Innse: riflessioni su una lotta vinta
La notte di mercoledì 12 agosto la lotta dei lavoratori dell’INNSE si è conclusa con una vittoria straordinaria, una vittoria dell'unità dei lavoratori. (di Giacinto Botti e Nerina Benuzzi). Reds - Dicembre 2009


La notte di mercoledì 12 agosto la lotta dei lavoratori dell’INNSE (acronimo che arriva da lontane fusioni aziendali degli anni settanta tra la Innocenti e la S. Eustacchio), si è conclusa, dopo oltre 15 mesi di presidio permanente contro la chiusura dell’attività, con una vittoria straordinaria e al di là di ogni aspettativa per molti, ma che rappresentava quella soluzione produttiva che chi lottava con tanta determinazione sapeva possibile.
Si è trattato di una lotta durissima, vinta per l’unità, la coesione e la determinazione dei lavoratori e della loro Rsu, per la solidarietà concreta dei cittadini e delle forze sociali e per l’azione di rappresentanza e di sostegno offerta dal sindacato, prima di tutto dalla Fiom e poi da tutta la CGIL, a partire da quella della Lombardia e di Milano.
Una lotta vincente per la capacità e la caparbietà di andare controcorrente da parte di delegati e di lavoratori capaci di far politica e sindacato.
Abbiamo vissuto con loro dieci giorni intensi su una strada assolata, chiusa dal Questore al traffico e isolata, sotto tende e gazebo piantati in mezzo allo spartitraffico insieme a cittadini, compagni, amici, sindacalisti che in una Milano ferragostana si ritrovavano di giorno e di notte attorno a una forma di lotta inusuale, ma pensata collettivamente e organizzata sindacalmente, sapendo che non si poteva oggettivamente fare ricorso allo strumento dello sciopero. Una lotta contro uno pseudo imprenditore che, con l’appoggio dell’ex ministro Castelli, dopo aver acquistato l’azienda nel 2006 utilizzando la legge Prodi al prezzo irrisorio di 750mila euro e dopo aver sottoscritto l’impegno al rilancio dell’attività produttiva, solo un anno dopo ha messo in liquidazione l’azienda - e bisognerebbe continuare a chiedere il conto del mancato impegno al suo rilancio sottoscritto con il Governo - e a iniziare a vendere macchinari tecnologicamente avanzati e di valore a esclusivi fini di lucro.
L’obiettivo del “rottamatore” Genta era di smobilitare l’azienda - situata su un terreno controllato dall’immobiliare Aedes - per evidenti interessi di speculazione edilizia rispetto ad un’area che complessivamente è di oltre 300mila metri quadri; un’area storica per il movimento operaio milanese e sulla quale sono ancora presenti gli scheletri dei capannoni della Innocenti e della Maserati.
La Innse è l’unico avamposto di attività produttiva rimasto di una zona industriale in quella striscia di territorio del nord est di Milano, e la riqualificazione dell’area prevede che vi resti . Attorno a questa azienda, con i suoi 50 dipendenti rimasti a conclusione di lunghe trasformazioni e di passaggi di proprietà, sono entrati in gioco interessi precisi e ricatti incrociati politici e istituzionali, in assenza di un qualsiasi ruolo di opposizione politica efficace da parte di un centrosinistra ormai disperso, nell’irresponsabilità sociale del Comune e della Provincia di Milano e nel disinteresse della Regione Lombardia, istituzioni in mano al centrodestra.
I lavoratori, gli operai avevano ragione: il loro lavoro, la loro professionalità, le “loro” macchine tecnologicamente avanzate dovevano e potevano essere salvaguardati.
In questa vicenda non c’è una forma di lotta da emulare, perché ogni mobilitazione è una storia a sé: il valore vero della lotta dell’INNSE è nella speranza che ha offerto a tanti che si trovano ad affrontare la durezza della crisi e anche scelte di carattere speculativo e finanziario, che le loro vite di lavoratori possono ritornare al centro dell’attenzione.
L’azienda INNSE, falsamente definita decotta e priva di mercato, non sarà più smantellata: dopo aver sfondato con la lotta il muro delle falsità e degli interessi politici e finanziari in campo, che avevano fatto fuggire i precedenti potenziali acquirenti, negli ultimi giorni più imprenditori hanno avanzato proposte concrete per rilevarne l’attività. Il gruppo Camozzi di Brescia, che conosceva la qualità della produzione INNSE nel mercato, ha assunto tutti gli operai, ha acquistato il terreno e l’azienda, garantendo la ripresa, il rilancio del marchio storico e lo sviluppo produttivo almeno sino al 2025.
La INNSE continuerà dunque a produrre in una regione, e in particolare in un’area, quella milanese, dove nel mese di settembre si potrebbe verificare la chiusura di altre realtà industriali con un valore tecnologico medio alto a causa delle ristrutturazioni, delle delocalizzazioni già in corso e dell’impoverimento di un tessuto produttivo costituito da migliaia di piccole aziende sotto i 10 dipendenti, non solo nell’industria.
La scelta di salire sul carroponte è stata dettata dalla necessità di bloccare lo smontaggio in atto dei macchinari venduti, dopo l’accelerazione e la forzatura della Prefettura di mettere in atto l’ordinanza della magistratura inviando le forze dell’ordine a presidio dell’azienda.
Dopo aver verificato che le richieste di sospendere per 60 giorni il provvedimento di sgombero e smontaggio della macchine, formulate nell’incontro con il Viceprefetto - nel corso del quale si è ricordato l’impegno preso di non procedere con iniziative durante il mese di agosto - non erano accolte, fermare lo smontaggio è diventata questione vitale: senza le alesatrici, i torni, le fresatrici di alta tecnologia, nessun imprenditore avrebbe avanzato una proposta di acquisto, e la lotta per non chiudere l’attività e difendere il lavoro e la professionalità dei lavoratori si sarebbe conclusa con la sconfitta.
Molto si è scritto e molti hanno parlato di questa vicenda e molte cose sono state dette e scritte a sproposito.
Non è stata una lotta individuale o disperata, né una protesta show. Non ha sancito il fallimento delle tradizionali trattative sindacali, anzi, semmai ha denunciato l’incapacità e le irresponsabilità delle istituzioni locali nell’avere un ruolo di intervento e mediazione negli interessi sociali e produttivi; istituzioni che si sono dimostrate di parte e dalla parte sbagliata.
E’ stata un’azione, dentro una lunga lotta sindacale collettiva, che ha riportato all’attenzione dei media una questione che sembrava ormai del tutto ignorata: il lavoro e l’esistenza, ancora oggi, di figure operaie che sembravano cancellate, rimosse da chi pensa che il conflitto sociale, l’azione collettiva siano da nascondere, da chi teorizza che gli interessi diversificati tra capitale e lavoro siano svaniti.
E’ stata una lotta contro la svalorizzazione e la precarizzazione del lavoro, contro il processo di smantellamento di quel nucleo manifatturiero tecnologicamente avanzato in grado di competere nel mercato globale, per salvaguardare i saperi e la professionalità e per affermare la centralità e la dignità del lavoro.
La lotta dell’INNSE, assumendo dal punto di vista simbolico un valore nazionale grazie anche al ruolo svolto da quella libera informazione che il Presidente del Consiglio vorrebbe far tacere, dà forza e più convinzione alla battaglia più generale che il mondo del lavoro, il sindacato e in particolare la CGIL, stanno conducendo dinanzi ad una crisi pesante e inedita che in troppi vorrebbero scaricare sulle lavoratrici, sui lavoratori, sui pensionati e sui ceti popolari.
Nel conflitto la visibilità mediatica è una risorsa, ma da sola non basta; bisogna che la lotta intrapresa possa contare su un forte senso comune, e trovi condivisione e un ampio consenso popolare.
Bisogna anche che le lotte costringano il Governo ad adottare una politica economica e industriale seria, mentre oggi è invece conservatrice e irrelevante sullo scenario europeo e mondiale.
I lavoratori dell’INNSE hanno saputo trasmettere l’ingiustizia, il delitto, l’incoerenza insiti nel voler chiudere un luogo di lavoro, nel voler cancellare la loro professionalità, la loro dignità non per la crisi, per la mancanza di ordini, ma per una speculazione, per la colpevole indifferenza e per la complicità delle istituzioni, per gli interessi di una certa politica e di falsi imprenditori.
La vicenda della INNSE ci dice anche che nessuno deve sentirsi solo, e non deve essere lasciato solo, nella sua lotta in difesa del posto del lavoro e dei suoi diritti.
E’ sbagliato affermare che un’iniziativa di lotta individuale sia sempre estranea o separata da un’azione collettiva. In questo contesto, che vede accentuarsi chiusure di aziende e perdita di posti di lavoro, è vero proprio l’esatto contrario: quelle forme di lotta, che raccolgono il consenso spesso non solo dei lavoratori, sono espressioni di una volontà collettiva.
E una riflessione questa lotta la pone anche a un centrosinistra alla ricerca dell’identità smarrita, che insegue ancora politiche perdenti della destra dando grande spazio all’individualità anziché alla classe sociale, e che si cimenta nel teorizzare l’equidistanza tra capitale e lavoro. Quella espressa oggi dal centrosinistra è una politica inefficace che, non organizzando più i soggetti sociali ma solo gli individui, non fa da argine alla scomposizione politica e giuridica del lavoro e non ferma l’arretramento valoriale e culturale che sta vivendo il nostro Paese. Serve una politica di massa, un riferimento sociale identificato nel lavoro, che organizzi le soggettività e sposti risorse e ricchezze per sostenere, insieme alla coesione sociale, i diritti per tutti riaffermando il valore sociale del lavoro.
A noi della CGIL da questa e altre lotte viene una conferma: il mondo del lavoro dipendente ha bisogno di una forte rappresentanza sociale e politica, di una CGIL che non faccia un passo indietro rispetto alla linea intrapresa ma anzi, che compia dei passi in avanti.
Questi lavoratori chiedono alla CGIL più forza e determinazione in difesa dei loro interessi, di rappresentarli efficacemente e compiutamente.
L e lotte generose, le mobilitazioni, gli scioperi che si intraprendono in tante realtà, che non trovano il riscontro mediatico avuto dall’INNSE, vanno unite in un progetto alto, di valore generale e di prospettiva di società e di democrazia che oggi solo la CGIL può architettare e proporre al mondo del lavoro dipendente, ai pensionati, a tutto il Paese.
Questo occorre, per sconfiggere il modello sociale corporativo di natura strategica che Governo e Confindustria, con l’esplicita complicità di CISL e UIL, intendono realizzare; un modello che svuota l’universalità del diritto, contrappone la libertà per pochi all’uguaglianza e alla solidarietà per tutti e aggredisce i fondamenti stessi del pensiero democratico e progressista affermati con la lotta di Liberazione e consolidati con la nascita della nostra Costituzione.
Ci sono in campo due progetti di società, di sindacato, di democrazia non mediabili.
Per tutte queste ragioni auspichiamo che il prossimo congresso della CGIL sia un momento di confronto aperto e senza ambiguità, di alto profilo teorico e di analisi, di proposta e di progetto, in continuità con gli orientamenti assunti nel precedente, dove ci eravamo posti l’obiettivo di riprogettare il paese, e coerentemente nel solco delle scelte assunte unanimemente in questo ultimo anno su questioni dirimenti e strategiche che riguardano il modello contrattuale e il modello di sindacato, il sistema paese e la democrazia.
Milano 28 agosto 2009