IL PROTOCOLLO SUL WELFARE DEL 23 LUGLIO

Alcune considerazioni ed elementi di riflessione per andare al referendum sindacale con maggiore consapevolezza, e per comprendere meglio il dibattito politico in corso.
Di Duilio Felletti. Reds – Ottobre 2007


Il protocollo sul welfare, concordato tra governo e sindacati confederali il 23 luglio, entro dicembre 2007 dovrà essere approvato dal parlamento per essere trasformato in legge.
Nei primi dieci giorni di ottobre i sindacati sottoporranno l’accordo al giudizio dei lavoratori e dei pensionati con un referendum.
Se la maggioranza esprimerà un voto positivo, il Governo procederà nei passaggi successivi in sede politica.
I sindacati confederali si sono attivati per fare in modo che i lavoratori e i pensionati possano esprimere il loro voto avendo le necessarie informazioni sui contenuti del protocollo, e ovviamente invitano a votare sì.
Vi sono tuttavia i sindacati di base e la Fiom che, non condividendone i contenuti, invitano i lavoratori a votare no.
È chiaro che, se il risultato referendario sarà contrario alle aspetattive dei sindacati, le ripercussioni sul piano politico saranno pesanti.
Nei giorni immediatamente successivi ci saranno altri due eventi: la consultazione popolare che porterà alla nascita a tutti gli effetti del Partito Democratico (con conseguente e prevedibile indebolimento della figura del presidente del consiglio in carica) e la manifestazione nazionale indetta dalla sinistra dell’Unione che si è data l’obbiettivo di dare forza alla battaglia parlamentare per la modifica radicale del protocollo del 23 luglio.
Un mese di ottobre indubbiamente caldo che vedrà settori importanti di popolo essere protagonisti.
È prevedibile anche che assiteremo all’acuirsi degli scontri interni ai sindacati (in particolare la Cgil), interni al nascente PD, e interni alla compagine governativa.
In questo contesto è quanto mai necessario per i lavoratori non perdere di vista i contenuti su cui il dibattito e gli scontri di ottobre verteranno, giusto aver ben chiaro quali sono gli interessi in gioco e da che parte stare.
È già molto il materiale che in questi giorni è stato messo in circolazione per spiegare i contenuti del protocollo sul welfare, per cui con questo pezzo si vuole semplicemente, e modestamente, indicare gli elementi fondamentali su cui a nostro avviso la sinistra politica e sindacale dovrebbe, con tutti i mezzi a disposizione, sviluppare la necessaria opposizione.
Il protocollo in questione è suddiviso in 4 parti in cui si affrontano 4 tematiche diverse ma tra loro fortemente legate, in quanto rivolte a dare maggiore competitività al sistema economico e produttivo nazionale.

Il punto della previdenza.

Si parte dall’incremento delle pensioni basse. Nel 2007 l’aumento arriverà in un’unica soluzione a novembre o con la tredicesima e oscillerà tra i 262 e i 392 €. Gli aumenti medi saranno di 33€ al mese.
Si prosegue con interventi volti a garantire la copertura contributiva figurativa per i lavoratori precari, nei periodi di disoccupazione temporanea (tra un lavoro e l’altro), per arrivare a un meccanismo di revisione dei coefficienti per il calcolo della pensione, al fine di garantire agli attuali giovani, nel 2030, pensioni pari al 60% degli ultimi salari.
Lo scalone di Maroni non viene abbattuto, ma viene sostituito da un meccanismo di aumento graduale dell’età pensionabile nell’arco di 4 anni che alla fine produrrà il medesimo effetto.
Dal 2008 si va in pensione con 35 di contributi se si hanno 58 anni di età; nel 2009/2010 occorreranno 36 anni di contributi e 59 anni di età; e così a salire fino ad arrivare alla fine del 2012 nella situazione prevista dalla legge Maroni.
In buona sostanza i lavoratori che nel 2007 si sono trovati nella condizione di essere vicini ai requisiti per la pensione di anzianità non avranno nessun beneficio dalla riforma proposta dal governo Prodi.
Non viene modificato il diritto alla pensione dopo 40 anni di lavoro fissato dalla riforma Dini del 1995 (che neanche Maroni si è sognato di andare a intaccare) ma che, è bene non dimenticare, prima era di 35 anni.
Vi è anche un peggioramento della pensione di vecchiaia visto che sono state introdotte due finestre di uscita. Vale a dire che il lavoratore che raggiungerà il requisito anagrafico dovrà aspettare qualche mese ancora prima di andare in pensione.
Che dire?
La volontà evidente di chi ha pensato questo provvedimento è quella di trattenere di più il lavoratore in fabbrica o negli uffici. Le ragioni addotte sono di vario tipo, e ruotano tutte attorno alla questione della mancanza di fondi dell’Inps per pagare le pensioni.
Mancanza che deriverebbe da una riduzione della massa di lavoratori in forza, dalla forte presenza di lavoro nero con conseguente evasione dei contributi da parte dei padroni, e per finire dall’allungamento della vita dei pensionati (insomma, crepano troppo tardi).
Si tratta di ragioni incostenti e che potrebbero essere risolte semplicemente favorendo nuova occupazione regolare rendendo inlegale il lavoro precario, esercitando un maggiore controllo sugli straordinari e portando a fondo la lotta al lavoro nero. E che dire dello squallore insito nella proposta di far lavorare di più un lavoratore semplicemente perché si presume che non morirà molto presto? E poi perché non si rendono noti gli indici di “morienza” (si dice così?) suddivisi per classi sociali? E come vengono calcolati i 4 morti al giorno sui luoghi di lavoro? Le loro età entrano nella media?
La verità è che con questo provvedimento il Governo ha voluto operare un risparmio di cassa per l’Inps con l’obbiettivo di ridurre le entrate e creare le condizioni materiali affinchè i padroni possano pagare meno contributi e ridurre di conseguenza il costo del lavoro per essere più competitivi.
Un provvedimento insomma, come quelli che lo hanno preceduto, in ossequio agli interessi del capitale.
Gli zuccherini mascherati di aumenti alle pensioni basse, e dati nel 2007 in un’unica soluzione per farli sembrare tanti, servono solamente a garantire un consenso al provvedimento da parte di questo settore di popolazione che storicamente viene sempre tirato in ballo solo nei momenti di difficoltà dei governi. E questo non è un bellissimo momento per il governo Prodi.

Il punto degli ammortizzatori sociali
Si migliora l’indennità di disoccupazione, (e a questo fine il governo metterà sul tavolo 700 milioni provenienti dall’extragettito) ma, grazie al peggioramento della cassa integrazione che, annuncia il protocollo, nel futuro potrà essere trattata come l’indennità di mobilità, sarà più facile licenziare.
Infatti il lavoratore in cig che dovesse rifiutare un’occupazione qualsiasi, anche a 50 km. dal suo posto di lavoro, rischierà seriamente di perdere la cassa integrazione.
Molto curiosa la proposta di elargire un prestito a tasso agevolato al giovane precario che perde il posto di lavoro. Invece di garantire i più elementari diritti si è pensato a questa forma di indennizzo, ovviamente da restituire, magari mentre si è ancora disoccupati.
Ancora una volta, invece di andare verso una politica di stabilizzazione del rapporto di lavoro (così come Prodi aveva promesso in campagna elettorale) si approvano provvedimenti tutti interni alla logica del lavoro precario. Si vuole cioè che, attraverso ammortizzatori sociali adeguati, il lavoratore possa accettare con il sorriso sulla bocca i continui stop and go nel rapporto di lavoro. Davvero non male come prospettiva.

Il punto sul mercato del lavoro.
Ognuno di noi si sarebbe aspettato che le leggi Biagi e Treu venissero abolite, così come hanno sostenuto alcuni deputati, con la mente non ancora offuscata dalla sbornia del potere, i quali hanno sostenuto che, otre che avere reso stabile la precarietà, queste leggi sono tra le cause delle continue morti sul lavoro.
Invece rieccole qui risistemate e rimesse in pista per essere meglio utilizzate da lorsignori.
La sintesi fatta dal presidente della Confindustria Luca di Montezzemolo è più efficace di qualsasi commento: “La legge Biagi viene completata con migliori ammortizzatori sociali, come avevamo più volte sollecitato in passato, e confermata in tutti i suoi istituti con la sola eccezione del lavoro a chiamata.”
E così i co.co.co continueranno ad esistere, anche se oggi li chiamano lavoratori a progetto. L’unica promessa che il governo rivolge a questi precari è che si proseguirà nelle azioni rivolte a limitarne gli abusi, senza precisare nulla di più.
Come pure lo “staff leasing” (che è la condizione di lavoro interinale a tempo indeterminato), considerata una delle forme contrattuali più precarizzanti, verrà rivista nell’ambito di una apposita commissione, e pertanto nel frattempo resta operativa.
Per i contratti a termine nei fatti non cambia nulla.
Si dice che dopo 36 mesi che un lavoratore ha operato con il ricatto del rinnovo di vari contratti a termine, superata questa soglia, ogni eventuale rinnovo dovrà essere stipulato presso la Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio. Nel caso in cui non si dovesse seguire questa prassi, il nuovo contratto verrà considerato a tempo indeterminato. Che tradotto in italiano significa che, nel caso in cui questa prassi venisse seguita, i contratti a termine potranno continuare all’infinito.
Davvero geniale! Piuttosto che porre un freno a questo scempio, si indica il modo per poter proseguire come se niente fosse.
Non è stata nemmeno presa in considerazione la richiesta della Cgil, che premeva affinchè fossero imposte alle aziende delle causali per giustificare l’assunzione a termine.
La linea governativa e dunque molto chiara. Quando parlano di creare nel contesto economico e sociale le condizioni per lo sviluppo, Prodi e i suoi amici intendono dire che i lavoratori devono rassegnarsi all’idea che il loro posto di lavoro non deve essere inteso come qulacosa di stabile, ma deve avere caratteristice di flessibilità/precarietà che consenta ai padroni di meglio utilizzare la forza lavoro disponibile per uno sviluppo (appunto) più spinto.
Il governo e i sindacati si sforzano semplicemente di fare in modo che all’interno di questa logica non si verifichino degli abusi inaccettabili.
La tanto sbandierata (anche da sinistra) lotta contro la precarietà, è in realta una lotta contro gli abusi di precarietà.
Insomma, tutti sono più o meno d’accordo che un po’ di precarietà e flessibilità alla fine male non fanno.

Il punto sulla competitività
Si stanziano soldi per le imprese, per incentivare la contrattazione integrativa. “il governo stanzierà nella prossima legge finanziaria un importo paria 150 milioni di euro per il 2008 per detassare una quota delle risorse contrattate per i premi di risultato”. In particolare cresce dall’attuale 3% al 5% la quota di salario di secondo livello ammessa agli sgravi contributivi. Le imprese riceveranno uno sgravio nella misura fissa del 25%, mentre i lavoratori, ai fini pensionistici, potranno comunque contare su un meccanismo che garantisce contributi figurativi.
Cosa accadrà?
Accadrà che gli aumenti salariali che i lavoratori conquisteranno con la contrattazione aziendale non saranno (per una quota del 5%) gravati da contributi previdenziali, come pure i padroni, sempre su quei soldi pagheranno il 25% in meno di contributi.
Precisiamo che stiamo parlando solo della parte salariale che non viene riconosciuta ai lavoratori in quantità fissa, ma di quella parte che è legata ai volumi produttivi: quei soldi che chiamano “premio di risultato”, “salario per obbiettivi” , quei soldi che oggi ci sono ma domani potrebbero non esserci.
Accadranno quindi due cose:
1° - che pur in presenza di una massa salariale circolante che aumenterà non aumenterà in proporzione la quantità di contributi nelle casse dell’Inps, con conseguente meno disponibilità dell’ente di fondi per il pagamento delle pensioni
2° - che poiché le pensioni degli attuali giovani saranno calcolate con il sistema contributivo, i contributi figurativi non determineranno un aumento della pensione
E dal punto di vista delle politiche contrattuali, questo provvedimento rappresenta un forte incentivo per i padroni a voler preferire la contrattazione aziendale, una contrattazione che, come abbiamo già argomentato altre volte, non unisce la classe lavoratrice nel suo insieme, ma tende a distribuire salario solo ai settori più forti con conseguente isolamento di quelli più deboli la cui unica risorsa resta il contratto nazionale.
Anche sul salario derivante da prestazioni straordinarie vi sarà una riduzione del prelievo per contributi, anche questo con grave danno per l’Inps da una parte e un prevedibile aumento dell’orario di lavoro, a danno della salute e dell’occupazione dall’altra.

Alcune conclusioni
Grazie alle pressioni (se così vogliamo chiamarle) della sinistra di governo questo protocollo non fa parte dei contenuti della finanziaria 2008, ma sarà inserito non appena si conosceranno i risultati del referndum che i sindacati hanno organizzato nei giorni 8, 9 e 10 ottobre, dove, si dice il sì vincerà a mani basse.
È chiaro quindi che solo un voto contrario proveniente dal basso può gettare scompiglio nei propositi governativi e dei sindacati filogovernativi.
Forse non servirà, forse i meccanismi della consultazione sindacale faranno si che alla fine il voto sia quello voluto; è un fatto però che questa è una opportunità in mano ai lavoratori che sarebbe sciocco non utilizzare anche semplicemente per dire la propria.
Sul piano della lotta politica, nonostante il punto peggiore di questo protocollo sia quello sull’innalzamento dell’età pensionabile, vediamo che gli obbiettivi che la sinistra (comunista e non) mostra di voler perseguire si sono spostati sulla questione della precarietà. La stessa manifestazione del 20 ottobre ha al centro la lotta contro la precarietà. Non sarà contro il Governo, ma sarà a sostegno dell’azione delle forze di sinistra in parlamento per la modifica del protocollo.
E’ certo qundi che la sinistra non intende arrivare allo scontro duro nel governo, e si limita a dire che il provvedimento così com’è non avrà il suo voto favorevole (dicono: “non lo voteremo”), il che non vuol dire che voteranno contro.
Infatti sulla questione delle pensioni il prc e il pdci si sono dovuti socontrare con verdi e sd i quali hanno dato un giudizio positivo sull’intesa del 23 luglio.
Sembra che, vista la situazione, vogliano più che altro sperimentare quanto siano capaci di stare insieme come fatto in sé, più che vedere se il loro stare insieme sia utile per sostenere meglio dei contenuti precisi.
Complessivamente quindi la posizione della sinistra appare molto debole e terribilmente infangata in discussioni interne che hanno poco a che vedere con le giuste istanze del popolo lavoratore.
Sul piano politico e sul piano sindacale, tranne importanti eccezioni (come la Fiom) non sembrano esserci sponde in difesa dei lavoratori, le donne, i giovani e i pensionati. Vi sono solo degli spazi (referendum, manifestazione del 20, ma anche per certi aspetti, le primarie del pd) che, chi li ha voluti, auspica dei risultati a conferma della giustezza delle proprie scelte e delle proprie meschinità. Sarebbe davvero bello e giusto riuscire a ribaltargliele contro…
pensione