La cessione di ramo d'azienda.
Scorpori,
fusioni, vendite, estenalizzazioni: cosa cè dietro questi processi
che portano i lavoratori a cambiare continuamente padrone? Di Duilio Felletti.
Ottobre 2002.
Il
processo di unificazione europea sta configurando, da una ventina d'anni a
questa parte, un quadro economico caratterizzato da una miriade di fusioni
tra aziende e scorpori e cessioni di rami di attività a favore di altri
soggetti, tantè che già nel 1977 e in seguito nel 1998
con due direttive la Comunità Europea si è posta il problema
di come tutelare i diritti dei lavoratori in particolare nel caso di cessione
da parte di un padrone ad un altro di un settore della sua attività,
Nel
1990 con larticolo 47 della legge 428 e una nuova formulazione dellarticolo
2112 del codice civile, anche in Italia si è cercato di dare attuazione
alla direttiva europea del 1977, e in seguito nel 2001 con un decreto legislativo,
precisando meglio i contenuti dellarticolo 47, si è voluto dare
attuazione alla direttiva del 1998. Da
dopo il 1998, comunque, tutti gli stati membri hanno cercato di dotarsi di
leggi quanto più possibile omogenee in materia, proprio per evitare
chi si andassero a creare in Europa delle aree geografiche dove era più
conveniente cedere rami di azienda a scapito di altre in cui invece mantenendo
più elevate rigidità la competitività ne sarebbe stata
compromessa. La
linea lungo cui le varie leggi si sono mosse stabilisce in sostanza che chi
acquisisce a qualunque titolo o perché lo affitta o perché lo
compra o con altro strumento, un azienda, un ramo dazienda, un attività
produttiva o un intero settore produttivo deve necessariamente acquisire o
mantenere inalterati i rapporti di lavoro con le maestranze che in quella
azienda erano in attività. Ma
al di la di come la legge si articola nello specifico, pensiamo sia il caso
di riflettere su questo fenomeno che in questi ultimi anni ha preso piede
un po ovunque e che molto spesso costituisce la scappatoia che i padroni
intraprendono per non dover affrontare direttamente le questioni legate alla
riduzione del personale. In
sostanza accade che un padrone che decide di non occuparsi più di una
determinata attività nellambito del suo processo produttivo non
debba più necessariamente ricorrere ai licenziamenti collettivi; oggi
solitamente la scelta che fa è quella di "esternalizzare"
o "terziarizare" o più semplicemente vendere un ramo di azienda
a un altro padrone il quale, eventualmente, si occuperà lui del lavoro
sporco dei tagli. Spesso
infatti vengono attuate delle false "cessioni di ramo dazienda"
(cessioni fatte a società controllate dal vendente) e queste costituiscono
un comodo strumento in mano ai padroni per procedere comunque, una volta isolata
larea, a licenziamenti collettivi e/o per operare una impressionante
segmentazione del processo produttivo (il famoso spezzatino) che consente
loro in ultima analisi un controllo più efficace della forza lavoro.
Ma,
tornando alla legge, dobbiamo comunque dire che questa in realtà rappresenta
uno strumento che in origine è stato pensato, a garanzia dei lavoratori. Infatti
nei principi generali del nostro ordinamento (ma non solo nel nostro) era
pacifico che nel momento in cui un padrone cedeva la sua azienda, in
tutto o in parte, andava da sé che anche tutti i contratti che regolavano
i rapporti di lavoro e di fornitura erano automaticamente di conseguenza sciolti. La
legge ora invece dice che chi compra un ramo dazienda si sostituisce
semplicemente allimprenditore precedente e quindi i rapporti di
lavoro non hanno nessuna soluzione di continuità, non hanno nessuna
interruzione. Ciò
nonostante accade spesso che in presenza di passaggio di proprietà
il padrone pretende le dimissioni dei propri dipendenti in cambio dellimpegno
del nuovo padrone per lassunzione. Queste operazioni che sono molto
frequenti in aziende più piccole, sono illegittime e il lavoratore
ha diritto al mantenimento di tutti i vantaggi che derivano ad esempio dalla
sua anzianità, i trattamenti normativi e i livelli retributivi. Ripetiamo
quindi che la norma di per sé non dovrebbe essere vista con sfavore. Ma
i lavoratori guardano invece, giustamente, con sfavore il fenomeno per il
quale sono costretti ad andare con nuovi padroni. Questo
perché molto spesso chi acquista è in realtà una società
completamente (o anche solo in parte) controllata dal vecchio imprenditore
e in ogni caso avvia finti procedimenti di ristrutturazione che comportano
cassa integrazione, mobilità e riduzione del personale. Basti
pensare a cosa è successo in Fiat negli ultimi 6/7 anni dove
con questo giochetto i vari stabilimenti sono stati alleggeriti di circa 9000
persone. Avviene
inoltre che mentre si procede alla cessione di presunti rami dazienda,
a casa del venditore si fanno assunzioni con contratto di formazione lavoro,
a termine o con rapporto di lavoro interinale o in altre forme di lavoro precario
(così ben descritte nel libro bianco di Maroni/Biagi) studiate apposta
per mantenere i lavoratori in prova a tempo indeterminato. È
così che vengono ceduti i lavoratori anziani, garantiti, sindacalizzati,
spesso con ridotte capacità lavorative, a soggetti che hanno più
facilità poi di disfarsene. E
fuor di dubbio infatti che i rapporti di forza sindacali sono diversi là
dove si è dipendenti di un impresa con 10.000 addetti piuttosto che
là dove si è dipendenti di unimpresa che nella migliore
delle ipotesi ne ha 200 o 300. Vi
è quindi questa grossa contraddizione per i lavoratori che si trovano
a dover difendere una legge che dovrebbe avere dei chiari connotati di garanzia
e che invece viene utilizzata per eliminare lavoratori, o per ridurre i diritti
degli stessi. Infatti
con la cessione dei ramo dazienda i padroni ottengono in pratica un
duplice risultato: da un lato una suddivisione dellorganizzazione produttiva
in aziende diverse, dallaltro lato il mantenimento di un forte, costante,
e diretto controllo dellazienda madre dominante sullintero processo
produttivo. Per
non parlare poi della creazione di reparti confino (Alfa Romeo, Fiat) costituiti
da capannoni inutili appositamente costruiti a 10-20-30 Km dallo
stabilimento principale dove vengono inviati per periodi anche prolungati,
a fare niente, i lavoratori destinati ad essere espulsi con questo strumento
della cessione dei rami dazienda. In
altri termini diremmo: i lavoratori vengono divisi, sottoposti a pulizia etnica,
per poter essere meglio sfruttati. La
spregiudicatezza padronale è arrivata perfino a spacciare per rami
dazienda, per poterli separare, anche segmenti dellattività
produttiva che logisticamente restano allinterno dellintero settore
produttivo. Ci
troviamo spesso nella situazione in cui i lavoratori non cambiano nulla nella
condizione lavorativa; lavorano sempre per lo stesso padrone, producono le
stesse cose e nello stesso posto. Di diverso cè semplicemente
che fra padrone e operaio si è andato a frapporre una terza persona
che agisce da vero e proprio intermediario di mano dopera: una specie
di caporalato che una legge del 1960 vieta espressamente. Cosa
può fare il lavoratore per difendersi? Innanzi
tutto bisogna capire se si è di fronte a una vera cessione o una cessione
mascherata; e già su questa questione è disarmante constatare
lappiattimento dei sindacati sulle logiche delle direzioni aziendali. Assistiamo
alla firma di accordi in cui vengono garantiti diritti ai lavoratori e quantaltro
senza nessuna base reale, ma mai nessuno che si sogni di mettere in discussione
la decisione della cessione e tanto meno la sua regolarità. Basterebbe
farsi la domanda: il settore che viene ceduto ha autonomia produttiva e/o
funzionale? Se
la risposta è sì si fa laccordo, altrimenti si lotta,
e si dice al lavoratore (e lo si sostiene) che è un suo preciso diritto
rifiutarsi di cambiare padrone. Se
è vero che lo schiavismo è stato abolito non si riesce a capire
per quale ragione una persona debba essere trattata alla stregua di una macchina
o di un qualsiasi mezzo di produzione, e quindi essere venduta. Inoltre
è nutritissima e rilevante la produzione di sentenze che vanno
nella direzione di individuare lautonomia produttiva, come requisito
imprescindibile, per definire un ramo di azienda e differenziarlo da un reparto
produttivo. Quando
si parla della capacità autonoma del ramo venduto, intendiamo la capacità
di fare produzione, acquistando materia prima e vendendo il prodotto da e
a chi vuole senza nessuna sorta di condizionamento. Ad
esempio: qualche anno fa la Fiat ha venduto le centrali termiche in vari stabilimenti.
La centrale termica sta al centro normalmente dello stabilimento. E
però molto probabile che, nonostante stia li al centro dello stabilimento,
la centrale termica sia effettivamente un ramo dazienda. Infatti: non
ha rapporti diretti con i reparti di produzione, produce energia elettrica
che certamente va alla produzione ma che astrattamente può anche cedere
a soggetti esterni. Quindi, niente da dire. Un
ragionamento diverso deve essere fatto per il servizio di movimentazione dei
materiali (per venire a un'altra grossa cessione che è stata fatta
in Fiat), cioè lattività di chi preleva materiali da reparti
di produzioni, li immagazzina oppure li trasporta su altre linee di produzioni.
Questo servizio si colloca allinterno di un processo che a monte e/o
a valle ha necessariamente attività dello stabilimento principale e
pertanto questa attività non può essere considerata un ramo
dazienda, perché essa verrebbe meno se venisse a mancare ciò
che cè a valle e a monte. Al
contrario, i trasporti esterni, quelli che effettuano coloro che portano il
camion e caricano i prodotti finiti ai clienti, sono unattività
che potrebbe essere anche svolta per altri . Probabilmente
è un ramo dazienda. Invece
in questo periodo stanno proliferando forzate vendite di settori produttivi
che non sono ramo dazienda. Ma
come dicevamo lappiattimento dei sindacati (sia quelli governativi che
quelli antigovernativi) sulle logiche padronali è sconcertante, pertanto
le uniche lotte di resistenza alle esternalizzazioni si sono svolte nelle
aule dei tribunali e purtroppo non sempre gli esisti sono stati quelli desiderati. Ma
al di là di queste considerazioni tecniche su cui comunque ritorneremo,
visto che il governo ha dichiarato, in fase si stesura del patto per lItalia,
di voler "migliorare" la normativa sulla cessione del ramo dazienda,
vi è da registrare un deciso cambiamento nelle dinamiche che in questi
ultimi anni hanno portato alla riduzione del personale nelle grosse e piccole
aziende. Infatti
le procedure di mobilità, dei licenziamenti collettivi per capirci,
che dopo lemanazione della legge 223 del 91 sullutilizzo degli
ammortizzatori sociali in caso di processi di ristrutturazione hanno avuto
unaccelerazione notevole, si è potuto verificare, dopo alcuni
anni, ed è un dato statistico, che le procedure di mobilità
erano e tuttora sono adottate principalmente da piccole e medie imprese. Le
grandi aziende praticamente non attuano quasi mai procedure di mobilità,
tranne quelle che sono volontarie o quelle ( anche lunghe) che accompagnano
alla pensione. Lo
strumento principe di cui le grandi aziende si stanno attrezzando a servirsi
per procedere ai veri licenziamenti collettivi è proprio la cessione
dei cosi detti rami dazienda Gli
esempi che finora si sono fin qui realizzati, dimostrano tutti quanti che
le aziende che hanno acquisito i cosi detti rami dazienda dopo alcuni
anni nella migliore delle ipotesi hanno dimezzato la forza lavoro occupata.
A
chi va in giro a dire "
che ve ne frega se sulla busta paga avete
intestazione Fiat piuttosto che Pinco Pallino o Tizio Caio " occorre
dire che se è vero che al momento della cessione vengono date delle
garanzie , resta da vedere cosa succederà dopo qualche anno. Lo
scenario possibile da non escludere è quello in cui lappalto
viene a cessare e lazienda madre finisce col decidere addirittura di
riprendersi le produzioni cedute utilizzando i giovani a Cfl che ritiene esuberanti
negli altri reparti, abbandonando i lavoratori precedentemente ceduti alla
ditta che se li è presi. La
morale non è quindi molto difficile da trarre: per quanto è
possibile e sulla base dei rapporti di forza che si è in grado di mettere
in campo i sindacati e le RSU hanno il dovere di respingere la manovra della
vendita di rami di azienda attaccandosi anche s tutti quei cavilli legali
che esistono ancora. Non
è vero che un padrone vale laltro e che in definitiva ciò
che conta è il mantenimento dei diritti acquisiti, perché se
così fosse non ci sarebbe nessuna ragione per esternalizzare e scorporare;
ciò che i padroni vogliono è proprio farla finita con tutti
i lacciuoli costituiti da conquiste di anni di lotta dei lavoratori, e la
strada che stanno percorrendo con la cessione di ramo dazienda ha proprio
questo obbiettivo.