La trattativa sul contratto dei metalmeccanici.
Le risposte di Federmeccanica alle richieste sindacali sono emblematiche della volontà del padronato di andare all’abolizione del principio della contrattazione collettiva. Le leggi delega e le direttive europee sull’orario condizionano pesantemente l’iter della trattativa che non riesce a sbloccarsi. L’attacco alle posizioni della Fiom rende sempre più probabile lo sbocco verso un accordo separato. Di Duilio Felletti. Aprile 2003.


Con l’incontro del 12 marzo si è conclusa la prima fase delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Lo stato complessivo della vertenza è negativo.

Finora le richieste della Fiom, come era facile prevedere, hanno ricevuto sostanziali rifiuti; come pure non hanno avuto sorte migliore i contenuti delle piattaforme rivendicative di Fim e Uilm.

Dall’altra parte, Federmeccanica ha operato, oltre che per dire dei no, per rendere ancora più evidenti le differenze esistenti tra le diverse organizzazioni sindacali creando in questo modo le condizioni per lo sbocco verso un accordo separato.

Fim e Uilm, da parte loro non hanno mai fatto segreto circa la loro disponibilità per questo tipo di soluzione finale.

Su questa trattativa inoltre stanno pesando enormemente i provvedimenti governativi in materia di lavoro (la legge delega) e le direttive europee sull’orario settimanale e gli straordinari; per non parlare delle questioni legate alla vicenda Fiat, il clima di guerra, e il referendum sull’articolo 18.

Come si vede quindi la situazione è complessa e intricata e in questa situazioni tutti i soggetti in gioco cercano di mettere al centro le proprie posizioni e proposte.

Ma vediamo nel merito delle questioni più importanti come si è sviluppata la trattativa.

Sulla lotta alla precrietà

Ricordiamo che tutti i sindacati, sulle proprie piattaforme, si sono posti il problema di porre un argine al dilagare dei rapporti di lavoro atipici (interinali, tempo determinato, ecc..).

La Fiom, in particolare, mettendo le mani nel piatto, ha chiesto senza mezzi termini che si definiscano nell’ambito del contratto nazionale delle regole e principi che contrastino la crescente precarietà del lavoro che si concretizzano nella richiesta dell’assunzione a tempo indeterminato dopo che il lavoratore sia stato utilizzato in azienda per almeno otto mesi anche non consecutivi.

Fim e Uilm invece, molto più genericamente si sono limitate a rivendicare una migliore regolamentazione nel ricorso al lavoro a termine e in affitto.

La Federmeccanica ha ovviamente respinto l’impostazione della Fiom, ma soprattutto ha riaffermato con decisione di non voler accettare limitazioni ai contratti a termine, ai Cfl, all’apprendistato, al lavoro interinale.

La sua posizione è volta a ottenere un rinvio della discussione di tutta la questione; un rinvio che le consentirebbe di arrivare, al massimo entro un anno, all’applicazione dei contenuti della legge delega (vedi: La legge delega sul lavoro) del governo sulle nuove tipologie contrattuali.

A nulla sono valse le argomentazioni della Fiom tese a rivendicare al contratto nazionale sia una funzione autonoma rispetto alla legge, sia una funzione migliorativa delle norme contenute nella legge.

Andando in direzione diametralmente opposta, la Federmeccanica intende invece utilizzare le leggi per peggiorare le condizioni previste dai contratti. Per questa strada si va diritti all’abolizione dei contratti nazionali di lavoro.

 

Enti bilaterali, formazione

Gli enti bilaterali sono delle strutture aziendali da sempre presenti in alcune categorie di lavoratori (ad esempio gli edili) e che il Patto per l’Italia ha voluto generalizzare dovunque.

Si tratta di commissioni, in cui sono presenti i rappresentanti sindacali e imprenditoriali, e che dovrebbero avere diverse funzioni, tra cui appunto, la formazione, ma anche la gestione di finanziamenti governativi ed europei.

Federmeccanica si è dichiarata, ovviamente, molto interessata alla costituzione di un Ente bilaterale sulla formazione che amministri tutta la materia (tanto per cominciare) ma poi vorrebbe che questa struttura prendesse in mano diversi aspetti della gestione aziendale.

Si tratta quindi, di un vero e proprio spazio, che si vorrebbe, di sperimentazione della cogestione e di coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali.

Fim e Uilm hanno già sostenuto nel Patto par l’Italia, la validità di questa struttura, condividendone la finalità, e coerentemente proseguono in questa strategia anche nel’ambito della partita contrattuale e hanno definito "interessante e positivo" l’approccio di Federmeccanica a questa materia.

La Fiom intravede giustamente un elemento di pericolosità in questi enti che in questo modo avrebbero un potere enorme, in grado modificare radicalmente le relazioni sindacali e di annullare qualsiasi forma di dissenso, ma soprattutto renderebbero inutili le RSU.

Non sono trascurabili inoltre i vantaggi sul piano economico che ne deriverebbero per organizzazioni sindacali (come Fim e Uilm, appunto) con radicamento e tesserati in continua diminuzione: infatti, essere dentro a strutture che sarebbero sostenute con finanziamenti anche pubblici, consentirebbe il pagamento di stipendi e il mantenimento dell’apparato burocratico di questi sindacati senza il defatigante lavoro della conquista del consenso sul campo.

Nel merito poi del diritto alla formazione, che i sindacati vorrebbero più largo e accessibile, Federmeccanica non ha dato alcuna risposta, il che si deve intendere come un rifiuto, a tutte le richieste di miglioramento dei diritti soggettivi dei lavoratori.

Anche su questo argomento, quindi, siamo di fronte alla esplicita volontà del padronato di affermarsi come soggetto unico che decide quali debbano essere i lavoratori da far crescere professionalmente e quali invece debbano restare ai livelli più bassi; ed è facile indovinare che i lavoratori che resteranno indietro saranno quelli più scomodi, e magari con l’avallo dei neonati enti bilaterali.

 

Inquadramento unico

Il sistema di inquadramento dei lavoratori è vecchio di trent’anni, e per ammissioni di tutte le parti in causa, andrebbe rivisto alla luce delle nuove professionalità che si sono create nel tempo con le evoluzioni delle tecnologie.

Ad avere però maggior interesse che si vada rapidamente a una ridefinizione delle categrie sono i sindacati, i quali vorrebbero togliere ogni forma di discrezionalità al padrone nell’assegnazione delle categorie ai lavoratori, e dare invece trasparenza ai percorsi di carriera.

Ciò che gli industriali temono è che una riforma dell’inquadramento unico porti ad un aumento dei costi che deriverebbero da passaggi di categoria per larghi gruppi di lavoratori, che per anni sono rimasti confinati in categorie inadeguate alla propria professionalità.

Su questo tema le posizioni sindacali sono note: da una parte Fim e Uilm che, condividendo la preoccupazione padronale di non aumentare i costi, vorrebbero una gestione aziendalistica (in mano agli enti bilaterali) della valutazione delle professionalità, e dall’altra la Fiom che vuole affermare criteri oggettivi nei passaggi di categoria, che devono valere per tutti i metalmeccanici, e garanzie sul ruolo di controllo che dovrebbe avere l’RSU.

Il nodo dello scontro è quindi molto evidente: devono o non devono essere i padroni a decidere quando dare un passaggio di categoria? E il passaggio deve essere considerato un premio che viene dalla magnanimità del padrone, oppure deve rappresentare un atto dovuto in seguito ad un innalzamento del livello di professionalità?

Come vediamo, in gioco c’è una questione di potere contrattuale e di affermazione o meno del diritto alla crescita e al riconoscimento della professionalità.

 

Salario

I tre sindacati, ricordiamo, hanno chiesto aumenti salariali così diversificati: la Fiom 135 euro uguali per tutti, e 92 la Fim e la Uilm diversificati per categoria.

I sindacati hanno inteso rivendicare aumenti che splafonassero il tasso di inflazione programmata, non ritenendola un valido punto di riferimento per la definizione degli aumenti salariali da richiedere.

Nei 135 euro richiesti dalla Fiom vi è anche una parte che è legata al buon andamento del settore; si tratta quindi di una quota di salario non legata all’inflazione ma alla necessità di distribuire ai lavoratori una parte dell’aumento dei profitti, che si è verificato negli ultimi due anni.

Fim e Uilm vorrebbero invece ulteriori aumenti salariali per quei lavoratori che per varie ragioni non riescono a fare contratti a livello aziendale.

Dunque, al di là del fatto che tutti i sindacati hanno voluto splafonare il tasso di inflazione programmata, vi sono comunque tra di essi differenze di impostazione molto rilevanti.

Rispondendo alle richieste sindacali, la Federmeccanica ha fatto presente che la sua controfferta comporterà un aumento salariale che non supererà il 4,3% (circa 67 euro al quinto livello).

Questo 4,3% è stato costruito sommando assieme i diversi elementi previsti dall’accordo del 1993: lo scarto tra inflazione programmata e quella reale degli scorsi due anni, più l’inflazione programmata per i prossimi due.

Inoltre Federmeccanica ha avvisato che tale offerta non potrà essere data interamente in quanto la dinamica dei salari negli ultimi anni ha comunque superato quella dell’inflazione.

Alla richiesta della Fiom di avere anche una parte dovuta all’incremento di produttività la Federmeccanica ha risposto negativamente, adducendo motivazioni secondo cui il settore metalmeccanico permane in una crisi da cui non si intravedono elementi di fuoruscita.

Sono state anche respinte in modo sferzante le richieste di un aumento salariale ulteriore per i lavoratori di quelle aziende dove non viene fatta la contrattazione di secondo livello, motivando il no con il fatto che, anche se il sindacato non fa rivendicazioni salariali in azienda, ci pensa comunque il padrone a distribuire aumenti che, se non dovesse elargire, lo porterebbe a perdere i suoi elementi migliori.

Federmeccanica ha esibito, a sostegno delle sue argomentazioni dei dati che dimostrerebbero che negli ultimi nove anni i lavoratori, e in particolare quelli inquadrati nei livelli più bassi, avrebbero ampiamente recuperato quanto l’inflazione ha eroso.

Ha parlato in pratica di un’inflazione complessiva del 23% e di aumenti delle paghe di fatto di percentuali tra il 35/40% per i livelli più bassi e del 17% per quelli più alti.

Sulla base di questo ragionamento Federmeccanica ha anche respinto la richiesta di aumenti uguali per tutti avanzata dalla Fiom, ritenendo le categorie più alte quelle più penalizzate.

Vi è un altro elemento su cui varrebbe la pena di riflettere e che non è di secondaria importanza.

Con le nuove forme di contratti previsti dalla legge delega, ispirata dal libro bianco di Biagi, è facile prevedere che vi saà un’ondata di assunzioni di lavoratori che verranno inquadrati ai livelli più bassi (II°, III°, e IV°), e che aumenteranno a scapito di quelli inquadrati ai livelli più alti (soprattutto al V°).

Ora, poiché tutti i sindacati hanno calibrato la propria richiesta salariale sul V° livello, nei fatti accadrà che, anche supponendo che i padroni dovessero accogliere le richieste sindacali, la grande maggioranza dei lavoratori avrà aumenti salariali sensibilmente inferiori alle stesse richieste.

Sulla base di questo ragionamento, assolutamente realistico, diventa vitale sostenere con forza e senza tentennamenti il principio dell’aumento salariale uguale per tutti, così duramente avversato dalla controparte.

Un altro fatto sconcertante è che, a fronte delle argomentazioni di Federmeccanica chiaramente provocatorie e mirate esclusivamente a non ricercare le vie di un accordo, i sindacati non sono riusciti a mantenere la calma, e hanno cominciato (solo cominciato) a parlare (solo a parlare) di scioperi che si andrebbero a fare dopo la moratoria di quattro mesi.

 

Orario di lavoro

L’argomento è stato solo sfiorato ma è bastato poco per accendere le polemiche.

Nonostante le richieste sindacali su questo terreno, assolutamente tenui, e prive di reale efficacia sul piano pratico (non si è chiesta la riduzione a 35 ore a parità di salario) Federmeccanica non ha voluto perdere l’occasione di fare dei passi indietro rispetto le conquiste fatte dai lavoratori negli ultimi 20 anni.

Ricordiamo che le richieste sindacali erano volte esclusivamente a consentire ai lavoratori turnisti e/o disagiati maggiori spazi di riposo aumentando, in quantità assolutamente simbolica, le ore di permesso retribuito, oltre che ad avere un più facile accesso alla banca ore.

Il pretesto per non discutere in materia di orario di lavoro è rappresentato dalla direttiva europea che entro quest’anno verrà resa operativa.

È noto infatti che per il padronato questa materia è di vitale importanza, poiché sul piano della competitività, sarebbe più svantaggiata l’azienda costretta a far lavorare i propri dipendenti a orario ridotto, e magari a parità di salario; per cui si è reso indispensabile fissare a livello europeo una regola che imponesse uno stop alle varie rivendicazioni che negli ultimi anni, anche riportando risultati di un certo valore, si stavano sviluppando nei diversi stati membri.

In sostanza questa direttiva dice esplicitamente che gli orari normali di lavoro nell’Unione dovrà essere di 40 ore, che diventerebbero 48 comprendendo anche gli straordinari, e che qualsiasi accordo che prevedesse qualcosa di diverso, dovrebbe andare alla sua naturale scadenza per poi recepire le norme previste dalla direttiva.

Comunque entro la fine del 2004 tutti gli stati dovrebbero uniformarsi.

Roberto Biglieri (direttore generale di Federmeccanica) ha dichiarato nei giorni scorsi dalle colonne del sole24ore: "bisognerà tenere conto del quadro legislativo che emergerà nei prossimi anni anche perché il rinnovo dei metalmeccanici sarà quadriennale" e ancora "non possiamo dare assicurazioni sul fatto di non tenere presente il quadro che sta cambiando. Non vuole essere una minaccia o un monito, ma non si può fare un accordo che vale 4 anni impegnandosi a non considerare queste regole. Se lo facessimo aprioristicamente saremmo dei pazzi".

Federmeccanica non intende quindi impegnarsi e garantire l’attuale testo contrattuale sull’orario settimanale e giornaliero, anzi ha chiesto di costituire un gruppo di lavoro che prepari la sua revisione a seguito dei provvedimenti di legge che il Governo ha presentato.

La manfrina è quindi sempre la stessa, e può essere riassunta nella domanda: ma perché dovremmo decidere delle cose per via contrattuale, quando esistono (o esisteranno) delle leggi che intervengono in meteria?

Da parte sua la Fiom ha chiesto che il contratto nazionale resti esattamente come è oggi rispetto ai limiti dell’orario, e che continui a svolgere la sua funzione di strumento che renda l’applicazione della legge quanto più possibile compatibile con le esigenze meteriali dei lavoratori.

La sensazione è però quella di picchiare la testa contro un muro di gomma.

In conclusione, possiamo così descrivere il quadro della situazione.

È innegabile che la lotta della Fiom ha grossi risvolti politici, tant’è che dal suo esito potrebbero essere radicalmente modificati i rapporti sindacali nelle fabbriche e potrebbe essere sancita la fine di una storia di 50 anni di lotte e la fuoruscita di tutte le organizzazioni sindacali, non solo della Fiom.

Ma la Fiom, aldilà delle affermazioni di principio, nel terrore di cadere nell’isolamento, è alla ricerca costante di un avvicinamento con le altre sigle sindacali, e questo fatto, obiettivamente la indebolisce.

Fim e Uilm, da parte loro, nel frattempo si sono accordate per unificare le rispettive piattaforme, intendono proseguire diritte per la loro strada, mostrando chiaramente di voler puntare ad un accordo con la controparte prima della fine del periodo di moratoria, per non avere l’imbarazzo di dover scioperare accanto alla Fiom, su contenuti non condivisi, e contribuire in questo modo a far crescere un movimento proprio a ridosso della scadenza del voto referendario sull’articolo 18.

Vi è poi Federmeccanica che non intende perdere questa occasione per cacciare in un cul di cacco la Fiom firmando con Fim e Uilm un accordo separato prima della fine del mese di aprile.

La Fiom intanto, in una sua nota afferma che "considererebbe un nuovo accordo separato non solo una violazione di tutte le regole democratiche, visto che le piattaforme di Fim e Uilm rappresentano una parte minoritaria dei metalmeccanici, ma anche una violazione delle regole. Se comunque questo evento negativo dovesse verificarsi, la Fiom chiamerebbe alla mobilitazione e allo sciopero immediato tutta la categoria".

Ci sembra però di poter dire che nei fatti la risposta della Fiom sul terreno di scontro posto dal padronato, è estremamente debole ed ha già nelle sue dinamiche i germi della sconfitta.

Innanzi tutto c’è la questione della Cassa di resistenza, che si continua a dire di voler costituire, ma che in pratica è rimasta a oggi solo sulla carta: si è fatto lo statuto, si sono definite le strutture di gestione, ma il tutto non è ancora partito, e la percezione che se ne trae a livello di base è che forse non si stia facendo sul serio.

L’altra questione è data dalla volontà di andare allo sciopero dopo il periodo di moratoria (per rispettare le regole) quando potrebbe essere già stato firmato l’accordo separato con Fim e Uilm.

Inoltre questa volta sarà più difficile chiedere ai lavoratori di scioperare dopo l’accordo, poiché Federmeccanica ha già fatto sapere che chiederà ai singoli lavoratori se desidereranno l’applicazione del contratto (faranno loro il referendum) e questo equivarrà a chiedere la rinuncia allo sciopero che la Fiom intenderà proclamare.

La partita come si può vedere è aperta, ma deve essere assolutamente gestita, altrimenti il successo che la piattaforma della Fiom ha riscosso a livello di base e che è stata votata dalla maggioranza dei lavoratori, rischia di essere disperso.

Come minimo, deve essere data attuazione alla cassa di resistenza: già questa iniziativa da sola darà la percezione di quale strada il sindacato intenda percorrere, e nello stesso tempo occorre non aspettare la firma dell’accordo separato per andare allo scontro con il padronato.

Bisogna osare!