La riforma degli ammortizzatori sociali.
Una sintesi degli ammortizzatori oggi esistenti e dei disegni di cambiamento per il futuro. Di Duilio Felletti. Giungo 2002.


Nelle prossime settimane il Governo si appresta a riformare il sistema di ammortizzatori sociali con l'obbiettivo di rendere digeribile, per i lavoratori che ne verranno colpiti, la sua politica sul lavoro tutta incentrata su flessibilità selvaggia, precariato e libertà di licenziamento.

Prende corpo l'ipotesi di una sostanziosa ripresa di confronto tra Governo e sindacati sulla riforma della materia del lavoro. Stanno trovando conferma infatti le aperture emerse al convegno di Modena in memoria di Marco Biagi, dove da parte di tutti i presenti era stata manifestata una certa disponibilità quanto meno al dialogo.
Cgil, Cisl e Uil hanno infatti confermato la loro partecipazione a un eventuale vertice con il Governo, quando questo verrà convocato, e hanno anche deciso di cominciare a mettere in piedi una posizione comune delle tre confederazioni sul tema, che sarà centrale, degli ammortizzatori sociali.
La questione della riforma degli ammortizzatori sociali è stata a più riprese caldeggiata nei mesi scorsi da una componente della Confindustria che puntando su di essa ha cercato fino all'ultimo di evitare lo scontro con i sindacati; alla fine ha prevalso invece quella parte (che fa capo ai vari D'Amato, Tronchetti Provera...) che ha deciso che vi erano le condizioni per vincere la prova di forza con i lavoratori e che pertanto si doveva andare in quella direzione anche accettando il terreno dello scontro di piazza.
C'è stato lo sciopero generale del 16 aprile che è seguito alla grande manifestazione del 23 marzo, e ora tutto sembra essere in una situazione stagnante; ed è in questo clima che sta, come dicevamo, prendendo corpo la trattativa sugli ammortizzatori sociali.

In questo articolo vogliamo appunto entrare nel merito di questi cosiddetti "ammortizzatori sociali".

Quando si parla di ammortizzatori sociali, si parla di strumenti di sostegno e di tutela al reddito per quei lavoratori che, per vari motivi, si trovano a dover affrontare periodi più o meno lunghi senza lavoro, o ad essere anticipatamente espulsi dal mondo del lavoro prima di accedere alla pensione.
Il nome ammortizzatori sociali è molto curioso ma spiega molto bene la funzione di questi strumenti.
La funzione è legata all'esigenza costante che i padroni hanno, cioè quella di potersi liberare rapidamente dei lavoratori in eccesso in una determinata fase, o scarsamente disponibili ad assoggettarsi allo sfruttamento, al fine di mantenere il profitto a un livello adeguato. Ma disfarsi di questi lavoratori cozza con un problema: i lavoratori non sono quasi mai disponibili a sottostare all'esigenza di lorsignori. Questa non disponibilità del lavoratore viene più sottilmente chiamata "impatto sociale".
Alla televisione la frase che sentiamo quando si parla di questi problemi, suona più o meno così: "... la disponibilità di risorse derivante dal processo di ristrutturazione che si è reso necessario nella ditta XY per essere più competitiva ha determinato un grave impatto sociale, per cui i sindacati e la controparte si sono incontrati ecc., ecc...".
Ma noi la traduciamo in questo modo: "... i lavoratori che sono stati buttati fuori dalla ditta XY che in questo modo ha inteso dare un maggior impulso all'accumulazione di profitti si sono incazzati di brutto (impatto sociale) per cui i sindacati...".
Ecco quindi cosa c'è da ammortizzare, da addolcire, da rendere inoffensivo: la rabbia dei lavoratori, che magari decidono di lottare e di mettere scompiglio nel sistema produttivo, che deve invece poter continuare in tutta tranquillità, senza nessun disturbo per il timoniere. Ecco quindi intervenire gli ammortizzatori sociali.

Una grande mistificazione che ci sentiamo propinare spesso è quella secondo cui queste tutele servono a proteggere il lavoratore (il che è parzialmente vero), ma in realtà queste sono innanzi tutto mirate esclusivamente a fare in modo che il sistema produttivo non debba subire intoppi dovuti alla caduta di competitività.
In ultima analisi, un buon sistema di ammortizzatori sociali consente al padrone di avere mano libera e di poter liberarsi di quei lavoratori, o di dismettere integralmente o solo parzialmente delle attività senza che ciò vada a determinare un rallentamento dell'attività produttiva nel suo insieme.
Occorre che i lavoratori che restano nel ciclo produttivo non vengano disturbati da scioperi o altro, devono sentirsi a posto, devono interiorizzare la convinzione che i propri colleghi buttati fuori in realtà non sono stati lasciati su una strada e che per loro si sono semplicemente aperte nuove opportunità.
Occorre di conseguenza che lo Stato si faccia carico del mantenimento di un reddito per questi lavoratori che abbia un minimo di dignità.

Gli ammortizzatori sociali rappresentano anche un intervento diretto dello stato a sostegno del diritto del padrone a garantirsi la continuità del profitto.
Ecco perché quindi quando si parla di questo argomento si parla immediatamente di una spesa che lo stato deve sostenere. E quanto più questi strumenti vengono utilizzati, tanto più la spesa per lo stato è alta; di conseguenza tanto più la pressione fiscale sui lavoratori deve essere adeguata per coprire queste spese.
Sostanzialmente il meccanismo che produce la formazione di questo fondo è tutto interno al prelievo fiscale dal lavoro dipendente. Il paradosso è quindi veramente micidiale: i lavoratori subiscono un prelievo sul proprio salario che deve servire ad avere un reddito seppur ridotto che spenga la loro voglia di battersi contro il licenziamento.

Ma al di là di questo ragionamento, vediamo quali sono i principali ammortizzatori sociali attualmente funzionanti.

  • La Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIG)
  • Si tratta del perno del nostro sistema di ammortizzatori sociali. Scatta nei casi di crisi temporanea dell'azienda non imputabile né al lavoratore né al padrone (si rompe un impianto, c'è una caduta di ordini, ecc.). Lo strumento è a tempo: da 13 settimane a 12 mesi, e in alcune aree, a 24 mesi.
    Al lavoratore viene elargita una somma pari all'80% del salario globale che gli sarebbe spettato nei giorni in cui avrebbe dovuto lavorare.

  • La Cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS)
  • La Cigs può scattare quando l'impresa è in grosse difficoltà per ristrutturazioni, riorganizzazioni e conversioni; quando cioè non deve far fronte a difficoltà momentanee, ma deve assumere decisioni che la porteranno a produrre in modo diverso; con altre macchine, altre turnazioni, ecc.
    La durata varia quindi a seconda dei casi, da 12 a 24 mesi. Il sussidio è analogo a quello previsto per la Cig ordinaria.
    A differenza dalla Cig, nel caso della Cigs il rientro al lavoro non è garantito.

  • L'indennità di mobilità
  • È l'appendice della Cigs: può scattare per esaurimento della stessa, ciò quando è stata utilizzata al massimo del tempo disponibile. Con la mobilità il lavoratore viene licenziato e solitamente questo ammortizzatore viene utilizzato quando si è in presenza di una cessazione di attività, o quando il padrone decide di ridurre il personale per contenere i costi di produzione.
    Il lavoratore percepisce per un periodo che varia dai 12 ai 48 mesi un'indennità pari alla Cig per i primi 12 mesi, e per il periodo successivo all'80% della Cig.
    Come dicevamo la differenza tra Cig e mobilità, sta nel fatto che mentre il lavoratore è in Cig continua a essere dipendente dell'azienda, e quindi può essere richiamato a lavorare in qualsiasi momento, mentre con la mobilità il lavoratore è licenziato a tutti gli effetti dal momento in cui questa scatta.

  • L'indennità di disoccupazione
  • L'istituto è previsto per fronteggiare i casi di disoccupazione prolungata. La durata di riferimento dell'intervento è di 180 giorni. L'importo dell'indennità è pari al 40% del salario percepito negli ultimi tre mesi di lavoro.

    Spesso questi strumenti vengono utilizzati in modo combinato per quei lavoratori che nel periodo di inattività maturano i requisiti per il pensionamento, per cui molto spesso questi vengono visti dai lavoratori come una forma di prepensionamento e pertanto accolti con favore. I problemi sorgono invece quando vengono presi di mira lavoratori relativamente giovani (soprattutto i quarantenni), per i quali le prospettive per un nuovo lavoro sono pressoché nulle e la pensione è ancora troppo lontana.


    Come si intende riformare il sistema esistente di ammortizzatori sociali

    Il governo non ha detto ancora chiaramente cosa intende fare in proposito; appare tuttavia abbastanza verosimile la volontà di andare lungo la linea dell'aumento dell'indennità di disoccupazione e parallelamente la messa in moto di meccanismi che consentano al lavoratore espulso il suo reinserimento rapido nel mondo del lavoro.
    Il tutto in una cornice di una vasta gamma di tipologie dei rapporti di lavoro: il Libro bianco di Maroni su cui abbiamo già scritto.

    Il punto di partenza è legato all'abolizione dell'articolo 18, che con ogni probabilità il Governo riuscirà a portare a termine vista la scelta, non dichiarata ma palese, dei dirigenti confederali di abbandono del terreno della lotta che ha visto il suo punto più alto nello sciopero generale del 16 aprile. Infatti ciò di cui ora parlano di dirigenti sindacali è di andare al referendum abrogativo, che rischia tra l'altro di essere fortemente depotenziato in quanto verrebbe utilizzato come referendum civetta per fare passare quelli sulle rogatorie e il conflitto di interessi (questioni queste che riscuotono scarsa audience tra i lavoratori, o non vengono vissuti come terreno dello scontro di classe).
    Pertanto se la lotta nelle piazze non dovesse riprendere vi saranno oggettivamente tutte le condizioni per una sonora sconfitta, e una volta modificato l'articolo 18 nei termini voluti dal Governo si creerà una situazione in cui il numero dei lavoratori che non avranno più la garanzia della giusta causa in caso di licenziamento sarà in crescente aumento nel tempo; pertanto saranno i sindacati stessi a chiedere il tavolo delle trattative sugli ammortizzatori sociali, ed è facile immaginare come tali modifiche "contrattate" verranno vendute ai lavoratori come "importanti risultati strappati alla controparte grazie alle poderose lotte messe in atto".
    Ecco quindi il senso delle ultime uscite di Maroni tese a sollecitare il Parlamento a fare in fretta nell'approvazione delle deleghe sul lavoro (leggi: articolo 18), ma nello stesso tempo anche la strada che le confederazioni stanno percorrendo per la definizione di una propria piattaforma sulla materia degli ammortizzatori sociali. Ma entriamo nel merito.

  • Indennità di disoccupazione
  • Come dicevamo la prima riforma, in ordine di importanza, che il Governo intende attuare è quella dell'aumento, sia in termini monetari che in termini temporali, dell'indennità di disoccupazione: si parla di portala al 60% del salario per una durata di un anno. Questo provvedimento assomiglia molto all'indennizzo (cambiato di nome), in caso di licenziamento, per cui con questo trucchetto è facile immaginare che sarà una cosa che i sindacati potrebbero accettare senza timore di perdere la faccia.
    C'è da sottolineare che su questa proposta i sindacati hanno già dichiarato il proprio consenso, e chiedono anzi che tale indennità venga estesa anche ai cosiddetti co.co.co.
    Per questa riforma il Governo parla già di cifre da stanziare, che però i sindacati hanno già fatto sapere di ritenere insufficienti: 750 milioni di euro contro il doppio preteso dai sindacati. È chiaro che alla fine ci sarà un'intesa, ma questo balletto delle cifre è lì a dimostrare che la trattativa è già iniziata.

  • Collocamento
  • Il secondo punto della riforma riguarda il collocamento. La riforma dei vecchi Uffici di Collocamento è già a uno stadio avanzato in quanto il collocamento pubblico è stato al centro di un profondo processo di cambiamento già a partire dal 1997. Oggi infatti gli Uffici di Collocamento si chiamano Centri per l'Impiego (Cpi) e hanno come finalità dichiarata quella di svolgere una funzione di vera e propria intermediazione attiva tra domanda e offerta di lavoro.
    In pratica la funzione che dovrebbero svolgere è quella di fare in modo che i lavoratori buttati fuori dalle fabbriche e dagli uffici vengano al più presto riutilizzati seppure a condizioni diverse (quelle del Libro Bianco di Maroni).
    Non esisteranno più le liste dei disoccupati, come pure non ci sarà più il libretto di lavoro che invece verrà sostituito da una scheda personale su cui si riporteranno le caratteristiche professionali del lavoratore.
    Le liste verranno sostituite da un elenco anagrafico che conterrà i dati del lavoratore e non esisterà più un criterio di precedenza nell'accesso a un posto di lavoro, che prima era dato dalla data di iscrizione. In pratica il padrone potrà scegliere chi vuole.
    I Cpi sottoporranno i disoccupati a interviste periodiche e proporranno agli stessi varie attività formative con scadenze precise (ogni tre/quattro mesi). Qualora il disoccupato dovesse rifiutare di aderire a queste iniziative perderà il suo stato di disoccupato e verrà cancellato dall'elenco (e perderà l'indennità di disoccupazione). Lo stato di disoccupato sarà perso anche quando il soggetto dovesse rifiutare proposte di lavoro di durata superiore agli otto mesi (quattro per i giovani), in caso invece di accettazione di un posto di durata inferiore, lo stato di disoccupato viene semplicemente sospeso.
    Infine se un lavoratore è stato licenziato da un'azienda all'interno di una procedura di tipo collettivo, e tale azienda dovesse procedere a nuove assunzioni, quel lavoratore avrà la precedenza su altri se l'assunzione dovesse venire nei primi sei mesi; questo termine prima era di un anno.
    Un elemento nuovo che verrà introdotto è la liberalizzazione del collocamento e la sua estensione anche ad agenzie private. In pratica, le agenzie interinali potranno a pieno titolo entrare in questo tipo di attività e entrare in concorrenza con le strutture pubbliche.
    È facile prevedere a questo punto la rapida scomparsa dei Cpi.
    Come si vede si tratta di una riforma tutta calibrata su un nuovo tipo di mercato del lavoro fatto di entrate e uscite rapide che abbisognano di materiale umano sempre pronto e disponibile a qualsiasi condizione e a qualsiasi esigenza dello sviluppo capitalistico nelle sue diverse vicissitudini che si vanno a determinare.

  • Cassa integrazione e mobilità
  • Per quanto riguarda la Cassa integrazione e la Mobilità non si dice praticamente nulla, pertanto supponiamo che questi istituti non cambieranno. Accadrà sicuramente che il ricorso a questi si ridurrà drasticamente e moriranno di morte naturale.
    Infatti possiamo immaginare il percorso del lavoratore espulso in questo modo: licenziato (senza giusta causa) in quanto esubero, indennità di disoccupazione, entrata nell'elenco del Cpi (o dell'agenzia di collocamento privata) , corsi di riqualificazione, entrata in posti di lavoro precari, ritorno allo stato di disoccupato, altro elenco, altri corsi, ecc.

  • Statuto dei lavori
  • La ciliegina sulla torta (che dovrebbe superare lo Statuto dei Lavoratori e con esso non solo l'articolo 18) di tutta questa manovra è il cosiddetto "Statuto dei Lavori". L'idea (su cui anche i sindacati convergono) è quella che parte dall'analisi secondo cui tutto il mondo del lavoro è cambiato e con esso la condizione dei lavoratori, che sempre in quantità inferiore sono nella situazione di avere un posto fisso. Quindi mentre in passato aveva un senso parlare di diritti universali di tutti i lavoratori (perché sostanzialmente era unica la condizione) oggi invece secondo i riformatori, sarebbe più giusto definire i livelli di diritti a cui i diversi lavoratori possono accedere a seconda della propria condizione lavorativa.
    Con lo statuto dei lavori si vuole in pratica dire quali sono i diritti di un interinale, quali quelli di un lavoratore con contratto a termine, quali quelli dei co.co.co., ecc. Una logica semplicemente aberrante che delinea un quadro generale in cui, invece di uniformare i diritti (come in maniera roboante Cofferati ha declamato sulle piazze d'Italia, e nelle proposte di riforma che ha avanzato nelle prime settimane di maggio), si andrà allo spezzettamento di questi, formando vere e proprie corporazioni di lavoratori forti e protetti e ampi settori di lavoratori deboli con livelli sempre più precari di diritti.

    Le elezioni amministrative del 26 maggio hanno però rallentando la manovra che il Governo cerca di portare avanti. Registriamo inoltre, la posizione cauta dell'area di centro della maggioranza che per bocca del ministro Buttiglione indica un'altra strada: "Se i sindacati non vogliono discutere di articolo 18, ne parleremo alla fine. Solo dopo la ripresa del confronto decideremo se per conseguire l'aumento dell'occupazione sia ancora necessario l'intervento sull'articolo 18 oppure no, o magari con forme diverse da quelle che avevamo pensato".
    Gli fa eco Rutelli che facendosi carico della rappresentanza dei lavoratori lancia un salvagente al Governo: "Il Governo faccia marcia indietro sull'articolo 18. Quella sull'articolo 18 è solo una battaglia di potere. Se verrà stralciato, noi per primi saremo disposti a discutere sugli altri temi: flessibilità, ammortizzatori sociali, politiche previdenziali".

    Insomma sembra evidente che il tutto sta rientrando in un canale pericolosissimo in cui la lotta dei lavoratori, nonostante la grande radicalità espressa nelle ultime settimane, è la grande assente, e la partita sembra andare nelle mani di chi intende giocarsela per avere un tornaconto sul piano dello scontro politico.
    Non che la battaglia parlamentare non debba essere condotta, come pure è giusto attivarsi per l'indizione dell'eventuale referendum, ma sarebbe sbagliato non capire e non vedere che ci sono le condizioni concrete per vincere questa battaglia sul piano dei rapporti di forza, e le piazze piene di gente in carne ed ossa sono lì a dimostrarlo.
    Una vittoria con lo strumento della lotta è il modo migliore per perseguire dei risultati (questi sì duraturi) anche sul piano politico.