Lavoro e salute: il caso del petrolchimico di Gela.
Ad uno ad uno, tutti i nodi della disastrata chimica italiana vengono al pettine. Giusto un mese fa, anche a Gela, la contraddizione tra lavoro e ambiente è esplosa in maniera eclatante: blocchi stradali e scioperi per l'occupazione, tra chiusura degli impianti da parte della magistratura e decreti legge governativi miracolistici. Di Loris Brioschi. Aprile 2002.


Ad uno ad uno, tutti i nodi della disastrata chimica italiana vengono al pettine. Giusto un mese fa, anche a Gela, la contraddizione tra lavoro e ambiente è esplosa in maniera eclatante: blocchi stradali e scioperi per l'occupazione, tra chiusura degli impianti da parte della magistratura e decreti legge governativi miracolistici.

Il petrolchimico

A Gela esiste un petrolchimico di proprietà dell'Eni. Nato per volontà di Enrico Mattei: prevedeva la creazione di un polo di sviluppo nel triangolo Catania-Augusta-Gela, che avrebbe dovuto creare sinergia con l'industria locale e con le attività agricolo-artigianali in quel territorio.
Tutto finì con l'uccisione di Mattei ed il petrolchimico di Gela, come nella migliore tradizione italiana, rimase una cattedrale nel deserto. Una cattedrale con l'occupazione in caduta libera, dai circa 12.000 addetti di qualche anno fa ai 4.500 attuali, comprese le industrie dell'indotto.
È proprio l'Eni che in questa vicenda ha avuto una posizione defilata, di basso profilo, mentre è il principale responsabile. L'Eni, che ha spremuto Gela come un limone, dopo aver sfruttato il petrolio, inquinato l'ambiente e sconvolto l'ecosistema costiero, senza attivare minimamente il progetto originario!
Dopo mezzo secolo di industrializzazione senza sviluppo, in cui ha accumulato enormi profitti, sotto la pressione di una legislazione europea più stringente medita di andarsene, prima o poi, lasciando una città senza alternative occupazionali reali.

La vicenda

Dalla magistratura sono state contestate ai dirigenti del petrolchimico ben undici violazioni delle norme vigenti: cinque riguardano le autorizzazioni e sei le violazioni alla Legge 22 del 1997, la "Legge Ronchi".
Le violazioni riguardano il trattamento delle acque, la sicurezza dei serbatoi installati ed il monitoraggio degli inquinanti. Inoltre il "pet coke", rifiuto della lavorazione del petrolio che contiene metalli pesanti cancerogeni, non potrebbe essere utilizzato come combustibile per la centrale del petrolchimico.

Alla decisione della magistratura di porre i sigilli alla centrale dell'impianto, sono succeduti blocchi stradali che hanno isolato la città, proteste varie ed uno sciopero generale di Gela, con alla testa il sindacato. Quattromila famiglie devono mangiare, i commercianti pure, hanno commentato i sindacati ed i politici locali.
Al Governo di destra, non è parso vero, che gli si presentasse l'occasione di fare. È ha fatto un decreto che riafferma che il rifiuto (pet coke) non è più rifiuto speciale ma combustibile, eliminando il problema con il plauso pure del sindacato.

Ma l'ambiente?

Le norme in Italia, specie in materia ambientale, non sono mai state un problema neppure con il centrosinistra, figurarsi con l'attuale governo di destra!
La cittadinanza che protesta da decenni per la situazione ambientale, nei giorni dello sciopero generale è sparita totalmente.
Non così le percentuali più alte della media nazionale delle morti per tumore in tutta l'area circostante il petrolchimico.

Infatti secondo uno studio dell'OMS nel comune di Gela:

si registrano eccessi significativi per il tumore allo stomaco e per il tumore al colon. Inoltre si registra nell'intera arae, un aumento del rischio di contrarre tumori polmonari, tra gli uomini delle generazioni più giovani. Tale tendenza, presente anche in altre forme tumorali, è in contrasto con la mortalità generale, in diminuzione... Lo studio suggerisce anche che gli effetti sulla salute legati ad esposizioni professionali nei decenni passati non vadano sottovalutati...

Lo scontro tra posto di lavoro ed ambiente e salute, è stato.... evitato, ancora una volta si è preferito non vedere il problema e soprattutto non vedere colpevoli.

Un solo principio: chi inquina paga!

Cittadini inquinati e lavoratori inquinati subiscono entrambi le cause dei metodi di produzione del capitale, ed invece di combattersi tra loro dovrebbero rivolgere le loro rimostranze verso l'unico responsabile della vicenda: l'Eni, a cui sono state contestate anche tra l'altro evasioni delle norme di sicurezza dei serbatoi di stoccaggio.

È dal profitto, che debbono derivare i capitali per investire in sicurezza e per la bonifica delle aree inquinate.

Sui controlli ambientali, qui ed in tutte le altre parti del paese, dobbiamo domandarci se le varie Arpa (Agenzie Regionali Protezione Ambiente) sono all'altezza e soprattutto sono messe in condizione di svolgere efficacemente le proprie mansioni.

Del sindacato va rilevato che dopo la soluzione (dal suo punto di vista) anche temporanea del problema occupazionale, continua sempre a proclamarsi "ambientalista" e "legalista", senza però proporre una reale alternativa all'approccio padronale ai problemi ambientali.

Solo l'alleanza tra lavoratori e cittadini, tra sindacati e ambientalisti potrà portare all'elaborazione di un progetto alternativo rispetto alla chimica italiana, che parta dalla volontà di disinquinare i danni del padronato, che deve essere inchiodato alle proprie responsabilità. Come l'Eni in questo caso.

L'Eni way... quel modo un po' speciale di affrontare i problemi... con profitto!

Una pubblicità di questi giorni in Tv, ci tormenta con "l'ENI's way" la diversità della nostra multinazionale nell'affrontare i problemi, con uno stile sconosciuto alle altre aziende.

Ma basta non andare lontano, né come luogo né come tempo, e ricordare che nel novembre 2001 il direttore del Petrolchimico di Gela ed altre sei persone furono arrestate per associazione a delinquere e truffa allo Stato, all'Unione Europea, alla Regione Sicilia, all'INPS e all'INAIL.

La vicenda in questione mette in luce come nel sistema industriale e delle imprese siciliane esista un miscuglio di affari e di illegalità. A Gela, laboratorio di sperimentazioni di progetti di flessibilità del mercato del lavoro, questo terreno pare particolarmente fertile.

A Gela il lavoratore non conta niente: può essere infatti licenziato da un'azienda e riassunto da un consorzio con meno diritti e tutele, ed ottenere inoltre per questa operazione soldi ed incentivi pubblici.

Sempre secondo la magistratura i dirigenti dell'Agip avrebbero dichiarato fittiziamente condizioni economiche disagiate, ponendo temporaneamente i lavoratori in mobilità, allo scopo di poter accedere agli sgravi previsti dalla legislazione statale regionale ed europea, che vengono erogati dall'Inps e dall'Inail.
Dopo questa prima operazione, sarebbero stati costituiti nuovi consorzi che avrebbero riassorbito sempre gli stessi lavoratori a basso costo. Con questo sistema nel biennio 2000/2001 sarebbero stati incamerati illegalmente più di cinque milioni di Euro.

È evidente che al padronato non può essere delegata la cura dell'ambiente, come in pratica finisce per fare il sindacato in quasi tutte le situazioni. Come è altrettanto evidente da queste vicende che la contraddizione ambientale non può essere sussunta nella contraddizione capitale-lavoro. Il ricatto salute-lavoro può essere affrontato solo con l'unione su obiettivi specifici tra cittadini e lavoratori, al fine di evitare che il vero responsabile glissi le proprie responsabilità.
Si deve partire da una politica diversa in tema di inquinamenti del territorio, altrimenti, come ha sentenziato nel caso Gela il "fine filosofo" berlusconiano, riferendosi all'azione del governo, "Con questo procedimento cerchiamo di evitare il dilemma: morire di fame o morire di cancro".
Noi meno filosoficamente auspichiamo che non si debba morire per lavorare e che i costi ambientali del capitale, li ripaghi il capitale.