Contratto metalmeccanici: compromesso sindacale nel concerto di bastonate al can che annega.
Si è conclusa la discussione nel sindacato che si è sviluppata in ambiti sempre più ristretti nel tentativo di produrre una piattaforma unitaria. I risultati che ne sono scaturiti hanno sancito l'irrilevanza dei lavoratori nella definizione delle decisioni. Gennaio 2001.


Nonostante l'inflazione sia ferma da 4 mesi sul 2.6 per cento i salari non riescono a riagguantarla.
In novembre l'aumento delle retribuzioni non ha superato l'1.8% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente e dall'inizio dell'anno stiamo assistendo all'accentuarsi costante del divario tra la crescita delle buste paga e quella del carovita.
Si dà ormai per certo che con una piccola correzione al rialzo questi saranno i risultati finali del 2000.
Inoltre considerando come base 100 le paghe orarie del dicembre 95 secondo i dati dell'Istat l'indice delle stesse retribuzioni orarie contrattuali è salito a 114.3.
È veramente sorprendente che in un'epoca di generale bassa inflazione o addirittura per certi periodi di deflazione (cioè di riduzione dei prezzi al consumo) siano comunque i salari a dover perdere.
Tuttavia in questa situazione così chiaramente descritta dai freddi dati dell'Istat i sindacati metalmeccanici italiani non riescono ancora a trovare un accordo tra loro per presentare una piattaforma unitaria sugli aumenti di salari e stipendi nel rinnovo del secondo biennio economico del contratto nazionale di lavoro, cioè quello che dovrebbe rincorrere l'inflazione e recuperare le quote di salario perse per strada.
La piattaforma avrebbe dovuto essere presentata entro settembre in quanto l'accordo di luglio 93 parla di tre mesi prima della scadenza. La partita si preannuncia veramente difficile.
Come abbiamo già spiegato il sindacato è profondamente diviso al suo interno e da parte loro i padroni del settore, oggettivamente rafforzati dallo stato di sfascio della controparte, non si mostrano disponibili a cedere sulle loro posizioni e non perdono occasione per "bastonare il can che annega".
Andrea Pininfarina, il loro capo, ha escluso che in occasione del rinnovo del contratto nazionale si possano distribuire risorse sulla base della crescita di produttività del settore, come seppur in modo molto timido ha auspicato la Fiom.
"Ve lo potete scordare ­ ha detto esplicitamente Pininfarina - il contratto nazionale serve solo a recuperare il potere d'acquisto dei salari eroso dall'inflazione; tutto quello che c'è in più va nel contratto integrativo. Non si può prendere tutto quello che si può a livello nazionale e poi anche a livello aziendale. Le regole vanno applicate, non interpretate, quando è possibile interpretarle significa che sono già superate"
Gli fa da contraltare rincarando la dose il presidente della Confindustria D'Amato, secondo il quale i lavoratori dovrebbero restituirli i soldi e il lavoro dovrebbe pagare di nuovo e ancora per un capitale in difficoltà nella gara in difesa della propria competitività.
È una situazione piuttosto deprimente per quel milione e mezzo di donne e uomini che da questo contratto vedono dipendere la possibilità di recuperare un po' di potere d'acquisto sull'inflazione.

Le divisioni dei sindacati sono politiche, di fondo, e hanno come oggetto le strategie generali di politica sindacale, che un compromesso sulla richiesta salariale potrebbe mascherare, ma difficilmente risolvere.

È emblematica la posizione della Uilm che per voce del suo segretario Regazzi ha affermato che "dietro il ritardo di una piattaforma rivendicativa unitaria c'è il fatto che una parte importante del sindacato (leggi Fiom) non crede al modello partecipativo che sancito nel 1993, come del resto non ci crede una parte rilevante del fronte delle aziende, che non ritiene possibile cedere al sindacato una anche piccola parte di potere in fabbrica"
Che tradotto in italiano significa che la Fiom non vuole più praticare la concertazione e si allinea con quella parte della Confindustria che vuole scendere sul piano dello scontro.

La Fim sembra decisa a trovare soluzioni alternative se entro il 31 dicembre non sarà stato possibile trovare una piattaforma unitaria.
Insomma non viene esclusa la possibilità di presentare richieste separate, producendo un salto indietro nella storia del sindacato confederale di 40 anni.
Ma riassumiamo le posizioni dei diversi sindacati che nel frattempo si sono meglio precisate.
La Fiom rivendica un incremento salariale del 5.5% pari al recupero dell'inflazione pregressa e di quella programmata e una quota che tenga conto del "buon andamento del settore" (in complesso circa 150mila lire lorde in due anni).
La Fim chiede un aumento di 116mila lire (sempre lorde in due anni) pari solo al recupero dell'inflazione (la produttività ­ afferma, abbracciando in toto le posizioni della Federmeccanica ­ va distribuita col secondo livello, aziendale e territoriale).
La Uilm, tentando una timida forma di mediazione tra le due componenti, punta a un incremento di 122mila lire per tutti per il recupero dell'inflazione. Per chi non ha mai fatto la contrattazione aziendale la Uilm chiede un bonus aggiuntivo di 30mila lire.
Quindi, invece di impegnarsi per allargare la platea dei lavoratori interessati alla contrattazione aziendale (attualmente quasi il 50% di loro ne è tagliata fuori), la Uilm rovescia la questione incentivando la "non contrattazione aziendale" con elargizioni di salario nazionale.
In realtà per questa via l'esito immediato è lo scardinamento del contratto nazionale ridotto a pura fissazione di salari minimi, e indirettamente della contrattazione aziendale, costretta al recupero di una quota in più e incapace di occuparsi delle condizioni di lavoro
La posizione dei metalmeccanici della Uil rappresenta indubbiamente una triste novità nelle politiche rivendicative del sindacato, e rappresenta un atto che suona più come una rottura nei confronti delle altre due organizzazioni e come una fortissima pressione per far abbassare il più possibile quella percentuale del 5.5% che la Fiom ha ufficializzato nell'ambito della sua assemblea nazionale di Riccione.
La Uilm propone inoltre che dopo questo contratto si debba andare a una modifica complessiva del sistema contrattuale, (in pratica a un nuovo accordo concertativo) pensando in questo modo di ammorbidire le posizioni del padronato.
Ma questo cedimento sindacale viene commentato sprezzantemente dal Sole24ore in questi termini: "Adesso tutti capiscono che si deve mettere mano al sistema contrattuale, perché quell'impianto fa acqua da tutte le parti, e perché in tanti non vi credono più, ma nessuno ci riesce. L'ultima occasione con il patto di Natale del 1998, fu persa per i veti di una parte, la Cgil. Adesso Regazzi sostiene che è possibile modificare il sistema, ma solo dopo il contratto. Il punto è che il rinnovo è ostacolato dal fatto che non si riesce a modificare l'impianto".
Da queste poche righe si capisce chiaramente che i padroni vogliono cogliere l'occasione per prendersi tutto e subito: dare quattro soldi e cambiare nello stesso tempo le regole a loro favore ancora più di quanto già non siano.
Con queste premesse la situazione rimane delicatissima: pur sostenendo posizioni diverse i sindacati sostengono di voler difendere la logica della concertazione stabilita nell'accordo del luglio 93. Una logica perdente che, come abbiamo già avuto modo di argomentare, è costruita sui parametri dell'inflazione programmata fissati dal governo: cifre fittizie rispetto invece all'inflazione effettivamente attesa, che perciò programmano già in partenza una perdita dei salari, e però costringono i sindacati a una faticosa contrattazione che per definizione non può mai conseguire l'adeguamento del potere d'acquisto.
Questa logica, che fa a pugni con gli interessi dei lavoratori non è più sostenibile, e le divisioni tra i sindacati, ma anche all'interno dei sindacati stessi lo stanno a testimoniare.
Il dibattito nel sindacato si sta svolgendo in ambiti sempre più ristretti e sta coinvolgendo i vertici sindacali ai più alti livelli, come se il problema fosse determinato dalla troppa democrazia e dal troppo protagonismo dei lavoratori, in realtà i grandi assenti in questa vicenda.
Per questa strada è facile prevedere che la soluzione finale (la piattaforma) si configurerà come un pateracchio di portata storica.
Non vi sono alternative credibili, le cose da fare sono di una semplicità sconcertante: sottoporre ai lavoratori le diverse opzioni e attenersi al volere della maggioranza.
Ma se ciò dovesse essere in contraddizione con le politiche concertative, sono quelle che devono essere messe in discussione e non certo le decisioni dei lavoratori.
O no?