Trattativa metalmeccanici. Maggio 2001

 

Rottura delle trattative sul contratto dei metalmeccanici.
Analisi critica dei motivi che hanno portato alla rottura delle trattative e di come Fim, Fiom e Uilm si sono mosse ed intendono muoversi in questo contesto. REDS. Maggio 2001.


Le risposte dei sindacati sono deboli: due ore di sciopero da farsi dopo le elezioni. Dal basso deve ripartire il movimento sia per conquistare risultati dignitosi sul piano contrattuale, sia per ricostruire un sindacato che sia veramente dei lavoratori

Dopo quattro mesi di trattative tra Fim, Fiom e Uilm da una parte e Federmeccanica dall'altra, che si sono stancamente trascinate su una piattaforma rivendicativa che ha avuto al centro la salvaguardia degli equilibri tra burocrazie sindacali invece che la salvaguardia degli interessi dei lavoratori, la Federmeccanica, ha finalmente detto in che misura è disponibile ad aprire la borsa per onorare la scadenza del rinnovo contrattuale di categoria per il biennio 2001-2002.
In questi quattro mesi non è stato possibile proclamare scioperi e/o esercitare qualsiasi altra forma di pressione tesa a "turbare il regolare svolgimento del confronto ma ancora una volta questo periodo (chiamato "moratoria contrattuale") si è trasformato in un regalo ai padroni che, senza alcuna contropartita per i lavoratori, hanno potuto in questo modo godere di un prolungamento del contratto precedente in piena pace sociale.
Le posizioni in campo ora sono in sintesi queste.
Mentre i sindacati sono fermi sulla rivendicazione di un aumento del 4.6% degli stipendi medi, pari a 135mila lire lorde mensili, comprendendo in questa cifra sia il tasso di inflazione programmato per il biennio in discussione (2.9%), sia il differenziale tra l'inflazione programmata e quella reale del precedente periodo 1999-2000, oltre a una quota da attribuire al buon andamento del settore; la Federmeccanica ha proposto 85mila lire pari a un aumento del 2.9%, vale a dire la copertura a malapena dell'inflazione programmata: l'1.7% per quest'anno e l'1.2% per il prossimo.
La cifra è stata costruita sulla base di un valore punto percentuale pari a 29mila lire.
A fronte di questa presa di posizione del padronato palesemente provocatoria la trattativa è stata interrotta e sono state proclamate 2 ore di sciopero che vanno a sancire l'inizio delle ostilità e che verosimilmente serviranno ai lavoratori per tenere sui luoghi di lavoro assemblee per discutere sulla situazione che si è venuta a determinare.
Gli esecutivi di Fim, Fiom e Uilm riunitisi martedi 24 aprile hanno comunque stabilito di effettuare le ore di sciopero il 18 maggio, vale a dire ben un mese dopo la rottura delle trattative.
E già qui si cominciano a intravedere dei segnali pericolosi che stanno a indicare come i sindacati intendano portare avanti la lotta contrattuale: è evidente infatti che la cosa migliore sarebbe stata dare una risposta immediata alla controparte proprio per far emergere in modo chiaro la volontà dei lavoratori tesa a portare a casa rapidamente le pur misere richieste contenute sulla piattaforma in discussione.
Infatti l'attenzione che i sindacati stanno mostrando nei confronti della necessità (secondo loro) di garantire la pace sociale nel periodo elettorale non gioca favorevolmente nello spostare i rapporti di forza in favore dei lavoratori.
Ma al di là di queste rapide prime considerazioni vediamo come la discussione tra le parti si è articolata prima di giungere alla rottura. Vi sono stati otto incontri all'interno dei quali gli argomenti sono stati sostanzialmente due.
In primo luogo la Federmeccanica che fin dai primi incontri aveva affermato che era sua intenzione orientarsi per un incremento salariale che doveva essere compreso tra il 2.4 e il 4%, vale a dire tra le 70 e le 116mila lire, ha contestato il diritto dei lavoratori al recupero della perdita del potere d'acquisto dei salari intervenuta nei due anni trascorsi (il cosiddetto recupero del differenziale tra inflazione programmata e inflazione reale) nonostante che l'accordo del 1993 parli molto chiaro in proposito.
Roberto Biglieri - direttore della Federmeccanica - ha in pratica detto:" Non abbiamo potuto aggiungere altro (oltre alle 85mila lire - n.d.r.) perché il differenziale tra l'inflazione programmata e quella reale nello scorso biennio è da imputare a inflazione importata, e quindi non dovuto. L'accordo del 1993 stabiliva infatti che lo scarto doveva essere preso in considerazione e dare luogo ad aumenti retributivi, ma non nel caso di inflazione importata, in quanto non addebitabile a comportamenti sui quali le parti in qualche misura possono influire…." In pratica i padroni ci dicono in soldoni :" perché dovremmo darvi dei soldi noi visto che i prezzi sono saliti a causa del caro petrolio e del caro dollaro? Anche noi stiamo pagando per questi aumenti, quindi siamo sulla stessa barca. Per quale motivo dovremmo dare a voi lavoratori dei soldi a cui non è corrisposto un aumento della ricchezza prodotta, e quindi dei nostri profitti? L'aumento dei prezzi che siamo stati costretti a praticare deriva dalla necessità di coprire i maggiori costi e per mantenere in questo modo inalterati i profitti, non certo per aumentarli. Certo ci dispiace che alla fine dobbiate pagare voi in termini di caduta del potere d'acquisto, ma che alternative ci possono essere, visto che i nostri profitti sono sacri e non possono quindi essere toccati?". Secondo loro dunque e secondo strani calcoli che i loro "esperti" avrebbero fatto, i lavoratori avrebbero comunque recuperato la perdita salariale per "l'effetto di trascinamento degli automatismi…" cioè di quegli elementi salariali che funzionano ancora in modo automatico, tipo gli scatti di anzianità.
In secondo luogo la Federmeccanica ha contestato inoltre il diritto dei lavoratori di avere una quantità di soldi slegata dalle logiche pure e semplici del recupero di potere d'acquisto; di avere cioè una parte derivante dal miglioramento dell'efficienza del settore come recupero sui maggiori livelli di sfruttamento esercitato su di essi. In pratica i padroni per bocca del loro rappresentante Biglieri sostengono che: "…non è possibile a nostro avviso aggiungere altro per l'andamento positivo del settore perché si rischierebbe in questo modo di svantaggiare aziende che si trovassero ad andare peggio della media settoriale…".
La Federmeccanica ha quindi proseguito nella sua linea provocatoria rilanciando la propria offerta di procedere con gli assorbimenti di aumenti salariali già dati ai lavoratori in sede aziendale. "Ho spiegato ai sindacalisti - ha detto Biglieri - che seguendo questa via alternativa la cifra lorda che avremmo potuto offrire si sarebbe significativamente avvicinata a quella chiesta da loro, mentre la cifra al netto sarebbe stata certamente più alta di queste 85mila lire. I sindacalisti mi hanno chiesto quale sarebbe stata questa cifra lorda e quale quella netta, ma io gli ho ricordato che proprio loro non hanno voluto seguire questa strada, per cui era inutile parlarne".
Sempre in soldoni si può tradurre la cosa in questo modo "se in alcune aziende i padroni fanno più profitti, solo i lavoratori di quelle aziende posso chiedere più soldi, ma dove i profitti non crescono è sleale pretendere aumenti di salario… Tuttavia se proprio volete mettere nei salari nazionali anche quote legate al positivo andamento del settore, i lavoratori che già prendono in azienda soldi a questo titolo dovrebbero rinunciare a una parte di quanto stabilito in sede nazionale ". A parte la comicità di certe posizioni, anche qui dentro questa logica non troviamo niente di nuovo, e che cioè i lavoratori al massimo possono aspirare a tenere sul potere d'acquisto, e se vogliono qualcosa in più devono necessariamente accettare come presupposto un aumento dei livelli di sfruttamento.

A fronte di questa tracotanza padronale e mentre il Sole24ore in uno scarno comunicato annunciava che " i sindacati non hanno ritenuto sufficienti le proposte della Federmeccanica per continuare il confronto, le due parti si sono quindi lasciate senza fissare alcun nuovo appuntamento", le risposte sindacali sono state di una debolezza di cui è difficile riscontrare dei precedenti.
Dello sciopero post-elettorale abbiamo già detto, ma vediamo come si sono mossi i rappresentanti dei lavoratori in questi quattro mesi.
Va ricordato innanzi tutto che questa piattaforma contrattuale è stata il risultato di una difficile mediazione tra gli apparati (vedi nostri articoli precedenti sull'argomento) e il sostegno dato dai lavoratori in sede di referendum alla stessa è venuto da un terzo della categoria, che a sua volta l'ha votata con il 70% dei consensi. Una piattaforma che è partita molto male e quindi proseguita peggio.
I sindacalisti tuttavia in una certa fase nel corso della trattativa avevano valutato positivamente il suo andamento credendo alla possibilità di una rapida chiusura senza colpo ferire e prima delle elezioni.
In particolare il segretario della Fim Caprioli, in più di una occasione si è trovato a sostenere che non sarebbero serviti né gli scioperi né tantomeno troppi incontri e che la situazione complessiva era oggettivamente più agevole rispetto quella di 4 anni addietro dove non era nemmeno stabilito il valore del punto percentuale in lire.
Anche la Fiom riteneva che gli ostacoli potevano essere superati anche se il suo entusiasmo era meno marcato in quanto vedeva nella contemporaneità della vertenza alla Fiat con il contratto nazionale un elemento di ostacolo per i veti posti alla Federmeccanica da Agnelli e soci, come pure le fratture a livello nazionale con la Cisl e la Uil sulla questione dei contratti a tempo determinato.
I sindacalisti che partecipavano alla trattativa ritenevano che vi fosse quindi un quadro di regole interne alla linea della concertazione (l'accordo del 1993) che alla fine avrebbe costretto la controparte a cedere di fronte alla oggettività delle richieste sindacali. Essi hanno in pratica sottovalutato o tenuto in scarsa considerazione tutti i segnali che la Confindustria ha negli ultimi mesi continuamente lanciato secondo cui la concertazione e l'accordo del 1993 insieme ai vari patti di Natale sono dei ferri vecchi e non rispondono più alle esigenze del capitale nel nuovo contesto della globalizzazione e del soggetto Unione Europea.
I padroni hanno già spiegato le loro opinioni sui nuovi modelli contrattuali che a loro avviso si rendono necessari; modelli che prevedono una dinamica salariale strettamente legata ai risultati aziendali, per cui il contratto nazionale non riveste più alcun significato, mentre occorre dare un impulso deciso alla contrattazione aziendale e in questa a quella personale. Ciò che i sindacati non capiscono è che i padroni la loro riforma della contrattazione la stanno già mettendo in atto e, grazie a loro (i sindacati), in un contesto di pace sociale.
Penose e guidate da una logica che appare completamente fuori dalle dinamiche di scontro in atto sono state le reazioni di parte sindacale seguite all'offerta degli industriali. "E' stata una scelta precisa - ha detto Regazzi della Uilm - hanno deciso di non fare la trattativa". "Una cifra - dice Sabattini della Fiom - non utile per continuare la trattativa , per questo abbiamo deciso due ore di sciopero". "Non potevamo nemmeno iniziare a discutere - è il commento di Caprioli della Fim - penso abbiano commesso un grandissimo errore, adesso si sfracella tutto, in cambio di chissà che cosa. Adesso entriamo in un settore ben conosciuto, vedremo un film vecchio, dove si finisce ogni volta, quando invece tutti sempre dicono che si dovrebbe battere altre strade. Ma la buona volontà da una parte sola non basta. La Federmeccanica ha avuto respiro cortissimo. A questo punto si finisce per rimpiangere la scala mobile, risultato questo veramente non auspicabile".
Queste affermazioni di sconcerto per la mancanza di volontà mostrata dai padroni, di dolore, di delusione, di timore di dover ripercorrere vecchie strade e di vedere vecchi film, di dover ripristinare la scala mobile, sono lì a dire chiaramente qual è lo spessore politico e morale di chi rappresenta i lavoratori: signori che non credono più, se mai hanno creduto, nella centralità dei lavoratori e nel loro ruolo che è indispensabile per spostare i rapporti di forza in loro favore.
In questo contesto si inserisce per completare il quadretto anche l'appello del ministro del lavoro, il quale già prima che iniziasse la trattativa aveva sottolineato la gravità dell'appuntamento, sottolineando come quello dei metalmeccanici sia un contratto chiave, politicamente importante, e aveva chiesto di prestare la massima attenzione al meccanismo della politica dei redditi, che rischia di soccombere.

Questa in sintesi la situazione che non sembra di facile soluzione proprio perché alla base di tutto vi è la tragica ostinazione di un sindacato che non intende cambiare rotta rispetto le politiche concertative che più che danno ai lavoratori non hanno provocato: riduzione dei salari reali, ingabbiamento della contrattazione, riduzione dei posti di lavoro nella grande industria, precarizzazione del rapporto di lavoro, flessibilità selvaggia e aumento degli infortuni e dei morti sul lavoro. Ma nonostante ciò il ritornello che ci sentiamo ripetere è quello del rispetto delle regole, della poltica dei redditi, che i padroni non mantengono i patti, ecc…; e quando si parla di lotta lo si fa tenendo conto che non si deve fare troppo casino subito, che ci sono le elezioni, che bisogna essere cauti, ecc…. e intanto i padroni continuano a fare il loro mestiere.
A questo punto agitare parole d'ordine del tipo "lotta dura" e affini potrebbe apparire velleitario e fuori luogo vista la volontà di direzione e rappresentanza mostrata dai burocrati sindacali. Ciò che occorre a nostro avviso è cogliere questa occasione che i lavoratori hanno per le mani per ricominciare a parlare di un nuovo modo di costruire un sindacato che sia veramente espressione della cultura e delle aspettative dei lavoratori.
Con questo non diciamo che non si debba lottare, anzi la lotta va fatta e va sostenuta in modo intelligente per colpire l'arroganza padronale nel vivo, ma nello stesso tempo occorre rimettere in discussione tutto, a partire dai metodi con cui si scelgono gli obbiettivi da perseguire per arrivare alla elezione dal basso della delegazione che li deve sostenere.
Sono queste le cose che fanno paura ai nostri padroni, il sapere cioè che gli interlocutori che hanno di fronte sono reali rappresentanti e che godono quindi del totale e convinto appoggio dal basso, ma scegliendo questa strada i lavoratori devono essere consapevoli che si va a porre fine anche a quei meccanismi perversi che hanno fatto sì che da anni la direzione sindacale sia stata proprietà privata di una massa di burocrati che ha come obbiettivo principale quello dell'autoconservazione, e che pertanto non turba certamente i sonni della Confindustria.