Contro la logica del silenzio/assenso.
Facendo
leva sulla disinformazione e sulla non opposizione delle Confederazioni sindacali,
il Governo cerca di costringere i lavoratori a trasferire il TFR nelle tasche
delle compagnie che gestiscono i fondi pensione . Reds - Settembre 2005.
Pochi giorni fa, con l'annuncio di Maroni dello slittamento a settembre del decreto sul trasferimento del TFR ai Fondi pensione e dell'avvio della procedura del silenzio/assenso a gennaio 2006, si è aperta una fase importante e decisiva per tutti coloro che non intendono rassegnarsi a questo furto perpetrato ai danni dei lavoratori.
Per favorire la riuscita di questa operazione “silenzio assenso” è in atto una forte campagna mediatica fatta di mistificazioni e di una terminologia ad hoc, su cui , se non si fa chiarezza il rischio di essere fuorviati diventa estremamente concreto.
Si dice che: per recuperare il taglio delle pensioni pubbliche diviene necessario avviare la "seconda gamba" previdenziale costituita dai Fondi pensione e che il sacrificio del TFR è indispensabile per garantire ai futuri pensionati una pensione integrativa.
I
Fondi pensione però, a dispetto del nome, non erogano alcuna pensione.
I Fondi pensione accumulano semplicemente il capitale versato dai lavoratori
cercando di farlo fruttare anche attraverso speculazioni di borsa. Quando
un lavoratore va in pensione riceve dal Fondo pensione quel capitale accumulato
e nient'altro (anzi, ci paga le commissioni) così come avrebbe da qualunque
altra forma di risparmio gestita. Il lavoratore ha a questo punto la possibilità
di farsi spalmare quel capitale negli anni - sulla base della speranza di
vita ufficialmente accettata - avendo come unica rivalutazione possibile quella
prevista per un qualunque deposito bancario.
Questa operazione la si potrebbe fare, negli stessi identici termini, con
il TFR (sempre che il lavoratore non abbia dovuto impiegarlo a copertura di
periodi di disoccupazione).
E allora perché il lavoratore dovrebbe preferire ingrassare i Fondi
pensione?
Il TFR è certo ( se la ditta che lo ha accantonato fallisce lo eroga
l'apposito fondo istituito presso l'INPS), ha un rendimento garantito (1,5%
l'anno più il 75% dell'inflazione) e copre i lavoratori dai rischi
di perdita del lavoro.
I Fondi pensione sono soggetti ai rischi connessi alla svalutazione delle
monete, ai rischi di iperinflazione (tutt'altro che remoti nell'arco dei 40
anni di vita lavorativa di ogni persona), ai rischi di gestioni fallimentari
o truffaldine dei capitali nonché alle oscillazioni e alla volatilità
delle borse.
In pratica, nessun Fondo pensione può garantire al lavoratore che aderisce,
neanche la restituzione del capitale versato e nessun Fondo può ipotizzare
attese di rendimento tali da compensare - tolte le spese a carico del lavoratore
- i rischi a cui sottopone il capitale versato.
Perché un lavoratore dovrebbe allora preferire un Fondo pensione al
TFR?
Si dice che: al capitale nel Fondo pensione a favore del lavoratore concorrono anche i versamenti del datore di lavoro stabiliti nella contrattazione collettiva.
Affermazione
vera ma parziale: i versamenti che i datori di lavoro erogano nei Fondi pensione
rientrano nel costo del lavoro concordato in fase contrattuale, sono nella
voce costo del lavoro e lo sarebbero comunque se quei fondi finissero direttamente
in aumenti salariali o (perché no?), ad incremento dello stesso TFR
(quest'ultima sarebbe un'ipotesi particolarmente bene accetta dalla imprese
visto il suo utilizzo come forma di finanziamento agevolato).
Quindi, pompare i Fondi pensione o rimpinguare i salari dei lavoratori, anche
tramite un incremento del TFR è solo una scelta sociale e sindacale.
Ma ritorniamo sulla truffa del silenzio/assenso.
Dopo un qualche traccheggiamento soprattutto cigiellino rispetto alla troppo sfacciata proposta originaria del governo e della CISL di rendere obbligatorio il trasferimento delle liquidazioni (TFR) dei lavoratori all'interno dei fondi pensione, i confederali e Maroni hanno convenuto insieme sulla bella trovata del silenzio/assenso; per cui, se un lavoratore vorrà mantenere il proprio TFR, quindi restare nella situazione attuale, dovrà fare esplicite dichiarazioni al datore di lavoro e all'ente previdenziale di riferimento (INPS, INPDAP,...). Se non dichiarerà nulla è come se acconsentirà al trasferimento del proprio TFR su un fondo pensione.
È
evidente la portata dell'inganno e della truffa; si gioca sulla disinformazione,
sulla distrazione, sulla superficialità di tanti, per trasferire comodamente
milioni di liquidazioni nei fondi pensione.
Il silenzio/assenso è un grimaldello che viene utilizzato per far saltare
resistenze, perplessità e la, seppur non ancora pienamente esplicitata
opposizione alla controriforma delle pensioni di Berlusconi.
Questa
legge (L. 243/2004) è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il
6/10/2004; da quella data il governo ha avuto un anno di tempo per varare
i decreti attuativi, in particolare quello che regola i fondi pensioni e il
famigerato meccanismo del silenzio/assenso.
Dal momento del suo varo, i lavoratori avranno sei mesi di tempo per comunicare
all'azienda e all'ente previdenziale di appartenenza la propria scelta.
Sono stati già quantificati i finanziamenti per il decreto attuativo
(20 milioni di euro per il 2005; 200 milioni per il 2006; 500 milioni per
il 2007), che, non avendo trovato posto nella Finanziaria 2005, forse si pensa,
da parte del governo, di inserire nell'imminente decreto sulla competitività.
In gennaio Maroni, per accattivarsi le simpatie padronali, nella bozza di decreto aveva anche inserito la proposta di far scegliere direttamente ai datori di lavoro la destinazione del TFR del lavoratore che non avesse espressamente optato per un fondo di riferimento; in realtà il suo tentativo ha sortito l'effetto opposto, spingendo la Confindustria ad avvicinare sempre più le sue posizioni a quelle del sindacato; ciò si spiega sia per la necessità padronale di rafforzare i buoni rapporti recentemente ritrovati con CGIL-CISL-UIL, sia con l'interesse che la parte datoriale ha oggi (se proprio deve rinunciare ad utilizzare la liquidità del TFR dei lavoratori) a privilegiare, tra i fondi, quelli chiusi, in cui si troverebbe, sia pure in condominio con i sindacati, direttamente in cabina di regia.
Nonostante stiano cercando di fare in fretta, non riescono però a far andare al posto giusto tutte le tessere di questo mosaico. Non sono sicuri che i lavoratori ci cascheranno; non sono sicuri di rastrellare la massa finanziaria sufficiente a far partire in grande stile l'operazione.
Intanto i Sindacati e i padroni hanno pensato di mettere le mani avanti.
Cgil-Cisl-Uil-Ugl-Confindustria-Confcommercio-Confartigianato-Confapi,
nei mesi scorsi hanno raggiunto l'accordo per un avviso comune delle parti
sociali sulla previdenza complementare, subito inviato al governo, basato
essenzialmente su questi punti (come si ricava dal documento redatto in merito
dall'Assofondipensione):
a) rinvio alle parti sociali e quindi alla contrattazione per quel che riguarda
la gerarchia delle forme integrative cui destinare il TFR, trasformando la
non opzione del lavoratore "silente" in adesione al fondo chiuso
di categoria;
b) detassazione sul rendimento dei fondi chiusi e sulla loro portabilità
(vale a dire eguali facilitazioni fiscali garantite tramite contrattazione
nel caso di passaggio da un fondo all'altro in seguito al mutamento del posto
di lavoro e della posizione previdenziale del singolo lavoratore);
c) compensazioni adeguate per i datori di lavoro secondo le indicazioni contenute
nella legge delega (facilitazioni creditizie soprattutto per piccole e medie
aziende, riduzione del costo del lavoro tramite la fiscalizzazione degli oneri
sociali e magari anche con nuove forme di decontribuzione, eliminazione del
contributo al fondo di garanzia del TFR presso l'INPS);
d) estensione della previdenza integrativa a tutti i dipendenti pubblici.
Al di là delle divergenze tra sindacati/padroni da un lato e governo
dall'altro, il tentativo comune era quello di arrivare al varo del decreto
entro giugno, in modo da smaltire entro la fine dell'anno (i famosi 6 mesi
entro cui ci si deve pronunciare) la pratica del silenzio/assenso e rilanciare
alla grande con i fondi chiusi all'inizio del 2006.
CGIL-CISL-UIL e compagnia cantando non si sono posti minimamente il problema dell'antidemocraticità dell'attuale formulazione del silenzio/assenso, sostengono che tale meccanismo è perfettamente legittimo e garantisce ampiamente la facoltà di scelta dei lavoratori.
Costoro
dimenticano che, alcuni anni fa, la legge sulla donazione degli organi, aveva
originariamente stabilito che, in caso di silenzio da parte dell'interessato,
si procedesse, automaticamente, dopo la morte, all'espianto degli organi.
Allora bastarono alcuni opinionisti a sottolineare il pesante vizio antidemocratico
di quella legge incurante delle volontà dei singoli; ci fu un dibattito
a mezzo stampa e la legge fu cambiata, introducendo l'obbligo di un'esplicita
dichiarazione preventiva del singolo per procedere post mortem all'espianto.
Noi non possiamo assistere passivamente all'espianto delle nostre liquidazioni,
per cui dobbiamo far di tutto per far saltare questa formulazione truffaldina
del meccanismo del silenzio/assenso.
C’è poi la questione del Pubblico Impiego e della scuola.
Nel
Pubblico Impiego i fondi pensione sono ancora assenti, se si eccettua la recente
costituzione nel settore scuola di Espero. Le liquidazioni dei lavoratori
sono però calcolate in maniera diversa e con altri strumenti.
I dipendenti pubblici a tempo indeterminato assunti prima del 31/12/2000 sono
a regime TFS (Trattamento di Fine Servizio), quelli a tempo determinato assunti
a partire dal 30/5/2005 e quelli a tempo indeterminato assunti dopo il 31/12/2000
sono invece già adesso a regime TFR.
Si sono sviluppate a partire dal '95 una contrattazione ed una legislazione
di sostegno finalizzate ad armonizzare le regole fra settore pubblico e privato
e a creare le condizioni ottimali per la costituzione e lo sviluppo dei fondi
pensione.
La Legge 335/'95, la L. 449/'97, la L. 448/'98, l'Accordo Quadro Nazionale
tra Aran e CGIL-CISL-UIL del luglio '99, il DPCM del 20 dicembre '99 costituiscono
alcune tra le principali fonti normative e pattizie che hanno istituito il
TFR per i nuovi assunti e consentono la possibilità di trasformare
il TFS in TFR solo se però contestualmente si aderisce ad un fondo
pensione. Il termine per quest'ultima opzione è stato via via spostato
contrattualmente; ora è stato fissato al 31/12/2005, ma nulla toglie
che possa slittare ancora.
Per i dipendenti pubblici il TFS equivale a circa l'80% della media dell'ultimo
anno di stipendio moltiplicato per gli anni di servizio. Il TFS non è
salario differito (come il TFR), bensì salario previdenziale istituito
per legge, gode di un trattamento fiscale più favorevole (solo il 40%
del TFS è tassato) rispetto al TFR.
Ora non è il caso di innescare una querelle infinita, tendente a dimostrare
che il TFS sia economicamente più conveniente del TFR, perché
molto dipende dal trend dell'inflazione.
Ma per tutti i dipendenti a regime TFS conviene mantenere tale forma di liquidazione,
perché, qualora oggi optino per il TFR, automaticamente si troverebbero
in un fondo pensione (infatti non è possibile scegliere il TFR senza
aderire ad un fondo pensione).
Diverso è il caso dei neoassunti, che oggi già sono a regime
TFR; essi a tuttora non sono vincolati ai fondi pensione, almeno finchè
non scatterà il meccanismo del silenzio/assenso.
Le
quote da prelevare sul TFR e versare ai fondi potrebbero variare in seguito
a sopravvenuti accordi in sede contrattuale. Al momento attuale non è
ancora del tutto chiaro se, all'atto dell'eventuale entrata in vigore del
meccanismo del silenzio/assenso, tutto il TFR maturando dei vecchi assunti
passerà ai fondi pensione.
Devono ancora sciogliersi alcuni problemi di carattere giuridico per armonizzare
la disciplina del trasferimento del TFR ai fondi già nei fatti definita
per il settore privato con quella del settore pubblico. Se si applicasse subito
la stessa regola del silenzio/assenso del settore privato al settore pubblico
ed in particolare ai dipendenti in regime TFS, cosa ne sarebbe del TFS?
Un conto è dire da oggi che chi non dichiara nulla vede il suo TFR
trasferirsi al fondo pensione; ma chi invece ha il TFS e non dichiara nulla,
come fa il TFS a trasformarsi in TFR?
E' chiaro, specie dopo lo scempio del silenzio/assenso, che lor signori la
gabola tecnica sono in grado di trovarla, ma intanto devono farlo.
Le
nostre indicazioni non possono che essere semplici e chiare: per chi è
in regime TFS mantenerselo stretto altrimenti si va a finire dritti nei fondi
pensione.
Anche per chi è in regime TFR -quei neoassunti verso cui più
martellante è la campagna della previdenza complementare- non optare
per i fondi, non farsi infinocchiare dalle mirabolanti promesse di un'altra
pensione che sostituisce la parte amputata a quella pubblica; perché
nulla è certo, anzi no, l'unica cosa certa è che si ritroveranno
con una pensione pubblica miserabile e senza TFR; in quanto poi alla pensione
integrativa è stato calcolato che, per arrivare a 900 euro mensili,
occorre, a inflazione ferma, versare qualcosa come 5.000 euro all'anno e con
gli stipendi e i salari attuali per i più giovani è come chieder
loro la luna.
Intanto
con grande battage pubblicitario nelle scuole è diventato operativo
il fondo Espero sostenuto da CGIL-CISL-UIL-SNALS-GILDA-ANP (Associazione Nazionale
Presidi), tutte insieme appassionatamente, quando si tratta di lucrare sui
soldi dei lavoratori.
Per Espero valgono più o meno le stesse regole dei fondi del settore
privato: l'adesione è libera, come è libera la recessione...
ma prima di cinque anni d'iscrizione non puoi recedere; dopo otto anni di
iscrizione puoi chiedere l'anticipo di una parte di quanto maturato per sostenere
spese importanti (acquisto prima casa, particolari cure mediche,...) debitamente
documentate.
Nella scuola sperimentano le probabilità di successo, per poi estendere
il fondo a tutto il settore pubblico; ecco perché a partire dalla scuola
è importante organizzare la resistenza.
Concludendo.
E utile quindi ribadire con forza che non bisogna aderire a nessun fondo pensione
e da gennaio far partire gia' la lettera per pronunciarsi sfavorevolmente
alla adesione del fondo.
Bisogna scendere in campo e attivarsi per informare quanti piu' lavoratori
e' possibile e portare a fallimento questa sciagurata proposta ai danni dei
lavoratori.
Non c'è una sola ragione che giustifichi la rinuncia del TFR da parte
dei lavoratori: non è certo attraverso il sistema dei Fondi pensione
e della speculazione finanziaria (che non produce ricchezza ma semplicemente
la ridistribuisce verso l'alto) che si garantisce una pensione adeguata ai
futuri pensionati.
L'unica strada percorribile è quella di una nuova previdenza pubblica
che si finanzi con quel sistema a ripartizione fondato sulla solidarietà
tra le generazioni che non si regge, come hanno tentato e ci hanno fatto credere
negli ultimi quindici anni, sul denaro, ma sul lavoro e sulla capacità
di questi di produrre ricchezza e benessere sociale.
Di questo e su questo i lavoratori devono interrogarsi nelle prossime settimane
e nei prossimi mesi se vogliono realmente vincere questa battaglia.