Lettera di un operaio a Marchionne.
La
regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è
una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a
oppormi (di Massimiliano Cassaro). Reds – Luglio 2010
Caro
Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la
sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa
integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo
scusa: la lettera di un collega.
Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia.
Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto
delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei
però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito,
a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione
più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti,
dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare
a fine mese.
Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.
Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione:
il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace
dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare
«le regole del gioco» perché «non l’abbiamo
scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa
Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone
e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri
che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente
chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le
guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle
sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto
diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio
piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.
Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono.
Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è
una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio
di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie»
a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza,
ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi
l’espressione, «faticare».
Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io
ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire
nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio
fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto
sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni
di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro
dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è
una scappatoia.
Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella
lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde
come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva
da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero
di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei
preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni
di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi
assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi
di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti
a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare
riconoscenza.
Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di
113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino
che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato:
quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché
i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento
di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare
a far si che le cose vadano bene.
Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti
insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà
a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che
dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi
perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione
a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura
pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti
ancora più più svilenti, perché quello che lei finge
di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia,
viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.
Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia
lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque
miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità
astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello.
Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti
vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso
futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro
fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza
di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche
se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è
così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle
quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo
obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia
che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché
un altro mondo sia possibile.
Buon lavoro anche a lei.
Massimiliano Cassaro