Contratto
metalmeccanici: compromesso sindacale nel concerto di bastonate al can che
annega.
Si
è conclusa la discussione nel sindacato che si è sviluppata
in ambiti sempre più ristretti nel tentativo di produrre una piattaforma
unitaria. I risultati che ne sono scaturiti hanno sancito l'irrilevanza dei
lavoratori nella definizione delle decisioni. Gennaio 2001.
Nonostante
l'inflazione sia ferma da 4 mesi sul 2.6 per cento i salari non riescono a
riagguantarla. Le
divisioni dei sindacati sono politiche, di fondo, e hanno come oggetto le
strategie generali di politica sindacale, che un compromesso sulla richiesta
salariale potrebbe mascherare, ma difficilmente risolvere. È
emblematica la posizione della Uilm che per voce del suo segretario Regazzi
ha affermato che "dietro il ritardo di una piattaforma rivendicativa
unitaria c'è il fatto che una parte importante del sindacato (leggi
Fiom) non crede al modello partecipativo che sancito nel 1993, come del resto
non ci crede una parte rilevante del fronte delle aziende, che non ritiene
possibile cedere al sindacato una anche piccola parte di potere in fabbrica" La
Fim sembra decisa a trovare soluzioni alternative se entro il 31 dicembre
non sarà stato possibile trovare una piattaforma unitaria.
In novembre l'aumento delle retribuzioni non ha superato l'1.8% rispetto allo
stesso mese dell'anno precedente e dall'inizio dell'anno stiamo assistendo
all'accentuarsi costante del divario tra la crescita delle buste paga e quella
del carovita.
Si dà ormai per certo che con una piccola correzione al rialzo questi
saranno i risultati finali del 2000.
Inoltre considerando come base 100 le paghe orarie del dicembre 95 secondo
i dati dell'Istat l'indice delle stesse retribuzioni orarie contrattuali è
salito a 114.3.
È veramente sorprendente che in un'epoca di generale bassa inflazione
o addirittura per certi periodi di deflazione (cioè di riduzione dei
prezzi al consumo) siano comunque i salari a dover perdere.
Tuttavia in questa situazione così chiaramente descritta dai freddi
dati dell'Istat i sindacati metalmeccanici italiani non riescono ancora a
trovare un accordo tra loro per presentare una piattaforma unitaria sugli
aumenti di salari e stipendi nel rinnovo del secondo biennio economico del
contratto nazionale di lavoro, cioè quello che dovrebbe rincorrere
l'inflazione e recuperare le quote di salario perse per strada.
La piattaforma avrebbe dovuto essere presentata entro settembre in quanto
l'accordo di luglio 93 parla di tre mesi prima della scadenza. La partita
si preannuncia veramente difficile.
Come abbiamo già spiegato il sindacato è profondamente diviso
al suo interno e da parte loro i padroni del settore, oggettivamente rafforzati
dallo stato di sfascio della controparte, non si mostrano disponibili a cedere
sulle loro posizioni e non perdono occasione per "bastonare il can che
annega".
Andrea Pininfarina, il loro capo, ha escluso che in occasione del rinnovo
del contratto nazionale si possano distribuire risorse sulla base della crescita
di produttività del settore, come seppur in modo molto timido ha auspicato
la Fiom.
"Ve lo potete scordare ha detto esplicitamente Pininfarina - il
contratto nazionale serve solo a recuperare il potere d'acquisto dei salari
eroso dall'inflazione; tutto quello che c'è in più va nel contratto
integrativo. Non si può prendere tutto quello che si può a livello
nazionale e poi anche a livello aziendale. Le regole vanno applicate, non
interpretate, quando è possibile interpretarle significa che sono già
superate"
Gli fa da contraltare rincarando la dose il presidente della Confindustria
D'Amato, secondo il quale i lavoratori dovrebbero restituirli i soldi e il
lavoro dovrebbe pagare di nuovo e ancora per un capitale in difficoltà
nella gara in difesa della propria competitività.
È una situazione piuttosto deprimente per quel milione e mezzo di donne
e uomini che da questo contratto vedono dipendere la possibilità di
recuperare un po' di potere d'acquisto sull'inflazione.
Che tradotto in italiano significa che la Fiom non vuole più praticare
la concertazione e si allinea con quella parte della Confindustria che vuole
scendere sul piano dello scontro.
Insomma non viene esclusa la possibilità di presentare richieste separate,
producendo un salto indietro nella storia del sindacato confederale di 40
anni.
Ma riassumiamo le posizioni dei diversi sindacati che nel frattempo si sono
meglio precisate.
La Fiom rivendica un incremento salariale del 5.5% pari al recupero dell'inflazione
pregressa e di quella programmata e una quota che tenga conto del "buon
andamento del settore" (in complesso circa 150mila lire lorde in due
anni).
La Fim chiede un aumento di 116mila lire (sempre lorde in due anni) pari solo
al recupero dell'inflazione (la produttività afferma, abbracciando
in toto le posizioni della Federmeccanica va distribuita col secondo
livello, aziendale e territoriale).
La Uilm, tentando una timida forma di mediazione tra le due componenti, punta
a un incremento di 122mila lire per tutti per il recupero dell'inflazione.
Per chi non ha mai fatto la contrattazione aziendale la Uilm chiede un bonus
aggiuntivo di 30mila lire.
Quindi, invece di impegnarsi per allargare la platea dei lavoratori interessati
alla contrattazione aziendale (attualmente quasi il 50% di loro ne è
tagliata fuori), la Uilm rovescia la questione incentivando la "non contrattazione
aziendale" con elargizioni di salario nazionale.
In realtà per questa via l'esito immediato è lo scardinamento
del contratto nazionale ridotto a pura fissazione di salari minimi, e indirettamente
della contrattazione aziendale, costretta al recupero di una quota in più
e incapace di occuparsi delle condizioni di lavoro
La posizione dei metalmeccanici della Uil rappresenta indubbiamente una triste
novità nelle politiche rivendicative del sindacato, e rappresenta un
atto che suona più come una rottura nei confronti delle altre due organizzazioni
e come una fortissima pressione per far abbassare il più possibile
quella percentuale del 5.5% che la Fiom ha ufficializzato nell'ambito della
sua assemblea nazionale di Riccione.
La Uilm propone inoltre che dopo questo contratto si debba andare a una modifica
complessiva del sistema contrattuale, (in pratica a un nuovo accordo concertativo)
pensando in questo modo di ammorbidire le posizioni del padronato.
Ma questo cedimento sindacale viene commentato sprezzantemente dal Sole24ore
in questi termini: "Adesso tutti capiscono che si deve mettere mano al
sistema contrattuale, perché quell'impianto fa acqua da tutte le parti,
e perché in tanti non vi credono più, ma nessuno ci riesce.
L'ultima occasione con il patto di Natale del 1998, fu persa per i veti di
una parte, la Cgil. Adesso Regazzi sostiene che è possibile modificare
il sistema, ma solo dopo il contratto. Il punto è che il rinnovo è
ostacolato dal fatto che non si riesce a modificare l'impianto".
Da queste poche righe si capisce chiaramente che i padroni vogliono cogliere
l'occasione per prendersi tutto e subito: dare quattro soldi e cambiare nello
stesso tempo le regole a loro favore ancora più di quanto già
non siano.
Con queste premesse la situazione rimane delicatissima: pur sostenendo posizioni
diverse i sindacati sostengono di voler difendere la logica della concertazione
stabilita nell'accordo del luglio 93. Una logica perdente che, come abbiamo
già avuto modo di argomentare, è costruita sui parametri dell'inflazione
programmata fissati dal governo: cifre fittizie rispetto invece all'inflazione
effettivamente attesa, che perciò programmano già in partenza
una perdita dei salari, e però costringono i sindacati a una faticosa
contrattazione che per definizione non può mai conseguire l'adeguamento
del potere d'acquisto.
Questa logica, che fa a pugni con gli interessi dei lavoratori non è
più sostenibile, e le divisioni tra i sindacati, ma anche all'interno
dei sindacati stessi lo stanno a testimoniare.
Il dibattito nel sindacato si sta svolgendo in ambiti sempre più ristretti
e sta coinvolgendo i vertici sindacali ai più alti livelli, come se
il problema fosse determinato dalla troppa democrazia e dal troppo protagonismo
dei lavoratori, in realtà i grandi assenti in questa vicenda.
Per questa strada è facile prevedere che la soluzione finale (la piattaforma)
si configurerà come un pateracchio di portata storica.
Non vi sono alternative credibili, le cose da fare sono di una semplicità
sconcertante: sottoporre ai lavoratori le diverse opzioni e attenersi al volere
della maggioranza.
Ma se ciò dovesse essere in contraddizione con le politiche concertative,
sono quelle che devono essere messe in discussione e non certo le decisioni
dei lavoratori.
O no?