ricordo da incorniciare.
Il Governo ha ulteriormente allargato i varchi che i precedenti governi hanno
aperto grazie anche alla complicità colpevole di quelle stesse burocrazie
sindacali che oggi invitano i lavoratori a scioperare contro la delega sul
lavoro e previdenza.
Prendiamo atto che sulle questioni dell'art. 18 e su quello della riforma
delle pensioni i sindacati hanno trovato un terreno unitario su cui sviluppare
un'iniziativa che vada a contrastare le scelte del governo; ma se andiamo
a vedere poi le scelte concrete che Cgil, Cisl e Uil hanno fatto (4 ore di
sciopero generale "frammentato"), la percezione che si ha è
quella di una scarsa consapevolezza da parte dei dirigenti sindacali della
pesantezza e gravità dello scontro in atto. Questo è un vero
e proprio scontro di classe in cui in gioco vi sono gli interessi fondamentali
delle parti in gioco: se vince una l'altra soccombe, gli spazi per la mediazione
sono inesistenti, su questo Maroni ha ragione.
Il fronte della lotta deve essere mantenuto unito. Ma per fare ciò
è necessario non sfiancare i lavoratori in lotte folcloristiche senza
nessuna credibilità, occorre veramente un salto di qualità:
lo sciopero generale è un'impellente necessità.
Al congresso nazionale della Fiom si è parlato questo linguaggio, si
è perfino parlato di cassa di resistenza, si è detto che la
Fiom per questa strada intende andare comunque, anche da sola. Si tratta ora
di capire se ciò è dovuto alla consapevolezza che questo sindacato
ha acquisito della serietà del compito che ha di fronte, o se è
semplicemente una sparata opportunista per domare gli irriducibili metalmeccanici!
Vogliamo escludere la seconda ipotesi, perché se così fosse
per questo sindacato sarebbe il suicidio.