Produttività: le imprese
si sono prese tutta la torta
Dossier
presentato alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati il 9 luglio 2008
dal Partito della Rifondazione Comunista . Tratto da "Liberazione".
Reds - Agosto 2008
Dal 1993 ad oggi a fronte di un'inflazione media annua del
3,2%, le retribuzioni contrattuali sono cresciute in media solo del 2,7%. Per noi il contratto nazionale di lavoro: Per noi la politica fiscale:
C'è uno scarto tra inflazione programmata e reale e, quindi, una perdita
secca del potere d'acquisto dei salari.
Calcolo della perdita cumulata del potere d'acquisto tra il 2002 e
il 2007
I confronti internazionali
La bassa crescita delle retribuzioni in Italia si rende ancora più
evidente se confrontata con quella dei maggiori paesi europei. Dal 1998 al
2006, cioè nel periodo dell'ingresso nell'Area-euro, le retribuzioni
di fatto reali nel nostro paese sono rimaste sostanzialmente stabili, mentre
negli altri paesi si registravano tassi di crescita nettamente superiori:
il 10% in media nell'area dell'euro, oltre il 15% in Francia e nel Regno Unito,
il 5% in Germania, nonostante il sostanziale congelamento salariale degli
anni 2000.
Retribuzioni Lorde di fatto Reali- Industria manifatturiera - Valuta Nazionale
(deflazionate con il Deflatore dei Consumi Privati)
I giovani
Ad aggravare la questione salariale e ad abbassare il livello delle retribuzioni
medie e del loro tasso di crescita c'è la questione giovanile. Proprio
su quest'ultimo tema le nostre rilevazioni ci dicono che:
a) un apprendista, in età compresa tra i 15 e i 24 anni, guadagna mediamente
737 euro netti mensili;
b) un collaboratore occasionale, in età compresa tra i 15 e i 34 anni,
guadagna mediamente 769 euro netti mensili;
c) un co.co.pro. o co.co.co, in età compresa tra i 15 e i 34 anni,
guadagna mediamente 899 euro netti mensili.
Anche secondo le ultime rilevazioni Istat, 1 milione 678mila giovani, in età
compresa tra i 18 e i 34 anni (13,7%) sono poveri.
Se il giovane è capofamiglia o coniuge, è in condizione di povertà
relativa il 12,9%; il 45,8% se vive in coppia con tre o più figli.
Le giovani coppie con figli a carico hanno un reddito medio annuo lordo di
26.540 euro, ma nel 32% dei casi si collocano nel primo quinto della distribuzione
dei redditi (meno di 10mila euro). Il 41,3% delle coppie giovani senza figli,
con un solo reddito, appartiene al primo quinto della distribuzione del reddito
(meno di 10mila euro).
Le nuove disuguaglianze
Divisione della produttività tra salari e profitti
Nel periodo 1993-2006, su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività
in Italia, in termini reali, al lavoro sono andati solo 2,2, cioè secondo
dati Istat il 13% della produttività è andato al lavoro e l'87%
alle imprese.
Nell'industria in senso stretto, cioè nelle grandi e medie imprese
del campione Mediobanca, i profitti netti per dipendente (redditività
operativa + redditività finanziaria ordinaria, al netto delle imposte)
nel periodo 1995 (indice 100) - 2006 hanno avuto la seguente evoluzione:
variazione media annua dei profitti netti per dipendente = + 8,1%
variazione media annua retribuzioni per dipendente = + 0,4 %
Nelle 1400 grandi imprese dell'industria del campione Mediobanca, dal 1995
al 2006, i profitti hanno registrato un + 89,5%, mentre, sempre nello stesso
periodo i salari hanno registrato un + 4,8%.
Paga mensile netta
SETTORE METALMECCANICO (INDUSTRIA)
OPERAIO 3°LIVELLO 13.204,18 : 13 = 1015,70
IMPIEGATO 5° LIVELLO 14.385,64 : 13 = 1106,58
SETTORE COMMERCIO
OPERAIO 5° LIVELLO 13.584,42 : 13 = 1044,95
IMPIEGATO 3° LIVELLO 15.470 : 13 = 1.190,00
SETTORE DELLA SCUOLA
ASSISTENTE AMMINISTRATIVO CON ANZIANITÀ DA 9 A 14 ANNI 13.896,6 : 13
= 1.068,96
DOCENTE DIPLOMATO ISTITUTO SECONDARIO II GRADO CON ANZIANITÀ DA 9 A
14 ANNI 16.362,4 : 12 = 1.363,5
SETTORE SANITA' PUBBLICA
OPERATORE TECNICO ASSISTENZIALE 13.482,39 : 13 = 1.037,10
ASSISTENTE TECNICO 15.097,3 : 13 = 1.161,33
Salari al nordi e al sud del paese
Nel dibattito odierno è tornata prepotentemente in auge la questione
della gabbie salariali.
Le gabbie salariali erano il meccanismo vigente in Italia fino al 1969, che
differenziava i livelli salariali, su base regionale, rendendoli minori al
Sud rispetto al Nord, sulla base del concetto per cui, con mercati locali
dei beni e dei servizi ancora relativamente poco integrati, il costo della
vita fosse più basso al Sud, e che a questo dovesse corrispondere un
minore livello salariale nominale. Nel 1969 le gabbie salariali vennero abolite.
C'è un dato che non si può negare: grazie all'azione della contrattazione
di secondo livello - presente al Nord e quasi del tutto assente al Sud - i
salari odierni restano sensibilmente differenziati. I dati dell'Istat indicano
che il costo del lavoro per dipendente nell'industria in senso stretto nel
Mezzogiorno è circa l'81% del valore del Centro-Nord.
C'è chi sostiene, però, che anche i prezzi sono decisamente
diversi tra il Nord e il Sud del paese.
Questa affermazione viene smentita sempre dall'Istat, secondo cui la variazione
dei prezzi nelle città mostra che la dinamica inflattiva nell'ultimo
decennio (dati febbraio 2008, base 1998=100) è stata molto omogenea
nel paese. Questo dice chiaramente che le variazioni sono del tutto simili;
anzi, se l'indice Italia è 123,4, a Napoli è 126,2 (seconda
dopo Torino) e a Firenze 119,6 (ultima).
Il 28 maggio 2008 è stato presentato il rapporto annuale dell'Istat,
da cui emerge che il reddito pro capite dei cittadini italiani è crollato
del 13% rispetto ai paesi dell'Unione Europea e la disparità dei redditi
tocca picchi che non hanno eguali in Europa.
Sempre secondo l'Istituto di ricerca, il 28% dei nuclei familiari non riesce
a far fronte ad una spesa imprevista, il 66,1% non è in grado di risparmiare,
il 34,7% ha seri problemi a far quadrare il bilancio domestico.
Su questo quadro inquietante intervengono pesantemente le rate dei muti che
arrivano ad incidere sul bilancio in media 559 euro (il 19,2% contro il 16%
dello scorso anno).
Anche il rapporto annuale dell'Istat disegna un paese diviso in due: il reddito
medio mensile delle famiglie italiane è di 2.513 euro al Nord, di 2.458
euro al centro, di 1.921 euro al Sud.
Anche per questo assistiamo oggi a una massiccia nuova immigrazione
dal Sud al Nord del paese.
Il 10 luglio del 2007, l'Ansa descrive così il Rapporto Svimez sull'economia
del Mezzogiorno: « L'emigrazione dal Sud torna ai livelli degli anni
60. Lo rileva il rapporto annuale Svimez indicando che "nel 2004, in
base agli ultimi dati disponibili, sono stati circa 270mila i trasferimenti
dal Sud al Nord (stabili 120mila e temporanei 150mila)". "Numeri
molto elevati, se si pensa che negli anni di massima intensità migratoria
1961-63 la quota raggiunse i 295mila".
Dati che preoccupano anche perché "la prevalente emigrazione di
giovani meridionali scolarizzati, inoltre, depaupera ulteriormente le possibilità
di sviluppo dell'area". Sono invece "stabili i trasferimenti Nord-Sud,
fermi intorno alle 60mila unità e poco sensibili all'evoluzione dell'economia".
Lombardia, Emilia Romagna e Lazio, si legge nel rapporto Svimez, "restano
le tre regioni preferite dai nuovi emigranti. L'emigrato tipo ha tra i 25-29
anni , quasi la metà ha un titolo di studio medio-alto (diploma superiore
il 36,3% e laurea il 13,1%)".
Hanno lasciato
la Campania in 38mila,
la Sicilia in 28,6mila,
la Puglia in 21,5mila,
la Calabria in 17,8mila.
Tanti, circa 151mila, anche "i pendolari di lungo raggio che nel 2006
si sono spostati dalle aree d'origine.
Circa il 60% ha meno di 35 anni.
Nel 50% dei casi i pendolari svolgono al Centro-Nord professioni di livello
elevato e nel 38% mansioni di livello intermedio, a conferma del fatto che
il sistema produttivo meridionale si conferma incapace ad assorbire l'offerta
di lavoro più qualificata". »
2008: 8 milioni di lavoratori con il contratto scaduto
All'inizio del 2008 i lavoratori senza contratto erano circa 10 milioni. Ad
oggi, dopo la sigla del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici (1,5
milioni di dipendenti) dei lavoratori del settore gas e luce, degli edili,
dei tessili i contratti scaduti interessano circa 8 milioni di dipendenti.
Le categorie che hanno firmato il contratto hanno avuto un aumento medio a
regime di circa 100 euro lordi (ad eccezione del credito). Tolte le trattenute
fiscali e i contributi previdenziali, gli aumenti netti sono di circa 65 euro
mensili, scaglionati in più tranches.
E' evidente che si tratta di incrementi assolutamente inadeguati a recuperare
il potere d'acquisto dei salari.
C'è poi un problema che riguarda il ritardo a volte clamoroso con cui
spesso si rinnovano i contratti, sia nel pubblico che nel privato (è
significativo l'esempio del contratto dei lavoratori del settore tessile artigiano,
scaduto nel 2000 e rinnovato otto anni dopo).
Per questo è indispensabile che gli aumenti salariali vengano calcolati
a partire dal giorno successivo la data di scadenza del contratto (indipendentemente
da quando viene rinnovato) e che vengano stabiliti sulla base di indici che
consentano il recupero del potere d'acquisto dei salari e prevedano la redistribuzione
di una parte della ricchezza prodotta.
E' il contrario di ciò che propone Confindustria, che mira a ridurre
il salario contrattato a livello nazionale generando un gigantesco problema
sociale.
La contrattazione di secondo livello
La struttura contrattuale disegnata dall'accordo del 23 luglio 1993 assegna
un ruolo potenzialmente rilevante, anche per la determinazione del salario,
alla contrattazione di secondo livello.
Purtroppo, però, la stragrande maggioranza dei lavoratori beneficia
solo del contratto nazionale.
Questo dipende in parte dalla classe dimensionale della imprese italiane.
Il 95% delle aziende, infatti, ha tra 1 e 9 addetti: in queste realtà
non esiste contrattazione di secondo livello.
Sulla diffusione della contrattazione aziendale le informazioni sono scarse
e frammentate, non esistono rilevazioni ufficiali, salvo quelle condotte a
cadenza irregolare dall'Istat e dalla Banca d'Italia su un campione di aziende
manifatturiere sopra i 50 addetti e alcune analisi del Cnel.
Il Rapporto del Cnel, che ha preso in esame le principali tendenze della contrattazione
tra il 1998 e il 2006, evidenzia una flessione dell'intensità della
contrattazione.
La tendenza al declino si manifesta sia nelle imprese di dimensioni maggiori,
quelle che hanno più di 1000 dipendenti, che per quelle minori (quelle
che hanno tra i 100 e i 999 dipendenti), mentre è praticamente inesistente
nelle piccole aziende.
Per i diversi settori presi in esame si evidenziano delle punte massime di
intensità di contrattazione in corrispondenza alle stagioni di rinnovo
della contrattazione integrativa - nel 2000 e nel 2004 per i metalmeccanici;
nel 1998 e nel 2002 per gli alimentaristi; nel 2000 e nel 2003 per la chimica
- ma sempre restando all'interno di una tendenza alla flessione dell'intensità
della contrattazione.
Mentre attorno al 1998 le aziende dove è stata fatta contrattazione
di secondo livello varia tra il 20% e il 30%, nel 2006 la percentuale non
supera il 15%.
Su una flessione di queste proporzioni hanno influito sia le difficoltà
di ordine economico che le difficoltà delle relazioni industriali che
hanno prodotto uno slittamento delle stagioni di contrattazione integrativa
dal momento che le parti sociali erano impegnate ad affrontare le pesanti
ristrutturazioni e le corpose delocalizzazioni all'estero che hanno caratterizzato
il periodo.
Oltre alla diffusione, c'è il merito della contrattazione: secondo
l'Istat la grande maggioranza degli accordi sottoscritti riguarda voci retributive:
nel settore privato la contrattazione aziendale ha implicato effetti sul salario
per quasi l'80% dei dipendenti interessati agli accordi.
Sul salario influiscono i premi di risultato. Dall'indagine emerge che l'incidenza
media del premio di risultato (il più delle volte variabile) sul complesso
della retribuzione lorda è di circa il 3%.
Contrattazione territoriale
Un rapporto del Cnel ci permette di fare una analisi della contrattazione
territoriale.
Tra il 1996 e il 2003 gli accordi territoriali sottoscritti sono stati 571.
Il rapporto evidenzia uno scarto tra Nord, Centro e Sud del Paese: più
della metà dei contratti territoriali (il 55%) è concentrata
al Nord, mentre al Centro sono stati stipulati il 23% dei contratti e al Sud
il 22%.
La contrattazione territoriale è diffusa nei settori dell'edilizia
(38%) e nell'agricoltura (31%).
Nel comparto dell'artigianato i contratti siglati corrispondono al 18% e nell'area
del commercio e del turismo all'8%.
Nell'industria la contrattazione territoriale è pressoché inesistente.
I dati (571 accordi in 7 anni) ci dicono che quello della contrattazione territoriale
è un fenomeno non generalizzato.
Le proposte di Rifondazione
Il 23 luglio del 1993 venne siglato il protocollo sulla politica dei redditi
che, dopo la liquidazione della scala mobile, inaugurava una nuova stagione
di relazioni tra le parti caratterizzata dalla "concertazione".
Di quell'intesa, tuttora in vigore, - che aveva tra i suoi obiettivi la crescita
dei salari legata anche alla produttività e alla ricchezza prodotta
- oggi è possibile fare un bilancio.
Un bilancio assolutamente negativo: le retribuzioni da lavoro dipendente hanno
perso oltre dieci punti percentuali a favore dei profitti e delle rendite,
che hanno subito un'impennata senza precedenti.
Negli ultimi anni, lo spostamento dai salari alle rendite della ricchezza
prodotta ha introdotto nel nostro paese una nuova "categoria": la
lavoratrice e il lavoratore poveri.
Contemporaneamente, secondo la Banca d'Italia, nel nostro paese, il 10% delle
famiglie detiene circa il 50% della ricchezza nazionale e i guadagni dei dirigenti
e dei manager sono 120 volte quelli medi.
La questione salariale del lavoro dipendente si fa dirompente perché
alla miseria delle retribuzioni va sommata l'impennata vertiginosa dei prezzi
e delle tariffe, lo scandaloso aumento degli affitti e dei mutui, la riduzione
dello stato sociale che costringe le lavoratrici e i lavoratori ad "acquistare"
dal privato beni e servizi (a partire da quelli sanitari).
In questo quadro in Italia si sta discutendo di riforma del modello contrattuale,
in un contesto anche "geografico" assai diverso rispetto al luglio
del 1993: l'Europa unita che emana leggi e direttive che i governi nazionali
hanno l'obbligo di recepire.
Senza nulla togliere alla necessità di mantenere e rafforzare i contratti
nazionali di lavoro e la contrattazione di secondo livello, a nostro avviso
è indispensabile ragionare su scala europea.
Per questo suggeriamo alle parti sociali di attivare le rispettive organizzazioni
a livello europeo (che a nostro avviso vanno fortemente sburocratizzate) per
la definizione di un "contratto europeo".
Per noi il contratto europeo:
* deve stabilire sul salario soglie minime sotto le quali non è possibile
andare e sull'orario tetti massimi, in modo da impedire la concorrenza al
ribasso tra lavoratori, aziende, aree geografiche.
* Individuiamo nella semplificazione del numero dei contratti un'altra esigenza,
quindi, proponiamo di avviare un percorso che porti alla ricomposizione delle
centinaia di contratti nazionali oggi esistenti.
Per noi i contratti nazionali:
* possono essere tre, uno per ogni grande area: industria, servizi, pubblica
amministrazione.
* A una rinnovata e più efficace contrattazione va affiancata una politica
fiscale più equa.
* può avere durata triennale;
* deve rafforzare il suo carattere solidale e universale, definendo minimi
salariali e di diritti non derogabili da altri livelli contrattuali e da applicare
su tutto il territorio nazionale;
* deve avere l'obiettivo di incrementare il valore reale delle retribuzioni
e di ridistribuire parte della ricchezza prodotta;
* deve contenere un meccanismo automatico annuale per il recupero del potere
d'acquisto dei salari in relazione all'inflazione reale (l'indice Istat sui
prodotti ad altra frequenza d'acquisto, dagli alimentari agli affitti, segna
per il 2008 il 5.4% )
* deve essere rinnovato alla scadenza prevista e deve contenere come clausola
che gli aumenti definiti devono essere erogati tenendo come data di riferimento
quella della scadenza e non del rinnovo.
Per noi la contrattazione di secondo livello:
* può essere aziendale, di sito, di filiera o territoriale (fermo restando
i due livelli);
* deve essere estesa, generalizzata, esigibile;
* deve poter intervenire su tutti gli elementi che compongono la prestazione
lavorativa (organizzazione del lavoro, ritmi, orari) e sul salario i cui aumenti
non devono avere carattere totalmente variabile;
* non può in alcuna materia derogare a quanto previsto dal contratto
nazionale;
* deve avere una validità che copra l'arco di vigenza del contratto
nazionale.
* deve prevedere la riduzione della pressione fiscale utilizzando anche le
risorse provenienti dalla lotta all'evasione che - secondo dati apparsi sul
Sole24Ore, sulla base dei nuovi valori Istat sull'economia sommersa - nel
2007 corrisponde da un minimo di 89 e un massimo di 100 miliardi.
Sono dati che ripropongono le dimensioni minime e massime dell'economia sommersa,
che stanno secondo l'Istat tra il 15,3% e il 16,9% del Pil. L'imposta più
aggirata è l'Irpef che si attesta tra un minimo di 24,5 e un massimo
di 27,6 miliardi non versati. Per ridurre di circa 100 euro al mese le tasse
sul lavoro per 16 milioni di lavoratori dipendenti servono circa 15-16 miliardi
di euro;
* deve reintrodurre il fiscal drag;
* deve detassare gli aumenti contrattuali;
* deve prevedere la riduzione delle aliquote fiscali sul lavoro dipendente
e sulle pensioni basse;
* deve prevedere l'aumento al 20% (in Europa è al 23%) della tassazione
delle grandi rendite finanziare e delle stock option, salvaguardando i piccoli
patrimoni familiari;
* devono introdurre il controllo dei prezzi, delle tariffe e delle addizionali
locali.
Per noi servono nuove relazioni tra le parti
I problemi strutturali che rendono debole il sistema delle imprese sono legati:
alla dimensione delle aziende (il 95% delle quali ha meno di 9 dipendenti);
alla sottocapitolazione delle aziende;
alla pressoché totale assenza di investimenti in ricerca e innovazione
sia di prodotto che di processo;
all'assenza di strutture finanziarie e istituzionali in grado di favorire
l'esportazione dei prodotti del made in italy.
A questi elementi, sommati a una ripresa dell'inflazione di circa il 4% e
ai clamorosi aumenti del prezzo del petrolio (che porteranno a rincari di
prezzi e tariffe che decurteranno ulteriormente il potere d'acquisto dei salari),
il Ministro del Lavoro risponde con misure che danneggiano sia i lavoratori
che il sistema delle imprese.
La scelta di "rilanciare" la precarietà (ad esempio cancellando
il tetto massimo di 36 mesi oltre al quale i lavoratori devono essere assunti
a tempo indeterminato e reintroducendo il lavoro a chiamata) oltre a vanificare
le poche azioni positive del precedente Governo, non risponde al principio
secondo il quale una impresa per essere competitiva nei segmenti a medio e
altro valore aggiunto ha bisogno di lavoratori stabili, formati, professionalizzati,
motivati.
Dal punto di vista delle relazioni sindacali quello che propone il Ministro
è il ritorno al passato: la cancellazione dell'autonomia dei lavoratori
e delle loro organizzazioni e un modello di impresa sempre più piccola
e frammentata, ossia l'esatto opposto di ciò che servirebbe oggi.
Per competere nelle fasce alte del mercato proponiamo:
* la sburocratizzazione delle procedure;
* un diverso accesso al credito;
* incentivi alla crescita dimensionale e qualitativa delle aziende, alla ricerca
e all'innovazione;
* rapporti a tempo indeterminato e formazione continua per i lavoratori.
Per nuove relazioni tra le parti:
serve una legge sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale che consenta
anche ai delegati dei lavoratori di intervenire nei luoghi dove si discutono
e decidono i piani industriali e le strategie delle imprese, permettendo un
confronto preventivo basato sulla conoscenza dei processi di trasformazione.
E' necessario tanto più oggi, di fronte alle grandi ristrutturazioni
che si preparano (da Alitalia a Telecom, all'intero settore degli elettrodomestici).
Conclusioni
I dati sull'evoluzione dei salari e dei profitti dal 1993 al 2007, le cifre
relative alla paga mensile netta dei lavoratori dipendenti dei quattro grandi
comparti che abbiamo utilizzato come esempio, la comparazione dei salari italiani
rispetto al resto d'Europa, le grandi differenze tra Nord e Sud del paese,
quelle tra uomini e donne e tra giovani e meno giovani, l'analisi sui rinnovi
dei contratti nazionali di lavoro e sulla contrattazione di secondo livello,
ci portano ad una serie di considerazioni finali.
La prima rende paradossale l'idea proposta da alcuni per
cui ad un ridimensionamento del contratto nazionale corrisponderebbe un aumento
della contrattazione di secondo livello.
I dati dicono il contrario: ad un contratto nazionale sempre più debole
nel recupero del potere d'acquisto ha corrisposto, nei quindici anni trascorsi,
una riduzione quantitativa (in relazione sia al numero di aziende che al numero
dei lavoratori coinvolti) della contrattazione di secondo livello.
La seconda. Il fallimento dei propositi redistributivi dell'accordo
del luglio 1993 attraverso una contrattazione aziendale con salario variabile.
La terza. La debolezza dei contratti nazionali di lavoro,
che hanno a riferimento un indice di inflazione diverso da quello reale, a
colmare la perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni.
La quarta. La contrattazione aziendale di secondo livello,
date anche le ridotte dimensioni della stragrande maggioranza delle imprese
italiane, deve essere esigibile.
Di fronte a questi dati di realtà appare evidente la necessità
di innovare il modello contrattuale scaturito dall'accordo del luglio 1993
rafforzando la funzione del contratto nazionale. L'idea di indebolirlo ulteriormente
e di demandare al secondo livello la contrattazione di diritti universali
e del salario, proprio per la difficoltà ad esercitare questa pratica
appare strumentale all'impostazione che ha già prodotto molti danni:
rispondere all'incapacità innovativa delle imprese italiane facendo
leva su un unico, ormai incomprimibile elemento, il salario.
Per queste ragioni riteniamo che a una questione dirompente come quella salariale
vada data risposta già dai prossimi mesi.